Per la configurabilità del reato di violenza sessuale di gruppo ex art. 609-octies cod. pen., è necessario che più persone riunite partecipino alla commissione del fatto. Tale delitto infatti costituisce una fattispecie autonoma di reato necessariamente plurisoggettivo proprio, consistente nella "partecipazione, da parte di più persone riunite, ad atti di violenza sessuale di cui all'art. 609-bis", in cui la pluralità di agenti e richiesta come elemento costitutivo.
È quanto precisato dalla Terza Sezione Penale della Cassazione con la sentenza n. 3419 depositata il 29 gennaio 2024.
La Suprema Corte aggiunge che il trattamento sanzionatorio più grave per la violenza sessuale di gruppo rispetto a quello per i reati commessi individualmente riflette la maggiore complessità e pericolosità sociale dell'azione criminale quando essa è frutto di un'azione collettiva. La legge intende quindi punire più duramente coloro che partecipano a tali reati, riconoscendo come la dinamica di gruppo non solo amplifichi il danno alla vittima ma anche ostacoli la giustizia attraverso una maggiore difficoltà nell'individuazione delle responsabilità individuali.
I giudici precisano che non è necessario che i componenti del gruppo assistano al compimento degli atti di violenza sessuale, essendo sufficiente la loro presenza nel luogo e nel momento in cui detti atti vengono compiuti, anche da uno solo dei compartecipi, atteso che la determinazione di quest'ultimo viene rafforzata dalla consapevolezza della presenza del gruppo.
Non è altresì necessario che tutti i membri del gruppo eseguano atti di violenza sessuale direttamente; è sufficiente un contributo causale, materiale o morale, alla commissione del reato. Questo include anche coloro che, pur non compiendo atti diretti, sono presenti e consapevoli, rafforzando così la determinazione dell'aggressore o degli aggressori attivi.
La Cassazione estende, dunque, il concetto di "partecipazione" al di là della mera esecuzione fisica dell'atto violento. Anche coloro che si trovano sul luogo del delitto senza agire direttamente, ma che contribuiscono in modo significativo all'azione collettiva, sia con supporto morale che con una presenza intimidatoria, rientrano nella definizione di partecipanti attivi al reato.
Ai fini della configurabilità del reato di violenza sessuale di gruppo, previsto dall'art. 609-octies cod. pen., e necessario che più persone riunite partecipino alla commissione del fatto, costituendo tale delitto una fattispecie autonoma di reato necessariamente plurisoggettivo proprio, consistente nella "partecipazione, da parte di più persone riunite, ad atti di violenza sessuale di cui all'art. 609-bis", in cui la pluralità di agenti e richiesta come elemento costitutivo.
Cassazione penale, sez. III, sentenza 03/11/2023 (dep. 29/01/2024) n. 3419
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza del 08/02/2023, la Corte di appello di Catanzaro confermava la sentenza emessa in data 20/06/2022 dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Cosenza, con la quale Ab.Fa. e Be.Fi., all'esito di giudizio abbreviato, erano stati dichiarati responsabili del reato violenza sessuale di gruppo commesso in danno di minore degli anni diciotto e condannati alla pena di anni sei di reclusione ciascuno.
2. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati, chiedendone l'annullamento ed articolando i motivi di seguito enunciati.
Ab.Fa. propone quattro motivi di ricorso.
Con il primo motivo deduce vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza di un accordo preventivo finalizzato alla commissione del reato contestato.
Espone che la Corte territoriale aveva motivato in ordine alla sussistenza di un accordo preventivo tra gli imputati per commettere il reato di violenza sessuale di gruppo nei confronti della persona offesa con argomentazioni carenti ed illogiche, dando rilievo ai messaggi intercorsi tra i coimputati e tra la Be.Fi. e la persona offesa nel periodo tra il 18 ed il 23 giugno 2020, ad un inoltro di fotografie della persona offesa da parte della coimputata Be.Fi. al ricorrente ed al contenuto della intercettazione del 23 giugno 2020 che dimostrerebbe la volontà di consumare un rapporto sessuale "a tre"; al contrario, le risultanze istruttorie comprovavano che il ricorrente non aveva mai richiesto l'invio di foto o video della persona offesa e che era rimasto stupito ed attonito dalla circostanza dell'invio da parte della coimputata; inoltre, emergeva con certezza, dal contenuto delle conversazioni intercettate, che l'intento del ricorrente era quello di consumare un rapporto "a tre" con la volontà di tutte le parti in causa.
Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione in relazione all'intercettazione telefonica n. (Omissis) del 24 giugno 2020 della conversazione intercorsa tra il ricorrente e Ma.Do., lamentando che la Corte territoriale aveva illogicamente valutato il contenuto della conversazione di natura confessoria, risultando, invece, evidente, che il ricorrente stesse raccontando all'amico circostanze non corrispondenti alla realtà e non coincidenti con quelle riferite dalla persona offesa.
Con il terzo motivo deduce vizio di motivazione in relazione agli elementi probatori utilizzati a sostegno della fase dell'esecuzione del reato, lamentando che la Corte di Appello aveva fondato l'affermazione di responsabilità sulle dichiarazioni della persona offesa, senza motivare in ordine alle censure difensive che evidenziavano come la ragazza, sentita due volte (in sede di s.i.t. e poi in sede di incidente probatorio), non avesse dato la medesima versione dei fatti.
Con il quarto motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al giudizio di equivalenza delle circostanze attenuanti generiche rispetto alle contestate aggravanti, lamentando che risultavano indimostrate le circostanze relative alla conoscenza da parte dell'imputato delle condizioni di lieve inferiorità psichica della persona offesa e della minore età della stessa, ritenute sussistenti con motivazione illogica.
La difesa del ricorrente ha, poi, depositato motivi nuovi ai sensi dell'art. 585, comma 4, cod. proc. pen., con i quali ha dedotto di voler proporre istanza di accesso alla giustizia riparativa rappresentando che essendo entrata in vigore la relativa normativa in data 30.6.2023, la prima udienza utile per proporre tale istanza coincide con quella da tenersi in sede di legittimità; chiede, quindi, annullamento con rinvio della sentenza impugnata per la valutazione di istanza ex art. 129-bis cod. proc. pen. e per l'eventuale rideterminazione della pena.
Be.Fi. propone tre motivi di ricorso.
Con il primo motivo deduce vizio di motivazione in relazione alla configurabilità del reato contestato ed in ordine alla interpretazione delle prove.
Lamenta che i Giudici di merito non avevano dato risposta alle censure difensive in ordine al ruolo della ricorrente nella fase di preparazione della presunta condotta criminosa; la circostanza dell'ideazione del proposito criminoso dei due imputati era stata tratta dai messaggi intercorsi tra la ricorrente e la persona offesa, nei quali la prima avrebbe richiesto delle fotografie in intimo alla seconda; non vi era, però, prova che il coimputato avesse richiesto a sua volta fotografie della persona offesa; dalla intercettazione ambientale del 23.6.2020, poi, si evinceva solo la volontà del coimputato di avere un incontro a tre senza usare violenza o sopraffazione, mentre la Corte di Appello aveva interpretato in maniera illogica le frasi della conversazione, per trarne la prova della sussistenza del reato contestato; del pari illogica era l'interpretazione della conversazione intercettata n. (Omissis), che dava atto solo della relazione intercorrente tra i coimputati e la n. (Omissis), che comprovava una prassi comportamentale tra i due; le dichiarazioni rese dalla persona offesa, poi, comprovavano che il coimputato non aveva posto in essere una condotta violenta o altra forma di coercizione nei confronti della persona offesa; l'intercettazione telefonica n. (Omissis) del 24 giugno 2020 della conversazione intercorsa tra il ricorrente e Ma.Do., infine, era stata ritenuta elemento comprovante la responsabilità del reato contestato con motivazione illogica e censurabile, in quanto il contenuto andava interpretato come volontà del coimputato di consumare un rapporto a tre.
