Il ricorso per cassazione deve essere chiaro, ordinato e conforme ai criteri previsti dall'art. 606 c.p.p. In caso contrario, scatta l'inammissibilità.
Lo ha ribadito la la Seconda Sezione Penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 46838 del 19 dicembre 2024,
La vicenda
Il caso riguarda un uomo accusato di estorsione e inizialmente sottoposto a custodia cautelare in carcere. Successivamente, il regime è stato sostituito con gli arresti domiciliari, ma tre episodi di evasione segnalati nel giugno e luglio 2024 hanno portato il Tribunale di Genova ad accogliere la richiesta del pubblico ministero di aggravare la misura, disponendo nuovamente la custodia in carcere ai sensi dell'art. 276, comma 1-ter, c.p.p.
Il ricorrente, tramite il proprio difensore, ha contestato:
la gravita' indiziaria per il delitto di estorsione;
l’esclusione della lieve entità delle condotte di evasione;
la configurabilità del reato di violenza privata al posto dell’estorsione.
Tuttavia, la Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile per la sua natura generica, confusa e inconferente rispetto ai motivi dedotti.
I principi di diritto
La Corte ha sottolineato che un ricorso deve:
Seguire un'esposizione logica e ordinata dei motivi, evitando argomentazioni disarticolate o caotiche.
Contenere un inquadramento preciso delle doglianze nei vizi di legittimità previsti dall'art. 606 c.p.p.
Essere redatto conformemente al Protocollo d'intesa tra Corte di Cassazione e Consiglio Nazionale Forense del 17 dicembre 2015, che detta regole redazionali per i ricorsi in materia penale.
Non spetta infatti alla Cassazione rielaborare ricorsi caotici per individuare eventuali motivi utili. Questo orientamento è stato confermato in precedenti pronunce (Cass. Sez. 6, n. 57224/2017; Sez. 2, n. 57737/2018; Sez. 2, n. 29607/2019).
Soluzione del caso concreto
La Suprema Corte ha rilevato che:
Il ricorso si sviluppava in modo confuso e poco perspicuo, con argomentazioni che non criticavano in modo concludente il provvedimento impugnato.
La censura relativa alla lieve entità delle condotte di evasione era infondata, in quanto il Tribunale per il riesame aveva motivato adeguatamente:
I ripetuti allontanamenti dal domicilio, avvenuti per ore e con modalità che compromettevano le esigenze cautelari.
La simulazione di emergenze sanitarie da parte dell'indagato per giustificare una delle evasioni.
In caso di violazione delle prescrizioni domiciliari, se ritenuta non di lieve entità, la misura deve essere obbligatoriamente revocata e sostituita con la custodia in carcere (Cass. Sez. 2, n. 31572/2017; Sez. 4, n. 44410/2019).
Conclusione
La pronuncia ribadisce che la chiarezza e l'ordine nella redazione dei ricorsi sono requisiti imprescindibili. La Cassazione non può supplire alle lacune dei difensori, e ricorsi disordinati o generici conducono inevitabilmente all'inammissibilità, con conseguenze gravose per il ricorrente, incluse spese processuali e sanzioni pecuniarie.
Cassazione penale, sez. II, sentenza 24/10/2024 (dep. 19/12/2024) n. 46838
RITENUTO IN FATTO
1. Con l'impugnata ordinanza, il Tribunale per il riesame di Genova rigettava l'appello proposto, ai sensi dell'art. 310 cod. proc. pen., nell'interesse di Se.De. avverso il provvedimento emesso in data 24/07/2024 dal Tribunale di Genova che:
- respingeva la richiesta difensiva di sostituzione con l'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria della misura cautelare degli arresti domiciliari, applicata a Se.De. il 19 aprile 2024 per il delitto di estorsione in luogo di quella carceraria originariamente disposta in data 25/03/2024;
- accoglieva l'istanza del pubblico ministero di aggravamento, ai sensi dell'art. 276 comma 1 ter cod. proc. pen., del regime domiciliare in essere con la custodia in carcere in ragione delle tre condotte di evasione dal domicilio segnalate dalle forze dell'ordine in data 13 giugno, 15 luglio e 22 luglio 2024.
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso in cassazione l'indagato tramite il difensore fiduciario contestando il requisito della gravità indiziaria per il delitto di estorsione e la ritenuta esclusione della lieve entità del fatto con riferimento alle condotte di evasione, prospettando altresì la configurabilità della diversa fattispecie di cui all'art. 619 (rectius 610) cod. pen. e al riguardo ha svolto le seguenti considerazioni:
- al momento del fermo disposto nei confronti dell'indagato non sussisteva pericolo di fuga;
- le dichiarazioni rese dalle parti offese sono" deludenti" quanto alla configurabilità in loro danno del delitto di estorsione, in particolare la presunta vittima Fl. ha delineato un mero tentativo in tal senso, il teste Vi. ha escluso di essere stato costretto a versare denaro e ha riferito di avere ottenuto un semplice prestito;
- i carabinieri che hanno redatto le comunicazioni di notizia di reato per le condotte di evasione devono essere ancora sentiti dal giudice.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile per genericità in quanto, nella sua tecnica espositiva e nei contenuti proposti, non esprime una critica concludente al provvedimento impugnato.
