Il mancato dissenso ai rapporti sessuali con il proprio coniuge, in costanza di convivenza, non ha valore scriminante quando sia provato che la parte offesa abbia subito tali rapporti per le violenze e le minacce ripetutamente poste in essere nei suoi confronti, con conseguente compressione della sua capacità di reazione per timore di conseguenze ancor più pregiudizievoli, dovendo, in tal caso, essere ritenuta sussistente la piena consapevolezza dell'autore delle violenze del rifiuto, seppur implicito, ai congiungimenti carnali.
Cassazione penale, sez. III, sentenza 25/09/2024 (dep. 24/10/2024) n. 38909
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 06/11/2023, la Corte di appello di Catanzaro, in riforma della sentenza emessa in data 12/07/2019 dal Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro - con la quale Fa.An., all'esito di giudizio abbreviato, era stato dichiarato responsabile del reato di cui all'art. 609-bis cod. pen. commesso in danno della moglie e condannato alla pena di anni due, mesi due e giorni venti di reclusione -, assolveva Fa.An. dal reato contestato con la formula "perché il fatto non costituisce reato".
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Catanzaro, articolando i motivi di seguito enunciati.
Il ricorrente deduce inosservanza ed erronea applicazione della legge penale nonché contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
Argomenta che la sentenza assolutoria si basava su argomentazioni erronee, in violazione dell'art. 609-bis cod. pen., nonché contraddittorie e manifestamente illogiche; in particolare, la Corte territoriale aveva affermato che dal narrato della persona offesa non emergeva il suo dissenso agli atti sessuali subiti e che, di conseguenza, sussisteva il dubbio sulla consapevolezza dell'imputato di agire in assenza del consenso del coniuge; i Giudici di appello non avevano, però, considerato che la donna aveva soggiaciuto all'imposizione del rapporto sessuale a causa di un grave timore per la propria incolumità fisica o addirittura per la sua stessa vita in quanto la condotta dell'imputato si era inserita in un contesto fortemente vessatorio - menzionato nella stessa sentenza impugnata- che aveva ridotto la vittima in una condizione di paura e di angoscia ed assoluta prostrazione; in tal modo la Corte di appello non aveva fatto buon governo di consolidati principi di diritto affermati dalla Suprema Corte in tema di reati sessuali: il dissenso della vittima può essere esplicito o implicito, espresso o tacito e non è necessaria l'esteriorizzazione del dissenso attraverso una resistenza attiva, in quanto il consenso deve ritenersi invalido quando l'atto sessuale è realizzato approfittando della situazione di difficoltà o dello stato di diminuita resistenza in cui versa la vittima; ai fini della configurabilità del reato di violenza sessuale è sufficiente qualsiasi forma di costringimento psicofisico idoneo ad incidere sull'altrui libertà di autodeterminazione sessuale, anche mediante l'approfittamento dello stato di prostrazione in cui la vittima è ridotta, senza che rilevi in contrario l'esistenza tra le parti di un rapporto coniugale o paraconiugale; l'elemento soggettivo del reato di violenza sessuale consiste nel dolo generico né è necessario che la condotta sia finalizzata al piacere sessuale dell'agente; il dissenso è elemento costitutivo, implicito, della condotta tipica del reato di violenza sessuale e l'errore su di esso rileva come errore di fatto, con conseguente onere probatorio a carico dell'agente.
Chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata.
3. Il difensore dell'imputato ha chiesto la trattazione orale del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
2. La Corte territoriale ha riformato in senso assolutorio la sentenza di condanna emessa dal giudice di primo grado, con argomentazioni carenti e contraddittorie, nonché non conformi ai principi espressi da questa Corte di legittimità nella materia dei reati sessuali.
In particolare, i Giudici di appello hanno atto del contesto vessatorio in cui si inserivano la consumazione degli atti sessuali, caratterizzato da reiterate minacce, offese e umiliazioni poste in essere dall'imputato nei confronti della moglie, nonché del comportamento "totalmente succube e teso solo a calmare il marito", tenuto dalla persona offesa al momento dei fatti e di quanto dichiarato dalla stessa, la cui attendibilità ritenuta dal primo giudice non veniva messa in discussione nel giudizio di appello (la donna aveva riferito di aver subito gli atti sessuali ed un rapporto completo non consenziente, a suo dire "per paura che il Fa.An. potesse ucciderla"); hanno, poi, affermato che, "del suo dissenso, della sua opposizione agli atti sessuali tutti, non vi è traccia nel suo stesso racconto" e, poi, che "pur essendo evidente come anche i fatti di giudizio andavano ad inserirsi nelle mortificazioni che il Fa.An. infliggeva e pretendeva dalla moglie, quasi a punirla per il tradimento da lui subito, non vi è modo di affermare che l'imputato nello specifico episodio fosse consapevole di agire contro il suo volere, volere che la donna non gli aveva esternato accondiscendendo invece alle sue richieste".
