La mancata citazione del testimone non comporta la automatica decadenza della parte richiedente dalla prova, ma consente al giudice di valutare se sia necessario differire l'audizione del teste già ammesso ad un'udienza successiva.
È quanto ribadito dalla Cassazione, Sezione III penale, con la sentenza n. 1035 depositata il 10 gennaio 2025.
La vicenda in esame
Nel caso di specie, il Tribunale di Pordenone condanna l'imputato a un anno e 8 mesi di reclusione per il reato di emissione di fatture false.
La Corte d'Appello di Trieste conferma la sentenza di primo grado, rigettando l'appello che contestava la legittimità della revoca dei testimoni difensivi.
La difesa ricorre in Cassazione sostenendo che la mancata comparizione dei testi non fosse ascrivibile a loro responsabilità e che la revoca dell'ammissione fosse un indice di pregiudizio del Tribunale.
Le norme e i principi giurisprudenziali applicabili
La Cassazione richiama l'art. 133 c.p.p., secondo cui il giudice può adottare provvedimenti idonei per garantire la regolare assunzione delle prove, valutando anche eventuali ritardi. Inoltre, fa riferimento all'orientamento giurisprudenziale consolidato (Sez. 6, n. 33163 del 03-11-2020, Rv. 279922) che stabilisce che la mancata citazione del testimone non comporta automaticamente la decadenza della parte richiedente dalla prova.
Il giudice, in questi casi, ha la discrezionalità di valutare:
Se la testimonianza sia superflua;
Se la mancata comparizione comporti ritardi ingiustificati nel processo;
Se ci siano indicazioni specifiche sulle circostanze su cui i testi devono essere escussi.
La soluzione del caso
Nel caso in esame, il Tribunale di Pordenone aveva già avvertito la difesa che un eventuale ritardo nella citazione dei testi avrebbe comportato la decadenza della relativa prova. Nonostante ciò, le citazioni furono spedite oltre un mese dopo l’udienza precedente e senza prova della ricezione.
La difesa non fu inoltre in grado di:
Specificare le circostanze su cui i testimoni avrebbero dovuto essere sentiti;
Dimostrare l'interesse concreto all’assunzione delle prove;
Controdedurre validamente rispetto alla superfluità delle testimonianze indicate.
La Cassazione, accogliendo le conclusioni del Procuratore Generale, ha ritenuto manifestamente infondato il motivo del ricorso, sottolineando che la decadenza dalla prova è stata correttamente dichiarata.
Conclusioni
La sentenza ribadisce un principio processuale chiave: la decadenza dalla prova testimoniale non è automatica, ma il giudice ha il potere di valutarla sulla base di criteri oggettivi come ritardi ingiustificati, superfluità della prova e mancanza di specificità delle circostanze indicate.
La mancata citazione del testimone non comporta la automatica decadenza della parte richiedente dalla prova, ma consente al giudice di valutare se, per la superfluità della testimonianza o per il ritardo che comporterebbe per la decisione, debba dichiararsi la decadenza della parte dalla prova, ovvero sia necessario differire l'audizione del teste già ammesso ad un'udienza successiva.
Cassazione penale, sez. III, sentenza 21/11/2024 (dep. 10/01/2025) n. 1035
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 5 dicembre 2023, la Corte d'Appello di Trieste confermava la sentenza del Tribunale di Pordenone del 14 dicembre 2021, appellata da Fo.Ro., che lo aveva ritenuto colpevole del reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti alla pena di 1 anno ed 8 mesi di reclusione, previa esclusione della contestata recidiva, in relazione a fatti contestati come commessi secondo le modalità esecutive e spazio temporali meglio descritte in rubrica.
2. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Fo.Ro., a mezzo dei propri difensori di fiducia, articolando cinque motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173, disp. att., cod. proc. pen.
2.1. Deduce con un primo motivo, il vizio di violazione di legge e correlato vizio di motivazione attesa l'infondatezza nel merito dell'accusa sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo.
