Il delitto di "Deformazione dell'aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso" di cui all'art. 583-quinquies cod. pen., introdotta dal cosiddetto Codice Rosso (Legge n. 69/2019), costituisce reato comune sia quanto all'autore del reato che alla persona offesa.
È quanto stabilito dalla Cassazione penale, sez. V, con la sentenza n. 7728 depositata il 22 febbraio 2024.
Il caso di specie riguardava una lite fra due donne, una delle quali aveva cagionato all'altra un morso all'orecchio sinistro, causando il distacco di quasi metà del padiglione auricolare e di conseguenza uno sfregio permanente al volto. L'imputata contestava l'applicazione dell'art. 583-quinquies c.p. al suo caso, argomentando che la norma fosse stata introdotta specificamente per reati di violenza sessuale e domestica e non per qualunque tipo di lesione.
La sentenza ha sottolineato che, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, l'art. 583-quinquies c.p. non prevede limitazioni specifiche al contesto di violenza di genere o domestica. Ciò risulta chiaramente dal testo della legge, che non menziona né il genere della persona offesa né l'ambito specifico in cui la condotta lesiva si verifica. La norma recita infatti: "Chiunque cagiona ad alcuno lesione personale dalla quale derivano la deformazione o lo sfregio permanente del viso è punito con la reclusione da otto a quattordici anni".
La Corte ha quindi ribadito la natura generale della norma, utilizzando come base l'interpretazione letterale imposta dall'art. 12 delle Disposizioni sulla legge in generale, che preclude qualsiasi interpretazione che vada oltre il significato palese delle parole.
Inoltre, la collocazione della norma all'interno del codice penale, nel titolo dedicato ai delitti contro la persona, esclude di per sé una lettura limitata al solo ambito della violenza di genere, confermando ulteriormente la sua applicabilità generale.
I giudici di legittimità hanno stabilito che l'art. 583-quinquies c.p. punisce con maggior rigore le condotte di deformazione dell'aspetto mediante lesioni permanenti al viso, indipendentemente dal contesto in cui avvengono, sottolineando il trattamento di maggior rigore voluto dal legislatore. Tale interpretazione è conforme alle esigenze di maggiore tutela richieste dalla Convenzione di Istanbul, senza però limitare l'applicazione della norma ai soli casi di violenza di genere o domestica.
La decisione della Cassazione chiarisce quindi che l'art. 583-quinquies c.p. è un reato comune, applicabile a tutte le situazioni in cui si verifichino lesioni personali che portino a deformazione o sfregio permanente del viso, evidenziando la volontà del legislatore di assicurare una tutela estesa a tutte le vittime di tali reati.
L'art. 583-quinquies cod. pen. — introdotto dall'art. 12, comma 1, della legge n. 69/2019 relativa alle "Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere" — costituisce reato comune sia quanto all'autore del reato che alla persona offesa, secondo l'interpretazione letterale e sistematica della disposizione di nuovo conio, essendo la trasformazione della circostanza aggravante di cui all'art. 583, comma 2, n. 4, cod. pen. in fattispecie autonoma di reato funzionale in generale ad un trattamento di maggior rigore, ulteriormente aggravato dall'art. 585 cod. pen. per i casi riconducibili alla violenza domestica e di genere, in coerenza con le esigenze di maggiore tutela richieste dalla Convenzione di Istanbul dell'I 1 maggio 2011, ratificata con legge 26 giugno 2013, n. 77.
Cassazione penale, sez. V, sentenza 01/12/2023 (dep. 22/02/2024) n. 7728
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Palermo, con la sentenza emessa il 17 marzo 2023, confermava quella del G.u.p. del Tribunale di Agrigento che aveva accertato la responsabilità penale di Ca.Ca. in ordine al delitto previsto dall'art. 583-quinquies cod. pen., per aver, in data 1 novembre 2019, cagionato a Sa.De. lesioni personali, con un morso all'orecchio sinistro che determinava il distacco di quasi metà del padiglione auricolare, dal quale derivava lo sfregio permanente del viso.
