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Sicurezza sul lavoro, cantiere rimane unico anche con varianti in corso d'opera

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, Sentenza n.34387 del 04/07/2024 (dep. 12/09/2024)

Le varianti in corso d'opera non modificano l'unicità del cantiere né le responsabilità in materia di sicurezza.

Lo ha precisato la Sezione Quarta penale della Cassazione, con la sentenza n. n. 34387 depositata il 12 settembre 2024.

La Suprema Corte ha precisato che la nozione di cantiere va rapportata all'opera da realizzare e il momento della sua cessazione è determinato dalla effettiva ultimazione di tutti i lavori ad essa inerenti.

Nel caso di specie, un coordinatore per la sicurezza è stato condannato per omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro. Un operaio è deceduto cadendo da un balcone privo di protezioni mentre recuperava attrezzi in un cantiere dove i lavori erano sospesi.

La difesa dell'imputato sosteneva che, a causa di varianti al progetto e nuovi titoli edilizi, si trattasse di due cantieri distinti, sollevandolo così dall'obbligo di redigere il Piano di Sicurezza e Coordinamento (PSC).

La Cassazione ha respinto questa tesi, affermando che:

  • Il cantiere è unico e si identifica con l'opera da realizzare, indipendentemente dalle varianti in corso d'opera.
  • Le varianti non creano un nuovo cantiere ma sono parte dell'evoluzione dell'opera iniziale.
  • L'obbligo di nominare il coordinatore per la sicurezza persiste fino all'ultimazione effettiva dei lavori.
  • La successione di diverse imprese nel cantiere non esonera il committente dalla nomina del coordinatore né il coordinatore dalla gestione del rischio interferenziale.

Secondo la Corte, l'imputato avrebbe dovuto prevedere la necessità di altre imprese per completare l'opera, ad esempio per i lavori di impiantistica. Questo rendeva obbligatoria la redazione del PSC e la gestione del rischio interferenziale.

Nomina del coordinatore per la progettazione e quello per l’esecuzione dei lavori, nozione di cantiere, varianti in corso d’opera

Ai fini dell'applicazione dell'obbligo di nominare il coordinatore per la progettazione e quello per la esecuzione dei lavori, ai sensi dell'art. 90, comma 3 D.Lgs. n. 81/2008, la nozione di cantiere va rapportata all'opera da realizzare e il momento della sua cessazione non è determinato da eventuali varianti in corso d'opera, ma dalla effettiva ultimazione di tutti i lavori ad essa inerenti.

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Cassazione penale sez. IV, sentenza 04/07/2024 (dep. 12/09/2024) n. 34387

RITENUTO IN FATTO


1. La Corte d'appello di Napoli ha confermato la sentenza del Tribunale cittadino, con la quale As.An. era stato condannato, nella qualità di coordinatore per la sicurezza nella fase della progettazione ed esecuzione dei lavori, per il reato di omicidio colposo, aggravato dalla violazione delle norme sulla sicurezza sui luoghi di lavoro, ai danni del lavoratore Ci.An., dipendente della ditta appaltatrice dei lavori di ristrutturazione di un immobile (il legale rappresentante della quale - Ci.Gi., non ricorrente - era stato, a sua volta, condannato nella qualità di datore di lavoro della vittima). Nell'occorso, il lavoratore deceduto, nonostante la sospensione dei lavori appaltati, si era recato, su disposizione del Ci. e insieme ad altri operai, sul cantiere per ritirare attrezzi di lavoro ed era precipitato da un balcone posto al primo piano dell'edificio, privo di protezioni o parapetti e senza essere munito di cintura di sicurezza, riportando lesioni che ne cagionavano l'immediato decesso. All'As., in particolare, si è contestato di non avere, nella suddetta qualità, predisposto il piano per la sicurezza e il coordinamento dei lavori e di non aver potuto conseguentemente pretenderne il rispetto da parte della ditta del Ci..