Con il secondo motivo deduce violazione dell'art. 609-octies cod. pen., lamentando che in atti non vi era prova della consapevolezza della ricorrente detta minore età e del lieve deficit mentale della persona offesa; inoltre, l'aver aderito ideologicamente al desiderio del coimputato di consumare un rapporto a tre non era elemento sufficiente a ritenere integrato il reato contestato; non vi era prova, poi, di una condotta violenta nei confronti delta persona offesa, risultando, al contrario la spontaneità del comportamento della stessa.
Con il terzo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla configurabilità delle contestate circostanze aggravanti, lamentando che risultavano indimostrate le circostanze relative alla conoscenza da parte dell'imputato delle condizioni di lieve inferiorità psichica della persona offesa e della minore età della stessa, ritenute sussistenti con motivazione illogica e carente ed in assenza di riscontro probatorio; in particolare, non esistevano in atti intercettazioni antecedenti al 24.6.2020 nella quali si facesse riferimento all'età della persona offesa o alla sua condizione mentale, con riferimento a conversazioni tra i coimputati ne con riferimento a conversazioni con terze persone.
La difesa della ricorrente ha depositato motivi nuovi ai sensi dell'art. 585, comma 4, cod. proc. pen., con i quali ha dedotto di voler proporre istanza di accesso alla giustizia riparativa rappresentando che essendo entrata in vigore la relativa normativa in data 30.6.2023, la prima udienza utile per proporre tale istanza coincide con quella da tenersi in sede di legittimità; chiede, quindi, annullamento con rinvio della sentenza impugnata per la valutazione di istanza ex art. 129-bis cod. proc. pen. e per l'eventuale rideterminazione della pena; ha, poi, depositato memoria con allegato provvedimento della Corte di Appello di Catanzaro.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. I primi tre motivi di ricorso di Ab.Fa. ed i tre motivi di ricorso di Be.Fi., che si trattano congiuntamente perché oggettivamente connessi in quanto tutti afferenti all'affermazione di responsabilità, sono inammissibili.
1.1. Va premesso che costituisce pacifica acquisizione della giurisprudenza di questa Suprema Corte come debba essere ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che riproducono le medesime ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, infatti, va valutata e ritenuta non solo per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, dal momento che quest'ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di specificità che conduce, a norma dell'art. 5 comma 1, lett. cod. proc. pen., alla inammissibilità della impugnazione (in tal senso sez. 2, n. 29108 del 15.7.2011, Cannavacciuolo non mass.; conf. Sez. 5, n. 28011 del 15.2.2013, Sammarco, Rv. 255568; Sez. 4, n. 18826 del 9.2.2012, Pezzo, Rv. 253849; sez. 2, n. 19951 del 15.5.2008, Lo Piccolo, Rv. 240109; Sez. 4, n. 34270 del 3.7.2007, Scicchitano, Rv. 236945; Sez. 1, n. 39598 del 30.9.2004, Burzotta, Rv. 230634; Sez. 4, n. 15497 del 22.2.2002, Palma, Rv. 221693). Ancora più di recente, questa Corte di legittimità ha ribadito come sia inammissibile il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti con l'appello e motivatamente respinti in secondo grado, sia per l'insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità delle doglianze che, così prospettate, solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato (Sez. 3, n. 44882 del 18.7.2014, Carioto e altri, Rv. 260608).
Va anche evidenziato che ci si trova di fronte ad una "doppia conforme" affermazione di responsabilità e che, legittimamente, in tale caso, è pienamente ammissibile la motivazione della sentenza di appello per relationem a quella della sentenza di primo grado, sempre che le censure formulate contro la decisione impugnata non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli già esaminati e disattesi.