2. Il ricorso per cassazione, proposto nell'interesse di Ca.Ca., consta di quattro motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
3. Il primo e il secondo motivo deducono violazione di legge, in quanto la ricorrente, dopo aver ritenuto pacifica l'applicazione dell'art. 583-quinquies al caso in esame, rileva come la Corte di appello ne faccia una applicazione contro la ratio legis, essendo la norma introdotta dall'art. 12 della legge n. 69 del 2019 in funzione non di qualunque lesione bensì solo di quelle conseguenti a reati di violenza sessuale e domestica, essendo la disciplina introdotta in conseguenza della Convenzione di Istanbul.
Ne consegue una interpretazione analogica da parte della Corte di appello, non consentita in sede penale, per quanto previsto dagli artt. 25 Cost. e 14 delle ed. preleggi, cosicché la nuova fattispecie non può trovare applicazione al caso in esame, connotato dalla lite fra due donne, per ragioni di gelosia, sulla pubblica via e non in relazione a una ipotesi di violenza domestica.
Inoltre, la ricorrente lamenta, con il secondo motivo, anche la violazione dell'art. 12 delle preleggi, in quanto la Corte territoriale sarebbe andata oltre l'interpretazione letterale, operando una equiparazione fra l'abrogata circostanza aggravante dell'art. 583, comma 2, n. 4 cod. pen. e l'introduzione del delitto di "deformazione dell'aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso", ribadendo la ragione della introduzione della fattispecie di nuovo conio e la soppressione della precedente aggravante — alla luce della interpretazione dell'intenzione del legislatore, di quella logica e teleologica, fornite dalla relazione di accompagnamento al provvedimento legislativo e dalla relazione dell'Ufficio del Massimario, che collegano il nuovo reato alla violenza domestica — alle quali si ricorre quando, come nel caso in esame, sussisterebbero dubbi in ordine all'interpretazione letterale.
4. Il terzo motivo denuncia vizio di motivazione, in quanto risulterebbe assente qualsiasi certificazione in tema di sfregio permanente, dilungandosi la sentenza impugnata in astratte valutazioni e non in una verifica concreta di quelle subite dalla persona offesa.
5. Il quarto motivo lamenta violazione dell'art. 583-quinquies cod. pen. e vizio di motivazione in ordine all'elemento soggettivo del delitto, non potendo ritenersi adeguata la sola analisi della condotta, della foga e della volontà bellicosa dell'autrice del delitto, per trarne la prova del dolo, che non può ritenersi configurabile neanche come dolo alternativo o eventuale, ben potendo ritenersi comprovata invece la colpa cosciente, in quanto con la condotta successiva l'imputata operava spontaneamente il soccorso, sosteneva le spese mediche, come pure indicative sarebbero l'assenza di querela da parte della persona offesa e dei precedenti penali, elementi non valutati dalla Corte territoriale.
6. Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale dott.ssa Paola Filippi, ha depositato requisitoria e conclusioni scritte - ai sensi dell'art. 23 comma 8, D.L. 127 del 2020 - con le quali ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso, rappresentandosi quanto al primo e secondo motivo la manifesta infondatezza della tesi difensiva, quanto al terzo la congrua motivazione nell'aver ritenuto la sussistenza dello sfregio, quanto al quarto la natura non consentita in quanto perplesso e cumulativo e, comunque, non risultando riscontrabile alcun vizio quanto alla motivazione immune da contraddittorietà, avendo tratto la prova del dolo dalla condotta aggressiva dell'imputata.
7. Il difensore della ricorrente, avvocato Salvatore Loggia, ha depositato memoria conclusiva con la quale ha replicato alla Procura generale, ribadendo che l'introduzione della fattispecie incriminatrice deriva dalla necessità di attuare la normativa europea, che colloca l'intervento solo nella violenza di genere; ribadendo le ragioni espresse con i motivi di ricorso e rilevando come la Procura generale non abbia preso atto dell'assenza di motivazione sulla sussistenza dello "sfregio" (terzo motivo) e abbia ritenuto erroneamente aspecifico il quarto motivo, invece dettagliato nel contestare la motivazione quanto al dolo invece della colpa cosciente.
