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Ricorsi via PEC a indirizzo errato? Per la Cassazione è inammissibile

Corte di Cassazione, sez. I Penale, Sentenza n.47557 del 29/11/2024 (dep. 30/12/2024)

Il ricorso per Cassazione inviato a un indirizzo PEC errato è inammissibile.

È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione nella recente sentenza n. 47557 depositata il 30 dicembre 2024, che ha dichiarato inammissibile un ricorso trasmesso a un indirizzo PEC non deputato a ricevere atti di impugnazione.

La vicenda nasce dal ricorso di un imputato, contro un'ordinanza del Tribunale di Foggia, confermata dalla Corte di Appello di Bari e ormai divenuta irrevocabile. Il ricorso era stato inviato all'indirizzo [email protected], mentre l'indirizzo corretto era [email protected].

La Suprema Corte richiama l'articolo 87-bis, comma 7, lettera c), del D.lgs. n. 150/2022, che prevede l'inammissibilità di un'impugnazione trasmessa a un indirizzo telematico diverso da quello specificato dal Direttore Generale per i Sistemi Informativi Automatizzati (DGSIA). La normativa mira a garantire la semplificazione del processo telematico, evitando che errori formali rallentino il procedimento giudiziario.

Secondo la Corte, l’indirizzo PEC utilizzato dal ricorrente, pur presente nell’elenco ufficiale del Ministero della Giustizia, non era riferibile all'ufficio competente per ricevere gli atti di impugnazione. Questo errore è stato sufficiente a dichiarare il ricorso inammissibile, sottolineando come sia responsabilità del ricorrente utilizzare l'indirizzo corretto.

L'Unione delle Camere Penali Italiane (UCPI) critica il rigore formale adottato dalla Cassazione. La distinzione tra i diversi indirizzi PEC, infatti, sarebbe frutto di provvedimenti organizzativi interni dei capi degli uffici, privi di forza normativa e quindi incapaci di giustificare una sanzione tanto grave come l'inammissibilità di un ricorso.

Gli avvocati penalisti evidenziano che questa interpretazione rischia di compromettere il diritto di difesa, negando all'imputato l'accesso a un grado di giudizio. Inoltre, hanno ricordato come in precedenti decisioni si sia riconosciuta la validità di invii PEC che, pur indirizzati a caselle diverse, avevano comunque raggiunto lo scopo previsto.

Il dibattito resta aperto: il bilanciamento tra efficienza del processo e garanzia dei diritti dell’imputato richiederà ulteriori interventi normativi o interpretativi per evitare che formalismi procedurali mettano a rischio i principi fondamentali del sistema penale.

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Cassazione penale, sez. I, sentenza 29/11/2024 (dep. 30/12/2024) n. 47557

RITENUTO IN FATTO


1. Con ordinanza emessa in data 18 settembre 2024 il Tribunale di Foggia, quale giudice dell'esecuzione, ha respinto l'istanza con cui Ma.Ci. ha chiesto l'annullamento dell'ordine di esecuzione della sentenza emessa a suo carico in data 15 dicembre 2017 dal Tribunale di Foggia, confermata dalla Corte di appello di Bari in data 23 giugno 2022 e divenuta irrevocabile il 19 maggio 2023.

Il Tribunale ha rilevato che l'istante sosteneva di avere presentato ricorso per cassazione avverso tale condanna, depositandolo all'indirizzo telematico [email protected], circostanza da cui era sorto un disguido con la Corte di appello, che non aveva trasmesso l'atto alla Corte di cassazione. Ha però ritenuto che tale indirizzo fosse errato, perché diverso da quello assegnato dal DGSIA all'ufficio impugnazioni della Corte di appello di Bari, e che sia stata perciò legittima l'omessa trasmissione del ricorso alla Corte di cassazione.

2. Avverso l'ordinanza ha proposto ricorso Ma.Ci., per mezzo del suo difensore avv. Nicola Latrofa, articolando due motivi.

2.1. Con il primo motivo deduce l'inosservanza di norme processuali, con violazione dell'art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen.

L'ordinanza ignora la disciplina transitoria in materia di deposito degli atti penali, secondo cui fino al 31/12/2024 è consentito il deposito degli atti di impugnazione sia in forma cartacea sia agli indirizzi di posta certificata indicati dal DGSIA. La sentenza impugnata è stata emessa dalla terza sezione della Corte di appello di Bari, e quindi correttamente il ricorso è stato inviato all'indirizzo PEC [email protected], che è uno degli indirizzi indicati dal DGSIA come abilitati a ricevere le impugnazioni.

2.2. Con il secondo motivo di ricorso deduce il vizio della motivazione, con violazione dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.

