Nel caso di violenza domestica, le ritrattazioni della persona offesa possono non solo non escludere il reato, ma addirittura essere sintomatiche di una situazione di coercizione o manipolazione in atto.
La Cassazione, con la sentenza n. 39562 depositata il 28 ottobre 2024, ha ribadito che tali ritrattazioni, insieme alla remissione della querela, possono indicare che la vittima continua a essere esposta a una relazione maltrattante, caratterizzata da minacce, ricatti o intimidazioni. Questo vale soprattutto quando la vittima sia un minore o una donna con figli minori.
Nel trattare reati di violenza domestica e di maltrattamenti, la giurisprudenza tiene conto non solo delle dichiarazioni della persona offesa, ma anche del contesto in cui queste dichiarazioni vengono rese. L'art. 609-bis del codice penale e la Convenzione di Istanbul impongono un approccio che tenga conto del rischio di reiterazione e della particolare vulnerabilità della vittima. La L. n. 168 del 2023, inoltre, ha introdotto l'obbligatorietà del braccialetto elettronico nelle misure non custodiali per garantire la sicurezza delle vittime.
La Suprema Corte ha evidenziato che, nei casi di violenza domestica, la ritrattazione può essere vista come un esito naturale della dinamica del controllo e del potere esercitato dall'aggressore. Questo controllo può spingere la vittima a cambiare versione dei fatti, non perché questi non siano mai accaduti, ma perché la persona offesa potrebbe temere ripercussioni ancora più gravi.
Nel caso di specie, l'indagato aveva richiesto la revoca dell'obbligo di allontanamento dalla casa familiare, sostenendo che la moglie avesse ritrattato le accuse e volesse lasciare l'abitazione al marito. Tuttavia, la Cassazione ha ritenuto che questa ritrattazione fosse "illogica, immotivata e non riscontrata". Anzi, ha sottolineato come essa possa essere l'effetto delle pressioni psicologiche esercitate dall'indagato, che dal 2016 al 2023 avrebbe costantemente maltrattato la moglie e i figli, obbligandoli a vivere in una situazione di paura e sottomissione.
La Corte ha inoltre ricordato che, in materia di misure cautelari, il rischio di inquinamento probatorio non termina con la chiusura delle indagini preliminari, ma persiste per tutto il procedimento, soprattutto quando sono coinvolti minorenni. In questo caso, l'allontanamento dell'indagato dalla casa familiare e il divieto di contatto con le vittime sono stati ritenuti necessari per prevenire ulteriori condizionamenti o pressioni sulla moglie e sui figli.
In conclusione, nei casi di violenza domestica, la ritrattazione della persona offesa non debba essere automaticamente considerata una prova di innocenza dell'indagato. Al contrario, può rappresentare un ulteriore indizio della pericolosità della relazione e della necessità di mantenere attive le misure di protezione a favore delle vittime. La tutela della sicurezza delle vittime, soprattutto se minorenni, deve avere sempre la priorità rispetto alla volontà dichiarata di rimettere la querela o lasciare la casa familiare.
Nel delitto di violenza domestica, le ritrattazioni della persona offesa, così come le remissioni di querela, soprattutto ai fini della valutazione del rischio da parte dell'Autorità giudiziaria, anziché costituire elementi per escludere il reato e la sua reiterazione, possono essere addirittura sintomatiche del contrario ovverosia dell'esposizione della vittima alla prosecuzione o all'aggravamento della relazione maltrattante attraverso minacce, ricatti, intimidazioni, rappresaglie o condizionamenti, a maggior ragione quando le persone offese siano minorenni o donne con prole minorenne.