8. Il ricorso è stato trattato senza intervento delle parti, ai sensi dell'art. 23, comma 8, D.L. n. 137 del 2020, disciplina prorogata sino al 31 dicembre 2022 per effetto dell'art. 7, comma 1, D.L. n. 105 del 202, la cui vigenza è stata poi estesa in relazione alla trattazione dei ricorsi proposti entro il 30 giugno 2023 dall'articolo 94 del decreto legislativo 10 ottobre 2022, come modificato dall'art. 5-duodecies D.L. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito con modificazioni dalla I. 30 dicembre 2022, n. 199.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
2. Il primo e il secondo motivo, strettamente connessi, vanno trattati unitariamente e ne deve subito osservare, questo Collegio, la infondatezza.
2.1 A ben vedere l'art. 12, comma 1, della legge n. 69/2019, dal titolo "Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere" introducendo l'art. 583-quinquies riproduce, come correttamente osservato dalla Corte di appello, il contenuto dell'aggravante di cui all'art. 583, comma 2, n. 4, cod. pen., prevedendo tuttavia una sanzione più grave - da otto a quattordici anni di reclusione - rispetto a quella prima prevista, da tre a sette anni.
È evidente la volontà dei legislatore — a seguito di noti e ripetuti episodi di violenza di genere che hanno avuto eco nella cronaca nazionale — di trasformare l'aggravante speciale in fattispecie autonoma di reato, per sottrarre la pena all'effetto di riduzione conseguente al giudizio di bilanciamento fra circostanze, prevedendo invece una sanzione edittale più elevata, nel minimo come nel massimo edittale.
Tanto premesso, deve evidenziarsi però come la norma di nuovo conio, a differenza di quanto afferma la ricorrente, non sia disposizione esclusivamente destinata a sanzionare condotte commesse nell'ambito della ed. violenza domestica e di genere.
A ben vedere, in primo luogo la lettera della legge non consente alcuna limitazione a tali specifici contesti, non indicando né il genere della persona offesa né tantomeno l'ambito nel quale la condotta sia maturata.
Difatti non si rinvengono le richiamate limitazioni nel testo dell'art. 583-quinquies che recita: "Chiunque cagiona ad alcuno lesione personale dalla quale derivano la deformazione o lo sfregio permanente del viso è punito con la reclusione da otto a quattordici anni".
Pertanto, deve ribadirsi la natura 'generale' della norma, a differenza di quanto sostiene la ricorrente, e ciò seguendo proprio il criterio dell'interpretazione letterale imposto dall'art. 12 delle Disposizioni sulla legge in generale, per il quale "nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole, secondo la connessione di esse".
D'altro canto, oltre al dato letterale anche la collocazione della disciplina in esame nell'ambito del Titolo XII del Libro II del codice penale, che riguarda i "delitti contro la persona" — in uno a delitti che prescindono dal contesto familiare o di genere, come l'omicidio (art. 575 cod. pen.), l'istigazione o aiuto al suicidio (art. 580 cod. pen.), le percosse (art. 581 cod. pen.), le lesioni personali (art. 582 cod. pen.), l'omicidio preterintenzionale (art. 584 cod. pen.), l'omicidio colposo (art. 589 cod. pen.), fra gli altri — esclude la caratterizzazione limitante proposta dalla ricorrente.
D'altro canto, quando il legislatore ha voluto caratterizzare, limitando per genere o per qualità della persona offesa il delitto, lo ha fatto esplicitamente, intervenendo sulla lettera della legge, come nel caso del delitto di "Pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili" (art. 583-bis cod. pen.).
Pertanto, il ricorso ali'intentio legis, operato per altro in modo eccentrico, per quel che si leggerà a seguire, dalla difesa della ricorrente, giunge a conclusioni in conflitto palese con il dato letterale.
E per altro, ulteriori due considerazioni vanno evidenziate.
La prima attiene all'argomento che se fosse vero quanto sostenuto dalla ricorrente, si creerebbe un "vuoto" sanzionatorio fra la disciplina precedente — che in modo generale prevedeva le lesioni personali qualificate come gravissime in caso di deformazione e sfregio permanente del viso, senza alcuna limitazione di violenza di genere e domestica — e quella attuale che verrebbe a punire solo le condotte correlate, nell'impostazione difensiva, alla violenza di genere o domestica, in ossequio alla Convenzione di Istanbul dell'I 1 maggio 2011, ratificata con legge 26 giugno 2013, n. 77.