E', infatti, giurisprudenza pacifica di questa Suprema Corte che la sentenza appellata e quella di appello, quando non vi è difformità sui punti denunciati, si integrano vicendevolmente, formando un tutto organico ed inscindibile, una sola entità logico - giuridica, alla quale occorre fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione, integrando e completando con quella adottata dal primo giudice le eventuali carenze di quella di appello (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Rv.257595; Sez. 2 n. 34891 del 16.05.2013, Vecchia, Rv. 256096, non massimata sul punto; conf. Sez. 3, n. 13926 dell'1.12.2011, dep. 12.4.2012, Valerio, Rv. 252615; sez. 2, n. 1309 del 22.11.1993, dep. 4.2.1994, Albergamo ed altri, Rv. 197250). Ne consegue che il giudice di appello, in caso di pronuncia conforme a quella appellata, può limitarsi a rinviare per relationem a quest'ultima sia nella ricostruzione del fatto sia nelle parti non oggetto di specifiche censure, dovendo soltanto rispondere in modo congruo alle singole doglianze prospettate dall'appellante.
Va, poi, osservato che, come da orientamento costante di questa Corte, il Giudice di merito può trarre il proprio convincimento circa la responsabilità penale anche dalle sole dichiarazioni rese dalla persona offesa, sempre che sia sottoposta a vaglio positivo circa la sua attendibilità, senza la necessità di applicare le regole probatorie di cui all'art. 192, commi 3 e 4, cod. proc. pen., che richiedono la presenza di riscontri esterni (Cfr., Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Rv. 253214; Sez. 2, n. 43278 del 24/09/2015, Rv. 265104 - 01 Sez. 1, n. 29372 del 27/7/2010, Rv. 24801).
Anche più di recente si è ribadito che le dichiarazioni della persona offesa, costituita parte civile, possono essere poste, anche da sole, a fondamento dell'affermazione di responsabilità penale dell'imputato, previa verifica, più penetrante e rigorosa rispetto a quella richiesta per la valutazione delle dichiarazioni di altri testimoni, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto e, qualora risulti opportuna l'acquisizione di riscontri estrinseci, questi possono consistere in qualsiasi elemento idoneo a escludere l'intento calunniatorio del dichiarante, non dovendo risolversi in autonome prove del fatto, né assistere ogni segmento della narrazione, posto che la loro funzione e sostanzialmente quella di asseverare esclusivamente ed in via generale la sua credibilità soggettiva (Cfr. Sez. 5, n. 21135 del 26/03/2019, Rv. 275312 - 01).
Ed è acquisizione pacifica che la valutazione circa l'attendibilità della persona offesa involge un'indagine positiva sulla credibilità soggettiva del dichiarante e sulla attendibilità intrinseca del racconto, che si connota quale giudizio di tipo fattuale, ossia di merito, in quanto attiene al modo di essere della persona escussa; tale giudizio può essere effettuato solo attraverso la dialettica dibattimentale, mentre è precluso in sede di legittimità, specialmente quando il giudice del merito abbia fornito una spiegazione plausibile della sua analisi probatoria (Cfr. Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, Rv. 262575; Sez. 3, n. 8382 del 22/01/2008, Rv. 239342; Sez. 3, n. 41282 del 05/10/2006, Rv. 235578).
Va, infine, ricordato che, anche a seguito delle modifiche dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. introdotte dalla L. n. 46 del 2006, art. 8 non è consentito dedurre il "travisamento del fatto", stante la preclusione per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez. 6,n. 27429 del 04/07/2006, Rv. 234559; Sez. 5, n. 39048/2007, Rv. 238215; Sez. 6, n. 25255 del 2012, Rv. 253099) ed in particolare di operare la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (cfr. Sez. 6, 26.4.2006, n. 22256, Rv. 234148). La Corte di cassazione deve circoscrivere il suo sindacato di legittimità, sul discorso giustificativo della decisione impugnata, alla verifica dell'assenza, in quest'ultima, di argomenti viziati da evidenti errori di applicazione delle regole della logica, o fondati su dati contrastanti con il senso della realtà degli appartenenti alla collettività, o connotati da vistose e insormontabili incongruenze tra loro, oppure inconciliabili, infine, con "atti del processo", specificamente indicati dal ricorrente e che siano dotati autonomamente di forza esplicativa o dimostrativa, tale che la loro rappresentazione disarticoli l'intero ragionamento svolto, determinando al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua la motivazione (Sez. 4, 08/04/2010 n. 15081; Sez. 6 n. 38698 del 26/09/2006, Rv. 234989; Sez. 5, n. 6754 del 07/10/2014, dep. 16/02/2015, Rv. 262722).
