Estinzione del reato e decisione agli effetti civili, giudizio di rinvio in ordine alla qualificazione giuridica del fatto, applicabilità del disposto di cui all’art. 578 Cpp, sussistenza

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, Sentenza n.45262 del 10/10/2024 (dep. 10/12/2024)

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Estinzione del reato e decisione agli effetti civili, giudizio di rinvio in ordine alla qualificazione giuridica del fatto, applicabilità del disposto di cui all’art. 578 Cpp, sussistenza

L’obbligo di applicare il disposto dell’art. 578 cod. proc. pen. sussiste anche nel caso in cui il giudice di merito, in sede di giudizio di rinvio disposto in ordine alla qualificazione giuridica del fatto, ritiene sussistente il fatto di reato ascritto all’imputato, diversamente qualificandolo rispetto alla contestazione per la quale era stata pronunziata condanna in primo grado e contestualmente dichiara l’intervenuta prescrizione del delitto così ritenuto, maturata dopo l’indicata condanna, non potendosi ritenere corretta la decisione di revoca delle statuizioni civili basata sul rilievo che non ne sarebbe consentita la conservazione in quanto collegate ad un accertamento della responsabilità per un delitto oggetto di riqualificazione.

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Cassazione penale, sez. VI, sentenza 10/10/2024 (dep. 10/12/2024) n. 45262

RITENUTO IN FATTO


1. La Corte di appello di Roma con sentenza del 19 gennaio 2024 (motivazione depositata il successivo 26 gennaio), decidendo in sede di rinvio disposto da Sez. 2, n. 42052 del 29/09/22, Ca. e altri, ha, in riforma della sentenza di primo grado del Tribunale di Roma del 20 luglio 2017, dichiarato non doversi procedere nei confronti di Pa.Fr. per il reato di cui al capo 1 (contestato come partecipazione ad associazione per delinquere e ritenuto integrare l'ipotesi del "concorso esterno") perché estinto per intervenuta prescrizione, rideterminando la pena in relazione ai residui reati di cui ai capi 11 e 12 (corruzione e turbata libertà degli incanti) - unificati dal vincolo della continuazione (ritenuto più grave il delitto sub capo 12) e riconosciute all'imputato le circostanze attenuanti generiche - in anni due e giorni venti di reclusione e 500 Euro di multa.

1.1. La Corte territoriale ha altresì: revocato le pene accessorie diverse dall'incapacità a contrarre con la Pubblica amministrazione, di cui ha ridotto la durata ad anni uno; revocato la misura di sicurezza della libertà vigilata; revocato le statuizioni civili nei confronti dell'imputato con riferimento al capo 1 e compensato le spese di giudizio tra le parti private.

2. Avverso la sentenza di appello hanno proposto ricorso il Pubblico ministero, la Parte civile Ministero dell'Interno e l'imputato Pa.Fr.

3. Il Procuratore Generale presso la Corte di appello di Roma ha dedotto l'illogicità della motivazione in relazione al riconoscimento all'imputato delle circostanze attenuanti generiche, riconoscimento argomentato sulla base della sola considerazione che nel precedente concordato di appello - poi annullato dalla sentenza rescindente di questa Corte - tali attenuanti erano state riconosciute e che l'eventuale mancato riconoscimento delle medesime si sarebbe ora posto in contrasto con l'art. 597 cod. proc. pen., poiché detto capo non era stato impugnato dal Pubblico ministero; ugualmente, l'aumento per la continuazione è stato individuato nella misura indicata nel concordato di appello (sempre per la medesima ratio ritenuta preclusiva di diversa determinazione).

3.1. Al riguardo il ricorrente Pubblico ministero rileva come il venir meno del concordato in appello, conseguente alla pronuncia rescindente della Corte di Cassazione, ha eliminato ogni vincolo per il Giudice del rinvio, sia per le attenuanti (che comunque non risultavano espressamente riconosciute in sede di concordato) che per la determinazione della pena e che sul punto difetta motivazione.

3.2. I difensori dell'imputato hanno depositato memoria scritta nella quale chiedono che il ricorso del Procuratore Generale venga rigettato.

