Il divieto di intercettazioni relative a conversazioni o comunicazioni dei difensori non è applicato indiscriminatamente a tutte le conversazioni di chi possiede tale qualifica, ma solo a quelle che sono direttamente connesse alla funzione esercitata.
Lo ha ribadito la Seconda Sezione penale della Cassazione con la sentenza n. 5452, depositata il 7 febbraio 2024.
La norma di riferimento per questa disposizione è l'art. 103 del Codice di procedura penale, che al comma 5° recita;
"Non è consentita l'intercettazione relativa a conversazioni o comunicazioni dei difensori, degli investigatori privati autorizzati e incaricati in relazione al procedimento, dei consulenti tecnici e loro ausiliari, né a quelle tra i medesimi e le persone da loro assistite”.
La Suprema Corte sottolinea che la norma non comporta un divieto assoluto di conoscenza ex ante delle informazioni. Tale divieto infatti è limitato a quelle conversazioni e comunicazioni, individuabili ai fini della loro inutilizzabilità, a seguito di una verifica postuma, inerenti all'esercizio delle funzioni del suo ufficio.
Il divieto di intercettazioni relative a conversazioni o comunicazioni dei difensori, non riguarda indiscriminatamente tutte le conversazioni di chi riveste tale qualifica, e per il solo fatto di possederla, ma solo le conversazioni che attengono alla funzione esercitata.
Cassazione penale, sez. II, sentenza 09/11/2023 (dep. 07/02/2024) n. 5452
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 3/10/2022 la Corte d'appello di Lecce confermava la sentenza del Gip del tribunale di Brindisi che, all'esito di giudizio abbreviato, ha condannato Po.Gi.per i reati di estorsione, detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti e incendio, contestati ai capi 1), 2), 3),4), 5) e 6) e Co.Lu.per il reato di furto di cui al capo 13) esclusa l'aggravante di cui all'articolo 61 numero 2 cod. pen.
2. Ricorrono per Cassazione gli imputati.
3. Po.Gi. deduce:
3.1. Violazione dell'articolo 132 del decreto legislativo numero 196/2021, nonché vizio di motivazione.
Rileva che con l'atto d'appello era stato ribadito dalla difesa un tema già sollevato davanti al Gup, la nullità del decreto di acquisizione dei tabulati di traffico telefonico e telematico del 31/01/2020 e la conseguente nullità dei decreti di intercettazione telefonica dal numero 943 al numero 946/19 del 13/12/2019, la cui motivazione sugli indizi di reato affondava le radici proprio negli esiti dell'acquisizione dei detti tabulati.
Evidenzia che, secondo la Corte d'appello la questione non era tanto infondata quanto superata, perché successivamente alla interposizione dell'appello, in sede di conversione del decreto-legge 30/09/2021 n. 132, era stata introdotta una disciplina transitoria che, da un lato rendeva inutile la trasmissione degli atti alla Corte di costituzionale, dall'altro rendeva inutile interrogarsi sull'applicabilità diretta ed immediata dei principi espressi dalla sentenza Cedu. Secondo la sentenza impugnata erano stati rispettati gli elementi previsti dalla normativa transitoria, considerato che risultava rispettata la gravità del reato e vi erano elementi ulteriori di riscontro rispetto ai tabulati. Secondo la difesa la questione prospettata era tutt'altro che superata nonostante la legge di conversione.
Ha rilevato il ricorrente che la richiesta di autorizzazione alle intercettazioni è avvenuta solo ed esclusivamente sulla base del report di traffico telefonico e non unitamente ad altri elementi come stabilito dalla norma transitoria. Lo stesso Gip nel decreto di autorizzazione alle operazioni di intercettazione ha confermato che le intercettazioni erano state disposte sulla scorta dei contatti rilevati a seguito dello studio del traffico telefonico. Ha evidenziato che tutto ciò che la Corte territoriale ha indicato è stato acquisito in epoca successiva.
Ne consegue l'annullabilità del decreto di acquisizione dei tabulati di traffico telefonico e dei decreti di intercettazione telefonica dal numero 943 al numero 946 del 2019.