1.2. Ciò posto, nella specie la Corte territoriale, attraverso un percorso argomentativo congruamente articolato nonché logicamente elaborato, ha ritenuto sussistente il reato contestato ai ricorrenti, non limitandosi a richiamare la sentenza di primo grado, ma rispondendo punto per punto alle doglianze oggi riproposte (cfr. pag. 7, 8, 9, 10, 11 della sentenza impugnata).
In particolare, i Giudici di appello, richiamando le convergenti risultanze istruttorie (dichiarazioni della persona offesa, messaggi estrapolati dalle chat whatsapp, conversazioni captate, sia ambientali che telefoniche) e confermando la valutazione del primo giudice, evidenziavano che i due imputati, accordandosi previamente tra di loro e ponendo in essere un'opera di persuasione sottile e subdola con approfittamento della condizione di inferiorità psichica della minore (affetta da disturbo cognitivo di grado lieve), carpivano la fiducia delta minore per attirarla, con un espediente (i trattamenti estetici che la vittima doveva effettuare sulla Be.Fi.) nella camera da letto della Be.Fi. ove la facevano assistere alla consumazione di un loro rapporto sessuale, inducendola contestualmente a subire atti sessuali materialmente posti in essere dall'Ab.Fa. (consistenti in palpeggiamenti sulle cosce e sulla vagina) ed a compiere atti sessuali (consistenti nel toccare il pene dell'Ab.Fa.).
Giova ricordare che il reato di violenza sessuale c.d. per induzione (art. 609 bis comma 2 n. 1 cod. pen.) è incentrato sull'induzione all'atto sessuale di soggetto che si trova in condizioni di inferiorità fisica o psichica. Tale condotta è caratterizzata, quindi, dalla induzione che si realizza quando con un comportamento positivo concretatosi in un'opera di persuasione sottile, quanto subdola, l'agente spinge o istiga il soggetto che versi nella ricordata situazione di inferiorità fisica o psichica ad aderire ad atti sessuali che, altrimenti, non avrebbe compiuto (Sez. 3, 19.6.2002 n. 32513, P., Rv. 223101; Sez. 3, 14.4.2010 n. 20766, T. e altro, Rv. 247654); e la richiesta condizione di inferiorità psichica della vittima al momento del fatto prescinde da fenomeni di patologia mentale, in quanto è sufficiente ad integrarla la circostanza che il soggetto passivo versi in condizioni intellettive e spirituali di minore resistenza all'altrui opera di coazione psicologica o di suggestioni, anche se dovute ad un limitato processo evolutivo mentale e culturale, ma con esclusione di ogni causa propriamente morbosa (Sez. 3, n. 38261 del 20/09/2007).
La condotta illecita, inoltre, si era estrinsecata anche in atti repentini da parte dell'imputato che, immediatamente prima del predetto episodio, mentre la persona offesa si trovava nel bagno ed era intenta ad aiutare la coimputata a lavarsi la schiena, le palpeggiava i glutei e la vagina; con riferimento a tale condotta i Giudici di appello, confutando le censure difensive, spiegavano come la persona offesa avesse riferito di tale episodio già in sede di s.i.t., con estrema puntualità e precisione, evidenziando anche che ne costituiva riscontro il contenuto confessorio della conversazione di cui al progr. 6876, nella quale l'imputato riferiva all'interlocutore dei palpeggiamenti sulla minore avvenuti proprio nel bagno dell'abitazione della coimputata.
Va ricordato che tra gli atti idonei ad integrare il delitto di cui all'art. 609-bis cod. pen. vanno, inoltre, ricompresi anche quelli insidiosi e rapidi, purché ovviamente riguardino zone erogene su persona non consenziente - come ad es. palpamenti, sfregamenti, baci (Sez. 3, n. 42871 del 26/09/2013, Rv. 256915); la nozione di violenza nel delitto di violenza sessuale non è limitata alla esplicazione di energia fisica direttamente posta in essere verso la persona offesa, ma comprende qualsiasi atto o fatto cui consegua la limitazione della libertà del soggetto passivo, così costretto a subire atti sessuali contro la propria volontà (Sez. 3, n. 6643 del 02/01/2010, Rv. 246186).