4. La Parte civile Ministero dell'Interno, a mezzo dell'Avvocatura Generale dello Stato, deduce violazione di legge e vizio della motivazione in ordine al capo della sentenza che, a fronte della declaratoria di intervenuta prescrizione per il reato di cui al capo 1, ha revocato le relative statuizioni civili. Infatti, sul punto non può configurarsi alcun "giudicato implicito" di insussistenza di detto reato, e la Corte di appello avrebbe dovuto, come previsto dall'art. 578 cod. proc. pen., procedere alla esatta qualificazione dei danni connessi ai fatti illeciti commessi dell'imputato che la stessa sentenza impugnata ha ritenuto integrare l'ipotesi del concorso esterno.

4.1. Nell'interesse di Pa.Fr. i difensori hanno depositato memoria scritta nella quale contestano le argomentazioni della parte civile chiedendo che il relativo ricorso venga rigettato.

4.2. A propria volta, la difesa della parte civile ha depositato memoria con la quale insiste per l'accoglimento del ricorso.

5. Pa.Fr. deduce violazione di legge e vizio della motivazione in merito alla determinazione della pena irrogata a titolo di pena base per il delitto sub 12 (turbativa d'asta), che si sostiene sia stata fissata in misura estremamente elevata sulla base di elementi (gravità del fatto e personalità dell'imputato) affermati in modo apodittico e senza tenere conto delle circostanze emerse nel corso del giudizio, che hanno fortemente ridimensionato la concreta gravità del fatto di reato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi del Procuratore generale e dell'imputato sono infondati per le ragioni di seguito indicate.

2. Il ricorso proposto dal Pubblico ministero va rigettato.

Invero, la precedente sentenza di appello, che aveva convalidato il concordato tra le parti, dà atto, a pagina 9, delle "già concesse attenuanti generiche" (così il ricorso del Procuratore generale); attenuanti generiche in ordine al cui riconoscimento nessuna doglianza era stata formulata dal P.M., apparendo dunque la relativa censura preclusa. Per quanto attiene alla pena determinata dalla sentenza impugnata per i reati in ordine ai quali non è maturata la prescrizione, la Corte territoriale (pag. 8 s.) in primo luogo precisa che "la continuazione tra i reati di cui ai capi 11 e 12 è stata già ritenuta da tutte le precedenti sentenze, inclusa quella emessa dal Tribunale di Roma, oggetto del presente giudizio". Individua quindi per il delitto più grave (art. 353 cod. pen.) una pena base di tre anni (a fronte di un compasso edittale da sei mesi a cinque anni), che viene quindi ridotta di un terzo per effetto delle circostanze attenuanti generiche e aumentata di giorni venti di reclusione per la continuazione con il "reato satellite". Le censure del ricorrente Pubblico Ministero risultano dunque aspecifiche, atteso che la pena base è stata determina in misura superiore al livello medio e che la continuazione tra i reati era già stata contemplata nella precedente sentenza di appello (che per tale profilo non era stata impugnata dall'organo requirente).

3. Infondato è anche il ricorso dell'imputato. La sentenza di appello motiva in modo congruo in ordine alla pena irrogata.

In particolare, la pena base per il più grave reato è determinata in misura - anni tre di reclusione - di poco superiore al "medio edittale" (che corrisponde ad anni due e mesi nove di reclusione), sulla base della considerazione che detta dosimetria "si colloca nella fascia medio alta ... legata alla gravità del fatto e alla personalità dell'imputato ... Occorre sottolineare, infatti, come la gara n. (omissis) ... avesse un valore complessivo di oltre 17 milioni di Euro, L'imputato tenne costantemente informato Bu. sull'andamento della gara e gli comunicò con anticipo l'aggiudicazione della gara per quattro dei cinque lotti ... ".

