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Gessetti e colla non bastano per il tentato imbrattamento

Corte di Cassazione, sez. III Penale, Sentenza n.12518 del 13/02/2025 (dep. 01/04/2025)

È sufficiente il semplice possesso di gessetti e colla per configurare il tentato reato di imbrattamento di beni culturali?

Sulla questione interviene la Cassazione penale con la sentenza n. 12518 del 1° aprile 2025, esprimendosi in tema di sequestro probatorio e tentativo di reato, nel contesto delle proteste non violente all'interno di luoghi pubblici e culturali.

La vicenda in esame

Una giovane attivista del movimento ambientalista “Ultima generazione” è stata sottoposta a perquisizione e sequestro dopo essere stata fermata all’ingresso di un museo a Venezia. In suo possesso: due gessetti, un piccolo tubetto di colla, un cartoncino e un foglietto. La contestazione? Il tentativo di imbrattamento o deturpamento di beni culturali ai sensi dell’art. 518 duodecies c.p.

La difesa ha presentato ricorso contro l’ordinanza del riesame, sostenendo che gli oggetti erano di uso comune e non costituivano alcun indizio concreto di un reato in atto. La misura, secondo i difensori, era motivata unicamente dalla presunta appartenenza ideologica della ragazza al movimento ecologista, e non da elementi obiettivi legati alla sua condotta.

La decisione della Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, chiarendo che nel caso di reati contestati nella forma tentata, il giudice è tenuto a verificare due condizioni fondamentali:

  • la configurabilità astratta del reato, e

  • la ragionevole ipotizzabilità della sua commissione nel caso concreto.

Quando si tratta di tentativo di reato, è inoltre necessario accertare l’univocità e l’idoneità degli atti preparatori, valutati ex ante, ossia senza considerare le intenzioni soggettive dell’agente, che non hanno rilevanza penale in assenza di comportamenti concreti e oggettivamente valutabili.

Nel caso specifico, la giovane era stata fermata all’ingresso del museo, senza aver compiuto alcun atto esecutivo. Secondo la Cassazione, non vi era quindi nessun principio di esecuzione né elementi oggettivi che potessero sorreggere l’accusa di tentato reato. Il sequestro disposto con il decreto di perquisizione è stato quindi annullato.

Un equilibrio tra diritto penale e libertà di espressione

La sentenza pone un argine alla criminalizzazione delle intenzioni, affermando che l’adesione ideologica a un movimento o il possesso di oggetti neutri non possono bastare per ipotizzare un reato, neppure nella forma del tentativo. La Cassazione chiarisce che il diritto penale non può fondarsi su supposizioni, soprattutto quando non esistono atti preparatori concreti.

Un messaggio importante in un’epoca in cui le forme di protesta civile, anche se simboliche e non violente, rischiano di essere lette in chiave penalistica: a ricordarlo è la Corte stessa, che ribadisce l’obbligo di tutelare le garanzie processuali anche quando in gioco vi siano beni culturali di rilievo pubblico.

Sequestro probatorio, tentativo, valutazione del fumus commissi delicti, astratta configurabilità, "univocità" e "idoneità" degli atti, valutazione della "ragionevole ipotizzabiiità" del reato

In tema di sequestro probatorio, laddove sia contestato un reato commesso in forma tentata, ai fini della valutazione del fumus commissi delicti il giudice è tenuto a verificare sia la "astratta configurabilità" del reato sia (con giudizio ex ante) la "univocità" e "idoneità" degli atti posti in essere, ai fini della valutazione della "ragionevole ipotizzabiiità" del reato contestato; tali requisiti debbono potersi rilevare obiettivamente dalla condotta degli agenti e dalle modalità degli atti da loro posti in essere, senza che, a tal fine, possa farsi riferimento ai propositi interni degli agenti, dei quali non si abbia conoscenza attraverso dati obiettivamente rilevabili.

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Cassazione penale sez. III, sentenza 13/02/2025 (dep. 01/04/2025) n. 12518

PREMESSO IN FATTO

1. Con ordinanza del 22/05/2024, il Tribunale del riesame dei minorenni di Venezia rigettava il riesame proposto dalla minore Me.Fe. avverso il decreto di perquisizione e sequestro emesso in data 29/04/2024 dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale dei minorenni di Venezia in ordine al delitto di cui all'articolo 518-duodecies cod. pen., eseguito il 3 maggio 2024.