2. La Corte d'appello, preliminarmente, ha rigettato la doglianza difensiva, con la quale si era introdotto il tema della genericità dell'imputazione, quanto all'aggravante antinfortunistica, censura fondata sul mancato, espresso richiamo all'art. 589 comma 2, cod. pen., affermando che essa risultava, al contrario, evidenziata mediante l'indicazione delle norme violate e attraverso la descrizione della condotta, l'accusato essendo stato messo sin da subito in condizioni di difendersi dall'accusa, come ritenuta in sentenza. Ha, poi, richiamato la piattaforma probatoria esaminata dal primo giudice (dichiarazioni dell'ispettore del lavoro intervenuto nell'immediatezza, del committente dell'opera, dello stesso imputato, gli esiti della consulenza espletata su incarico della difesa), condividendo le relative conclusioni e ritenendo dimostrata l'assenza del parapetto (dagli accertamenti compiuti nell'immediatezza dell'infortunio essendo emerso che non erano stati trovati residui indicanti l'installazione di un parapetto in legno come asserito a difesa); disattendendo, sotto altro profilo, la tesi dell'insussistenza dell'obbligo di redigere il piano per la sicurezza da parte del coordinatore, stante la prevedibile presenza, anche non contemporanea, di più imprese in cantiere, avuto riguardo alla necessità di procedere in un secondo momento a lavori di impiantistica; ritenendo che l'inadempimento dell'imputato era stato macroscopico, egli avendo, con la sua condotta omissiva, sostanzialmente lasciato la sicurezza del cantiere alle sole iniziative del datore di lavoro; ritenendo dimostrato, infine, il nesso di causa tra l'omissione e l'evento, alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica.

3. La difesa dell'imputato ha proposto ricorso, formulando undici motivi (ma deve rilevarsi l'erronea numerazione di essi).

Con i primi tre, ha dedotto rispettivamente inosservanza di norme processuali stabilite a pena dì nullità, sia quanto al difetto di contestazione, che avuto riguardo al principio di correlazione tra accusa e sentenza, oltre a vizio della motivazione in riferimento ad entrambi i punti. La Corte d'appello si sarebbe limitata a desumere la contestazione dell'aggravante antinfortunistica dalla enucleazione nel corpo descrittivo dell'imputazione generica, omettendo il necessario confronto con le argomentazioni del gravame, con le quali si era messa in evidenza la compressione delle prerogative difensive, dovuta alla genericità dell'imputazione.

Con il quarto e il quinto, ha dedotto vizio della motivazione, sub specie travisamento della prova, oltre alla manifesta illogicità di essa e violazione di legge con riferimento alla ritenuta necessità redigere il piano di sicurezza e coordinamento. Secondo la difesa, dall'esame dei titoli edilizi acquisiti, dalle dichiarazioni testimoniali e dalla consulenza della difesa, sarebbe emerso che su quello specifico cantiere non si erano trovate ad operare, anche non contemporaneamente, più imprese, poiché i lavori erano stati affidati alla sola ditta del Ci. che li aveva ultimati. Inoltre, il cantiere non poteva essere considerato identico, quanto ai diversi titoli edilizi, atteso che il fabbricato in questione era stato oggetto di due distinti interventi affidati, in tempi diversi, a due ditte che avevano operato previa apertura di distinti cantieri. Inoltre, durante l'apertura del cantiere da parte della ditta del Ci. non erano in corso opere di ristrutturazione dell'intero fabbricato, ma solo di una piccola porzione specifica, l'unica ditta abilitata essendo stata quella del Ci., senza che fossero previste opere di impiantistica o di altra natura da affidarsi a ditta diversa. Il punto dal quale il Ci. era precipitato, peraltro, non era interessato dal cantiere allestito per l'esecuzione dell'appalto affidato alla ditta del Ci., la sua presenza dovendo probabilmente ricondursi all'esigenza di recuperare arnesi di lavoro. Tutto ciò era stato dimostrato anche documentalmente dal consulente di parte, senza che la Corte d'appello vi avesse fatto riferimento. Sotto altro profilo, la difesa ha rilevato una intrinseca contraddizione nel ragionamento dei giudici d'appello: costoro, pur avendo riconosciuto che il cantiere era fermo all'epoca dell'infortunio, non ne avrebbero inferito alcuna conseguenza in ordine alla responsabilità dell'imputato, sebbene sul cantiere non avrebbe dovuto essere presente alcun lavoratore, non potendo richiedersi alla figura del coordinatore una vigilanza lavorativa durante il periodo di sospensione dei lavori. Ha, poi, rilevato che la ditta del Ci. era subentrata in forza dell'approvazione di nuovo titolo edilizio per realizzare alcune varianti rispetto alle opere eseguite dalla ditta F.A.I.R.A. che aveva aperto il primo cantiere.