Cassazione penale, sez. VI, sentenza 27/09/2024 (dep. 28/10/2024) n. 39562
RITENUTO IN FATTO
1. Con l'ordinanza sopra indicata il Tribunale di Torino, adito da Io.Sa., indagato per il delitto di maltrattamenti ai danni della moglie, Av.El. e dei cinque figli, ha rigettato l'appello avverso il provvedimento reiettivo del Giudice per le indagini preliminari di Torino di revoca dell'obbligo di allontanamento dalla casa familiare, ritenendo persistenti ed intense le esigenze cautelari, alla luce dello sviluppo e delle peculiarità dell'intera vicenda, non solo per il rischio di inquinamento probatorio vista la prossima audizione delle persone offese, ma anche per il repentino mutamento di atteggiamento di Av.El. (attualmente in comunità protetta con i figli).
A detto ultimo riguardo il provvedimento impugnato ha sottolineato come la persona offesa, in modo "illogico, immotivato e non riscontrato" (pag. 3), dopo avere chiesto l'assegnazione della casa coniugale in sede di separazione, in una mail inviata al nuovo difensore e depositata dalla difesa dell'indagato in udienza, ritenuta dal Tribunale "di provenienza non precisata", aveva espresso la volontà di lasciare l'abitazione al marito e di ritirare la querela presentata nei suoi confronti (pag. 2).
2. Avverso tale ordinanza ha presentato ricorso Io.Sa., con atto sottoscritto dal suo difensore, recante un'unica censura, relativa al vizio di motivazione circa le esigenze cautelari.
In particolare, viene rappresentato come la misura in esecuzione non sia fondata su alcuna necessità attuale atteso che: a) l'incidente probatorio dei figli minorenni, tutti in comunità protetta con la loro madre, si è svolto il 30 maggio 2024; b) il figlio maggiorenne, Io.Fe., unico ad avere negato le violenze subite, non è condizionabile stante la revoca del divieto di avvicinamento al padre.
Particolare attenzione viene dedicata dal ricorso alla "nuova strategia difensiva" della persona offesa, Av.El., intenzionata a rimettere la querela e a lasciare la casa familiare al marito, come risulta dagli allegati al ricorso - revoca del precedente avvocato e e-mail inviata a quello attuale -, strategia disattesa dal provvedimento impugnato e tale da rendere la richiesta di assegnazione dell'abitazione in sede di separazione ampiamente superata.
Il Tribunale, infine, non ha applicato il principio che presidia le misure cautelari ovverosia quello del minore sacrificio della libertà personale dell'indagato allorché, in assenza di esigenze probatorie o di pericolo di recidiva, vi siano misure più gradate quali il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalle persone offese, anche con prescrizioni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibili per manifesta infondatezza e aspecificità.
2. Per chiarezza espositiva è necessario premettere che nei confronti di Io.Sa. vi è un procedimento penale pendente dal 2016 in relazione al delitto di maltrattamenti commesso nei confronti della moglie e del figlio Io.Fe., all'epoca minorenne, tale da avere determinato il Tribunale per i minorenni a disporre il collocamento dell'intero nucleo familiare in una comunità protetta e poi ad applicare a Io.Sa. la misura dell'allontanamento dalla casa familiare, ripetutamente violata stante il suo rientro nell'abitazione.
Nel presente procedimento il ricorrente è gravemente indiziato del delitto di maltrattamenti aggravati, fisici e psicologici, nei confronti della moglie, Av.El., e dei cinque figli, per condotte commesse dal 2016 al 28 giugno 2023 (data della fuga da casa delle persone offese e della protezione ininterrotta in comunità protetta), tanto da essergli stata applicata dal Giudice per le indagini preliminari di Torino, in data 1 agosto 2023, la misura cautelare dell'allontanamento dalla casa familiare con divieto di avvicinamento e comunicazione con tutte le persone offese - senza applicazione del braccialetto elettronico -, confermata dal Tribunale del riesame il 5 settembre 2023.
Al giudicato cautelare hanno fatto seguito diverse istanze dell'indagato di revoca della misura cautelare del divieto di avvicinamento al figlio maggiorenne, Io.Fe., unico ad avere reso dichiarazioni spontanee, in sede di notifica dell'ordinanza cautelare, volte a negare recisamente le violenze subite. Dette istanze erano state rigettate in quanto: le dichiarazioni accusatorie rese dalle altre persone offese erano convergenti con un grave rischio di inquinamento probatorio; la misura cautelare era già stata violata dall'indagato che aveva ammesso di incontrare il figlio nonostante il divieto impostogli e mancava qualsiasi rivisitazione critica da parte di Io.Sa.
