Qual è il giudice competente per territorio con riguardo al reato di illecito trattamento dei dati personali di cui all'art. 167 D.Lgs. n. 196 del 2003, allorché sia dubbio il luogo di consumazione dello stesso?
Sulla questione risponde la Sezione III penale della Cassazione, con la sentenza n. 38511 depositata il 21 ottobre 2024, decidendo un rinvio pregiudiziale per questioni di competenza territoriale ex art. 24-bis del Codice di Procedura Penale sollevato dal Tribunale di Perugia.
La Suprema Corte ha stabilito che il reato di illecito trattamento dei dati personali ha natura permanente, caratterizzandosi per la continuità dell'offesa arrecata dalla condotta volontaria dell'agente, il quale ha la possibilità di far cessare in ogni momento la propagazione lesiva dei dati medesimi.
Il caso do specie riguardava la diffusione non autorizzata di dati personali tramite Facebook. Le imputate avrebbero pubblicato messaggi audio e informazioni sensibili riguardanti la persona offesa, senza il suo consenso, con l'intento di danneggiarne la reputazione.
Il Tribunale di Perugia si è trovato di fronte a una questione: come determinare il giudice competente per territorio quando non è chiaro dove il reato sia stato consumato?
Secondo l'art. 8 del Codice di Procedura Penale, la competenza territoriale si determina in base al luogo in cui il reato è stato consumato. Tuttavia, nel caso in esame, il luogo di consumazione non è noto, dato che le imputate risiedono in luoghi diversi, anche all'estero, e non è possibile stabilire dove esattamente sia avvenuta la pubblicazione dei dati.
Il Tribunale ha quindi considerato l'ipotesi di applicare il criterio del reato permanente, previsto dall'art. 8, comma 3, c.p.p., secondo cui "se si tratta di reato permanente, è competente il giudice del luogo in cui ha avuto inizio la consumazione".
La Corte di Cassazione, però, ha chiarito che il reato di illecito trattamento dei dati personali non è un reato permanente, ma un reato di evento, di natura istantanea. Come specificato nella sentenza: "Ritiene, tuttavia, il Collegio che il reato di cui all'art. 167 D.Lgs. n. 196 del 2003 sia un reato di evento, di natura istantanea".
Questo significa che il reato si consuma nel momento e nel luogo in cui il "nocumento" si verifica, cioè quando i dati sensibili diventano fruibili sulla rete da parte di terzi.
Dato che il luogo di consumazione rimane incerto, la Corte ha stabilito che si devono applicare i criteri suppletivi previsti dall'art. 9 c.p.p.
Tuttavia, anche i criteri di cui all'art. 9, comma 1 e 2, c.p.p. non risultano applicabili, perché non è possibile determinare né l'ultimo luogo in cui è avvenuta una parte dell'azione, né il luogo di residenza unico degli imputati, dato che risiedono in luoghi diversi.
Pertanto, la Corte ha fatto ricorso al criterio residuale dell'art. 9, comma 3, c.p.p., secondo cui "la competenza appartiene al giudice del luogo in cui ha sede l'ufficio del pubblico ministero che ha provveduto per primo a iscrivere la notizia di reato nel registro previsto dall'art. 335".
In questo caso, l'ufficio del pubblico ministero che ha iscritto per primo la notizia di reato è quello di Perugia. Quindi, il Tribunale di Perugia è competente per territorio.
In conclusione, quando il luogo di consumazione del reato di illecito trattamento dei dati personali è dubbio, e non sono applicabili i criteri ordinari, la competenza territoriale spetta al giudice del luogo in cui ha sede il PM che ha iscritto per primo la notizia di reato, secondo l'art. 9, comma 3, c.p.p.
Cassazione penale sez. III, sentenza 18/09/2024 (dep. 21/10/2024) n. 38511
RITENUTO IN FATTO
1. Con l'ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Perugia ha rimesso alla Corte di cassazione, ai sensi dell'art. 24-bis cod. proc. pen., la risoluzione, in via pregiudiziale, della questione concernente la competenza per territorio sollevata in ordine ai reati di cui agli artt. 110 cod. pen. e 167 D.Lgs. n; 196 del 2003 contestati a Cl.Mi., Mi.Ro. e Ho.An. (capo 1), e 110 cod. pen. e 167, comma 2, D.Lgs. n. 196 del 2003, contestati a St.Ma., Mi.Ro. e Ho.An. (capo 2).