Con i motivi sei, sette e otto (erroneamente indicati come sei, cinque e sette), la difesa ha dedotto analoghi vizi, questa volta con riferimento alla dosimetria della pena, rilevando il difetto di motivazione anche sulla gradazione delta colpa e contestando la mancata estensione massima della riduzione per le generiche e il diniego del beneficio della non menzione.

Con il nono e il decimo motivo (erroneamente indicati come ottavo e nono), infine, ha dedotto mancanza della motivazione quanto alla responsabilità civile e, comunque, la sua manifesta illogicità, non avendo la Corte di merito argomentato alcunché sulla fondatezza delle statuizioni civili, con l'undicesimo (erroneamente indicato come decimo), avendo chiesto la sospensione del'esecuzione della condanna ai sensi dell'art. 612, cod. proc. pen. e la revoca della stessa.

4. Il Procuratore generale, in persona del sostituto Lidia Giorgio, ha depositato conclusioni scritte, con le quali ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

5. La difesa dell'imputato ha depositato conclusioni scritte, con le quali, sviluppate le argomentazioni di cui al ricorso, ne ha chiesto l'accoglimento, con conseguente annullamento, in via principale senza rinvio, della sentenza impugnata.

6. La difesa della parte civile Ci.Ma. e quella delle parti civili Ci.Ma. e Ci.El., hanno depositato conclusioni scritte, con le quali si sono riportate integralmente, facendole proprie, alle conclusioni scritte rassegnate dal P.G., chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso o, in subordine, il rigetto con condanna dell'imputato alle ulteriori spese ed oneri del presente giudizio.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

2. I primi tre motivi sono manifestamente infondati.

Le doglianze inerenti alla pretesa genericità dell'imputazione si scontrano, invero, con l'analiticità della descrizione della condotta contestata, ricavabile da una semplice lettura del capo d'imputazione, nel quale l'accusa ha anche operato un richiamo alle norme cautelari violate, sulle quali si fonda la sussistenza dell'aggravante contestata.

Sul punto, pare sufficiente un rinvio ai principi consolidati della giurisprudenza di legittimità per ribadire, in coerenza con essi, che il fatto, nella specie, è stato enunciato in forma chiara e precisa, poiché i suoi elementi strutturali e sostanziali sono stati descritti in modo tale da consentire un completo contraddittorio e il pieno esercizio del diritto di difesa da parte dell'imputato, peraltro portato a conoscenza della contestazione non solo per il tramite del capo d'imputazione, ma anche attraverso gli atti che fanno parte del fascicolo processuale (sez. 3, n. 9314 del 16/11/2023, dep. 2024, P., Rv. 286023 - 01; sez. 5, n. 16993 del 2/3/2020, Latini, Rv. 279090 - 01).

Parimenti, quanto alla pretesa violazione dell'art. 521, cod. proc. pen., va ricordato che essa non sussiste quando, nel capo di imputazione, come nella specie, siano contestati gli elementi fondamentali idonei a porre l'imputato in condizioni dì difendersi dal fatto successivamente ritenuto in sentenza, da intendersi come accadimento storico oggetto di qualificazione giuridica da parte della legge penale, che spetta al giudice individuare nei suoi esatti contorni (sez. 5 n. 7984 del 24/9/2012, dep. 2013, Jovanovic, Rv. 254648). Tali principi sono coerenti con quelli costituzionali racchiusi nella norma di cui al novellato art. Ili Costituzione, ma anche con l'art. 6 della Convenzione E.D.U., siccome interpretato, in base alla sua competenza esclusiva, dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, a partire dalla nota pronuncia Drassich c. Italia (cfr. CEDU2 sez. 11 dicembre 2007); ma anche, più di recente, con la pronuncia del 22 febbraio 2018, Drassich c. Italia (n.2), con la quale la Corte di Strasburgo ha escluso la violazione dell'art. 6 cit. nel caso in cui l'interessato abbia avuto una possibilità di preparare adeguatamente la propria difesa e di discutere in contraddittorio sull'accusa alla fine formulata nei suoi confronti.