In sintesi, si sostiene che la semplice lettura della comunicazione notizia di reato della Guardia di finanza avrebbe dovuto indurre all'archiviazione del procedimento penale, in quanto, dalla stessa, risulta che la società beneficiaria della fattura sarebbe stata un evasore totale, di tal che, oggettivamente, non si comprende assolutamente che utilità o beneficio avrebbe mai potuto trarre l'imputato dall'emissione della fattura oggetto di contestazione. Richiamato lo svolgimento dell'istruttoria dibattimentale e riportata la trascrizione integrale delle deposizioni del teste Ka.Fe. (soggetto che lavorava per conto della società destinataria della fattura) e della teste Mu.La., si sostiene che la Pubblica accusa non avrebbe dimostrato alcunché in ordine all'elemento soggettivo del dolo specifico di consentire l'evasione di imposta al beneficiario della fattura, aggiungendo come il Tribunale e la Corte d'Appello avrebbero totalmente trascurato i dati probatori distorcendoli e male interpretandoli. Vengono, infine, richiamate integralmente la motivazione sia della sentenza di primo grado (v. pagine 2325 del ricorso), sia quella d'appello (v. in particolare le pagine 25 -29 del ricorso).
2.2. Deduce con il secondo motivo, il vizio di violazione di legge relativamente all'ordinanza del 25-11-2021 con cui veniva disposta la revoca dei testi indotti dalla difesa.
In sintesi, si rileva come nell'atto d'appello era stata contestata l'illegittimità dell'ordinanza del 25 novembre 2021 con cui era stata revocata l'ammissione dei testi della difesa. Si sostiene che la mancata comparizione dei testi non era in alcun modo ascrivibile alla difesa, laddove la revoca dell'ammissione dei testi sarebbe un chiaro indice della "foga condannatoria" del Tribunale, che avrebbe ritenuto di fondare la decisione con totale non considerazione delle istanze e delle produzioni difensive. Richiamato quanto argomentato sul tema dal primo giudice e dalla Corte d'Appello, si sostiene che i casi di decadenza sono tassativamente previsti e tra gli stessi non sarebbe sussumibile quello in esame, anche per assenza di termini normativi perentori di citazione dei testi e di adeguata citazione nei termini dei testi stessi. Circa gli avvisi di ricevimento, si rileva come la restituzione sia avvenuta successivamente all'udienza e come ciò non possa ascriversi come fatto imputabile alla difesa a giustificazione della dichiarazione di decadenza o di revoca dell'ammissione dei testi. In ogni caso, anche l'eventuale omessa citazione dei testi sarebbe stata, per mera ipotesi di lavoro, irrilevante, alla luce della recente giurisprudenza di questa Corte (il riferimento è alla sentenza di questa Corte n. 42637 del 2023).
2.3. Deduce con il terzo motivo, il vizio di violazione di legge e correlato vizio di motivazione quanto all'eccessività della pena, all'omessa concessione delle circostanze attenuanti generiche ed alla mancata concessione dei doppi benefici di legge.
In sintesi, richiamato quanto argomentato dal primo giudice e dalla Corte d'Appello, si sostiene come nell'atto di appello si fosse rilevata l'errata ed ingiusta commisurazione della pena inflitta, il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche nonché dei doppi benefici di legge. Secondo la difesa, sarebbe evidente come l'assenza di peculiari tratti di offensività, oltre la normale e ordinaria previsione normativa base della condotta delittuosa, non renderebbe revoca bile in dubbio che, riconosciute le attenuanti generiche, in denegata ipotesi, non vi siano ragioni di escludere la determinazione della pena nei minimi di legge, applicata la riduzione per il rito, anche avuto riguardo all'assenza di precedenti specifici e al ruolo di collaboratore di giustizia dell'imputato. In ogni caso, in denegata ipotesi, si chiede a questa Corte di riconoscere il minimo della pena, con concessione delle attenuanti generiche e dei doppi benefici di legge.
2.4. Deduce con il quarto motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all'art. 533, cod. proc. pen., attesa la violazione del principio dell'ogni oltre ragionevole dubbio.