2. Quanto al capo 1), il Tribunale evidenzia che la persona offesa, Vi.Ma, tramite l'applicazione Messanger del noto social network Facebook, aveva scambiato riservatamente con Cl.Mi., all'epoca dei fatti residente a F, alcuni messaggi audio, i quali sarebbero stati a loro volta inviati dalla Cl.Mi. alla coimputata Mi.Ro. - all'epoca dei fatti residente in Svizzera - la quale, con il consenso di Ho.An., li avrebbe successivamente pubblicati all'interno della pagina ufficiale Facebook dedicata alla cantante e denominata "(Omissis)", con il chiaro intento di screditare e danneggiare la reputazione della persona offesa.
3. Quanto al capo 2), osserva il Tribunale che esso si riferisce allo scambio di messaggi - sempre per mezzo dell'applicazione messaggistica Messanger - tra la persona offesa e St.Ma., la quale, senza il consenso del Vi.Ma, avrebbe messo a disposizione della Mi.Ro. - residente all'epoca dei fatti in Svizzera - alcune informazioni relative alla sieropositività della persona offesa; la Mi.Ro., a sua volta, le avrebbe pubblicate all'interno della pagina ufficiale Facebook "(Omissis)" con la partecipazione della cantante che ne avrebbe consentito l'inserimento. Il contenuto del messaggio, tuttavia, rimasto online per un arco di tempo pari a tredici minuti e nel mentre consultato da almeno trentadue persone, non sarebbe stato direttamente appreso dall'interessato ma a questi inviato, tramite screenshot, da un utente contraddistinto dal nickname "(Omissis)".
4. Il Tribunale rappresenta che l'individuazione del giudice territorialmente competente, con riferimento al luogo di consumazione del reato, risulterebbe ardua, attesa l'estrema scarsità di dati e informazioni impiegabili, posto che non sarebbe mai stato emesso alcun decreto di acquisizione dei file di log inerenti alla creazione dei post del 22 settembre 2019 (capo 1) e del 25 ottobre 2019 (capo 2).
Ed invero, quanto al capo 1), parrebbe noto esclusivamente il luogo di residenza delle imputate al momento del fatto (F per Cl.Mi., P, un comune svizzero, per le altre due coimputate), nonché quello di residenza della persona offesa, vale a dire P, mentre, quanto al capo 2), gli unici dati noti risulterebbero essere il luogo di residenza delle coimputate al momento del fatto e quello di residenza di (Omissis). Non sarebbe noti né il luogo effettivo dal quale la Cl.Mi. e la St.Ma. ebbero ad inviare alla Mi.Ro. i messaggi audio oggetto di diffusione, né se tale diffusione sia avvenuta per mezzo di una rete internet fissa ovvero mobile.
5. I difensori delle parti, a loro volta, individuerebbero il parametro di riferimento nel luogo di residenza della Cl.Mi. e della St.Ma.al momento del fatto sebbene, ad avviso del Tribunale, non vi sarebbe un parametro normativo di riferimento, non essendo questo rinvenibile nell'art. 8 cod. proc. pen., atteso che la fattispecie de qua è un reato di evento e, come tale, non potrebbe consumarsi nel luogo di residenza delle coimputate. Né parrebbe correttamente applicabile la regola suppletiva di cui all'art. 9, comma 2, cod. proc. pen., dovendosi previamente dimostrare l'inapplicabilità della generale regola di cui all'art. 8 del codice di rito. Né, da ultimo, risulterebbe competente l'Autorità giudiziaria perugina, quale luogo di residenza della persona offesa, posto che il nocumento subito dalla stessa non si esaurirebbe con la sola consultazione del dato sensibile da parte dell'interessato, ma con la conoscenza dello stesso da parte del quisque de populo;
6. Da ultimo, ad avviso del Tribunale non parrebbe neppure convincente la tesi del difensore della parte civile, secondo cui il criterio correttamente applicabile al caso de quo sarebbe quello di cui all'art. 9, comma 2, cod. proc. pen., atteso che solo una delle tre coimputate coinvolte per ogni capo di imputazione risiede in Italia.