Nel caso in esame, difetta una lesione del diritto di difesa (che il deducente, peraltro, ha solo genericamente enunciato, senza declinarne il contenuto), alla cui salvaguardia il principio di correlazione è direttamente funzionale, non apprezzandosi un rapporto di eterogeneità del fatto ritenuto rispetto a quello contestato (sez. 6, n. 10140 del 18/2/2015, Bossi, Rv. 262802): le omissioni colpose individuate dai giudici del merito sono esattamente quelle descritte nel capo d'imputazione, anche se nello stesso non è espressamente richiamato il capoverso dell'art. 589, cod. pen. che prevede l'aggravante in parola, il cui contenuto, del resto, deve condiderarsi riportato attraverso il richiamo alla normativa di settore, nella specie, puntualmente evidenziata nel capo d'imputazione (artt. 91 e 92 D.Lgs. n. 81/2008).

3. Anche il quarto e il quinto motivo sono manifestamente infondati, nei termini che si vanno ad esporre.

Il punto sul quale ruota l'impalcatura difensiva, a ben vedere, è rappresentato dall'asserita insussistenza, nella specie, della fonte degli obblighi del coordinatore per la sicurezza, vale a dire di quello che viene definito rischio interferenziale, quel rischio cioè correlato alla presenza, sul cantiere, di più imprese facenti capo a diversi gestori del rischio, che si trovino ad operare, anche se non nel medesimo contesto temporale, tuttavia, nel medesimo contesto lavorativo. A tale specifica situazione il legislatore ha fatto riferimento nel descrivere alcuni degli obblighi gravanti sulla peculiare figura del sistema anti-infortunistico che è il coordinatore per la sicurezza nella fase della progettazione e della esecuzione dei lavori, la cui nomina costituisce, a sua volta, obbligo specifico di altra figura del sistema antinfortunistico, vale a dire il committente dell'opera. Deve, peraltro, evidenziarsi come, secondo il tenore delle argomentazioni formulate con il ricorso, la difesa abbia inteso ricollegare l'insussistenza di tale rischio alla circostanza che il cantiere nel quale si era trovata a operare la ditta del Ci. era diverso, rispetto a quello interessato, in precedenza, dall'intervento di altra ditta.

La questione necessita di una premessa generale.

La giurisprudenza di questa Corte ha già da tempo messo a fuoco il ruolo del coordinatore per la sicurezza, figura che si affianca ad altre della materia antinfortunistica, ritenendo che ad esso siano riservati compiti di "alta vigilanza" che si articolano nel controllo sulla corretta osservanza, da parte delle imprese, delle disposizioni contenute nel PSC e sulla scrupolosa applicazione delle procedure di lavoro a garanzia dell'incolumità dei lavoratori; nella verifica dell'idoneità del POS e nell'assicurazione della sua coerenza rispetto al PSC; oltre che nell'adeguamento dei piani in relazione alla evoluzione dei lavori e alle eventuali modifiche intervenute (in motivazione sez. 4 n. 3288 del 27/09/2016; in senso conforme, sez. 4 n. 44977 del 12/06/2013, Rv. 257167; n. 46991 del 12/11/2015, Rv. 265661; n. 47834 del 26/04/2016, Rv. 268255; n. 27165 del 24/05/2016, Rv. 267735).

Si è pure precisato che il controllo e le verifiche correlate alla posizione di garanzia in esame non possono essere meramente formali, ma vanno svolte in concreto, sebbene non sia richiesta la presenza quotidiana del coordinatore sul cantiere, ma solo nei momenti delle lavorazioni topici rispetto alla funzione di controllo esercitata o da esercitarsi. In altri termini, "...il coordinatore opera attraverso procedure; tanto è vero che un potere - dovere di intervento diretto è previsto per tale figura solo quando constati direttamente gravi pericoli (art. 92 co. 1 lett. f) D.Lgs. 81/2008)" (sez. 4 n. 3288/2016 citata).

