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Offese in chat, scatta la diffamazione se la persona offesa non è online

Corte di Cassazione, sez. I Penale, Sentenza n.409 del 21/11/2023 (dep. 05/01/2024)

Se una persona è colpita da frasi offensive in una chat condivisa con altri, ma non era online al momento della pubblicazione, l'atto non è da considerarsi come "ingiuria aggravata", bensì "diffamazione". 

È quanti ribadito dalla Sezione Prima penale della Cassazione con la sentenza n. 409 depositata il 5 gennaio 2024.

Nel caso di specie, l'imputato aveva usato espressioni offensive su una chat su Facebook nei confronti di un altro partecipante, che però non era online al momento in cui le offese furono pubblicate. Il difensore dell’imputato aveva sostenuto che, dal momento che la persona offesa aveva risposto alle espressioni offensive in breve tempo, il fatto doveva essere classificato come ingiuria aggravata, reato depenalizzato, e non come diffamazione. 

La Cassazione ha confermato la decisione della Corte d’Appello, la quale, accertato che all'atto della pronuncia delle frasi offensive la persona offesa non era presente, ha concluso per la sicura riconducibilità della vicenda alla fattispecie di diffamazione, in quanto l'offesa è stata proferita ai danni di persona in quel momento assente e comunicata ad almeno due persone, presenti o distanti.

Espressioni offensive su una "chat", mancata percezione nell'immediatezza da parte della persona offesa, delitto di diffamazione, integrazione

Integra il delitto di diffamazione, e non la fattispecie depenalizzata di ingiuria aggravata dalla presenza di più persone, l'invio di messaggi contenenti espressioni offensive nei confronti della persona offesa su una "chat" condivisa anche da altri soggetti, nel caso in cui la prima non li abbia percepiti nell'immediatezza, in quanto non collegata al momento del loro recapito.

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Cassazione penale, sez. I, sentenza 21/11/2023 (dep. 05/01/2024), n. 409

FATTI DI CAUSA


1. La Corte di appello di Catanzaro, giudicando in sede di rinvio a seguito della sentenza di annullamento n. 44662 del 26 ottobre 2021 della Corte di cassazione, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di Pa.Iv. in ordine al reato di diffamazione commesso con espressioni oltraggiose inserite in una "chat" aperta dal Movimento "Cinque Stelle Rossano" sul sociale network Facebook ai danni di Mo.Ni., fatto commesso il 2 aprile 2014, perché estinto per prescrizione.

In conformità a quanto stabilito dalla Corte di cassazione con il principio di diritto formulato, la Corte di appello ha accertato che la chat su cui si svolse la conversazione incriminata permetteva ai diversi iscritti di partecipare e di intervenire anche non in tempo reale; e che, all'atto della pronuncia delle frasi offensive di cui all'imputazione, la persona offesa Mo.Ni. non era presente.

Ha quindi concluso per la sicura riconducibilità della vicenda alla fattispecie di diffamazione, in quanto l'offesa è stata proferita ai danni di persona in quel momento assente e comunicata ad almeno due persone, presenti o distanti.

2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore di Pa.Iv..

Il fatto che la risposta alle espressioni offensive del ricorrente siano intervenute successivamente non significa che le espressioni offensive siano state lette in differita. La stessa persona offesa ha dichiarato di aver partecipato alla discussione in chat in diretta, ovvero dopo qualche secondo, qualche minuto, dall'inserimento delle espressioni offensive, e quindi è assolutamente certo che fosse presente alla conversazione. Di qui la necessità di qualificare il fatto come ingiuria e non come diffamazione e conseguentemente l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata. L'interesse del ricorrente ad una pronuncia di tal fatta, nonostante la già dichiarata estinzione del reato per prescrizione, è connesso alla condanna al risarcimento dei danni alla parte civile e alla rifusione delle spese processuali da questa sostenute.

3. Il Procuratore generale, intervenuto con requisitoria scritta, ha chiesto la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito esposte.

2. La Corte di appello, in conformità al principio di diritto fissato dalla sentenza di annullamento con rinvio, ha preso in esame le risultanze del processo al fine di operare la corretta qualificazione del fatto. Ha concluso che la chat utilizzata per la comunicazione delle espressioni offensive consentiva lo svolgersi della conversazione anche non in tempo reale, come chiaramente indicato dalla persona offesa e dal testimone Da.El.. Ha quindi evidenziato che, come si trae dalle stampe delle conversazioni, si desume che al momento della messa in circolazione su chat delle frasi incriminate la persona offesa non era presente, tant'è che replicò intervenendo sulla chat a distanza di oltre venti minuti.

Su queste premesse di fatto, rispetto alle quali i rilievi di ricorso mirano ad accreditare una diversa, inaccettabile, lettura delle risultanze di prova, la conclusione in punto di qualificazione è ineccepibile, dal momento che "integra il delitto di diffamazione, e non la fattispecie depenalizzata di ingiuria aggravata dalla presenza di più persone, l'invio di messaggi contenenti espressioni offensive nei confronti della persona offesa su una "chat" condivisa anche da altri soggetti, nel caso in cui la prima non li abbia percepiti nell'immediatezza, in quanto non collegata al momento del loro recapito" - sez. 5, n. 28675 del 10/06/2022, Rv. 283541 -.

3. Alla dichiarazione di inammissibilità segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso, il 21 novembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 5 gennaio 2024.

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