Le argomentazioni dei Giudici di appello, oltre che congrue e non manifestamente illogiche sono in linea con i principi di diritto affermati da questa Corte in tema di configurabilità del reato di violenza sessuale di gruppo.
In particolare, si è affermato che, ai fini della configurabilità del reato di violenza sessuale di gruppo, previsto dall'art. 609-octies cod. pen., e necessario che più persone riunite partecipino alla commissione del fatto, costituendo tale delitto una fattispecie autonoma di reato necessariamente più soggettivo proprio, consistente nella "partecipazione, da parte di più persone riunite, ad atti di violenza sessuale di cui all'art. 609-bis", in cui la pluralità di agenti e richiesta come elemento costitutivo (Sez. 3, n. 36036 del 18/07/2012, Rv. 253687; Sez. 3, n. 3348 del 13/11/2003, dep. 29/01/2004, Rv. 227496; Sez. 3 del 11.10.1999, n. 11541, ric. Bombaci ed altri).
La previsione di un trattamento sanzionatorio più grave si connette al riconoscimento di un peculiare disvalore alla partecipazione simultanea di più persone, in quanto una tale condotta partecipativa imprime al fatto un grado di lesività più intenso sia rispetto alla maggiore capacità di intimidazione del soggetto passivo ed al pericolo della reiterazione di atti sessuali violenti (anche attraverso lo sviluppo e l'incremento di capacità criminali singole) sia rispetto ad una più odiosa violazione della libertà sessuale della vittima nella sua ineliminabile essenza di autodeterminazione. La contemporanea presenza di più di un aggressore e idonea a produrre, infatti, effetti fisici e psicologici particolari nella parte lesa, eliminandone o riducendone la forza di reazione.
Non è tuttavia richiesto che tutti i componenti del gruppo compiano atti di violenza sessuale, essendo sufficiente che dal compartecipe sia comunque fornito un contributo causate, materiate o morate, atta commissione del reato, né è necessario che i componenti del gruppo assistano al compimento degli atti di violenza sessuale, essendo sufficiente la loro presenza nel luogo e nel momento in cui detti atti vengono compiuti, anche da uno solo dei compartecipi, atteso che la determinazione di quest'ultimo viene rafforzata dalla consapevolezza della presenza del gruppo (Sez. 3, n. 6464 del 05/04/2000, Rv. 216978; Sez. 3, n. 3348 del 13/11/2003, dep. 29/01/2004, Pacca ed altro, Rv. 227495; Sez. 3, n. 11560 del 11/03/2010, Rv. 246448).
Il concetto di "partecipazione", quindi, non può essere limitato net senso di richiedere il compimento, da parte del singolo, di un'attività tipica di violenza sessuale (ciascun compartecipe, cioè, dovrebbe porre in essere, in tutto o in parte, la condotta descritta nell'art. 609-bis cod. pen.), dovendo invece - secondo un'interpretazione più aderente alle finalità perseguite dal legislatore - ritenersi estesa la punibilità (qualora sia comunque realizzato un fatto di violenza sessuale) a qualsiasi condotta partecipativa, tenuta in una situazione di effettiva presenza non da mero "spettatore", sia pure compiacente, sul luogo ed al momento del reato, che apporti un reale contributo materiale o morale all'azione collettiva (Sez. 3, n. 15089 del 11/03/2010 Rv. 246614; Sez. 3, n. 44408 del 18/10/2011, dep.30/11/2011, Rv. 251610).
Alla luce di tali principi, la condotta posta in essere dalla Be.Fi., come accertata dai giudici di merito (contributo materiate decisivo nella fase preparatoria; presenza al momento di consumazione del delitto ed interazione con il coimputato, con evidente rafforzamento della determinazione dell'Ab.Fa., autore materiale degli atti di violenza sessuale), integra certamente la partecipazione ad atti di violenza sessuale, penalmente rilevante ai sensi dell'art. 609-octies cod. pen.