7. Ciò posto, ad avviso del rimettente, l'unico criterio applicabile parrebbe quello di cui all'art. 8, comma 3, cod. proc. pen., attesa la natura di reato permanente che investe il reato di illecito trattamento di dati personali. Tuttavia, laddove si ritenesse inapplicabile l'art. 8, comma 3, cod. proc. pen., la soluzione sarebbe da rinvenirsi nella sostanziale applicazione dell'art. 9, comma 2, cod. proc. pen., ovvero nel luogo di residenza delle due coimputate residenti in Italia, a ciò non ostando la maggiore pena edittale prevista per il reato di cui all'art. 167, comma 2, D.Lgs. n. 196 del 2003, oggetto del secondo capo di imputazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Preliminarmente si osserva che non può tenersi conto della memoria redatta personalmente da Mi.Ro. e Ho.An., in quanto, ai sensi dell'art. 613 cod. proc. pen., come modificato dalla I. n. 103 del 23 giugno 2017, l'imputato, nel giudizio davanti alla Corte di cassazione, ha l'onere di farsi assistere da un avvocato iscritto nell'albo speciale della Corte di cassazione.
2. Ciò posto, la richiesta di rinvio pregiudiziale deve essere accolta nel senso che, per le ragioni di seguito illustrate, la competenza territoriale va individuata, ai sensi dell'art. 9, comma 3, cod. proc. pen., nel Tribunale di Perugia, quale sede in cui ha luogo l'ufficio del pubblico ministero che per primo ha iscritto la notizia di reato nel registro di cui all'art. 335 cod. proc. pen.
3. In termini generali, deve osservarsi, in premessa, che il nuovo istituto del "rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione, per la decisione sulla questione della competenza per territorio", disciplinato dall'art. 24-bis cod. proc. pen., è stato introdotto nell'ordinamento dall'art. 4, comma 1, del D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, in attuazione del disposto dell'art. 1, comma 13, lett. n) della legge delega 27 settembre 2021, n. 134. Per mezzo di tale strumento, viene offerta la possibilità - al giudice procedente, che si trovi a dirimere una controversia inerente al tema della competenza per territorio - di rimettere, d'ufficio o su istanza di parte, la relativa questione alla Corte di cassazione; tale rimessione preclude la possibilità di prospettare nuovamente la medesima questione nel corso del procedimento penale.
Si tratta di un nuovo mezzo impugnatorio per la risoluzione in via preventiva dei potenziali conflitti di competenza, attraverso cui si è voluto "eVi.Mare casi, che si sono verificati, in cui l'incompetenza, tempestivamente eccepita, è stata riconosciuta fondata solo in Cassazione, con conseguente necessità di dover iniziare da capo il processo" (cfr. Commissione Lattanzi, Relazione finale e proposte di emendamenti al D.D.L. A.C. 2435, p. 40).
4. Orbene, la questione sollevata dal Tribunale di Perugia concerne la corretta individuazione dell'Autorità giudiziaria territorialmente competente con riguardo al reato di illecito trattamento dei dati personali di cui all'art. 167 D.Lgs. n. 196 del 2003, allorché sia dubbio il luogo di consumazione dello stesso e pertanto non sia applicabile la generale regola di cui all'art. 8, comma 1, cod. proc. pen. cui il reato di illecito trattamento dei dati personali ha natura permanente, caratterizzandosi per la continuità dell'offesa arrecata dalla condotta volontaria dell'agente, il quale ha la possibilità di far cessare in ogni momento la propagazione lesiva dei dati medesimi (cfr. Sez. 3, n. 42565 del 28/05/2019, Luca, Rv. 276830), osserva che il giudice territorialmente competente potrebbe essere individuato secondo il disposto normativo di cui all'art. 8, comma 3, cod. proc. pen., ai sensi del quale "se si tratta di reato permanente, è competente il giudice del luogo in cui ha avuto inizio la consumazione".
6. Ritiene, tuttavia, il Collegio che il reato di cui all'art. 167 D.Lgs. n. 196 del 2003 sia un reato di evento, di natura istantanea.
Come autorevolmente affermato dalla Corte costituzionale, il reato permanente "si caratterizza come illecito di durata, nel quale l'offesa al bene protetto, diversamente che nella figura antitetica del reato istantaneo, non si esaurisce nel momento stesso -in cui viene prodotta, ma si protrae nel tempo per effetto del perdurare della condotta volontaria del reo, esaurendosi, sul piano della rilevanza penale, soltanto con la cessazione di quest'ultima" (sent. n. 53 del 2018).