Dal 28 giugno 2023, data della denuncia di Av.El. e della sua fuga da casa con i figli, l'intero nucleo familiare si trova in comunità protetta, mentre Io.Sa. è sottoposto alle misure non custodiali del divieto di avvicinamento a tutte le persone offese e dell'allontanamento dalla casa familiare (senza presidio elettronico).
Il 25 gennaio 2024 il Tribunale del riesame, dopo avere puntualmente confermato "la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza del reato di maltrattamenti nei confronti dì tutti i familiari, compreso Io.Fe.", ha revocato il divieto di avvicinamento e di comunicazione di Io.Sa. a questi, vista la sua frequentazione con il padre, nonostante la misura cautelare glielo impedisse.
3. Nell'ambito di un giudizio relativo ad una richiesta di revoca o sostituzione di misure cautelari, proposta a norma dell'art. 299 cod. proc. pen., compete ai giudici di merito valutare se gli elementi addotti dall'interessato costituiscano fatti nuovi, anteriormente non valutati, idonei a mutare la situazione sulla quale si sia già formato il giudicato cautelare.
E' di tutta evidenza che l'istanza di sostituzione o revoca presuppone un cambiamento, in senso favorevole all'indagato, degli elementi di accusa o l'attenuazione delle esigenze cautelari, che l'istante ha l'onere di indicare.
Il provvedimento impugnato - che richiama la misura genetica, su cui si è formato il giudicato cautelare, in ordine alle gravi condotte maltrattanti contestate a Io.Sa. tra il 2016 e il 2023 ai danni della moglie e di tutti e cinque i figli, compreso Io.Fe. - con argomenti logici e coerenti ha escluso rilievo dirimente agli elementi "nuovi" prospettati dalla difesa collocandoli in una prospettiva non parcellizzata.
In particolare, il pericolo di inquinamento probatorio è stato esaminato alla luce: a) del complesso sviluppo investigativo, desumibile dai diversi provvedimenti adottati (nell'originaria misura cautelare era emerso che moglie e figli fossero stati costretti da Io.Sa. a nascondere un registratore nel corso dell'audizione dinnanzi al Tribunale per i minorenni per consentirgli di verificare la ritrattazione di tutto quanto precedentemente denunciato); b) delle violazioni delle misure cautelari applicate all'indagato; c) della pendenza del procedimento di separazione dei coniugi, con udienza celebrata dinnanzi al Tribunale civile il 21 marzo 2024, in cui Av.El. aveva chiesto l'assegnazione della casa familiare.
Infine, particolare attenzione è stata posta dal Tribunale a quella che il ricorso definisce la "nuova strategia difensiva" della persona offesa, intenzionata a rimettere la querela e a lasciare l'appartamento al marito, con revoca del precedente difensore, in quanto, anziché costituire una circostanza favorevole all'indagato, è stata ritenuta allarmante e meritevole di adeguati approfondimenti in ordine alla sua genuinità, oltre che del tutto irrilevante ai fini dell'attenuazione del pericolo di reiterazione del reato.
4. Il provvedimento impugnato, con gli argomenti logici e coerenti che precedono, ha ribadito la sussistenza delle esigenze cautelari e la necessità dei presidi applicati.
4.1. Come condivisibilmente sostenuto nella requisitoria del Procuratore generale, il ricorso non affronta gli argomenti contenuti nel provvedimento impugnato né con riferimento al pericolo di inquinamento probatorio, né con riferimento al pericolo di reiterazione del reato; ma soprattutto mostra di non confrontarsi con la struttura e la finalità dell'impianto normativo, nazionale e sovranazionale, posto a presidio delle misure cautelari in materia di violenza contro le donne e violenza domestica per come interpretato dalla Corte costituzionale, dalla Corte di legittimità - vedi infra par. 4.3.2. e 4.3.3. - e dalla Corte EDU.
