L'installazione e l'uso di telecamere nascoste nella propria dimora per registrare la vita privata di conviventi ignari costituisce reato?
È il quesito che si pone la Quinta Sezione penale della Cassazione con la sentenza n. 4840 depositata il 2 febbraio 2024.
Nel caso di specie, un uomo aveva installato un sistema di videoregistrazione all'interno della propria abitazione, catturando immagini della vita privata della convivente e dei figli, senza il loro consenso. Il Tribunale di Roma, investito della vicenda, riconosceva l'esistenza del fumus del reato di interferenze illecite nella vita privata ex art. 615 bis del codice penale, confermando il sequestro preventivo dell'impianto di registrazione. L'imputato ricorreva in Cassazione.
La Suprema Corte ribadisce che l'art. 615 bis Cp punisce chi si procura indebitamente notizie o immagini della vita privata altrui, evidenziando come la tutela della privacy non venga meno all'interno delle mura domestiche, anche in presenza di legami familiari o di convivenza.
La Cassazione ha chiarito che, affinché non vi sia reato, è necessario che la registrazione avvenga con la partecipazione e il consenso dei soggetti coinvolti. In assenza di questi elementi, l'atto di registrazione si configura come una violazione della vita privata, indipendentemente dalle intenzioni o dalle giustificazioni addotte dall'indagato.
In conclusione, la sentenza sottolinea come la privacy sia un diritto inviolabile, anche all'interno delle relazioni più intime, come quelle tra conviventi. Installare telecamere nascoste e registrare momenti di vita privata senza un esplicito consenso costituisce reato, rafforzando il principio che la sicurezza domestica non può mai tradursi in una violazione della dignità altrui.
Integra il reato di interferenze illecite nella vita privata di cui all'art. 615-bis cod. pen. la condotta di colui che, mediante l'uso di strumenti di captazione visiva o sonora, all'interno della propria dimora, carpisca immagini o notizie attinenti alla vita privata di altri soggetti che vi si trovino, siano essi stabili conviventi o ospiti occasionali, senza esservi in alcun modo partecipe; ne consegue che detto reato non è configurabile allorché l'autore della condotta condivida con i medesimi soggetti e con il loro consenso l'atto della vita privata oggetto di captazione.
Cassazione penale, sez. V, sentenza 05/12/2023 (dep. 02/02/2024) n. 4840
FATTI DI CAUSA
1. Con ordinanza del 17 luglio 2023, il Tribunale di Roma, sezione per il riesame delle misure cautelari reali, confermava il decreto del Gip del locale Tribunale con il quale si era disposto il sequestro preventivo di un impianto di registrazione di immagini installato nella propria abitazione dall'indagato Ce.Gi. (costituito da tre mini telecamere inserite negli alloggiamenti del sistema di allarme e da una centralina di registrazione) mediante il quale erano state tratte immagini della vita privata della convivente e dei figli, in assenza dell'indagato coabitante, così, pertanto, configurandosi, secondo i giudici della cautela reale, il fumus del delitto di cui all'art. 615 bis cod. pen. in tema di "interferenze illecite nella vita privata".
La condotta contestata si era inserita in una più ampia contesa fra Ce.Gi. e la moglie in allora con lui convivente, Zi.El., dalla quale erano scaturite reciproche denunce per maltrattamenti (anche a danno dei figli minori della coppia) e per lesioni personali.
1.1. Il Tribunale, in risposta ai dedotti motivi di gravame, osservava quanto segue.
La Zi.El. aveva denunciato di essersi accorta delle registrazioni, solo a seguito della loro visione avvenuta a fine settembre 2022, in quanto allegate alla controdenuncia sporta nei suoi confronti dal Ce.Gi., così deducendo la presenza del ricordato impianto di ripresa installato (o fatto installare) dal medesimo, a sua insaputa, nella comune abitazione.
Aveva così disposto una bonifica dell'abitazione, a seguito della quale, il 1 ottobre 2022, erano state rinvenute le tre videocamere in sequestro e, in un mobile della sala, l'impianto di registrazione delle immagini, anch'esso sottoposto al vincolo reale. Le videocamere erano state inserite all'interno dei sensori del sistema di allarme (già da tempo in funzione ed a lei noto).
Il consulente tecnico, incaricato dal pubblico ministero, a seguito della denuncia della Zi.El., aveva confermato la presenza del sistema di registrazione, già rilevato dai tecnici della medesima.