3.1. Questa Corte ha evidenziato (v. Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, Del Papa, Rv. 276288 - 01), richiamandosi a Sez. U., n. 5519 del 21/04/1979, Pelosi, Rv. 142252, che "è da ritenere adempiuto l'obbligo della motivazione in ordine alla misura della pena allorché sia indicato l'elemento, tra quelli di cui all'art. 133 cod. pen., ritenuto prevalente e di dominante rilievo, non essendo tenuto ad una analitica valutazione di tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti ma, in una visione globale di ogni particolarità del caso, è sufficiente che dia l'indicazione di quelli ritenuti rilevanti e decisivi (così, in motivazione, anche Sez. 3, n. 19639 del 27/01/2012, Gallo; si veda anche Sez. 5, n. 7562 del 17/01/2013, La Selva)", essendosi altresì rilevato che "quanto più il giudice intenda discostarsi dal minimo edittale, tanto più ha il dovere di dare ragione del corretto esercizio del proprio potere discrezionale, indicando specificamente quali, tra i criteri, oggettivi o soggettivi, enunciati dall'art. 133 c.p., siano stati ritenuti rilevanti ai fini di tale giudizio, dovendosi perciò escludere che sia sufficiente il ricorso a mere clausole di stile, quali il generico richiamo alla "entità del fatto" e alla "personalità dell'imputato (così, in motivazione, Sez. 6, n. 35346 del 12/06/2008, Bonarrigo; cfr. anche Sez. 1, n. 2413 del 13/03/2013, Pachiarotti; Sez. 6, n. 2925 del 18/11/1999, Baragiani)".

3.2. Nella specie, come indicato, la Corte territoriale non si è limitata a mere formule di stile, ma ha specificamente indicato gli elementi in base ai quali va apprezzata - in senso negativo - da un lato la concreta gravità del fatto (desunta dal valore assai rilevante della gara "turbata"), dall'altro lato la personalità dell'imputato (che "tenne costantemente informato Bu. sull'andamento della gara e gli comunicò con anticipo l'aggiudicazione della gara per quattro dei cinque lotti").

Si tratta, pertanto, di motivazione non illogica e dunque insindacabile in questa sede di legittimità. L'assai ridotto aumento di pena detentiva a titolo di continuazione (venti giorni di reclusione) esclude in radice qualsivoglia deficit motivazionale, atteso che "in tema di reato continuato, il giudice di merito, nel calcolare l'incremento sanzionatorio in modo distinto per ciascuno dei reati satellite, non è tenuto a rendere una motivazione specifica e dettagliata qualora individui aumenti di esigua entità, essendo in tal caso escluso in radice ogni abuso del potere discrezionale conferito dall'art. 132 cod. pen." (da ultimo, Sez. 6, n. 44428 del 05/10/2022, Spampinato, Rv. 284005 - 01).

Al rigetto del ricorso segue, come per legge, la condanna dell'imputato al pagamento delle spese processuali.

4. Fondato è, invece, il ricorso della parte civile.

4.1. La sentenza impugnata, accertata l'intervenuta prescrizione del reato sub 1 in data 13 febbraio 2023 (e dunque dopo la pronuncia di primo grado che è del 20 luglio 2017), ha disposto la revoca delle statuizioni civili relative a detta imputazione sulla base della seguente argomentazione: "la decisione del Tribunale di Roma è stata annullata quanto all'accertamento della responsabilità penale per il reato di partecipazione all'associazione a delinquere dalla sentenza della Suprema Corte n. 18125/2020 ... ". Ciò, secondo la Corte di appello, avrebbe quindi "determinato la caduta del presupposto ineludibile per la pronuncia ai sensi dell'art. 578, c. 1, c.p.p., non potendo ammettersi la conservazione delle statuizioni di condanna relative alla domanda delle parti civili sulla base di un accertamento della responsabilità rivelatosi erroneo"; "né, del resto, appare possibile fondare la conferma delle statuizioni civili sulla scorta delle valutazioni effettuate in questa sede in relazione all'assenza di presupposti per un proscioglimento nel merito ai sensi dell'art. 129 cod. proc. pen.: infatti, non vi è stato in questo caso alcun accertamento pieno del fatto contestato all'imputato, così come riqualificato dalla Suprema Corte".