Ma è evidente che l'intenzione del legislatore, trasformando la circostanza aggravante dell'art. 583, comma 2, n. 4 cod. pen. in un delitto autonomo con maggiore pena edittale minima e massima, non fosse quella di ridurre l'ambito delle condotte dolose sanzionabili, bensì di assicurare un trattamento di maggior rigore, elidendo la discrezionalità del giudice espressa nel giudizio di bilanciamento fra circostanze operabile con il precedente regime.
In secondo luogo, deve anche rilevare questo Collegio, a riprova della natura "comune" del delitto, come il legislatore abbia specificamente previsto il caso in cui il delitto di sfregio o deformazione permanente del viso intervenga in ambito di violenza domestica o di genere, rendendo tali elementi di relazione e di contesto circostanze aggravanti. Infatti, l'art. 585 cod. pen. aggrava la pena dell'art. 583-quinquies per il caso di condotta lesiva contro l'ascendente o il discendente e altri congiunti (art. 576 n. 2; 577, comma 1, n. 1 e comma 2), in occasione della commissione dei delitti di cui agli artt. 572, 600-bis, 600-ter, 609-bis, 609-quater, 609-octies (art. 576 n. 5), ovvero da parte dell'autore del delitto previsto dall'art. 612-ò/s nei confronti della stessa persona offesa (art. 576, n. 5.1).
È di tutta evidenza che la previsione di tali aggravanti, proprio per la commissione del delitto in contesto domestico o di violenza sessuale e di genere, esclude che l'art. 583-quinquies nella sua previsione di base debba applicarsi solo a tali ultime ipotesi, come invece sostiene il ricorrente.
D'altro canto, la maggior tutela processuale per la vittima si rinviene per le sole fattispecie aggravate dall'art. 585 del delitto in esame: gli artt. 347, comma 3, 362, comma 1-ter, 370 commi 2-bis e 2-ter cod. proc. pen., rispettivamente modificati e introdotti dalla legge n. 69 del 2019, introducendo le norme processuali del ed. Codice rosso, intendono velocizzare l'acquisizione della notizia di reato e l'assunzione di informazioni da parte della persona offesa solo nei casi di deformazione del viso aggravata.
Proprio questa necessità sostanziale e processuale di maggior rigore sanzionatorio e di tutela delle vittime, maggiormente vulnerabili, dei delitti di violenza di genere e domestica, ha costituito l'occasione per il legislatore per l'introduzione della fattispecie dell'art. 583-quinquies.
In sostanza, il legislatore ha voluto punire con maggior rigore anche le condotte di deformazione dell'aspetto mediante lesioni permanenti al viso da "chiunque" commesse in danno di "alcuno", quindi si verte in tema di reato comune sia quanto all'autore che quanto alla persona offesa (nello stesso senso, Sez. 5, n. 38741 del 06/07/2023, n.m.).
L'innovazione normativa ha poi ulteriormente previsto che le relazioni affettive o domestiche fra autore del reato e persona offesa, costituiscano una ragione di ulteriore aggravamento della pena, per la maggiore vulnerabilità delle vittime, a tutela dei beni della libertà e dell'incolumità personale che devono essere garantiti nei contesti in cui matura la ed. violenza domestica o di genere.
2.2 Deve pertanto affermarsi che l'art. 583-quinquies cod. pen. — introdotto dall'art. 12, comma 1, della legge n. 69/2019 relativa alle "Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere" — costituisca reato comune sia quanto all'autore del reato che alla persona offesa, secondo l'interpretazione letterale e sistematica della disposizione di nuovo conio, essendo la trasformazione della circostanza aggravante di cui all'art. 583, comma 2, n. 4, cod. pen. in fattispecie autonoma di reato funzionale in generale ad un trattamento di maggior rigore, ulteriormente aggravato dall'art. 585 cod. pen. per i casi riconducibili alla violenza domestica e di genere, in coerenza con le esigenze di maggiore tutela richieste dalla Convenzione di Istanbul dell'I 1 maggio 2011, ratificata con legge 26 giugno 2013, n. 77.