Il Tribunale aveva ritenuto, come si è detto, che si fosse concretato il fumus del contestato delitto, l'art. 615 bis cod. pen., posto che, secondo questa Corte di legittimità, lo stesso si configura anche nel caso in cui sia uno dei conviventi nell'abitazione ad avere installato un sistema di ripresa - di immagini e suoni -destinato però a registrare, in sua assenza, gli atti della vita privata degli altri conviventi (Cass. 36109/2018).
Né le diverse conversazioni registrate, dall'indagato, e intercorse fra questi e la Zi.El. nel maggio del 2022, consentivano di affermare, come assunto dal suo difensore, che la donna fosse al corrente dell'installazione delle videocamere, posto che, dalle frasi proferite, poteva solo dedursi che ella fosse consapevole delle possibili registrazioni dell'ingresso nell'abitazione di estranei, meramente accessorie, pertanto, all'entrata in funzione del sistema di allarme antifurto.
Generica era poi la doglianza, della difesa del prevenuto, circa la possibile manomissione del sistema ad opera della Zi.El. o di chi, per lei, aveva effettuato la ricordata bonifica, dal momento in cui Ce.Gi. si era allontanato dalla comune abitazione.
Né poteva configurarsi la scriminante dell'art. 54 cod. pen., posto che il prevenuto, se avesse temuto per l'incolumità dei figli minori, avrebbe ben potuto, e dovuto, rivolgersi all'autorità inquirente.
2. Propone ricorso l'imputato, a mezzo dei suoi difensori, Avv.ti Vincenzo Perticaro e Giovanni Maria Giaquinto, che hanno sottoscritto distinti atti di impugnazione.
2.1. L'Avv. Perticaro articola due motivi di ricorso.
2.1. Con il primo motivo deduce la violazione di legge, ed in particolare degli artt. 360 e 391 decies cod. proc. pen., ed il vizio di motivazione.
Ricorda, innanzitutto, che:
- l'accusa si era fondata sugli accertamenti effettuati dal consulente del pubblico ministero nel febbraio 2023 (dopo che la persona offesa era già intervenuta sul sistema di allarme ed era stata fatta una bonifica, rispettivamente il 30 settembre ed il 1 ottobre 2022);
- la crisi della coppia datava al febbraio 2022; nel marzo 2022, la persona offesa aveva sporto denuncia per un episodio di lesioni patite dal Ce.Gi. in epoca recente e per altri episodi, molto risalenti nel tempo;
- da aprile 2022, Ce.Gi. aveva scoperto una serie di condotte incongrue della Zi.El. e, fra queste, degli episodi di maltrattamento a danno dei figli, e aveva sporto conseguente querela; le ulteriori integrazioni di denuncia da parte del Ce.Gi. avrebbero dovuto far comprendere alla Zi.El. come egli avesse installato, in casa, delle videocamere;
- nel giugno 2022, la Zi.El. aveva depositato ricorso per la regolamentazione della responsabilità genitoriale e si era riportata alla sua precedente denuncia; Ce.Gi. l'aveva denunciata per calunnia;
- nel settembre 2022, Ce.Gi. aveva depositato ulteriore documentazione, ivi comprese le riprese colte con le videocamere installate, e il 29 settembre ed il 1 ottobre, la Zi.El. aveva, prima, staccato i fili delle telecamere e, poi, fatto bonificare l'intero appartamento;
- nel corso delle indagini preliminari per il presente delitto, il pubblico ministero aveva incaricato un consulente per la verifica di quanto dalla Zi.El. denunciato;
- a fine ottobre 2022, la Zi.El., con i figli minori della coppia, erano stati collocati presso una casa famiglia e l'indagato Ce.Gi. aveva abbandonato l'abitazione.
Se ne deduce, allora, come fosse viziato l'accertamento operato dal consulente del pubblico ministero, nel febbraio 2023, visto che era avvenuto quando le videocamere erano già state scollegate e, quindi, manomesse dalla persona offesa e dai tecnici di sua fiducia.
Il vizio era anche processuale posto che l'accertamento, effettuato ai sensi dell'art. 360 cod. proc. pen., non era stato operato nel contraddittorio delle parti (nessun avviso era stato fatto al Ce.Gi.), che, come si è detto, era mutato lo stato dei luoghi e che lo stesso non era affatto irripetibile.
Peraltro, nello stesso atto del pubblico ministero di conferimento dell'incarico, era stato indicato un nome, tale Fi.Fa., del tutto estraneo ai fatti.
Identiche censure erano state formulate con l'atto di riesame ma non avevano ottenuto congrua confutazione.