Del pari congrua e non manifestamente illogica è anche la motivazione offerta dalla Corte di appello in ordine alla consapevolezza degli imputati in ordine all'età minore della persona offesa ed alla sua condizione di inferiorità psichica (cfr. pag. 10 della sentenza impugnata, ove in aderenza atte risultanze istruttorie, si evidenziava che la persona offesa era da diverso tempo conosciuta dalla Be.Fi. in ragione di frequentazioni familiari; si rimarcava, poi, che Ab.Fa. era a conoscenza delle predette circostanze, in considerazione sia del rapporto e della complicità esistente tra i due imputati, sia alla luce del contenuto della conversazione intercettata il 17.11.2020 - nel corso della quale il predetto affermava di essere a conoscenza della condizione di inferiorità psichica della persona offesa - che degli epiteti utilizzati per riferirsi alla predetta, chiaramente riferibili ad un linguaggio infantile).
1.3. In definitiva, a fronte del congruo e corretto percorso argomentativo contenuto nella sentenza impugnata, i ricorrenti ripropongono le stesse censure mosse con l'appello e motivatamente respinte in secondo grado, sollecitando una rivalutazione delle risultanze istruttorie, preclusa in sede di legittimità.
Va ricordato che questa Corte ha affermato (tra le tante, Sez. 6, n. 17619, del 08/01/2008, Gionta, Rv. 239724), in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, che l'interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, è questione di fatto rimessa all'apprezzamento del giudice di merito e si sottrae al giudizio di legittimità, se la valutazione risulta logica in rapporto alle massime di esperienza utilizzate (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015 Rv. 263715); e che, in sede di legittimità, è possibile prospettare un'interpretazione del significato di un'intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza di travisamento della prova, ossia nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale e la difformità risulti decisiva ed incontestabile (Sez. 3, n. 6722 del 21/11/2017 dep. 2018, Di Maro, Rv. 272558; sul punto anche Sez. 5, n. 7465 del 28/11/2013 dep. 2014, Napoleoni, Rv. 259516), sicché sono inammissibili, come nella specie, le generiche censure sviluppate nel ricorso in merito alla presunta illogicità dell'interpretazione offerta dai giudici di merito.
2. Il quarto motivo di ricorso di Ab.Fa. è manifestamente infondato.
La Corte territoriale ha adeguatamente motivato in ordine al giudizio di comparazione fra circostanze in termini di equivalenza delle attenuanti generiche rispetto alle contestate aggravanti, richiamando la gravita dei fatti.
In tale motivazione non vi è alcuna manifesta illogicità o carenza sindacabile in questa sede.
Infatti, secondo l'orientamento di questa Corte, condiviso dal Collegio, per il corretto adempimento dell'obbligo della motivazione in tema di bilanciamento di circostanze eterogenee è sufficiente che il giudice dimostri di avere considerato e sottoposto a disamina gli elementi enunciati nella norma dell'art. 133 cod. pen. e gli altri dati significativi, apprezzati come assorbenti o prevalenti su quelli di segno opposto, essendo sottratto al sindacato di legittimità, in quanto espressione del potere discrezionale nella valutazione dei fatti e nella concreta determinazione della pena demandato al detto giudice, il supporto motivazionale sul punto, quando sia aderente ad elementi tratti obiettivamente dalle risultanze processuali e sia, altresì, logicamente corretto (Sez. 2, n. 3610 del 15/01/2014, Rv. 260415; Sez. 5, n. 5579 del 26/09/2013, dep. 04/02/2014, Rv. 258874 - 01; Sez. 4, n. 25532 del 23/05/2007, Rv. 236992).