2. In ragione della peculiari connotazioni dell' impugnazione proposta, va preliminarmente ricordato il consolidato orientamento di legittimità, che qui si intende ribadire, secondo cui è inammissibile il ricorso per cassazione che si sviluppi mediante un'esposizione disordinata, generica, caotica ed inconferente dei motivi proposti, che fuoriesca dai canoni di una ragionata censura del percorso motivazionale della sentenza impugnata e non contenga un ordinato inquadramento delle ragioni di doglianza nella griglia dei vizi di legittimità deducibili ai sensi dell'art. 606 cod. proc. pen., non potendo attribuirsi al giudice di legittimità la funzione di rielaborare l'impugnazione al fine di estrarre, dal coacervo indifferenziato delle doglianze, quelle suscettibili di un utile scrutinio; si è in proposito più volte precisato che, al fine della valutazione dell'ammissibilità dei motivi di ricorso, va considerato, quale strumento esplicativo del dato normativo dettato dall'art. 606 cod. proc. pen., il "Protocollo d'intesa tra Corte di cassazione e Consiglio Nazionale Forense sulle regole redazionali dei motivi di ricorso in materia penale", sottoscritto il 17 dicembre 2015 (Sez. 6, n. 57224 del 09/11/2017, Longo, Rv. 271725; Sez. 2, n. 57737 del 20/09/2018, Obambi, Rv. 274471; Sez. 2, n. 29607 del 14/05/2019, Castaldo, Rv 276748; Sez. 2, n. 38676 del 24/05/2019, Onofri, Rv. 277518; Sez. 2, n. 3126 del 29/11/2023, Vaccaro, Rv. 255808).
3. Tanto premesso, osserva questo Collegio che il ricorso in esame si sviluppa in poco più di una pagina e contiene considerazioni di tenore confuso e scarsamente perspicuo (a tratti, addirittura poco comprensibili) con le quali il ricorrente parrebbe censurare il giudizio di gravità indiziaria per il delitto di estorsione proponendo una alternativa lettura delle dichiarazioni delle persone offese e ventilando una riqualificazione giuridica del fatto oggetto di incolpazione provvisoria in termini di violenza privata.
Trattasi di doglianza che, da un lato, è esposta affastellando una serie di argomentazioni disarticolate tali da rendere il percorso impugnatorio non lineare e poco intellegibile e, dall'altro, si palesa comunque del tutto inconferente atteso che l'oggetto dell'appello difensivo da cui ha avuto origine l'ordinanza qui impugnata non riguardava affatto la sussistenza del requisito di cui all'art. 273 cod. proc. pen. (che in questa sede parrebbe essere censurata), bensì il provvedimento con il quale, in accoglimento di richiesta del pubblico ministero, era stata disposta la sostituzione della misura cautelare domiciliare con la custodia in carcere ai sensi dell'art. 276, comma 1 ter, cod. proc. pen.
4. Ove anche si voglia intravedere, nelle pieghe del ricorso, una critica alla ritenuta esclusione della lieve entità delle condotte di evasione che ha condotto all'aggravamento cautelare (si veda il primo ed il secondo rigo della pagina 2 dell'atto di impugnazione), non può che rilevarsi la correttezza delle argomentazioni svolte sul punto dal Tribunale del riesame.
Con adeguata motivazione logica, l'ordinanza impugnata (pagg. 3 e 4) ha evidenziato i reiterati allontanamenti dal domicilio (ben tre nell'arco temporale di un solo mese), le concrete modalità degli stessi (avvenuti per ore, anche di notte, recandosi in un comune addirittura diverso da quello di residenza, e in un'occasione presso una sala Bingo, con conseguente rilevante sottrazione alla costante possibilità di controllo da parte della polizia giudiziaria); ha poi sottolineato come l'indagato, una volta emersa la terza condotta di evasione, aveva anche simulato di essere uscito dal domicilio per emergenze sanitarie, risultate inesistenti.
Si tratta di un costrutto aderente al consolidato orientamento di legittimità secondo cui per la valutazione della "lieve entità" il giudice deve verificare se la trasgressione abbia rivestito o meno connotazioni tali da rendere manifesta l'inidoneità della misura domiciliare in atto a salvaguardare le esigenze cautelari e tale vaglio va condotto alla stregua delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da essa desumibile e dell'entità del danno o del pericolo che ne è derivato (Sez. 6, n. 8071 del 16/12/2020, P. , Rv. 281153).
E va anche sottolineato che nell'ipotesi di trasgressione alle prescrizioni concernenti il divieto di allontanarsi dal luogo di esecuzione degli arresti domiciliari, ove ritenuta non di lieve entità, la misura va revocata obbligatoriamente e sostituita con la custodia cautelare in carcere, non dovendo il giudice previamente valutare l'idoneità degli arresti domiciliari con modalità elettroniche di controllo (Sez. 2, n. 31572 del 08/06/2017, Caterina, Rv. 270463; Sez. 4 n. 44410 del 15/10/2019, Guidoni, Rv. 277696).
5. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cast. 13 giugno 2000 n. 186), al versamento della somma di Euro tremila a favore della Cassa delle ammende, che si ritiene equa considerando che l'impugnazione è stata esperita per ragioni manifestamente infondate.
6. Ai sensi dell'art. 94, comma 1-ter, disp. att., cod. proc. pen., la condizione detentiva del ricorrente impone al direttore dell'istituto penitenziario di provvedere agli adempimenti indicati al comma 1-bis della medesima disposizione normativa.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94, comma 1-ter disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma il 24 ottobre 2024.
Depositata in Cancelleria il 19 dicembre 2024.