Pertanto, anche se il coordinatore non può esimersi dal prevedere momenti di verifica, essi non possono avere cadenza quotidiana e, parallelamente, "...l'accertamento giudiziale non dovrà ricercare segni di una presenza diuturna, ma le tracce delle azioni di coordinamento, di informazione, di verifica, e la loro adeguatezza sostanziale" (sempre in motivazione sez. 4, sent. n. 3288/2016 citata), poiché il coordinatore ha una autonoma funzione di vigilanza che riguarda la generale configurazione delle lavorazioni, e non anche il puntuale controllo, momento per momento, delle singole attività lavorative, che è demandato ad altre figure operative (datore dì lavoro, dirigente, preposto) (cfr. sez. 4 n. 18149 del 21/04/2010, Rv. 247536).

Tale funzione di alta vigilanza che, si ribadisce, si esplica prevalentemente mediante procedure, riguarda la generale configurazione delle lavorazioni che comportino un rischio interferenziale e non anche il puntuale controllo delle singole lavorazioni, demandato ad altre figure (datore di lavoro, dirigente, preposto), salvo l'obbligo di adeguare il piano di coordinamento e sicurezza in relazione all'evoluzione dei lavori e di sospendere, in caso di pericolo grave e imminente, direttamente riscontrato ed immediatamente percettibile, le singole lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti da parte delle imprese interessate (sez. 4, n. 24915 del 10/6/2021, Paletti, Rv. 281489 - 01; n. 2293 del 19/12/2020, dep. 2021, Vasa, Rv. 280695 - 01).

Sotto altro profilo, qui di specifico interesse, si è già chiarito che la disciplina relativa ai cantieri temporanei o mobili trova applicazione con riferimento ai "lavori relativi a impianti elettrici, reti informatiche, gas, acqua, condizionamento e riscaldamento", solo nel caso in cui nel medesimo cantiere siano realizzati anche lavori di edilizia o di ingegneria civile, in ragione del rischio d'interferenza tra gli stessi (sez. 4, n. 44557 del 9/11/2022, Druidi, Rv. 283749 - 01, in fattispecie relativa alle lesioni colpose riportate da lavoratore, a seguito di caduta cagionata dal cedimento del pavimento, nel corso della esecuzione di lavori di realizzazione dell'impianto di condizionamento di una palazzina oggetto di generali lavori di ristrutturazione edilizia).

4. Un'ulteriore premessa riguarda, poi, il concetto stesso dì cantiere unico, poiché su di esso, come già ricordato, si regge l'impianto difensivo di cui al ricorso, avendo il ricorrente inferito l'insussistenza del rischio interferenziale proprio muovendo dall'assunto che, nella specie, vi fossero stati due, distinti cantieri a distanza temporale l'un dall'altro, da ciò facendo seguire l'irrilevanza della nomina del coordinatore da parte della committenza e, quindi, anche quella della mancata predisposizione del piano di sicurezza e coordinamento, oggetto dell'imputazione.

Deve, intanto, rilevarsi che l'unicità del cantiere non è collegata, come sembra evocare la difesa, al titolo edilizio e alle eventuali varianti di esso che siano state via via approvate. Una conferma di tale affermazione si trae dall'art. 99, c. 1, lett. b), D.Lgs. n. 81/2008 (rubricato "Notifica preliminare"), secondo il quale "Il committente o il responsabile dei lavori, prima dell'inizio dei lavori, trasmette all'azienda unità sanitaria locale e alla direzione provinciale del lavoro nonché, limitatamente ai lavori pubblici, al prefetto territorialmente competenti la notifica preliminare elaborata conformemente all'allegato XII, nonché gli eventuali aggiornamenti nei seguenti casi: a) cantieri di cui all'articolo 90, comma 3 (ovvero quelli nei quali è prevista la presenza di più imprese, anche non contestuale); b) cantieri che, inizialmente non soggetti all'obbligo di notifica, ricadono nelle categorie di cui alla lettera a) per effetto di varianti sopravvenute in corso d'opera; c) cantieri in cui opera un'unica impresa la cui entità presunta di lavoro non sia inferiore a duecento uomini - giorno......". Con piana consequenzialità, l'art. 99 indica quale contenuto della notifica preliminare, tra le altre indicazioni, anche quella del coordinatore per quanto riguarda la sicurezza e la salute durante la progettazione dell'opera e la realizzazione dell'opera (nn. 6 e 7 dell'ALL XII al D.Lgs. n. 81/2008), della data presunta d'inizio lavori (n. 8) e della durata presunta dei lavori in cantiere (n. 9), nonché del numero massimo presunto dei lavoratori sul cantiere (n. 10) e del numero previsto di imprese e di lavoratori autonomi sul cantiere (11).