3. I motivi nuovi proposti dai ricorrenti sono inammissibili.
A norma del nuovo art. 129-bis cod. proc. pen., introdotto dall'art. 7, comma 1, lett. c), del D.Lgs. n. 150 del 2022, in ogni stato e grado della norma del nuovo art. 129-bis cod. proc. pen., introdotto dall'art. 7, comma 1, lett. c), del D.Lgs. n. 150 del 2022, in ogni stato e grado del procedimento, l'Autorità giudiziaria può disporre, anche d'ufficio, l'invio della persona indicata come autore dell'offesa e della vittima del reato al Centro per la giustizia riparativa di riferimento (cioè a quello del luogo o ad altro da lei stessa indicato) per l'avvio di un programma di giustizia riparativa. L'art 45-ter disp. att. cod. proc. pen. (disposizione introdotta dall'art. 41, comma 1, lett. c), del D.Lgs. n. 150 del 2022) consente di individuare l'Autorità giudiziaria competente in ordine all'accesso alla giustizia riparativa.
Tale competenza spetta: in fase di indagini preliminari, al pubblico ministero, che vi provvede con decreto motivato; dopo l'emissione del decreto di citazione diretta a giudizio e fino al momento in cui questo, unitamente al fascicolo, e trasmesso al giudice del dibattimento ai sensi dell'art. 553, comma 1, cod. proc. pen., al giudice per le indagini preliminari, che vi provvede con ordinanza; dopo la pronuncia della sentenza e prima della trasmissione degli atti al giudice dell'impugnazione ai sensi dell'art. 590 cod. proc. pen., al giudice che ha emesso la sentenza; durante la pendenza del ricorso per cassazione, al giudice che ha emesso il provvedimento impugnato.
Risulta, pertanto, normativamente previsto che durante la pendenza del ricorso per cassazione l'istanza per l'avvio di un programma di giustizia riparativa non deve essere proposta al giudice di legittimità ma al giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, il quale, nella specie, va individuato nella Corte di Appello di Catanzaro.
Nella specie, inoltre, diversamente da quanto prospettato dal difensore delta ricorrente Be.Fi. nella memoria ex art. 611 cod. proc. pen., non risulta comprovato che, nella pendenza del presente ricorso, sia stata effettivamente emessa dal giudice competente una ordinanza di invio degli imputati e della vittima al Centro per la giustizia ripartiva di riferimento per l'avvio di un programma di giustizia riparativa.
Va evidenziato che, in base al disposto dell'articolo 129-bis, comma 2, cod. proc. pen. "La richiesta dell'imputato o della vittima del reato di cui all'art. 42, comma 1, lettera b), del decreto legislativo attuativo della legge 27 settembre 2021, n. 134, e proposta personalmente o per mezzo di procuratore speciale; il successivo comma 3 dispone "l'invio degli interessati è disposto con ordinanza dal giudice che procede, sentite le parti, i difensori nominati e, se lo ritiene necessario, la vittima del reato di cui all'articolo 42, comma 1, lettera b), del decreto legislativo attuativo della legge 27 settembre 2021 n. 134, qualora reputi che lo svolgimento di un programma di giustizia riparativa possa essere utile alla risoluzione delle questioni derivanti dal fatto per cui si procede e non comporti un pericolo concreto per gli interessati e per l'accertamento dei fatti.
Tale essendo il disposto normativo, non risulta documentato che sia stata emessa l'ordinanza motivata prevista dalla norma, all'esito dell'instaurazione del contraddittorio tra te parti.
4. Consegue, pertanto, la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi.
5. Essendo i ricorsi inammissibili e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
6. I ricorrenti vanno condannati, inoltre, in base al disposto dell'art. 541 cod. proc. pen., in via generica alla rifusione delle spese del grado sostenute dalle parti civili ammesse al patrocinio a spese dello Stato; spetterà, poi, al giudice che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato la liquidazione di tali spese mediante l'emissione dei decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 d.P.R. n. 115/2002 (Sez. U, n. 5464 del 26/09/2019, dep. 12/02/2020, Rv. 277760 - 01).
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Condanna, inoltre, gli imputati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili ammesse al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Catanzaro con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 d.P.R. n. 115/2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 D.Lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma il 3 novembre 2023.
Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 2024.