3. Orbene, deve rammentarsi che, in tema di violenza sessuale, l'elemento oggettivo consiste sia nella violenza fisica in senso stretto, sia nella intimidazione psicologica che sia in grado di provocare la coazione della vittima a subire gli atti sessuali, sia anche nel compimento di atti di libidine subdoli e repentini, compiuti senza accertarsi del consenso della persona destinataria, o comunque, prevenendone la manifestazione di dissenso (Sez. 3, n. 6945 del 27/01/2004, Rv.228493; Sez.3, n.46170 del 18/07/2014, Rv.260985).
Questa Corte ha, inoltre, affermato che, in tema di reati sessuali, l'idoneità della violenza o della minaccia a coartare la volontà della vittima va esaminata non secondo criteri astratti e aprioristici, ma valorizzando in concreto ogni circostanza oggettiva e soggettiva, sicché essa può sussistere anche in relazione ad una intimidazione psicologica attuata in situazioni particolari tali da influire negativamente sul processo mentale di libera determinazione della vittima, senza necessità di protrazione nel corso della successiva fase esecutiva (Sez. 3, n. 33049 del 10/05/2017, Rv.270643 - 01; Sez.3, n. 967 del 26/11/2014, dep.13/01/2015, Rv.261637 Sez. 3, n. 14085 del 24/01/2013, Rv. 25502).
Perciò, ai fini della configurabilità del delitto di violenza sessuale, non si richiede che la violenza sia tale da annullare la volontà del soggetto passivo, ma è sufficiente che la volontà risulti coartata. Neppure è necessario che l'uso della violenza o della minaccia sia contestuale al rapporto sessuale per tutto il tempo, dall'inizio fino al congiungimento: è sufficiente, invece, che il rapporto sessuale non voluto dalla parte offesa sia consumato anche solo approfittando dello stato di prostrazione, angoscia o diminuita resistenza in cui la vittima è ridotta (Sez.3, n. 16609 del 24/01/2017, Rv.269631 - 01); Sez. 3, n. 3141 del 25/02/1994 Ascari, Rv. 198709).
Ed è stato affermato, che il dissenso della persona offesa costituisce un elemento costitutivo, sia pure implicito, della fattispecie delittuosa della violenza sessuale, necessario perché sussista la condotta tipica; e che l'errore su di esso rileva come errore di fatto, sicché incombe sull'imputato l'onere fornire la prova del relativo assunto (Sez.3, n. 3326 del 25/11/2021, dep. 31/01/2022, Rv.282715 - 01; Sez.3, n.52835 del 19/06/2018, Rv.274417 - 01); il mancato dissenso ai rapporti sessuali con il proprio coniuge, in costanza di convivenza, non ha valore scriminante quando sia provato che la parte offesa abbia subito tali rapporti per le violenze e le minacce ripetutamente poste in essere nei suoi confronti, con conseguente compressione della sua capacità di reazione per timore di conseguenze ancor più pregiudizievoli, dovendo, in tal caso, essere ritenuta sussistente la piena consapevolezza dell'autore delle violenze del rifiuto, seppur implicito, ai congiungimenti carnali (Sez.3, n. 17676 del 14/12/2018, dep. 29/04/2019, Rv.275947 - 01).
4. I Giudici di appello non hanno fatto buon governo dei suesposti principi di diritto, in quanto, pur dando atto del clima fortemente vessatorio che caratterizzava la convivenza tra i coniugi, non hanno analizzato concretamente le modalità della condotta dell'imputato né valutato la volontà della vittima valorizzando in concreto ogni circostanza oggettiva e soggettiva del fatto e tenuto nel debito conto la dichiarata compressione della sua capacità di reazione per il timore di conseguenze ancor più pregiudizievoli.
Risultano, pertanto, integrati il vizio di violazione di legge ed il vizio motivazione dedotti in ricorso.
5. La sentenza impugnata, pertanto, va annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Catanzaro per nuovo giudizio, che terrà conto dei rilievi suesposti e dei principi di diritto enunciati.
6. Va, infine, rimarcato che essendosi il giudizio di legittimità concluso con l'annullamento con rinvio, la parte civile non può' ottenere la rifusione delle spese processuali ma potrà far valere le proprie pretese nel corso ulteriore del processo, nel quale il giudice di merito dovrà accertare la sussistenza, a carico dell'imputato, dell'obbligo della rifusione delle spese giudiziali in base al principio della soccombenza, con riferimento all'esito del gravame (Sez.5,n.25469 del 23/04/2014, Rv. 262561; Sez.2, n. 32440 del 10/07/2003, Rv.226260).
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Catanzaro.
Così deciso il 25 settembre 2024.
Depositata in Cancelleria il 24 ottobre 2024.