3.2. Violazione dell'articolo 103 comma 5 e 7 cod. proc. pen.
Si sostiene che nell'atto d'appello era stata richiesta declaratoria di inutilizzabilità della captazione ambientale avvenuta nella sala di attesa della questura di Brindisi il 07/12/2019 tra Ba.Gi., Ba.Fr., Pi.Ro.e Ba.Pi. (avvocato di Ba.Gi.) valorizzata a pagina 24 della sentenza di primo grado nonché della captazione telefonica di cui al decreto del 07/12/2019 tra Ba.Gi. e il suo legale avvocato Ba.Pi..
Si evidenzia che, essendo le captazioni avvenute durante le indagini tra la parte offesa e il proprio difensore, è stato violato il disposto dell'articolo 103 comma 5 e 7 codice procedura penale e che pertanto le stesse, oltre a essere dichiarate inutilizzabili, dovevano essere distrutte.
La Corte d'appello ha rigettato la questione evidenziando che Ba.Gi. non è parte del processo non essendosi mai costituito parte civile e che Po.Gi. non era legittimato ad eccepire l'inutilizzabilità non essendo soggetto intercettato.
Dette argomentazioni secondo la difesa si pongono al di fuori del solco interpretativo tracciato dalla norma. Il Ba.Gi. è parte offesa del processo e comunque le captazioni fanno parte del plafond probatorio a carico di Po.Gi.. Viene altresì sottolineato, richiamando una pronuncia della Corte di cassazione, la n. 44892 del 2022, che le garanzie difensive di cui all'articolo 103 in quanto finalizzate a prevenire il pericolo di abusive intrusioni nella sfera difensiva e a tutelare il segreto professionale non sono limitate al difensore dell'indagato o dell'imputato.
3.3. Con il terzo motivo di ricorso contesta la valutazione delle prove con riguardo al concorso nell' estorsione e nell'incendio sottolineando la precarietà di alcuni passaggi motivazionali con riguardo all'elemento psicologico del concorso nel delitto di incendio e del dolo nel delitto di estorsione. Secondo la difesa si imponeva un approfondimento tanto della dinamica realizzativa del reato di estorsione che dei vari incendi in tema d'accusa commissionati dal ricorrente che degli antecedenti causali in osservanza del principio "dell'aldilà di ogni ragionevole dubbio";
3.4. difetto assoluto di motivazione in relazione alla corretta qualificazione degli incendi nella fattispecie di cui all'articolo 423 cod. pen. piuttosto che in quella di cui all'articolo 424 cod. pen.;
3.5. difetto assoluto di motivazione con riguardo alla ritenuta recidiva;
3.6. illogicità della motivazione con riguardo alla entità della pena.
4. Co.Lu.deduce
4.1. illogicità della motivazione alla luce della assoluzione dal reato di estorsione di cui al capo 14.
4.2. lamenta il diniego delle circostanze attenuanti generiche e si duole dell'entità della pena.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I primi due motivi del ricorso di Po.Gi.sono inammissibili perché destituiti di fondamento giuridico.
2.1. L'acquisizione dei tabulati è avvenuta con decreto del 31/01/2020 sotto l'egida dell'art .132 D.Lgs. n. 196 del 2003.
L'art. 132 nella formulazione vigente all'epoca dell'acquisizione dei dati, prevedeva il potere del pubblico ministero, per finalità di accertamento e repressione dei reati, di acquisire con decreto motivato presso il fornitore, entro il termine di ventiquattro mesi dalla data della comunicazione, dati esterni delle comunicazioni, anche su istanza del difensore dell'imputato, della persona sottoposta ad indagini, della persona offesa o delle altre parti private.
La Grande Sezione della Corte di Giustizia dell'Unione europea, con la sentenza del 2 marzo 2021, H.K. c. Prokunrantuur (causa C-746/18), ha delineato una serie di condizioni cui gli Stati membri devono subordinare l'accesso ai dati conservati dai fornitori da parte dell'autorità pubblica per finalità di prevenzione, accertamento o repressione dei reati, in modo da poter bilanciare tale esigenza con la contrapposta necessità di tutelare il diritto alla riservatezza.