Dalla previsione dell'obbligo di aggiornare la notifica nel caso di varianti in corso d'opera, dunque, possiamo trarre, quale logica conseguenza, che il sopraggiungere di nuovi provvedimenti di autorizzazione dei lavori non muta l'identità del cantiere, che è determinata dall'opera, per come inizialmente progettata e via via definita, sino al completamento, anche in forza di varianti. L'evoluzione dell'opera, legittimata sul piano amministrativo da nuovi provvedimenti, può far insorgere le condizioni per la nomina del coordinatore, non presenti ab origine. Ma ciò non si riflette in una 'novazione' del cantiere. Pertanto, questo persiste sino alla effettiva ultimazione dei lavori, la cui dimostrazione può essere più o meno complessa (si rileva, peraltro, che la giurisprudenza amministrativa ha già chiarito come la comunicazione di fine lavori, quale dichiarazione sostitutiva di atto notorio, non dia prova della data certa di ultimazione dei lavori: sul punto, Consiglio di Stato, sez. II, n. 7198/2020; sez. VI, n. 3696/2019).

Sulla scorta di quanto sin qui esposto va formulato, dunque, il seguente principio di diritto: "Ai fini dell'applicazione dell'obbligo di nominare il coordinatore per la progettazione e quello per la esecuzione dei lavori, ai sensi dell'art. 90, comma 3 D.Lgs. n. 81/2008, la nozione di cantiere va rapportata all'opera da realizzare e il momento della sua cessazione non è determinato da eventuali varianti in corso d'opera, ma dalla effettiva ultimazione di tutti i lavori ad essa inerenti".

5. Fatta tale premessa, deve rilevarsi come, nel caso all'esame, la ricostruzione fattuale della vicenda, quale emerge chiaramente dalla lettura, doverosamente integrata, delle due sentenze di merito, è ben diversa da quella rappresentata dal ricorrente. E, sul punto, devono richiamarsi i principi che disciplinano la deducibilità del vizio di motivazione per travisamento probatorio, agitato con il ricorso, nel caso di doppia decisione conforme di merito. Tale tipologia di vizio motivazionale, infatti, può essere dedotta solo ove il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice (sez. 4 n. 4060 del 12/12/2013, dep. 2014, Rv. 258438; n. 5615 del 13/11/2013, dep. 2014, Rv. 258432) o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia (sez. 2 n. 47035 del 3/10/2013, Rv. 257499). Decisività della prova che non può essere attribuita a quelle indicate dal ricorrente, atteso che le prove sono state esaminate dal primo giudice attraverso una lettura complessiva del compendio acquisito, laddove l'asserito travisamento si sostanzia in null'altro che nella inammissibile sollecitazione a rivalutare, in questa sede, il significato attribuito dai giudici di merito alle prove stesse attraverso un ragionamento scevro da contraddizioni o manifeste illogicità. Né può ritenersi che entrambi i giudici siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie, poiché in tal caso il travisamento deve apparire in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (sez. 4, n. 35963 del 3/12/2020, Tassoni, Rv. 280155).

Tale premessa consente di affermare, intanto, l'erroneità di fondo dell'assunto difensivo, per il quale, nella specie, l'opera sarebbe stata interessata da due distinti cantieri, in due momenti diversi corrispondenti a due differenti titoli edilizi, con conseguente insussistenza di un obbligo in capo al committente di nominare il coordinatore e per questi, siccome inutilmente nominato, di gestire il rischio interferenziale, in primo luogo predisponendo il piano per la sicurezza e il coordinamento. In altri termini, è erronea, alla luce del quadro normativo di riferimento, l'equazione proposta dalla difesa per la quale una variante in corso d'opera darebbe vita a un cantiere nuovo, posto che il cantiere, sempre in base all'impianto normativo, si identifica nell'opera stessa.