4.2. Tale conclusione non è corretta.

Invero, la pronuncia di questa Corte, di annullamento della prima sentenza di appello, "ferma l'esclusione della responsabilità per il reato associativo di cui al capo 1 della rubrica, in difetto del ruolo tipico di associato stante l'assenza di un ruolo nell'organizzazione e della condivisione del programma dell'associazione" aveva devoluto al giudizio rescissorio "la verifica dell'ipotesi del concorso eventuale ex art. 110 cod. pen. nel reato associativo, nei limiti già delineati dal giudice del merito".

La seconda sentenza di annullamento pronunciata dalla Sez. 2 (alla quale è seguita quella di appello ora impugnata) ha evidenziato che "Risulta che la posizione del ricorrente è stata definita mediante il concordato ex art. 599-bis cod. proc. pen. nei seguenti termini: la pena base è stata stabilita "per il più grave reato ex art. 416 c.p. sub 1 del primo decreto", apportando, poi, aumenti per la continuazione (già ritenuta dalla sentenza di annullamento) tra i reati di traffico di influenze illecite di cui al capo 11 (così riqualificate le originarie ipotesi di corruzione ex artt. 318 e 319 cod. pen.) e di turbativa d'asta di cui al capo 12 del primo decreto di giudizio immediato. Pertanto, la pena base, in ragione del testuale riferimento al reato associativo base e al capo 1 della rubrica (che individuava anche la specifica condotta di partecipe del ricorrente) è stata determinata dalla Corte di merito in violazione del dictum della Corte regolatrice che detta ipotesi aveva escluso con efficacia di giudicato implicito. ... Ammessa, dunque, la facoltà per le parti di addivenire al concordato rinunziando ai motivi ancora "persistenti" dopo la sentenza di annullamento, la sentenza impugnata ha rideterminato la pena base, ex art. 599-bis cod. proc. pen., su una ipotesi di reato (la partecipazione all'associazione per delinquere di cui al capo 1) la cui sussistenza era stata esclusa dalla sentenza di annullamento della S.C. e, in relazione alla quale, la proposta di concordato tendeva sicuramente ad un risultato differente (quantomeno in termini qualificatori), così finendo non solo per violare il giudicato interno imposto dalla sentenza di annullamento che escludeva nei confronti dell'imputato la condotta di partecipazione al sodalizio, ma anche per essere difforme dai "termini" dell'accordo e dalla volontà espressa sul punto dall'imputato ... ".

4.3. Pertanto, a fronte della condanna dell'imputato per partecipazione ex art. 416 cod. pen. in primo grado (nel cui ambito era stata disposta la condanna civile in favore del Ministero dell'Interno) e all'annullamento, da ultimo, con la sentenza di questa Corte (Sez. 2, n. 42052 del 29/09/22, Ca. e altri) che, da un lato, ha escluso che potesse sussistere la partecipazione e, dall'altro, ha invitato la Corte territoriale a verificare se erano riscontrabili i presupposti del "concorso esterno" (presupposti in effetti individuati dalla sentenza impugnata), non risulta corretta la decisione - adottata dalla sentenza ora impugnata - di revocare le statuizioni civili. Infatti, la Corte territoriale ha sovrapposto il giudizio relativo all'ambito applicativo del secondo comma dell'art. 129 alla disciplina contenuta nell'art. 578 cod. proc. pen. Invero, "la formula di proscioglimento nel merito prevale sulla dichiarazione di improcedibilità per intervenuta prescrizione soltanto nel caso in cui sia rilevabile, con una mera attività ricognitiva, l'assoluta assenza della prova di colpevolezza a carico dell'imputato ovvero la prova positiva della sua innocenza, e non anche nel caso di mera contraddittorietà o insufficienza della prova che richiede un apprezzamento ponderato tra opposte risultanze" (ex multis, Sez. 6, n. 10204 del 22/01/2014, Culicchia, Rv. 259445 - 01 che, in applicazione del principio, ha escluso l'operatività della disposizione dettata dall'art. 129, comma secondo, cod. proc. pen. in una vicenda in cui, ai fini della pronuncia assolutoria, sarebbe stata necessaria una verifica sulla attendibilità delle dichiarazioni testimoniali anche alla luce di un raffronto con altre evidenze probatorie).