In sintesi, richiamata la disposizione dell'articolo 533 cod. proc. pen. e l'interpretazione giurisprudenziale sul punto (vedi pagine 33 -38 del ricorso), si sostiene che la decisione sarebbe affetta dal vizio di violazione di legge per il mancato rispetto del principio dell'oltre ogni ragionevole dubbio, in quanto non vi sarebbe in atti alcun elemento che suffraghi le tesi della Pubblica accusa, non potendo assolutamente affermarsi, al di là di ogni ragionevole dubbio, che il ricorrente abbia posto in essere l'attività criminosa in contestazione. Si chiede, pertanto, l'assoluzione del ricorrente anche ai sensi dell'articolo 530, comma 2, cod. proc. pen. perché il fatto non sussiste e, in subordine, per non aver commesso il fatto. In denegata ipotesi, si insiste per il minimo della pena con il riconoscimento delle attenuanti generiche e dei doppi benefici di legge.
2.5. Deduce con il quinto motivo, il vizio di violazione di legge attesa l'intervenuta estinzione del reato per prescrizione.
In sintesi, richiamato quanto argomentato dalla sentenza impugnata, si rileva l'intervenuta prescrizione del reato e la conseguente erroneità della sentenza laddove ha respinto l'eccezione di intervenuta estinzione del reato per prescrizione. Sul punto rileva il ricorrente come il reato in questione è un reato istantaneo che si consuma pertanto alla data della emissione della fattura, nel caso di specie il 16 luglio 2014. Per tale ragione la prescrizione del reato sarebbe definitivamente maturata il 16 luglio 2023, vale a dire in data antecedente alla sentenza impugnata, non potendosi, ai fini del calcolo della prescrizione, tener conto dell'aumento della pena edittale introdotto dal decreto-legge n. 124 del 2019.
3. In data 30 ottobre 2024 sono state trasmesse le conclusioni scritte del Procuratore Generale presso questa Corte, con cui si chiede dichiararsi l'inammissibilità del ricorso.
3.1. Il primo motivo è inammissibile non rientrando in alcuno di quelli previsti per il ricorso per cassazione dall'art. 606, comma 1, cod. proc. pen. ed essendo anche nel corpo generico nella, non consentita, contestazione della conducenza delle risultanze probatorie, accompagnata dalla trascrizione delle deposizioni di due testimoni e conclusa con apodittiche affermazioni della mancata dimostrazione da parte della pubblica accusa dell'elemento oggettivo e di quello soggettivo del reato.
3.2. Il secondo motivo è manifestamente infondato. Con riferimento al giudizio dibattimentale (diverso è il caso del giudizio abbreviato condizionato, cui si riferisce la sentenza evocata nel ricorso, nel quale il giudice ha a monte valutato la necessità ai fini della decisione della integrazione probatoria richiesta), secondo l'orientamento preferibile (Sez. 6 , n. 33163 del 03-11-2020, Rv. 279922), la mancata citazione del testimone non comporta la automatica decadenza della parte richiedente dalla prova, ma consente al giudice di valutare se, per la superfluità della testimonianza o per il ritardo che comporterebbe per la decisione, debba dichiararsi la decadenza della parte dalla prova, ovvero sia necessario differire l'audizione del teste già ammesso ad un'udienza successiva. Si tratta di principi senz'altro applicabili anche al caso che ci occupa nel quale la difesa, sebbene avesse trasmesso le citazioni a mezzo posta, non era stata in grado di depositare gli avvisi di ricevimento, così impedendo in radice al giudice l'adozione dei provvedimenti ex art. 133 cod. proc. pen. Ciò tanto più alla luce della ricostruzione operata nella sentenza impugnata, secondo cui il primo giudice già alla precedente udienza del 28.9.2021, a fronte dell'assenza dei testi della difesa e del fatto che questa li aveva citati solo in data 15.9.2021, aveva disposto rinvio all'udienza del 25.11.2021, avvertendo espressamente la difesa che, qualora avesse spedito le citazioni in ritardo, si sarebbe provveduto a dichiarare la decadenza della relativa prova. All'udienza del 25.11.2021, quindi, il giudice rilevava che le citazioni dei testimoni, nuovamente assenti, erano state spedite solo il 3.11.2021, oltre un mese dopo la precedente udienza, e che non vi era prova della ricezione. In ogni caso, il giudice evidenziava come il difensore non fosse stato neppure in grado di precisare su quali circostanze specifiche i testimoni dovessero essere escussi né tali circostanze emergevano dalla lista, che genericamente prevedeva l'audizione sulla fattura oggetto di contestazione e sull'esistenza della prestazione descritta, ossia sul capo di imputazione. Dunque, da un lato, la condotta tenuta denota un difetto di interesse alla assunzione delle prove, che giustifica la decadenza; dall'altro, si è formulato un giudizio di superfluità delle prove stesse, in assenza di indicazione specifica dei relativi temi. Indicazione specifica che non è stata fornita neanche nel ricorso, ciò confortando la manifesta infondatezza del motivo in esame.