In particolare, approfondendo principi già affermati in precedenza in materia di data retention (Corte Giustizia, Grande Sezione, 21 dicembre 2016, cause riunite C-203/15 e C-698/15, Tele2 Sverige AB; Corte Giustizia, Grande Sezione, 8 aprile 2014, cause riunite C-293/12 e C-594/12, Digitale Rights Ireland), ha affermato che l'accesso ai dati può essere consentito solo: in presenza di "forme gravi di criminalità" o per far fronte a "gravi minacce alla sicurezza pubblica" e se vi sia la preventiva autorizzazione di un'autorità giudiziaria o amministrativa indipendente e terza rispetto alle parti, pubbliche e private.
A distanza di pochi mesi dalla pronuncia della Corte di giustizia, è stato adottato il decreto-legge 30 settembre 2021. n. 132, al fine dichiarato di adeguare la disciplina nazionale ai principi enunciati dalla Corte di giustizia nella sentenza del 2 marzo 2021.
Per effetto del decreto - legge l'acquisizione dei tabulati telefonici è stata subordinata a un previo controllo giurisdizionale sulla richiesta del pubblico ministero (o a una convalida successiva, in caso di acquisizione operate in via di urgenza dal pubblico ministero) e il potere di acquisire i tabulati è stato conferito solo per reati tassativamente indicati e ritenuti gravi dal legislatore. Il testo originario del decreto-legge non ha previsto una disciplina transitoria relativa ai dati di traffico telefonico e telematico già acquisiti nel corso di procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore del decreto stesso.
La legge 23 novembre 2021, n. 178, in sede di conversione del decreto- legge, oltre ad apportare alcuni correttivi alla disciplina dell'acquisizione, ha dettato una norma transitoria, volta specificamente a superare contrasti interpretativi insorti in ordine all'utilizzabilità dei tabulati telefonici acquisiti dal pubblico ministero in forza della disciplina previgente e ha stabilito che i dati relativi al traffico telefonico acquisiti nei procedimenti penali prima della entrata in vigore del D.L. n. 132 del 2021 "possono essere utilizzati a carico dell'imputato solo unitamente ad altri elementi di prova ed esclusivamente per l'accertamento dei reati per i quali la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a tre anni, determinata a norma dell'art. 4 c.p.p. e dei reati di minaccia e di molestia o disturbo alle persone con il mezzo del telefono, quando la minaccia la molestia o il disturbo sono gravi".
Gli "altri elementi di prova" che, ai sensi della norma transitoria di cui all'art. I, comma I - bis, D.L. 30 settembre 2021, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2021, n. 178, devono confortare i ed. dati "esteriori" delle conversazioni ai fini del giudizio di colpevolezza, possono essere di qualsiasi tipo e natura, in quanto non predeterminati nella specie e nella qualità, sicché possono ricomprendere non solo le prove storiche dirette, ma anche quelle indirette, legittimamente acquisite e idonee, anche sul piano della mera consequenzialità logica, a corroborare il mezzo di prova ritenuto ex lege bisognoso di conferma (Sez. 5, n. 8968 del 24/02/2022, Fusco, Rv. 282989 - 01, che riprende sul punto Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, Aquilina, Rv. 255145; Sez. 4 n. 50102 del 05/12/2023 Rv. 285469 - 01).
Correttamente è stato pertanto ritenuto che la disciplina transitoria abbia determinato il superamento del problema prospettato.
2.2. Il difensore propone anche il tema della rilevanza della disciplina transitoria, rispetto alla richiesta di intercettazioni telefoniche ed ambientali. A prescindere dalla prova di resistenza non può non rilevarsi che la regola prevista dalla indicata norma transitoria riguarda l'utilizzazione ai fini dell'accertamento del reato e non a fini diversi. Deve aggiungersi che dalla lettura dell'atto, allegato al ricorso, è dato apprendere che la richiesta del pubblico ministero si fonda anche su elementi diversi dalla analisi dei dati di traffico telefonico.
2.3. Generico è il motivo che investe l'inutilizzabilità delle captazioni per violazione dell'art. 103 commi 5 e 7 cod. proc. pen. per la mancata indicazione della rilevanza del dato probatorio (prova di resistenza) cui è tenuto il ricorrente.
Il motivo è anche manifestamente infondato.