Ne consegue che - correttamente - la sentenza impugnata ha esaminato le risultanze probatorie al fine di verificare se, pur in presenza dell'accertata prescrizione del reato di cui al capo 1 (come detto diversamente qualificato), emergesse l'evidenza dell'innocenza dell'imputato (verifica che ha avuto esito negativo). A questo punto, avrebbe però dovuto applicare l'art. 578, comma 1, cod. proc. pen., che, come è noto, stabilisce che "quando nei confronti dell'imputato è stata pronunciata condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato, a favore della parte civile, il giudice di appello ..., nel dichiarare il reato estinto per amnistia o per prescrizione, decide sull'impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili".

La statuizione sul punto della Corte territoriale che ha, da un lato, ritenuto insussistenti i presupposti per l'assoluzione nel merito dell'imputato dal reato ritenuto esistente (ossia il concorso esterno) e, dall'altro lato, revocato le statuizioni civili disposte in primo grado per detto capo, risulta contraddittoria, atteso che "l'obbligo del giudice di appello, nel dichiarare estinto per prescrizione il reato per il quale in primo grado sia intervenuta condanna, di decidere sull'impugnazione agli effetti civili è rispettato anche quando, pur riferendosi alla mancanza di prova dell'innocenza dell'imputato ai sensi dell'art. 129, comma secondo, cod. proc. pen., abbia, nella sostanza, esaminato compiutamente i motivi di impugnazione, compiendo un esauriente apprezzamento in ordine alla responsabilità dell'imputato" (così, Sez. 3, n. 12387 del 21/02/2017, Preziosi, Rv. 270308 - 01): presupposti, questi, richiesti per la operatività del citato art. 578, illogicamente esclusa dalla Corte di appello.

4.4. Non ritiene il Collegio condivisibile neppure il rilievo dell'imputato secondo cui "il presupposto per l'applicazione dell'art. 578 cod. proc. pen. è l'esistenza di una sentenza di condanna che attenga - però - ad uno specifico titolo di reato. Ebbene, nel caso di Pa.Fr. ciò non è avvenuto; egli, infatti, non è mai stato condannato per il reato di cui agli artt. 110,416 c.p. (c.d. concorso esterno in associazione "semplice")".

Infatti, Pa.Fr. è stato, sin dal primo grado, condannato (penalmente e per le statuizioni civili) in relazione a un identico fatto di reato, che è stato dapprima qualificato come "partecipazione ex art. 416 cod. pen." e successivamente - a seguito dell'esclusione di tale qualità da parte della prima sentenza rescindente di questa Corte - quale "concorrente esterno" nell'associazione per delinquere: la sentenza ora impugnata ha, con congrua motivazione, risolto la questione, devoluta dalla prima sentenza di annullamento con rinvio e ribadita dalla seconda sentenza rescindente, in termini positivi: ha infatti affermato (pag. 5 ss.) che a carico dell'imputato sussistevano gli estremi del reato di "concorso esterno", per il quale è maturata la prescrizione.