4.2. In ordine al rischio di inquinamento probatorio va ribadita l'irrilevanza dell'avvenuto espletamento dell'incidente probatorio dei figli minorenni dell'indagato (celebratosi nelle more della presente decisione).
Infatti, in materia di misure cautelari l'esigenza di salvaguardare l'acquisizione della genuinità della prova dichiarativa, non si esaurisce con la chiusura delle indagini preliminari o, come nel caso, con un segmento di queste quali la celebrazione dell'incidente probatorio, ma si protrae per l'intero procedimento penale di merito, compreso il processo di appello in cui, come è noto, la prova può essere rinnovata (Sez. 6, n. 13896 dell'11/02/2010, Cipriani, Rv. 246684).
A ciò si aggiunge la peculiarità dell'inquinamento probatorio nei delitti di violenza domestica in cui è proprio il legame affettivo tra l'autore e le persone offese, soprattutto quando queste siano figli e minorenni, a rendere il pericolo molto più stringente e meritevole di attenzione attesa la sottile linea tra continuità del rapporto, garantito al maltrattante per la sua qualità di genitore, e rischio della manipolazione probatoria, sino a riconoscere priorità alla prima con il duplice effetto di mettere a repentaglio non solo la genuinità del testimone, ma persino la sua stessa sicurezza.
E' quanto avvenuto nella specie, in cui, peraltro, a fronte della originariamente indebita frequentazione del figlio, è stato ex post valorizzato il fatto compiuto, dandosi luogo alla revoca della misura con riguardo ai rapporti con Io.Fe.
4.3. Io.Sa. deduce che il disinteresse di Av.El. a fare rientro nell'abitazione e l'attuale collocamento dell'intero nucleo familiare in una comunità protetta consentono la parziale revoca della misura cautelare nella parte in cui gli vieta il rientro, anche nell'interesse del figlio Io.Fe., nell'appartamento rimasto disabitato.
4.3.1. Il provvedimento impugnato, con argomenti logici e non contrastati dal ricorso, ha puntualmente esaminato e valutato gli atti provenienti dalla persona offesa collocandoli nel susseguirsi delle indebite pressioni di Io.Sa. durante l'intera attività investigativa ai danni delle vittime, anche minorenni, rimaste prive di qualsiasi presidio.
Innanzitutto, il Tribunale ha dato atto della memoria di Av.El. in cui la stessa esprime la volontà di tornare nel proprio appartamento con i figli, come chiesto anche in sede civile con l'assegnazione della casa coniugale, e di avvertire semmai un ostacolo nella gestione della vicenda da parte dell'istituzione tenuta a garantire la sua "protezione" ("si trovava al momento in luogo protetto, non avrebbe potuto che rispettare le prescrizioni degli educatori e del servizio sociale" pag. 2).
Inoltre, ha escluso qualsiasi rilievo alla nuova "strategia difensiva" di Av.El., in quanto fondata su una mail del 9 maggio 2024, depositata dalla difesa dell'indagato, in cui la donna esprime ad un nuovo difensore, previa revoca del precedente, di volere rimettere la querela e lasciare la casa familiare al marito, mail di cui si pone in dubbio la veridicità e la provenienza.
I giudici di merito nell'escludere qualsiasi rilievo, a fini cautelari, sia alla condizione di protezione di Av.El. e dei quattro figli minorenni in una comunità, sia alla prospettiva di un'eventuale ritrattazione attraverso una "remissione di querela", per delitti procedibili di ufficio anche con vittime minorenni, si sono attenuti alla giurisprudenza di questa Corte ignorata dal ricorrente.