Orbene, il delitto in esame ha natura di reato istantaneo, in quanto esso si perfeziona con il verificarsi del "nocumento" - da intendersi come un pregiudizio giuridicamente rilevante di qualsiasi natura, patrimoniale o non patrimoniale, subìto dal soggetto cui si riferiscono i dati protetti oppure da terzi quale conseguenza dell'illecito trattamento (da ultimo, Sez. 3, n. 52135 del 19/06/2018, Bellili, Rv. 275456-03) - che, per la sua omogeneità rispetto all'interesse leso e la sua diretta derivazione causale dalla condotta tipica è un elemento, è elemento costitutivo del fatto -e non una condizione oggettiva di punibilità (Sez. 3, n. 29549 del 07/02/2017, F., Rv. 270458; Sez. 3, n. 15221 del 23/11/2016, dep. 2017, Campesi, Rv. 270056; Sez. 3, n. 40103 del 05/02/2015, Ciulla, 06/10/2015, Rv. 264798); di conseguenza, il verificarsi dell'evento segna la consumazione del reato.
Peraltro, gli effetti del nocumento conseguente all'illecita diffusione di dati personali possono prolungarsi nel tempo, il che si verifica, quando, come nella vicenda in esame, i dati siano illecitamente divulgati tramite un social-network; anche in un caso del genere, tuttavia, il "nocumento" si realizza istantaneamente e, dunque, nel momento e nel luogo in cui i dati sensibili diventano fruibili, sulla rete, da parte dei terzi, e, dunque, nel luogo e nel momento in cui il collegamento viene attivato, e ciò anche nel caso in cui il sito web sia stato registrato all'estero, purché l'offesa sia stata percepita da più fruitori che si trovano in Italia (in senso analogo, in relazione alla diffamazione tramite internet, cfr. Sez. 1, n. 2739 del 21/12/2010, dep. 2011, confl. comp. in c. Gennari, Rv. 249179, in motivazione); gli effetti nocivi riconducili alla divulgazione del dato sensibile, che rappresentano unicamente il risultato dell'azione criminosa, si protraggono fino a che il dato non viene rimosso.
Una soluzione del genere, peraltro, è in linea con quanto affermato da questa Corte nell'ipotesi, affine a quella qui al vaglio, di diffamazione commessa tramite la rete internet; anche in tal caso, infatti, le frasi offensive dell'altrui reputazione producono gli effetti fino a che esse non vengono rimosse dal sito web in cui sono state pubblicate; nondimeno, non si è mai messo in dubbio la natura istantanea del reato di diffamazione, e, ai fini della determinazione dell'A.G. territorialmente compente, si è fatto ricorso ora al luogo in cui sia stato caricato il contenuto diffamatorio come dato informatico -ove ciò sia stato accertato -e quindi ai sensi dell'art. 9, comma 1, cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 31677 del 19/05/2015, Vulpio, Rv. 264521), ovvero, in difetto di tale accertamento, al criterio del luogo di domicilio dell'imputato, in applicazione della regola suppletiva stabilita dall'art. 9, comma secondo, cod. proc. pen. (Sez. 1, n. 16307 del 15/03/2011, confl. comp. in c. Punina, Rv. 249974; Sez. 1, n. 2739 del 21/12/2010, dep. 2011, confl. comp. in c. Gennari, Rv. 249179).
7. Venendo al caso di specie, non può trovare applicazione la regola generale di cui all'art. 8, comma 1, cod. proc. pen. non essendovi elementi che consentano di individuare il luogo nel quale il dato sensibile sia diventato fruibile sulla rete internet; nemmeno può essere impiegato il criterio contemplato dal successivo comma 3, stante la natura di reato istantaneo del delitto in questione.
Si osserva, peraltro, che anche seguendo la tesi secondo cui si sarebbe in presenza di un reato permanente, non sarebbe comunque impiegabile il criterio di cui all'art. 8, comma 3, cod. proc. pen., non essendo noto il luogo di inizio della consumazione, ossia il luogo dal quale la Cl.Mi. e la St.Ma. ebbero ad inviare alla Mi.Ro. i messaggi audio oggetto di diffusione.