3.3. Il terzo motivo è inammissibile, anche in questo caso non inquadrandosi le censure in alcuno dei casi dell'art. 606, comma 1, cod. proc. pen. Si deducono l'assenza di peculiari tratti di offensività, l'assenza di precedenti specifici e il ruolo di collaboratore di giustizia del ricorrente, sollecitando anche "la riduzione per il rito", nonostante si sia proceduto con il rito ordinario, senza confrontarsi con le considerazioni, pure riprodotte, della Corte territoriale per cui i gravissimi precedenti penali per reati della stessa indole - falso ideologico in atto pubblico e falsa dichiarazione ex art. 76 D.P.R. n. 445 del 2000 - ma anche per associazione mafiosa, tentata estorsione, detenzione e porto illegale di armi e le modalità della condotta tenuta, in specie dopo la commissione del reato, escludevano la possibilità di riconoscere le circostanza attenuanti generiche e concedere i benefici di legge, ostandovi in ogni caso il divieto di cui all'art. 164, comma 4, cod. pen. La pena, peraltro, è stata irrogata in misura assai prossima al minimo edittale, pari all'epoca del fatto a un anno e sei mesi di reclusione.
3.4. Inammissibile, per genericità è anche il quarto motivo con cui si deduce la violazione del canone dell'oltre ogni ragionevole dubbio.
3.5. Infine, manifestamente infondato è il quinto motivo. Si osserva al riguardo che la Corte d'Appello correttamente ha ritenuto il reato non prescritto alla data della sentenza, non perché ha tenuto conto dell'aumento dei limiti edittali operato dall'art. 4 D.L. n. 124 del 2019 ma perché ha applicato, come chiaramente esposto, la previsione dell'art. 17, comma 1-bis, D.Lgs. n. 74 del 2000, vigente all'epoca della commissione del reato, secondo cui i termini di prescrizione per i delitti previsti dagli articoli da 2 a 10 sono elevati di un terzo. Dunque, la prescrizione ordinaria del reato è pari a otto anni (sei anni, corrispondenti alla pena massima dell'epoca del fatto, aumentati di un terzo) e quella massima, con l'aumento di 1 quarto (non essendo applicabile il maggiore aumento legato alla recidiva reiterata, esclusa in primo grado), pari a dieci anni, non decorsi alla data della sentenza.
4. L'Avv. GIUSEPPE POLO PARDISE e l'Avv. LORENZO BARADEL hanno depositato in data 4 novembre 2024 le conclusioni scritte con cui hanno insistito nell'accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso, trattato cartolarmente in assenza di richiesta di discussione orale, è inammissibile.
2. Il primo motivo, conformemente alle conclusioni del PG, è inammissibile per genericità, non rientrando in alcuno di quelli previsti per il ricorso per cassazione dall'art. 606, comma 1, cod. proc. pen.