2.2. Con il secondo motivo lamenta la violazione di legge, ed in particolare dell'art. 615 bis cod. pen., ed il difetto di motivazione.
Le videoriprese avevano consentito di acclarare la consumazione del delitto di maltrattamenti e, invece, con il loro sequestro, se ne era determinato l'inutilizzabilità (anche a tal fine, la prova del delitto di cui all'art. 572 cod. pen.).
Si sarebbe, invece, dovuto considerare quanto affermato dalla Cassazione nella sentenza n. 25453 del 2011, ove si era precisato che non poteva ritenersi indebita l'intrusione nella vita personale visto che la stessa era stata determinata da una ragione lecita; l'intento, appunto, di raccogliere elementi di prova in ordine alla condotta abusante (con percosse e mortificazioni) della Zi.El. a danno dei figli minori, di 11 e 7 anni, all'epoca dei fatti.
Prove che, difatti, erano state immediatamente poste all'attenzione del pubblico ministero.
Né poteva condividersi quanto affermato dal Tribunale in ordine al fatto che l'installazione delle videocamere avrebbe potuto essere demandata alle autorità, posto che le condotte illecite erano emerse solo dalla visione dei filmati, così che la loro preventiva denuncia non avrebbe potuto essere sporta.
Si doveva poi ricordare che, quanto al delitto di cui all'art. 615 bis cod. pen., lo stesso non si configura quando le immagini siano captate dal dominus loci (Cass. 27160/2018, 14253/2017); e quando il soggetto ritratto ne sia consapevole (come emerge, per la Zi.El., dalle conversazioni con il prevenuto del 22 e del 30 maggio 2022).
2.2. L'Avv. Giaquinto deduce, con l'unico motivo di ricorso, la violazione di legge con riferimento alla ritenuta sussistenza del fumus commissi delicti sia sotto il profilo oggettivo, sia sotto l'aspetto soggettivo.
Quanto le videocamere erano state installate, Ce.Gi. viveva all'interno del medesimo appartamento, così da doversi escludere la configurabilità della condotta vietata dall'art. 615 bis cod. pen., alla luce della giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 27160/2018).
Diversamente da quanto affermato dal Tribunale, poi, le conversazioni, registrate nel maggio 2022 e parimenti prodotte dal Ce.Gi., dimostravano con certezza che la Zi.El. era consapevole della presenza delle telecamere, tanto da averne fatto preciso riferimento.
E tanto che i due avevano discusso anche dell'opportunità di installarne di più grandi. La centralina, poi, ove le immagini restavano registrate, era perfettamente visibile. Né si poteva affermare che la Zi.El. fosse consapevole del loro utilizzo in relazione al solo sistema d'allarme.
Nella sentenza della Cassazione n. 14253/2017 si era precisato che il giudizio sulla illiceità della installazione, perché non a conoscenza dei conviventi, doveva trarsi considerando tutte le deduzioni della difesa a tal proposito, come, invece, il Tribunale non aveva fatto.
Nel provvedimento impugnato, poi, nulla si era argomentato in ordine all'elemento soggettivo del reato: le videocamere erano collocate solo negli ambienti comuni (corridoio, sala, cucina), Ce.Gi. ne aveva parlato con la Zi.El. e Ce.Gi. stesso aveva già denunciato alle autorità le ipotizzate condotte abusanti della donna.
3. Il Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte, nella persona del sostituto Luigi Giordano, ha concluso per l'inammissibilità dei ricorsi.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso (complessivamente proposto dai due difensori) promosso nell'interesse dell'indagato non merita accoglimento.
1. Le censure relative alla ritenuta sussistenza del fumus del contestato reato sono infondate.
L'art. 615 bis cod. pen. punisce "Chiunque mediante l'uso di strumenti di ripresa visiva o sonora, si procura indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita privata svolgentesi nei luoghi indicati nell'articolo 614, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni".
Dalla stessa lettera della norma si deduce che l'oggetto della protezione sono le immagini della vita privata altrui, riprese all'interno del domicilio.
La questione che si è posta - e che si pone nell'odierno giudizio cautelare - è se possa configurarsi il reato nei confronti di chi abbia libero accesso al domicilio all'interno del quale erano avvenute le riprese, in quanto convivente, a qualsiasi titolo, con la persona offesa i cui atti di vita privata erano stati registrati.