L'esistenza del rischio da interferenza lavorativa riconducibile alla potenziale compresenza, anche non contemporanea, di più imprese, invero, è stata icasticamente rappresentata dal primo giudice, il quale ha ritenuto che l'imputato aveva l'obbligo di redigere il PSC per l'evidente ragione che il cantiere aveva ad oggetto opere la cui esecuzione richiedeva necessariamente l'intervento di una pluralità di ditte, anche in vista dei futuri lavori di completamento del fabbricato, così come dichiarato dallo stesso As. (foglio 9 sentenza appellata), l'assunzione dell'incarico da parte dell'imputato valendo a conferma della ravvisata necessità di coordinamento. Sotto altro profilo, peraltro, il primo giudice aveva escluso che i lavori di cui al primo titolo edilizio fossero stati ultimati diversi mesi prima della data dell'infortunio: oltre al difetto di prova in tal senso, quel giudice aveva, infatti, dato atto che l'As. non aveva comunicato al comune la chiusura dei lavori; che le opere non erano state collaudate; e che alcuni testi (Ci.Gi. e Gr.Lu.) avevano confermato la continuità dei lavori, almeno fino a due giorni prima dell'evento (dichiarazioni testimoniali riportate alla pag. 7 della sentenza appellata).

È vero che la Corte d'appello si è limitata a ribadire l'esistenza dell'obbligo di redazione del piano di cui agli artt. 91 e 92 D.Lgs. n. 81/2008 in capo all'As. alla stregua di un ragionamento di tipo logico, per il quale, poiché le opere oggetto dell'appalto erano rappresentate dalla ristrutturazione di un intero fabbricato, il loro completamento avrebbe reso necessaria la presenza di più ditte esecutrici, anche solo per provvedere all'impiantistica. Tuttavia, va osservato, da un lato, che i giudici del gravame hanno operato un espresso richiamo alla sentenza appellata, nella quale l'esistenza di detto obbligo era stata agganciata ai dati fattuali ben più pregnanti di cui sopra; dall'altro, che il ricorso, sul punto specifico, è del tutto generico e non attacca il ragionamento probatorio svolto dai giudici di merito, quanto alla previsione iniziale della compresenza di più imprese, essendosi la difesa limitata a ribadire l'esistenza di due distinti cantieri, ricollegandola a quella dei due titoli edilizi. Peraltro, trattasi di un argomento che oblitera totalmente l'esistenza dell'obbligo del committente - sopra già richiamato - di procedere agli aggiornamenti della notifica preliminare nel caso in cui una variante in corso d'opera prospetti il coinvolgimento di altre imprese (art. 99, comma 1 cit.).

In conclusione, le doglianze difensive sono, sotto tale aspetto, errate in diritto per quanto sopra chiarito e del tutto de-assiali rispetto al tema specifico della sussistenza di un rischio interferenziale, in ordine al quale nessun rilievo può essere attribuito all'approvazione di una variante in corso d'opera.

6. Sono, infine, manifestamente infondati anche i restanti motivi.

Quanto alla dosimetria della pena, del tutto generico è quello, con il quale si è censurato un difetto motivazionale in punto gradazione della colpa, articolato sull'assunto della marginalità della condotta dell'As., invero non agganciata ad alcuna obiettiva risultanza probatoria. I giudici del merito hanno formulato un chiaro giudizio di particolare disvalore, avendo ritenuto che l'inadempimento dell'As. era stato macriscopico poiché l'imputato aveva affidato le condizioni di sicurezza del cantiere alla diligenza di una ditta esecutrice, a fronte di un rischio interferenziale che, nei termini sopra già chiariti, è compito precipuo di tale specifica figura della sicurezza gestire.

La stessa genericità connota, peraltro, le doglianze inerenti al giudizio di comparazione e al diniego del beneficio della non menzione: in entrambi i casi, le censure difensive non si sono tradotte in una critica effettiva al ragionamento, del tutto congruo e logico, con il quale i giudici del merito hanno ritenuto, da un lato, corretto un bilanciamento tra gli elementi circostanziali in termini di sola equivalenza, tenuto conto dell'elevato grado della colpa come sopra specificato; dall'altro, non meritevole l'As. del beneficio della non menzione, in ragione dell'utilità per i terzi di essere portati a conoscenza di una sua condanna strettamente correlata all'esercizio dell'attività professionale.