2.3 Ne consegue la infondatezza delle censure mosse con il primo e il secondo motivo di ricorso.
3. Quanto al terzo motivo, lo stesso è inedito, oltre che manifestamente infondato.
3.1 A ben vedere con l'appello non si contestava la natura permanente o meno dello sfregio, cosicché la Corte di appello correttamente non ha dato risposta in assenza di una censura specifica sul punto, fermo restando che la motivazione della sentenza di primo grado riteneva in concreto sussistente la lesione come prevista dalla norma incriminatrice (cfr. fol. 5 della sentenza di primo grado), risultando al Giudice l'apprezzabile alterazione dei lineamenti del viso con effetto sgradevole agli occhi di un osservatore comune, di gusto normale e di media sensibilità.
Sul punto, quindi, la censura è preclusa perché la doglianza non risulta essere stata previamente dedotta come motivo di appello secondo quanto è prescritto a pena di inammissibilità dall'art. 606 comma 3 cod. proc. pen.
Va premesso che secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, "deve ritenersi sistematicamente non consentita (non soltanto per le violazioni di legge, per le quali cfr. espressamente art. 606, comma 3, c.p.p.) la proponibilità per la prima volta in sede di legittimità, con riferimento ad un capo e ad un punto della decisione già oggetto di appello, di uno dei possibili vizi della motivazione con riferimento ad elementi fattuali richiamabili, ma non richiamati, nell'atto di appello: solo in tal modo è, infatti, possibile porre rimedio al rischio concreto che il giudice di legittimità possa disporre un annullamento del provvedimento impugnato in relazione ad un punto della decisione in ipotesi inficiato dalla mancata/contraddittoria/manifestamente illogica considerazione di elementi idonei a fondare il dedotto vizio di motivazione, ma intenzionalmente sottratti alla cognizione del giudice di appello. Ricorrendo tale situazione, invero, da un lato il giudice della legittimità sarebbe indebitamente chiamato ad operare valutazioni di natura fattuale funzionalmente devolute alla competenza del giudice d'appello, dall'altro, sarebbe facilmente diagnosticabile in anticipo un inevitabile difetto di motivazione della sentenza d'appello con riguardo al punto della decisione oggetto di appello, in riferimento ad elementi fattuali che in quella sede non avevano costituito oggetto della richiesta di verifica giurisdizionale rivolta alla Corte di appello, ma siano stati richiamati solo ex post a fondamento del ricorso per cassazione" (così Sez. 2, n. 32780 del 13/07/2021 , De Matteis, Rv. 281813; Sez. 2, n. 19411 del 12/03/2019, Furlan, Rv. 276062, in motivazione; in senso conforme, ex plurimis, v. Sez. 2, n. 34044 del 20/11/2020, Tocco, Rv. 280306; Sez. 3, n. 27256 del 23/07/2020, Martorana, Rv. 279903; Sez. 3, n. 57116 del 29/09/2017, B., Rv. 271869; Sez. 2 2, n. 29707 del 08/03/2017, Galdi, Rv. 270316; Sez. 2, n. 8890 del 31/01/2017, Li Vigni, Rv. 269368).
3.2 Ad ogni buon conto, immune da manifeste illogicità risultava la valutazione operata dal Giudice di primo grado, confermata dalla Corte di appello: l'asportazione di quasi metà del padiglione auricolare ebbe a determinare comunque un turbamento irreversibile dell'armonia e dell'euritmia delle linee del viso, con effetto sgradevole, sufficiente, anche in assenza di ripugnanza (Sez. 5, n. 32984 del 16/06/2014, Sangregorio, Rv. 261653), non essendo richiesto uno sfiguramento ripugnante o una sensibile modificazione delle sembianze (Sez. 5, n. 4113 del 18/02/1997, Lalan, Rv. 207404), ma risultando sufficiente un'apprezzabile alterazione delle linee del volto che incida, sia pure in misura minima, sulla funzione estetico-fisiognomica dello stesso (Sez. 5, n. 27564 del 21/09/2020, Piras, Rv. 279471), compromettendone l'immagine in senso estetico (Sez. 5, n. 26155 del 21/04/2010, Barbetta, Rv. 247892).
Il Giudice di primo grado dava atto di avere verificato dalle fotografie in atti la sussistenza di una alterazione apprezzabile, con effetto sgradevole agli occhi di un osservatore di giusto normale e di media sensibilità: si tratta di un apprezzamento di fatto che compete al giudice di merito, il quale è chiamato ad esprimere un giudizio che non richiede speciali competenze tecniche, perché ancorato al punto di vista di un osservatore comune, di gusto normale e di media sensibilità e, pertanto, non sindacabile in sede di legittimità quando, come nel caso in esame, motivato in modo non manifestamente illogico (cfr. Sez. 5, n. 22685 del 02/03/2017, Calcagno, Rv. 270137).