L'ordinanza afferma, contraddittoriamente, che ad ogni sezione penale della Corte di appello di Bari è stata assegnata una casella PEC, mentre poi sostiene che all'ufficio impugnazioni, che è unico per tutte le sezioni, è associato il solo indirizzo [email protected], affermazione che contrasta con quella dello stesso sito del Ministero, nel quale alla sezione terza della Corte di appello è associato l'indirizzo utilizzato dal ricorrente.

3. Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto l'annullamento del provvedimento impugnato, con rinvio per un nuovo giudizio, essendo stata l'impugnazione depositata all'indirizzo PEC della terza sezione penale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in entrambi i suoi motivi.

2. Il primo motivo di ricorso è inammissibile per carenza di interesse.

L'affermazione del ricorrente circa la possibilità, in questo regime intertemporale che è stato protratto sino al 31/12/2024, di depositare l'atto di impugnazione, in forma cartacea, direttamente all'ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato, ovvero circa la mera facoltatività del deposito in via telematica, è irrilevante. Il ricorrente stesso ha scelto la forma di deposito dell'atto di impugnazione in via telematica, ed era pertanto tenuto al rispetto delle formalità per esso previste, in particolare quella di invio all'indirizzo telematico assegnato all'ufficio in questione, cioè l'ufficio impugnazioni della Corte di appello di Bari.

3. Anche il secondo motivo di ricorso è inammissibile.

Non vi è dubbio che il ricorso per cassazione è stato inviato alla Corte di appello competente, tramite il suo deposito presso l'ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato, come attualmente stabilito dall'art. 87-bis, comma 4, D.Lgs. n. 150/2022. L'art. 87-bis D.Lgs. n. 150/2022, come ricordato anche dal ricorrente, al comma 1 stabilisce che, sino all'entrata a regime del processo penale telematico, è consentito il deposito con valore legale, effettuato presso gli indirizzi PEC degli uffici giudiziari destinatari, "indicati in apposito provvedimento del Direttore generale per i sistemi informativi automatizzati, pubblicato nel portale dei servizi telematici del Ministero della giustizia". Ai commi 3, 4 e 6 si prevede che l'atto di impugnazione - che non sia una richiesta di riesame o l'appello contro ordinanze in materia di misure cautelari personali o reali - debba essere trasmesso, secondo le modalità indicate dal citato provvedimento del DGSIA, all'indirizzo PEC dell'ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato.

Diversamente da quanto asserito dal ricorrente, però, l'indirizzo PEC utilizzato, pur compreso nell'elenco pubblicato nel portale dei servizi telematici del Ministero della Giustizia, non è riferibile all'ufficio della Corte di appello di Bari deputato a ricevere gli atti di impugnazione. A questo ufficio, infatti, risulta assegnato l'indirizzo PEC [email protected], diverso, quindi, da quello utilizzato dal ricorrente: la verifica sul sito web del Ministero della Giustizia consente, infatti, di accertare che il documento allegato al ricorso è incompleto, in quanto non riporta tutti gli uffici a cui è assegnato il predetto indirizzo, essendo, in particolare, privo della indicazione dell'Ufficio Impugnazione. Ai sensi dell'art. 87-bis, comma 7, lett. c), D.Lgs. n. 150/2022, l'utilizzo di un indirizzo telematico diverso comporta l'inammissibilità dell'impugnazione, verificandosi il caso in cui l'atto risulta trasmesso "a un indirizzo di posta elettronica certificata non riferibile, secondo quanto indicato dal provvedimento del Direttore generale per i sistemi informativi automatizzati… all'ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato".

Ad avviso del collegio, detta norma non può essere oggetto di interpretazioni dirette a valorizzare la capacità del deposito non legittimo di raggiungere lo scopo a cui l'atto di ricorso è diretto. L'art. 12 delle preleggi, nel dettare le principali regole di interpretazione, dispone che nell'applicare la legge "non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore", e non vi è dubbio che la volontà del legislatore, nel caso di specie, è quella di realizzare un "percorso telematico" con finalità di semplificazione. Legittimare la possibilità di scrutinare, caso per caso, l'"effettività" dell'inoltro del ricorso presso indirizzi di posta non abilitati implicherebbe, infatti, l'affidamento della legittimità della progressione processuale ad imprevedibili - in quanto non imposti dal legislatore - controlli della cancelleria su caselle di posta non abilitate al ricevimento delle impugnazioni. In tal modo si contravviene alla ratio di semplificazione delle comunicazioni e di accelerazione dell'iter processuale, che informa la revisione delle regole del processo penale effettuata dal D.Lgs. n. 150/2022.