Così delimitata la questione, appare evidente come questa Corte abbia costantemente ritenuto che non sia consentita, neppure al convivente, la registrazione di immagini di vita privata altrui, quando lo stesso non ne sia stato parte, posto che, solo in tale ultima evenienza l'atto di vita privata appartiene anche a chi l'abbia registrato (non diversamente, peraltro, dalla registrazione di comunicazioni di cui chi registra sia uno degli interlocutori: vd. Sez. U, n. 36747 del 28/05/2003, Torcasio, Rv. 225466 ove si precisa che la registrazione fonografica di conversazioni o comunicazioni realizzata, anche clandestinamente, da soggetto partecipe di dette comunicazioni, o comunque autorizzato ad assistervi, costituisce prova documentale, e quindi pienamente utilizzabile, del fatto; un orientamento confermato da ultimo Sez. 2, n. 40148 del 06/07/2022, Acanfora, Rv. 283977).
È quanto del resto affermano le seguenti pronunce, in cui si è precisato che:
- integra il reato di interferenze illecite nella vita privata di cui all'art. 615-bis cod. pen. la condotta di colui che, mediante l'uso di strumenti di captazione visiva o sonora, all'interno della propria dimora, carpisca immagini o notizie attinenti alla vita privata di altri soggetti che vi si trovino, siano essi stabili conviventi o ospiti occasionali, senza esservi in alcun modo partecipe; ne consegue che detto reato non è configurabile allorché l'autore della condotta condivida con i medesimi soggetti e con il loro consenso l'atto della vita privata oggetto di captazione (Sez. 5, n. 36109 del 14/05/2018, C., Rv. 273598);
- non integra il delitto di interferenze illecite nella vita privata la condotta di colui che, ammesso ad accedere nell'abitazione del coniuge separato, provveda a filmare, senza consenso, gli incontri tra quest'ultimo e il figlio minore, in quanto l'art. 615-bis, cod. pen., che tutela la riservatezza domiciliare, sanziona la condotta di chi risulti estraneo agli atti - oggetto di captazione - di vita privata, ossia agli atti o vicende della persona in luogo riservato e non quella di chi sia stato ammesso, sia pure estemporaneamente, a farne parte (Sez. 5, n. 24848 del 17/05/2023, N., Rv. 284871).
1.2. Quanto poi all'eventuale consenso, implicito o esplicito, alle riprese delle scene di vita privata, che parimenti escluderebbe la ricorrenza del reato (come si evince dalle citate sentenze), nel caso di specie risulta essere priva di manifesti vizi logici l'affermazione del Tribunale secondo il quale le frasi altrimenti captate dal prevenuto non costituiscono, affatto, la prova della consapevolezza della persona offesa di essere registrata all'interno dell'abitazione, posto che, dalle medesime, invece, si deduce soltanto che ella riteneva che le stesse costituissero un accessorio dell'impianto di allarme e che, pertanto, entrassero in azione solo a seguito delle eventuali intrusioni dall'esterno.
1.3. Priva di fondamento è anche la censura relativa all'accertamento della presenza delle videocamere all'interno delle placche del sistema di allarme (precedentemente ed autonomamente installato).
E ciò per una pluralità di ragioni:
- neppure il prevenuto, o i suoi difensori, negano che sia stato lo stesso indagato ad aggiungere al sistema di allarme, le videocamere rinvenute ed il sistema di registrazione;
- l'attività del consulente del pubblico ministero si è limitata alla verifica della loro presenza, e, comunque, anche considerando quanto si è rilevato (circa la pacificità della loro installazione ad opera dell'indagato), la difesa, nel sollecitare la declaratoria di inutilizzabilità della verifica del consulente, non ne argomenta la decisività (Sez. 4, n. 18232 del 12/04/2016, Madafferi, Rv. 26(5644 in cui si ricorda come l'ordinanza applicativa di misure cautelari, pur se formalmente viziata da inosservanza di norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilità, in tanto va annullata in quanto si accerti che la fonte di prova illegittimamente indicata e utilizzata ha avuto una efficacia determinante nella formazione del convincimento del giudice del merito cautelare).
Né, sempre alla luce di quanto altrimenti provato, seno stati individuati elementi concreti che consentano di ritenere che la persona offesa abbia modificato lo stato dei luoghi così inquinando la prova.
Come priva di rilievo appare la citazione, nel contesto della decisione, del nome di una persona estranea ai fatti, circostanza che, al più, costituirebbe un mero errore materiale.
2. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Il rapporto personale esistente fra le parti impone l'oscuramento dei dati identificativi
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Dispone che, in caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 D.Lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.
Così deciso, in Roma il 5 dicembre 2023.
Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2024.