2. Avverso tale ordinanza la minore propone ricorso.

2.1. Con il primo motivo deduce violazione degli articoli 125 cod. proc. pen., 56-518-duedecies cod. pen..

L'ordinanza omette di motivare in ordine alla sussistenza del fumus commissi delieti.

Al fine di valorizzare il possesso di taluni oggetti da parte della ricorrente sotto il profilo delittuoso insiste sul fatto che la giovane sarebbe una simpatizzante del movimento ambientalista non violento denominato "(Omissis)" (che peraltro non ha mai deturpato alcun monumento o opera d'arte); è quindi non la pericolosità in sé degli oggetti rinvenuti ad essere censurata (due gessetti, un mini sticker di colla marca "(Omissis)", un foglio di cartone e un foglietto), quanto l'orientamento politico della giovane: se gli stessi fossero stati trovati in possesso di un gruppo di insegnanti o di turisti, la loro rilevanza penale sarebbe stata ritenuta nulla.

Il Riesame rinverrebbe conferma dell'esistenza di un proposito delittuoso nella presenza all'interno del museo di altre due simpatizzanti del Movimento: La.Em. e Ga.Ta., il cui unico trait d'union con la ricorrente è la comune simpatia per le istanze ambientaliste.

Da ultimo il Tribunale evidenzia come gli oggetti rinvenuti sono "potenzialmente idonei a deturpare, deteriorare, imbrattare beni culturali". Seguendo il ragionamento del Tribunale, nessun ambientalista potrebbe accedere in un'area museale in possesso di una penna, in quanto strumento potenzialmente idoneo a perpetrare il reato contestato.

2.2. Con il secondo motivo deduce violazione degli articoli 125 cod. proc. pen., 275 cod. proc. pen., 1, par. 2, prot. N. 1 CEDU.

A seguito della perquisizione e sequestro operati ai propri danni (da ben 22 poliziotti), la ricorrente si trova oggi senza poter utilizzare il proprio SPID, proseguire la propria attività di studentessa presso il liceo.

Nel disporre ed eseguire il mezzo di ricerca della prova, la Procura della Repubblica ha travalicato i limiti della proporzionalità della misura, omettendo:

- di spiegare le ragioni per cui ha inteso disporre un sequestro su così larga scala su tutti gli strumenti telematici in possesso della giovane;

- di illustrare i criteri per la selezione del materiale da sottoporre a sequestro;

- di stabilire i limiti temporali per procedere all'estrazione di copia forense.

L'ordinanza, a fronte di analoga doglianza, si è limitata a proporre una motivazione

apparente, laddove ha ritenuto che fosse sufficiente il riferimento ad un termine "congruo" e alla "pertinenza al reato" degli oggetti da sequestrare, nozioni, entrambe assolutamente vaghe.

2.3. Con il terzo motivo, lamenta violazione degli articoli 125 e 253 cod. proc. pen., posto che manca totalmente nel decreto di perquisizione e sequestro la motivazione relativa alla attinenza delle res sequestrate al reato contestato, così come l'indicazione della finalità probatoria sottesa al sequestro.

L'analogo motivo di riesame (il terzo) non è stato affatto trattato dall'ordinanza impugnata, che analizza il secondo e il quarto motivo. Si tratta di vera e propria mancanza grafica.

2.4. Con il quarto motivo, lamenta la mancata restituzione del quaderno a quadretti e del foglio raccoglitore ad anelli, il cui sequestro non è stato convalidato.

2.5. Con il quinto motivo lamenta violazione di legge (art. 592 cod. proc. pen. e 29 D.Lgs. 272/1989) nella parte in cui l'ordinanza ha condannato l'odierna ricorrente, minorenne, al pagamento delle spese processuali.

3. In data 7 febbraio 2025, l'Avv. Simone Zancani del Foro di Venezia, per l'indagata, depositava memoria di replica in cui contestava le conclusioni del Procuratore generale e insisteva per l'accoglimento del ricorso, con restituzione all'avente diritto di quanto in sequestro senza trattenimento di copia.

RITENUTO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato nei termini che seguono.

2. Va premesso che l'articolo 518-duodecies, introdotto dall'art. 1, comma 1, lettera b), della L. 9 marzo 2022, n. 22, al comma secondo, sanziona con la pena da sei mesi a tre anni di reclusione, congiunta alla multa da Euro millecinquecento ad Euro diecimila di multa il deturpamento o l'imbrattamento di beni culturali o paesaggistici propri o altrui.