È altresì opportuno precisare che, ai fini della sussistenza dello sfregio permanente, non rileva la possibilità di eliminazione o di attenuazione del danno fisionomico mediante speciali trattamenti di chirurgia facciale (Sez. 5, n. 23692 del 07/05/2021, Di Rocco, Rv. 281319), in quanto "l'eventuale limitazione degli effetti estetici del danno (costituisce) un post factum non collegato alla condotta di aggressione".
D'altro canto, la sentenza di merito richiama correttamente anche un precedente di questa Corte, assolutamente sovrapponibile al caso in esame, che aveva ritenuto integrato lo sfregio permanente (art. 582,583, comma secondo, n. 4, cod. pen.) in qualsiasi nocumento che senza determinare la più grave conseguenza della deformazione, importi un turbamento irreversibile dell'armonia e dell'euritmia delle linee del viso. Ne deriva che, se pure non ogni alterazione della fisionomia del viso costituisca sfregio, sono certamente tali le alterazioni che ne turbino l'armonia con effetto sgradevole o d'ilarità, anche se non di ripugnanza: il tutto rapportato ad un osservatore comune, di gusto normale e di media sensibilità (Sez. 5, n. 21998 del 16/01/2012, Cipolla, Rv. 252952 - 01, in applicazione del principio di cui in massima la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito ha ritenuto la sussistenza dell'aggravante in questione proprio nel distacco di parte del lobo di un orecchio, mediante morso).
4. In ordine al quarto motivo di ricorso, la motivazione della Corte di appello non è manifestamente illogica ed è corretta.
La Corte territoriale trae la prova del necessario dolo generico proprio dalla condotta della Ca.Ca., che morse in modo prolungato e con violenza l'orecchio della vittima — ritenendo in modo non manifestamente illogico di tale intensità e forza il morso che determinò il distacco del padiglione auricolare.
Si tratta di un corretto governo dei generali principi in materia, in quanto la prova dell'elemento soggettivo può desumersi dalle concrete circostanze e dalle modalità esecutive dell'azione criminosa, attraverso le quali, con processo logico-deduttivo, è possibile risalire alla sfera intellettiva e volitiva del soggetto, in modo da evidenziarne la cosciente volontà e rappresentazione degli elementi oggettivi del reato (Sez. 5, n. 30726 del 09/09/2020, Giunchiglia, Rv. 279908 - 01, in tema di truffa aggravata in danno di ente pubblico; Sez. 6, n. 10289 del 22/01/2014, Lombardi, Rv. 259336 - 01, in tema di calunnia). In particolare, in tema di atti lesivi dell'integrità personale, è stato affermato che la prova del dolo, in assenza di esplicite ammissioni da parte dell'imputato, ha natura indiretta, dovendo essere desunta da elementi esterni e, in particolare, da quei dati della condotta che, per la loro non equivoca potenzialità offensiva, siano i più idonei ad esprimere il fine perseguito dall'agente (cfr. Sez. 1, n. 35006 del 18/04/2013, Polisi, Rv. 257208 -01, in tema di omicidio tentato).
A questi parametri si è attenuta la sentenza impugnata.
L'esclusione della condotta colposa risulta quindi adeguatamente motivata, in quanto in tema di coefficiente soggettivo del reato, il dolo eventuale ricorre quando l'agente si sia chiaramente rappresentata la significativa possibilità di verificazione dell'evento concreto e ciò nonostante, dopo aver considerato il fine perseguito e l'eventuale prezzo da pagare, si sia determinato ad agire comunque, anche a costo di causare l'evento lesivo, aderendo ad esso, per il caso in cui si verifichi; ricorre invece la colpa cosciente quando la volontà dell'agente non è diretta verso l'evento ed egli, pur avendo concretamente presente la connessione causale tra la violazione delle norme cautelari e l'evento illecito, si astiene dall'agire doveroso per trascuratezza, imperizia, insipienza, irragionevolezza o altro biasimevole motivo (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, Rv. 261104 - 01).