Deve, pertanto, ribadirsi il principio stabilito da questa Corte, secondo cui "In tema di impugnazioni, è inammissibile il ricorso per cassazione depositato telematicamente presso un indirizzo di posta elettronica certificata diverso da quello indicato nel decreto del Direttore generale per i sistemi informativi automatizzati di cui all'art. 87-bis, comma 1, D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150. (In motivazione, la Corte ha precisato che la ratio, sottesa alla citata disposizione, di semplificazione delle comunicazioni tra parti e uffici giudiziari e di accelerazione degli adempimenti di cancelleria non ammette interpretazioni che attenuino il rigore delle cause di inammissibilità previste dalla legge, nemmeno valorizzando l'idoneità della notifica al "raggiungimento dello scopo")" (Sez. 2, n. 11795 del 21/02/2024, Rv. 286141)

4. Il diverso indirizzo giurisprudenziale, ribadito da ultimo dalla sentenza Sez. 6, n. 4633 del 09/11/2023, dep. 2024, Rv. 286056, che valorizza l'idoneità della notifica al "raggiungimento dello scopo", non è convincente e si traduce in una disapplicazione, di fatto, della sanzione della inammissibilità stabilita dal legislatore. Tale indirizzo ritiene di conformarsi al principio del favor impugnationis, ma la sentenza Sez. U, n. 1626 del 24/09/2020, dep. 2021, Bottari, Rv. 280167, relativa alle impugnazioni cautelari, ha precisato che tale principio "non può, tuttavia, tradursi

nell'attribuzione al diritto vivente di una potestà integrativa della voluntas legis, né quindi consentire l'individuazione di diverse forma di presentazione del ricorso rispetto a quelle volute dal legislatore", ed ha ribadito che, in ogni caso rimane "a carico del ricorrente il rischio che l'impugnazione, ove presentata ad un ufficio diverso, sia dichiarata inammissibile per tardività, in quanto, escluso comunque che sulla cancelleria incomba l'obbligo di trasmissione degli atti al giudice competente ex art. 582, comma 2, cod. proc. pen., la data di presentazione rilevante ai fini della tempestività è quella in cui l'atto perviene all'ufficio competente a riceverlo".

Pertanto, non sussistendo un obbligo della cancelleria a cui è associato l'indirizzo PEC [email protected] di trasmettere tempestivamente il ricorso ricevuto all'indirizzo corretto, ovvero all'ufficio impugnazioni, il rischio di tale omessa trasmissione, o della sua tardività, rimane a carico del ricorrente, il quale non può dolersi della dichiarazione di inammissibilità, in quanto conseguente ad un suo errore e, in questo caso, all'applicazione di una sanzione processuale stabilita esplicitamente dal legislatore.

Deve, peraltro, ricordarsi che anche nel caso della presentazione del ricorso ad un giudice incompetente, in relazione al quale l'art. 568, comma 5, cod. proc. pen. stabilisce il dovere di trasmissione al giudice competente, questa Corte ha sempre affermato che la data di presentazione di cui tenere conto è quella in cui l'atto perviene al giudice competente, con la conseguenza che in caso di trasmissione tardiva l'impugnazione deve, in ogni caso, essere dichiarata inammissibile (Sez. 1, n. 1419 del 28/02/2000, Rv. 216084). Nel caso di specie, peraltro, non è applicabile la norma sopra citata, dal momento che "La disposizione dell'art. 568, comma quinto, cod. proc. pen. -secondo cui l'impugnazione proposta a giudice incompetente deve essere da questo trasmessa a quello competente - non può considerarsi principio generale applicabile al di fuori della materia delle impugnazioni, atteso che tale regola vale esclusivamente nel caso in cui l'erronea individuazione del giudice dipenda da errata qualificazione del mezzo di impugnazione dovendo altrimenti ritenersi inammissibile il gravame" (Sez. 4, n. 29246 del 18/096/2013, Rv. 255464).

Nel caso di specie non vi è stato un errore del ricorrente nella qualificazione del mezzo di impugnazione, ma un errore nella individuazione dell'indirizzo telematico competente a ricevere il ricorso. L'ordinanza impugnata afferma, correttamente, che i vari indirizzi PEC associati alla Corte di appello di Bari attengono ai singoli uffici e ai singoli adempimenti indicati nel provvedimento del DGSIA: pertanto non vi è dubbio che, mentre le comunicazioni dirette alla terza sezione penale di quella Corte di appello devono essere inviate all'indirizzo PEC utilizzato dal ricorrente, le impugnazioni avverso tutte le sentenze emesse devono essere inviate all'indirizzo PEC [email protected]

All'errore di trasmissione dell'atto consegue, quindi, la sanzione della inammissibilità stabilita dal legislatore per l'utilizzo di un indirizzo telematico diverso da quello previsto.

6. Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile.

Alla dichiarazione di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e in mancanza di elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che si stima equo determinare in € 3.000,00.respinto, e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Così è deciso in Roma, il 29 novembre 2024.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2024.

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