Si tratta di una nuova incriminazione rivolta specificamene ai beni culturali o paesaggistici, che tuttavia riproduce il contenuto di fatti già penalmente sanzionati, sia pure per mezzo del corrispondente tipo delittuoso generale codicistico (l'art. 639 cod. pen.), rispetto al quale si pone in rapporto di maggior rigore sanzionatorio (la pena pecuniaria prevista per la nuova figura delittuosa è più alta, sia nel minimo che nel massimo) e, strutturalmente, in rapporto di specialità unilaterale per specificazione, rappresentata dalla culturalità del bene, che specifica l'oggetto materiale della fattispecie generale di cui all'art. 639 cod. pen..

La condotta incriminata nel caso in esame è quella di chi, fuori dei casi di cui al primo comma, "deturpa o imbratta beni culturali o paesaggistici propri o altrui, ovvero destina beni culturali a un uso incompatibile con il loro carattere storico o artistico ovvero pregiudizievole per la loro conservazione o integrità".

Nel caso posto all'attenzione del Collegio sembrerebbe intendere che la contestazione si appunti su una delle prime delle condotte incriminate, ossia la "deturpazione" ovvero r"imbrattamento", posto in essere in forma tentata.

3. Ciò debitamente premesso, il primo motivo di doglianza è fondato.

La ricorrente contesta la sussistenza del fumus commissi delieti.

Tale elemento viene invece ritenuto sussistente dal Tribunale lagunare (pag. 3), laddove evidenzia, da un lato, che la ricorrente e gli altri soggetti identificati (tra cui un fotografo) erano "noti per azioni analoghe"; dall'altro, che essi si trovavano già all'interno degli spazi museali, per cui avevano già iniziato la fase esecutiva del piano, non portato a termine solo per l'attività di contrasto delle forze di polizia.

Il successivo sequestro aveva invece lo scopo di cercare "ulteriori" riscontri rispetto al fatto contestato, dovendosi quindi escludere il suo carattere meramente esplorativo.

3.1. La piana giurisprudenza di questa Corte ritiene (v. Sez. 3, n. 3465 del 03/10/2019, dep. 2020, Pirlo, Rv. 278542 - 01; Sez. 2, n. 25320 del 05/05/2016, Bulgarella, Rv. 267007 - 01; Sez. 3, n. 15254 del 10/03/2015, Previtero, Rv. 263053 - 01) che, in sede di riesame del sequestro probatorio (ma anche del decreto di perquisizione), il Tribunale è chiamato a verificare la sussistenza della "astratta configurabilità" del reato ipotizzato, non già nella prospettiva di un giudizio di merito sulla fondatezza dell'accusa, bensì con riferimento alla idoneità degli elementi, su cui si fonda la notizia di reato, a rendere utile l'espletamento di ulteriori indagini per acquisire prove certe o ulteriori del fatto, non altrimenti acquisibili senza la sottrazione del bene all'indagato o il trasferimento di esso nella disponibilità dell'autorità giudiziaria.

Tuttavia, si è anche affermato (Sez. 5, n. 24589 del 18/04/2011, Misseri, Rv. 250397 - 01) che il fumus commissi delieti debba essere valutato anche "sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati, che non possono essere censurati in punto di fatto per apprezzarne la coincidenza con le reali risultanze processuali, ma che vanno valutati così come esposti, al fine di verificare se essi consentono di sussumere l'ipotesi formulata in quella tipica (cfr., tra le altre, Cass. sez. 3, n. 33873 del 7.4.2006, rv. 234782; cfr., pure id. sez. 2, 27.9.2004, n. 44399, rv. 229899, secondo cui in sede di riesame del sequestro probatorio, il controllo circa l'esistenza del fumus commissi delieti deve riguardare la sussistenza dei presupposti che giustificano il sequestro, tenendo conto sia delle prospettazioni del P.M., che delle contestazioni difensive riguardanti l'ipotesi di reato dedotta)".