Per altro, Sez. 5, n. 23992 del 23/02/2015, A., Rv. 265306 - 01, riprendendo i criteri fissati dalle Sezioni Unite ha ribadito che per la configurabilità del dolo eventuale, anche ai fini della distinzione rispetto alla colpa cosciente, occorre la rigorosa dimostrazione che l'agente si sia confrontato con la specifica categoria di evento che si è verificata nella fattispecie concreta aderendo psicologicamente ad essa e a tal fine l'indagine giudiziaria, volta a ricostruire l"'iter" e l'esito del processo decisionale, può fondarsi su una serie di indicatori quali: a) la lontananza della condotta tenuta da quella doverosa; b) la personalità e le pregresse esperienze dell'agente; c) la durata e la ripetizione dell'azione; d) il comportamento successivo al fatto; e) il fine della condotta e la compatibilità con esso delle conseguenze collaterali; f) la probabilità di verificazione dell'evento; g) le conseguenze negative anche per l'autore in caso di sua verificazione; h) il contesto lecito o illecito in cui si è svolta l'azione nonché la possibilità di ritenere, alla stregua delle concrete acquisizioni probatorie, che l'agente non si sarebbe trattenuto dalla condotta illecita neppure se avesse avuto contezza della sicura verificazione dell'evento.
Sul punto va anche richiamato quanto in modo non illogico ha osservato la Corte di appello: Ca.Ca. ebbe a pedinare, aggredire, e prendere a morsi la persona offesa, per gelosia, in sostanza si trattò di una azione organizzata e tesa a ledere.
Inoltre, effettivamente la Corte di appello non si è confrontata con la condotta di spontaneo soccorso ora dedotta dalla ricorrente. Ciò non per negligenza, bensì perché l'argomento è stato speso solo in questa sede da parte dell'imputata, e non anche con l'atto di appello e, per altro, non si tratta di un soccorso immediato, bensì del recupero a posteriori del lobo ad opera dell'imputata e del marito per consentire alla vittima un intervento di sutura, tentato ma non riuscito.
Per altro, gli indicatori evidenziati dalla Corte di appello a sostegno del dolo, in luogo della colpa cosciente, sono riconducibili ai parametri della lontananza della condotta tenuta rispetto a quella doverosa, essendo illecito il contesto in cui si è svolta l'azione, oltre che per la durata e forza del morso, anche per un successivo morso poi portato all'avambraccio (cfr. sentenza di primo grado); come pure emerge il fine lesivo della condotta e la assoluta compatibilità con esso delle conseguenze, con la ben concreta probabilità della verificazione dell'evento; elementi tutti che comprovano nel caso di specie non un malgoverno del rischio, consistito in negligenza, imperizia o trascuratezza, proprie della colpa cosciente, bensì la prova del dolo se non altro eventuale, come ritenuto dalla Corte territoriale, perché l'agente non solo si è rappresentato il concreto rischio del verificarsi dell'evento ma lo ha anche accettato, nel senso che si è determinato ad agire anche a costo di cagionarlo (Sez. 5, n. 44712 del 17/09/2008, Dell'Olio, Rv. 242610 - 01, fra le altre).
D'altro canto, in tema di elemento soggettivo del reato, la distinzione tra dolo eventuale e colpa cosciente rileva solo nel caso in cui la condotta dell'agente riguardi un'attività lecita seppure rischiosa, e non, invece, laddove si versi in ipotesi di attività illecita, come è nel caso in esame, atteso che, in tal caso, è esclusa, alla base, la stessa configurabilità dell'osservanza o meno di regole cautelari (Sez. 5, n. 4854 del 15/11/2021, dep. 2022, Marchese, Rv. 282873 -01). Il motivo è pertanto infondato.
5. Ne consegue il complessivo rigetto del ricorso, con condanna alle spese processuali del ricorrente.
6. D'ufficio va disposto l'oscuramento dei dati personali, attesa la necessità prevista dall'art. 52, comma 2, D.Lgs. 196/2003 di predisporre tale misura a tutela dei diritti e della dignità degli interessati.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
In caso di diffusione del presente provvedimento andranno omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell'art. 52 D.Lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, 01 dicembre 2023.
Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2024.