4.3.2. L'intera disciplina sulle misure cautelari in materia di violenza domestica e di tutela dei minorenni è stata costantemente rinforzata dal succedersi degli interventi legislativi, come da ultimo con la L. n. 168 del 2023 che ha stabilito l'obbligatorietà del braccialetto elettronico nelle misure non custodiali (artt. 282-bis, comma 6, e 282-ter, comma 1, cod. proc. pen.) e l'arresto obbligatorio in caso di loro violazione. Ciò è avvenuto anche a causa delle numerose condanne subite dall'Italia da parte della Corte EDU per la non adeguata protezione assicurata alle vittime di questi reati soprattutto in fase di indagini (Talpis c. Italia del 2 marzo 2017, Landi c. Italia del 7 aprile 2022; M.S. c. Italia del 7 luglio 2022; De Giorgi c. Italia del 16 luglio 2022; I.M. e altri c. Italia del 10 novembre 2022).
L'evoluzione interpretativa in detta materia richiede di allineare le norme interne agli obblighi sovranazionali gravanti sull'Autorità giudiziaria, soprattutto alla luce della Convenzione di Istanbul (Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, ratificata con L. 27 giugno 2013, n. 77) imponendo, innanzitutto, che sia svolta una corretta valutazione dei rischi di letalità, di gravità della situazione, di reiterazione dei comportamenti violenti, come sancito dall'art. 51 della Convenzione (Gestione dei rischi), senza ridimensionamento soprattutto delle violazioni degli indagati, e poi predisponendo un idoneo apparato di tutela, come previsto dall'art. 52 (Misure urgenti di allontanamento imposte dal giudice), che dia "priorità alla sicurezza delle vittime o delle persone in pericolo" (Sez. 6, n. 46797 del 18/10/2023,T., Rv. 285542; Sez. 6, n. 23635 del 23/04/2024, N.; Sez. 6, n. 7289 dell'11/01/2024, F.; Sez. 6, n. 29688 del 06/06/2022, P.).
Inoltre, deve ricordarsi che l'art. 55 (Procedimenti d'ufficio o ex parte), proprio riconoscendo che la ritrattazione costituisce un esito possibile, se non addirittura certo, dovuto alle modalità insidiose, circolari e manipolatone in cui può svilupparsi la violenza domestica (Sez. 6, n. 37978 del 03/07/2023, B., Rv. 285273; Sez. 6, n. 7289 dell'11/01/2024, F.; Sez. 6, n. 31570 del 12/07/2022, 0.), impone che i procedimenti penali continuino "anche se la vittima dovesse ritrattare l'accusa o ritirare la denuncia". Inoltre, trattandosi di una disposizione che pone a totale carico dello Stato e delle sue istituzioni la responsabilità e l'obbligo di perseguire i reati di violenza contro le donne e i loro figli, oltre che di garantirne la sicurezza, prescinde dalla loro volontà in quanto parte dall'assunto che queste non siano libere per timore di più gravi conseguenze (Sez. 6, n. 7289 dell'11/01/2024, F.), soprattutto quando vi sia il rischio di una non efficace difesa.
E' questo il motivo per il quale la violenza domestica, per precisa scelta di politica criminale del legislatore, non è rimessa alla disponibilità di chi ne è vittima sia per la condizione di vulnerabilità relazionale (oggettiva o soggettiva) in cui potrebbe trovarsi; sia per evitare che le si possa ripercuotere contro sollecitando minacce dell'autore affinché questo avvenga; sia per la inviolabilità dei diritti che lede; sia per la valutazione di particolare gravità delle condotte che meritano di essere soggette alla repressione penale; sia per la ciclicità che connota questo reato, con violenze che, dopo periodi di quiete, capaci di confondere la vittima, riprendono con maggiore crudeltà.