Secondo la pronuncia ultima citata, la necessità di una siffatta verifica è, del resto, postulata dallo specifico obbligo dello stesso giudice del riesame di motivare in ordine alla sussistenza della concreta finalità probatoria (perseguita in funzione dell'accertamento dei fatti), del decreto di sequestro di cose qualificate come corpo di reato (cfr. Sez. Un. n. 5876 del 28.1.2004, rv 226713), essendo sin troppo evidente che la rappresentazione argomentativa delle finalità probatorie del sequestro di un corpo di reato presupponga, di necessità, che sia ragionevolmente ipotizzabile il reato al quale quel corpo si riferisca.

È quindi necessaria la sussistenza, oltre che della "configurabilità astratta" del reato, anche della sua "ragionevole ipotizzabilità" nel caso concreto, senza che ciò implichi per il giudice la necessità di scrutinare, come avviene per le misure cautelari personali, la sussistenza della gravità indiziaria.

3.2. In caso di delitto contestato in forma tentata, affinché sia soddisfatta la verifica di cui sopra, compito del Tribunale del riesame è quindi la verifica: a) della "astratta configurabilità" del reato; b) della valutazione in ordine al fumus della "univocità" e "idoneità" degli atti posti in essere ai fini della valutazione della "ragionevole ipotizzabilità" del reato contestato.

3.2.1. L'idoneità degli atti, richiesta per la configurabilità del reato tentato, deve essere valutata con giudizio ex ante, tenendo conto delle circostanze in cui opera l'agente e delle modalità dell'azione, in modo da determinarne la reale adeguatezza causale e l'attitudine a creare una situazione di pericolo attuale e concreto di lesione del bene protetto" (Sez. 1, n. 27918 del 04/03/2010, Resa, Rv. 248305-01; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 2, n, 36311 del 12/07/2019, Raicevic, Rv. 277032-01; Sez. 1, n. 1365 del 02/10/1997, dep. 1998, Tundo, Rv. 209688-01).

Ai fini della ravvisabilità del tentativo, i requisiti della idoneità e della univocità degli atti devono potersi rilevare obiettivamente dalla condotta degli agenti e dalle modalità degli atti da loro posti in essere, senza che, a tal fine, possa farsi riferimento alle intenzioni, dagli stessi eventualmente formulate. Ne consegue che al giudice non è consentito di conferire idoneità e univocità di direzione ad atti che, di per sé stessi, non sono né idonei né univoci, attraverso il riferimento ai propositi interni degli agenti, dei quali non si abbia conoscenza attraverso dati obiettivamente rilevabili. Diversamente operando, si finirebbe inevitabilmente per conferire rilievo penale ad atti di volizione interna che possono essere valutati soltanto ai fini dell'esistenza dell'elemento psicologico, ma non anche ai fini della ravvisabilità dell'elemento materiale del reato" (Sez. 1, n. 2587 del 23/10/1997, dep. 1998, Di Gregorio, Rv. 210074-01; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 1, n. 43406 del 12/10/2001, Mereu, Rv. 220144-01; Sez. 1, n. 7317 del 13/04/1995, Abbà, Rv. 201738-01).

3.2.2. La prevalente giurisprudenza di legittimità ritiene che gli atti diretti in modo non equivoco a commettere un reato possono essere esclusivamente gli "atti esecutivi" (sulla base di quello che la dottrina chiama "principio di esecuzione"), ossia gli atti tipici, corrispondenti, anche solo in minima parte, come inizio di esecuzione, alla descrizione legale di una fattispecie delittuosa a forma libera o vincolata, in quanto l'univocità degli atti indica non un parametro probatorio, ma un criterio di essenza e una caratteristica oggettiva della condotta, non essendo dunque punibili, a titolo di tentativo, i meri atti preparatori (Sez. 3, n. 15656 del 02/02/2022, Rocca, Rv. 283045 - 01; Sez. 1, n. 40058 del 24/09/2008, Cristello, Rv. 241649 - 01).

3.2.3. Tuttavia, secondo alcune pronunce di questa Corte, per la configurabilità del tentativo rilevano non solo i veri e propri atti esecutivi, ma anche quelli che, pur classificabili come "preparatori", facciano fondatamente ritenere che l'agente, avendo definitivamente approntato il piano criminoso in ogni dettaglio, abbia iniziato ad attuarlo, che l'azione abbia la significativa probabilità di conseguire l'obiettivo programmato e che il delitto sarà commesso, salvo il verificarsi di eventi non prevedibili indipendenti dalla volontà del reo (Sez. 1, n. 37091 del 19/07/2023, Caminiti, Rv. 285282 - 01; Sez. 6, n. 46796 del 18/10/2023, Marzano, Rv. 285566 - 01).