Il divieto captativo attiene alla tutela delle garanzie difensive in quanto tali ed è limitato a quelle conversazioni e comunicazioni, individuabili ai fini della loro inutilizzabilità, a seguito di una verifica postuma, inerenti all'esercizio delle funzioni del suo ufficio (sez.VI, 3.6.2008, Gagliardi, Rv.241510, sez.V 25.9.2014, Galati, Rv.261081). In altre parole, il divieto di intercettazioni relative a conversazioni o comunicazioni dei difensori, non riguarda indiscriminatamente tutte le conversazioni di chi riveste tale qualifica, e per il solo fatto di possederla, ma solo le conversazioni che attengono alla funzione esercitata. Situazione che non risulta essersi verificata nel caso di specie.
2.4. Il terzo motivo consiste, in massima parte, nella rinnovazione di una linea difensiva basata su ragioni di merito. In ordine ad esse il collegio di seconda istanza si è espresso con argomentazioni immuni da vizi logici. Giova qui ribadire che la funzione dell'indagine di legittimità sulla motivazione non è quella di sindacare l'intrinseca attendibilità dei risultati dell'interpretazione delle prove e di attingere il merito dell'analisi ricostruttiva dei fatti, bensì quella, del tutto diversa, di accertare se gli elementi probatori posti a base della decisione siano stati valutati seguendo le regole della logica e secondo linee argomentative adeguate, che rendano giustificate, sul piano della consequenzialità, le conclusioni tratte, verificando la congruenza dei passaggi logici. Ne consegue che, ad una logica valutazione dei fatti operata dal giudice di merito, non può quello di legittimità opporne un'altra.
2.5. Fondato è invece il quarto motivo di ricorso che investe la qualificazione giuridica degli incendi contestati ai capi 3), 4), 5) e 6) dell'imputazione per omessa valutazione delle censure avanzate con l'appello.
2.6. Fondato è anche il quinto motivo per omessa risposta sulle doglianze in ordine alla ritenuta recidiva.
2.7. Gli ulteriori motivi che investono la pena sono assorbiti.
La sentenza deve essere pertanto annullata con rinvio ad altra sezione della corte d'appello di Lecce per nuovo giudizio con riguardo ai reati contestati ai capi 3), 4), 5) e 6) e al trattamento sanzionatorio.
Il ricorso di Co.Lu.è palesemente inammissibile perché il ricorrente reiterando doglianze già espresse in appello, si è limitato a censurare profili di carattere meramente valutativo del compendio probatorio. Per un verso, dunque, il ricorso mira a sollecitare un non consentito riesame del merito, mentre, sotto altro profilo, non proponendosi una effettiva ed autonoma critica impugnatoria rispetto alla motivazione esibita dai giudici a quibus, il ricorso rassegnato finisce per risultare del tutto aspecifico.
Le circostanze attenuanti generiche che sono state implicitamente disattese a fronte dell'elemento negativo dei precedenti penali che hanno portato al riconoscimento della recidiva sono state genericamente richieste senza alcuna indicazione degli elementi a favore. La motivazione offerta dai giudici a quibus in tema di valutazione della congruità del trattamento sanzionatorio si rivela, del tutto coerente e congrua, a fronte di doglianze ancora una volta aspecifiche, dedotte sul punto in sede di ricorso. Il ricorso di Co.Lu. è pertanto inammissibile.
Co.Lu. con i motivi aggiunti ha sollevato la questione della mancanza della condizione di procedibilità con riguardo al reato di furto divenuto perseguibile a querela a seguito del D.Lvo 10 ottobre 2022 n. 150.
Sul punto deve ricordarsi che questa Corte nel massimo consesso (Sezioni Unite Salatino del 2018) ha affermato che la retroattività della disciplina della perseguibilità trova un limite nella presentazione di ricorso inammissibile.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con riguardo a Po.Gi. limitatamente ai reati di cui ai capi 3), 4), 5) e 6) ed al trattamento sanzionatorio con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d'appello di Lecce.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Dichiara inammissibile il ricorso di Co.Lu. che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Cosi deciso in Roma, 9 novembre 2023.
Depositato in Cancelleria il 7 febbraio 2024.
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