Nel delitto di violenza domestica, dunque, le ritrattazioni della persona offesa, così come le remissioni di querela, soprattutto ai fini della valutazione del rischio da parte dell'Autorità giudiziaria, anziché costituire elementi per escludere il reato e la sua reiterazione, possono essere addirittura sintomatiche del contrario ovverosia dell'esposizione della vittima alla prosecuzione o all'aggravamento della relazione maltrattante attraverso minacce, ricatti, intimidazioni, rappresaglie o condizionamenti (Sez. 6, n. 23635 del 23/04/2024, N.; Sez. 6, n. 7289 dell'11/01/2024, F.; Sez. 6, n. 31570 del 12/07/2022, O.; Sez. 6, n. 29688 del 06/06/2022, P.; Sez. 3, n. 32379 dell'11/05/2021, S.) a maggior ragione quando le persone offese siano minorenni o donne con prole minorenne.
4.3.3. Né può valere a ridimensionare le esigenze cautelari la circostanza, valorizzata dal ricorrente, che le donne vittime di violenza e i loro figli si trovino in una struttura protetta, attesa la natura del tutto eccezionale e provvisoria di detta condizione.
Infatti, è escluso dall'ordinamento interno ed internazionale, oltre che dalla logica giuridica, che le persone offese di violenza domestica subiscano una qualsiasi forma di limitazioni della loro libertà personale o altro pregiudizio per effetto della denuncia del delitto, anche sotto forma di protezione quando questa determini un protratto sradicamento dal loro contesto abitativo per vivere in una casa rifugio.
Se ciò accadesse lo Stato si renderebbe responsabile della vittimizzazione secondaria nei loro confronti, nei termini delineati dalla giurisprudenza della Corte EDU (I.M. e altri c. Italia del 10 novembre 2022) e di legittimità (Sez. 6, n. 12066, del 24/11/2023, dep. 2024, T.; Sez. U civ., n.35110 del 17/11/2021, Rv. 662942, parr. 5.3.7.4. e 5.3.7.5.), vietata non solo dalle norme sovranazionali (Par. 52 e art. 12 della Direttiva 2012/29/UE; artt. 15, par. 1, 18, par.3, 42 della Convenzione di Istanbul), ma dall'intero apparato processuale penale e civile interno.
Proprio nella logica di evitare che le istituzioni si rendano responsabili di produrre conseguenze dannose per chi denuncia condotte maltrattanti, questa Corte ha già precisato che l'autorità giudiziaria è tenuta a tutelare la vittima non affidandosi alle iniziative da questa adottate per arginare o ad escludere il rischio di reiterazione del delitto ai suoi danni, anche trovando rifugio in un centro antiviolenza, ma intervenendo esclusivamente sull'autore del reato affinché non commetta ulteriori condotte illecite (Sez. 6, n. 23635 del 23/04/2024, N.).
Detti principi valgono a maggior ragione quando, come nella specie, le vittime siano minorenni in quanto l'art. 22, par. 4, della Direttiva 2012/29/UE le ritiene portatrici di esigenze specifiche di protezione, prima tra tutte quella di mantenere il loro contesto abitativo e la continuità con il loro ambiente (di scuola, di gioco, di affetti, di amicizie, di abitudini, ecc.), "essendo particolarmente esposti al rischio di vittimizzazione secondaria e ripetuta, di intimidazione e di ritorsioni", tanto da imporre all'interprete una precisa regola di giudizio, che permea l'intero ordinamento, interno ed internazionale, del best interest of the child (Sez. 6, n.20004 del 12/03/2024, S., Rv. 286478) secondo cui "un bambino vittima e testimone di violenza contro le donne e di violenza domestica deve, se necessario, usufruire di misure di protezione specifiche, che prendano in considerazione il suo interesse superiore" (art. 56, par. 1, della Convenzione di Istanbul).
5. Risulta dunque evidente, nel contesto descritto e risultante dal provvedimento impugnato, il rilievo che assume la conservazione dell'ambito domestico e la possibilità per le vittime di poterne ulteriormente fruire, senza alcun condizionamento, il che preclude in radice di accogliere il motivo volto in primis a censurare la mancata revoca dell'obbligo di allontanamento dall'abitazione.
6. Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente va condannato, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende che si stima equo fissare nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 27 settembre 2024.
Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2024.