In altri termini, le considerazioni svolte da questa Corte a proposito della determinazione del luogo in cui si verifica l'offesa della reputazione altrui realizzata via internet possono essere agevolmente estese, per identità di ratio, al delitto in esame quando esso è parimenti realizzato mediante la diffusione del dato sensibile - che provoca il "nocumento" - tramite la rete internet, vale a dire che "ai fini dell'individuazione della competenza, sono inutilizzabili, in quanto di difficilissima, se non impossibile individuazione, criteri oggettivi unici, quali, ad esempio, quelli di prima pubblicazione, di immissione della notizia nella rete, di accesso del primo visitatore, così come non è neppure utilizzabile quello del luogo in cui è situato il server (che può trovarsi in qualsiasi parte del mondo), in cui il provider alloca la notizia" (Sez. 1, n. 2739 del 21/12/2010, cit. in motivazione).
8. Occorre perciò ripiegare sui criteri suppletivi, tra loro correlati da una necessaria gradualità, considerati dall'art. 9 cod. proc. pen.
Orbene, si osserva che non appare applicabile il criterio fissato dal comma 1, posto che, per le ragioni innanzi esposte, non è noto l'ultimo luogo nel quale è avvenuta una parte dell'azione ovvero dell'omissione.
9. Ciò posto, nemmeno l'ulteriore criterio suppletivo, considerato dal comma 2 - che radica la competenza territoriale dell'Autorità Giudiziaria nel luogo di residenza, dimora o domicilio dell'imputato al momento della commissione del reato, essendo irrilevanti gli eventuali mutamenti intervenuti successivamente (Sez. 1, n. 46352 del 20/09/2023, confl. comp. in c. Carbone, Rv. 285514) - può trovare applicazione, posto che, nella specie, non è possibile individuare un'unica residenza quale luogo di competenza del giudice procedente per entrambi i capi di imputazione.
Invero, va ribadito il principio, giusto il quale, ai fini dell'individuazione del giudice competente per territorio, nel caso di inidoneità o di insufficienza dei criteri indicati dall'art. 16 cod. proc. pen., sono applicabili le regole suppletive previste dall'art. 9 cod. proc. pen.; ne deriva che nell'ipotesi di concorso nel reato commesso in luogo ignoto di più persone, aventi residenza, dimora e domicilio in luoghi diversi, stante la mancanza di univocità del dato di collegamento deve necessariamente applicarsi l'ulteriore residuale criterio previsto dal terzo comma dell'art. 9 cod. proc. pen., il quale indica la competenza del giudice del luogo ove ha sede l'ufficio del pubblico ministero che per primo ha iscritto la notizia di reato nel registro di cui all'art. 335 cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 46828 del 21/11/2007, Albertini, Rv. 238888 (Sez. 2, n. 1312 del 23/01/1997, Mazza, Rv. 207125; Sez. 1, n. 3617 del 07/10/1991, confl. comp. in c. Liseno, Rv. 188816).
Nella vicenda in esame, al momento della commissione del reato, quanto al capo 1), Cl.Mi. risiedeva a F (Omissis), mentre Mi.Ro. e Ho.An. risiedevano a P, in Svizzera, e, quanto al capo 2), St.Ma. risiedeva a C (Omissis) e le altre due imputate in P.
Di conseguenza, stante la diversità del luogo di residenza delle coimputate in relazione ad entrambi i capi di imputazione qui al vaglio, non può applicarsi il criterio suppletivo di cui all'art. 9, comma 2, cod. proc. pen.
10. L'unico parametro di riferimento applicabile è perciò quello di cui al comma 3 dell'art. 9 cod. proc. pen., a tenore del quale la competenza per territorio "appartiene al giudice del luogo in cui ha sede l'ufficio del pubblico ministero che ha provveduto per primo a iscrivere la notizia di reato nel registro previsto dall'art. 335".
Nel caso di specie, la competenza territoriale deve perciò radicarsi nel Tribunale di Perugia, quale sede in cui ha luogo l'ufficio del pubblico ministero che, appunto, ha proceduto per primo a iscrivere la notizia di reato nel registro previsto dall'art. 335 cod. proc. pen.
11. L'affermazione della competenza del Tribunale di Perugia, siccome giudice che procede, implica la necessità di provvedere esclusivamente agli adempimenti di cui all'art. 24-bis, comma 4, cod. proc. pen.
P.Q.M.
dichiara la competenza del Tribunale Perugia.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 24-bis, comma 4, cod. proc. pen.
Così deciso il 18 settembre 2024.
Depositata in Cancelleria il 21 ottobre 2024.