A fronte di tale motivazione, deve rilevarsi che i motivi di ricorso sono privi dei requisiti minimi del mezzo di impugnazione azionato: infatti, il ragionamento probatorio che sostiene la sentenza impugnata deve costituire oggetto di una critica effettiva, articolata attraverso enunciati espliciti e argomentati rispetto alle ragioni in fatto e in diritto su cui si regge la decisione censurata (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822, sui motivi d'appello, ma i cui principi possono applicarsi anche al ricorso per cassazione; sez. 6 n. 8700 del 21/01/2013, Rv. 254584, anche in motivazione, specificamente sul ricorso per cassazione), laddove, nella specie, tale critica è stata affidata a generiche contestazioni e alla manifestazione di un mero dissenso rispetto alla motivata valutazione giudiziale.

La manifesta infondatezza dei motivi inerenti alla responsabilità civile, infine, discende dalla semplice constatazione che, nella specie, i giudici del merito si sono limitati alla sola condanna generica, rimettendo a quello civile la relativa liquidazione. La difesa, in realtà, articola il motivo di ricorso muovendo dal presupposto che l'imputato sia stato condannato al pagamento di una provvisionale. Trattasi di un assunto errato che reitera un errore contenuto anche nel corrispondente motivo di gravame, in quella sede essendosi fatto riferimento ad una "riconosciuta provvisionale in favore della costituita parte civile", della quale non vi è traccia nel dispositivo di sentenza. Tale precisazione rende manifesta la infondatezza della doglianza e condivisibili le osservazioni formulate dal Procuratore generale nelle sue conclusioni, quanto all'estraneità della questione alla cognizione di questa Corte. E ciò anche alla luce del principio, formulato da un orientamento prevalente e sostanzialmente consolidato della giurisprudenza di legittimità, anche di recente ribadito, per il quale, ai fini della pronuncia di condanna generica al risarcimento dei danni in favore della parte civile, non è neppure necessario che il danneggiato provi la effettiva sussistenza dei danni ed il nesso di causalità tra questi e l'azione dell'autore dell'illecito, essendo sufficiente l'accertamento di un fatto potenzialmente produttivo di conseguenze dannose: la suddetta pronuncia infatti costituisce una mera "declaratoria juris" da cui esula ogni accertamento relativo sia alla misura sia alla stessa esistenza del danno, il quale è rimesso al giudice della liquidazione (sez. 4, n. 12175 del 3/11/2015, dep. 2016, Bordogna, Rv. 270386 - 01; sez. 6, n. 28216 del 25/9/2020, Ionata, Rv. 279625 - 01; sez. 4, n. 32899 del 8/1/2021, Castaldo, Rv. 281997 - 21; sez. 1, n. 51160 del 31/10/2023, Mandolini, Rv. 285612 - 01, in cui si è precisato che è, a tal fine, sufficiente l'accertamento della potenziale capacità lesiva del fatto dannoso e dell'esistenza di un nesso di causalità tra questo e il pregiudizio lamentato, desumibile anche presuntivamente). In ogni caso e risolutivamente, anche a voler ritenere che, ai fini della condanna generica al risarcimento dei danni, sia necessaria la prova dell'an debeatur, essa può anche essere "sommaria" (sez. 6, n. 16765 del 18/11/2019, dep. 2020, Giovine, Rv. 279418 - 14; sez. 2, n. 31574 del 9/5/2023, Abatiello, Rv. 284954 - 02). E, nella specie, dall'analitica ricostruzione fattuale contenuta nelle sentenze di merito emerge il collegamento tra il fatto dannoso e il pregiudizio lamentato, tenuto conto della genericità della doglianza formulata con il gravame, con il quale non è stata neppure contestata la qualità soggettiva delle parti civili.

7. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero in ordine alla causa di inammissibilità (Corte cost. n. 186/2000), ma non anche la condanna alla rifusione delle spese in favore delle costituite parti civili: le conclusioni scritte depositate nel loro interesse, infatti, non hanno fornito alcun contributo alla dialettica processuale a causa della loro assoluta genericità (sul punto, Sez. U, n. 34559 del 26/6/2002, De Benedictis, Rv. 222264; Sez. U, n. 877 del 14/7/2022, dep. 2023, Sacchettino, in motivazione).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Nulla per le spese alle parti civili.

Così deciso il 4 luglio 2024.

Depositata in Cancelleria il 12 settembre 2024.

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