2.1. In particolare, lo stesso si rivela del tutto generico - come del resto era già stato evidenziato nella sentenza impugnata (pag. 6) - nella, non consentita, contestazione della conducenza delle risultanze probatorie, accompagnata dalla trascrizione delle deposizioni di due testimoni e conclusa con apodittiche affermazioni della mancata dimostrazione da parte della pubblica accusa dell'elemento oggettivo e di quello soggettivo del reato. È, infatti, inammissibile il ricorso per cassazione quando manchi l'indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'atto di impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità, che conduce, ex art. 591, comma primo, lett. c), cod. proc. pen. all'inammissibilità del ricorso (tra le tante: Sez. 1, n. 39598 del 30-09-2004, Rv. 230634 -01).
2.2. Le doglianze della difesa si appalesano dunque prive di pregio, in quanto si risolvono nel "dissenso" sulla ricostruzione dei fatti e sulla valutazione delle emergenze processuali svolta dal giudice di merito, operazione vietata in sede di legittimit~l, attingendo la sentenza impugnata e tacciandola per presunte violazioni di legge e per vizi motivazionali con cui, in realtà, si propone una doglianza non suscettibile di sindacato da parte di questa Corte. Deve, sul punto, ribadirsi infatti che il controllo di legittimità operato dalla Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (v., tra le tante: Sez. 5, n. 3416 del 26-10-2022 -dep. 26-01-2023, Lembo, n.m.; Sez. 5, n. 1004 del 30-11-1999 -dep. 31-01-2000, Moro, Rv. 215745; Sez. 5, n. 11910 del 22-01-2010, Casucci, Rv. 246552).
3. Il secondo motivo è inammissibile per manifesta infondatezza.
3.1. Come correttamente rilevato dal PG, secondo l'orientamento preferibile (Sez. 6, n. 33163 del 03-11-2020, Rv. 279922), la mancata citazione del testimone non comporta la automatica decadenza della parte richiedente dalla prova, ma consente al giudice di valutare se, per la superfluità della testimonianza o per il ritardo che comporterebbe per la decisione, debba dichiararsi la decadenza della parte dalla prova, ovvero sia necessario differire l'audizione del teste già ammesso ad un'udienza successiva.
3.2. Si tratta di principi senz'altro applicabili anche al caso che ci occupa nel quale la difesa, sebbene avesse trasmesso le citazioni a mezzo posta, non era stata in grado di depositare gli avvisi di ricevimento, così impedendo in radice al giudice l'adozione dei provvedimenti ex art. 133 cod. proc. pen. Ciò tanto più alla luce della ricostruzione operata nella sentenza impugnata, secondo cui il primo giudice già alla precedente udienza del 28.9.2021, a fronte dell'assenza dei testi della difesa e del fatto che questa li aveva citati solo in data 15.9.2021, aveva disposto rinvio all'udienza del 25.11.2021, avvertendo espressamente la difesa che, qualora avesse spedito le citazioni in ritardo, si sarebbe provveduto a dichiarare la decadenza della relativa prova. All'udienza del 25.11.2021, quindi, il giudice rilevava che le citazioni dei testimoni, nuovamente assenti, erano state spedite solo il 3.11.2021, oltre un mese dopo la precedente udienza, e che non vi era prova della ricezione. In ogni caso, il giudice evidenziava come il difensore non fosse stato neppure in grado di precisare su quali circostanze specifiche i testimoni dovessero essere escussi né tali circostanze emergevano dalla lista, che genericamente prevedeva l'audizione sulla fattura oggetto di contestazione e sull'esistenza della prestazione descritta, ossia sul capo di imputazione.
3.3. Dunque, come sottolineato anche dal PG, da un lato, la condotta tenuta denota un difetto di interesse alla assunzione delle prove, che giustifica la decadenzà; dall'altro, si è formulato un giudizio di superfluità delle prove stesse, in assenza di indicazione specifica dei relativi temi. Indicazione specifica che non è stata fornita neanche nel ricorso, ciò confortando la manifesta infondatezza del motivo in esame.