4.5. Invero, la Corte territoriale ha dapprima elencato i diversi elementi probatori dai quali emergeva il coinvolgimento dell'imputato nei fatti qualificabili come "concorso esterno"; in particolare ha fatto riferimento: alle vicende inerenti lo sblocco dei crediti a favore delle cooperative di Bu. verso l'AMA, per cinque milioni di Euro, ottenuto tramite l'efficace opera di Pa.Fr., nonché l'analogo sblocco dei crediti in favore di EUR S.p.a, sempre in favore di Bu.; all'intervento dell'imputato nella gara di appalto per la raccolta dei rifiuti organici nel Comune di R, ove Pa.Fr. concordò con Bu. il contenuto dei provvedimenti di assegnazione dei lotti prima della loro aggiudicazione; alle conversazioni telefoniche captate che dimostrano i frequenti incontri tra Bu. e Pa.Fr. e il chiaro interessamento di Ca. nelle vicende in cui si era attivato l'imputato; ai riscontri documentali delle somme ricevute da Pa.Fr. o dalle Fondazioni a lui riferibili in ragione della sua attività illecita. Elementi dai quali "appare evidente che l'attività svolta nel tempo dall'imputato abbia offerto un più che concreto contributo all'effetto di conservazione delle capacità operative e al rafforzamento del gruppo criminale di cui Bu. costituiva il vertice. Il quadro probatorio è, in tal senso, granitico e certamente non ribaltabile con una constatazione ictu oculi" (pag. 7). In ordine all'elemento soggettivo proprio del "concorso esterno", viene rilevato (pag. 8) che vi sono elementi di prova (stretti rapporti tra Pa.Fr. e Bu.; contatti dell'imputato con Ca., soggetto partecipe del sodalizio criminoso, da cui Pa.Fr. aveva ricevuto somme di denaro nell'ambito delle vicende volte a favorire le cooperative riferibili a Bu.; contatti tra l'imputato e Gr.Lu., definito come uomo politico di riferimento di Bu. e Ca. e partecipe dell'associazione facente capo a costoro) "che offrono precise indicazioni sulla sussistenza del dolo richiesto dalla norma e che dovrebbero essere oggetto di accurata analisi e valutazione per condurre a una pronuncia assolutoria nel merito" aggiungendo però che "tale apprezzamento risulta precluso dall'intervenuta prescrizione del reato" (pag. 8).

4.6. Ciò premesso, va osservato che è pacifico che a carico di Pa.Fr. era intervenuta in primo grado pronuncia di condanna - seppur per la fattispecie di partecipazione all'associazione ex art. 416 cod. pen. - prima dell'intervenuta prescrizione.

Né può ritenersi applicabile - come invocato dall'imputato - il principio affermato da Sez. 6, n. 27725 del 22/03/2018, Princi, Rv. 273679 - 01, secondo cui "in presenza di una causa di estinzione del reato, non può il giudice d'appello, al fine di pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell'art. 129, comma 2, cod. proc. pen., compiere attività ulteriori rispetto alla mera constatazione di circostanze - emergenti "ictu oculi" dagli atti - idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la sua commissione da parte dell'imputato ovvero la sua rilevanza penale, neppure quando una tal causa di estinzione sia maturata con riferimento ad un reato oggetto di riqualificazione da parte del giudice di primo grado ed il giudice d'appello sia investito contemporaneamente della questione relativa alla legittimità di siffatta riqualificazione e di quella relativa alla fondatezza nel merito dell'accusa".

Infatti, detta sentenza è relativa a fattispecie nella quale, diversamente da quanto ora è all'esame della Corte, la prescrizione dei reati era maturata in epoca antecedente alla pronuncia di primo grado e, dunque, risultavano (come ha cura di precisare la sentenza in oggetto: pag. 12) chiaramente insussistenti i presupposti per l'operatività della disciplina dell'art. 578 cit., che richiede inderogabilmente che la causa estintiva sia intervenuta successivamente alla condanna in primo grado o in appello (da ultimo, Sez. 2, n. 28558 del 02/07/2024, Monetti, Rv. 286725 -01).

5. Per le suesposte considerazioni, il ricorso proposto dalla parte civile deve essere accolto. Segue l'annullamento della sentenza impugnata, limitatamente agli effetti civili, con rinvio per nuovo giudizio in ordine alla conferma o meno delle statuizioni civili ai sensi dell'art. 578 cod. proc. pen. alla Corte di appello civile di Roma. Il Giudice del rinvio provvederà altresì alla regolazione delle spese tra le partì per questo grado di legittimità.

P.Q.M.

In accoglimento del ricorso proposto dalla Parte civile Ministero dell'Interno, annulla la sentenza impugnata limitatamente agli effetti civili, con rinvio per nuovo giudizio sul punto al Giudice civile competente per valore in grado di appello, cui rimette anche la liquidazione delle spese tra le parti per questo grado di legittimità.

Rigetta il ricorso del Pubblico Ministero.

Rigetta altresì il ricorso proposto da Pa.Fr. e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2024.

Depositata in Cancelleria il 10 dicembre 2024.

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