4. Il terzo motivo è inammissibile per genericità.
4.1. Anche in questo caso, al pari del primo motivo, le censure non si inquadrano in alcuno dei casi dell'art. 606, comma 1, cod. proc. pen. Si osserva, in particolare, come sia stata dedotta l'assenza di peculiari tratti di offensività, l'assenza di precedenti specifici e il ruolo di collaboratore di giustizia del ricorrente, sollecitando anche "la riduzione per il rito", nonostante si sia proceduto con il rito ordinario, senza confrontarsi con le considerazioni, pure riprodotte, della Corte territoriale per cui i gravissimi precedenti penali per reati della stessa indole -falso ideologico in atto pubblico e falsa dichiarazione ex art. 76 D.P.R. n. 445 del 2000 - ma anche per associazione mafiosa, tentata estorsione, detenzione e porto illegale di armi e le modalità della condotta tenuta, in specie dopo la commissione del reato, escludevano la possibilità di riconoscere le circostanze attenuanti generiche e concedere i benefici di legge, ostandovi in ogni caso il divieto di cui all'art. 164, comma 4, cod. pen.
4.2. La pena, peraltro, è stata irrogata in misura assai prossima al minimo edittale, pari all'epoca del fatto a un anno e sei mesi di reclusione donde è rispettato il principio secondo cui, in tema di determinazione della pena, nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale, non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, essendo sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all'art. 133 cod. pen. (tra le tante: Sez. 4, n. 46412 del 05-11-2015, Rv. 265283 -01).
5. Il quarto motivo è inammissibile per genericità.
5.1. Come già visto a proposito del primo e del terzo motivo di ricorso, anche nel caso del presente motivo, la violazione del canone dell'oltre ogni ragionevole dubbio, in assenza di critiche puntuali alla motivazione della sentenza impugnata in ordine alle ragioni per le quali detto vizio sarebbe ravvisabile, lo rende del tutto aspecifico.
5.2. Sul punto, è sufficiente rilevare che la regola di giudizio compendiata nella formula "al di là di ogni ragionevole dubbio" rileva in sede di legittimità esclusivamente ove la sua violazione si traduca nella illogicità manifesta e decisiva della motivazione della sentenza, non avendo la Corte di cassazione alcun potere di autonoma valutazione delle fonti di prova (Sez. 2, n. 28957 del 03-04-2017, Rv. 270108 -01).
6. Manifestamente infondato, infine, è l'ultimo motivo.
6.1. La Corte d'Appello correttamente ha ritenuto il reato non estinto per prescrizione alla data della sentenza, non perché ha tenuto conto dell'aumento dei limiti edittali operato dall'art. 4 D.L. n. 124 del 2019, ma perché ha evidentemente applicato la previsione dell'art. 17, comma 1-bis, D.Lgs. n. 74 del 2000, vigente all'epoca della commissione del reato, secondo cui i termini di prescrizione per i delitti previsti dagli articoli da 2 a 10 sono elevati di un terzo.
6.2. Dunque, la prescrizione ordinaria del reato è pari a otto anni (sei anni, corrispondenti alla pena massima dell'epoca del fatto, aumentati di un terzo) e quella massima, con l'aumento di 1 quarto (non essendo applicabile il maggiore aumento legato alla recidiva reiterata, esclusa in primo grado), pari a dieci anni, non decorsi alla data della sentenza (5.12.2023), essendo infatti maturata la prescrizione in data 16-07-2024.
6.3. Né rileva la circostanza che alla data dell'udienza dinanzi a questa Corte il reato sia estinto per prescrizione. Pacifico è infatti nella giurisprudenza di legittimità che l'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 cod. proc. pen. (Nella specie, come nel caso in esame, la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso: Sez. U, n. 32 del 22-11-2000, D.L. Rv. 217266 -01).
7. Il ricorso deve dunque essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3000 in favore della Cassa delle Ammende, non potendosi escludere profili di colpa nella sua proposizione.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 21 novembre 2024
Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2025