In tal caso, tuttavia, i requisiti della idoneità e della univocità degli atti devono potersi rilevare "obiettivamente" dalla condotta degli agenti e dalle modalità degli atti da loro posti in essere, senza che, a tal fine, possa farsi riferimento alle intenzioni, dagli stessi eventualmente formulate.

A titolo di esempio, la disponibilità di armi da sparo e passamontagna all'ingresso di una banca, potrebbe consentire di inferire l'inizio dell'esecuzione di una rapina ovvero la sussistenza di atti preparatori punibili nei termini di cui sopra.

3.3. Nel caso di specie, tutto ciò manca, né il Tribunale del riesame dà in modo concreto contezza della sussistenza degli elementi sufficienti a ragionevolmente sussistente, almeno a fini probatori, un tentativo punibile.

Non vi è, in tutta evidenza, principio di esecuzione, posto che la ricorrente è stata fermata all'ingresso dell'area museale senza aver posto in essere alcuna attività (peraltro neppure annunciata in forma verbale).

Né, del resto, è consentito nel caso in esame richiamare la predetta giurisprudenza sugli "atti preparatori", posto che non è possibile univocamente inferire la destinazione del materiale sequestrato alla ricorrente alla commissione del reato di deturpamento in ragione della "pericolosità intrinseca" degli oggetti di cui la giovane indagata era in possesso, essendo ben possibile che il gessetto e le altre cose sequestrate fossero destinati ad effettuare azioni dimostrative non danneggianti o deturpanti (quali sit-in o appelli ai presenti, come farebbe pensare la scritta su uno dei fogli: "intervento"), ovvero a non porre in essere alcuna azione protestataria.

Mancando l'univocità e la direzione degli atti non può, a cascata, che dirsi mancante il requisito del fumus commissi delieti, che certo non può ritenersi sussistente, sulla base di un giudizio prognostico ex ante, in base alla mera appartenenza ("noti attivisti") ad un gruppo ambientalista, ciò che sarebbe in stridente contrasto con quanto disposto dagli articoli 18 e 21 Cost..

Viola quindi l'articolo 253 cod. proc. pen. il Tribunale del riesame anche laddove ritiene che il successivo sequestro operato a seguito di decreto di perquisizione e sequestro emesso a carico dell'odierna ricorrente aveva lo scopo di cercare "ulteriori" riscontri rispetto al fatto contestato, posto che nessun "riscontro" può sussistere rispetto ad un fatto che non esiste, non avendo raggiunto ancora, la progressione degli atti, quel minimum che consenta di ritenere superata la soglia della rilevanza penale.

Va quindi enunciato il seguente principio di diritto: in tema di sequestro probatorio, laddove sia contestato un reato commesso in forma tentata, ai fini della valutazione del fumus commissi delieti il giudice è tenuto a verificare sia la "astratta configurabilità" del reato sia (con giudizio ex ante) la "univocità" e "idoneità" degli atti posti in essere, ai fini della valutazione della "ragionevole ipotizzabiiità" del reato contestato; tali requisiti debbono potersi rilevare obiettivamente dalla condotta degli agenti e dalle modalità degli atti da loro posti in essere,

senza che, a tal fine, possa farsi riferimento ai propositi interni degli agenti, dei quali non si abbia conoscenza attraverso dati obiettivamente rilevabili.

4. L'ultimo motivo, relativo alla condanna alle spese, è del pari fondato.

La ricorrente è stata condannata al pagamento delle spese processuali, condanna - come correttamente evidenziato dall'Avvocato generale - non consentita, dovendo in parte qua trovare applicazione, in base ai principi fissati da questa Corte regolatrice (cfr.: Sez. U, n. 15 del 31/05/2000, Radulovic, Rv. 216704-216705; Sez. 6, Ord. n. 41716 12/09/2016, Martucci, n.m.; Sez. 1, n. 12340 del 20/02/2020, M., Rv. 278702 - 02; Sez. 3, n. 5754 del 16/01/2014, Rv. 259134; Sez. 1, n. 26870 del 03/10/2014, dep. 2015, Rv. 264025), la disciplina di favore dettata dall'art. 29 D.Lgs. 28.7.1989, n. 272, recante norme di attuazione e di coordinamento del D.P.R. 22.9.1988, n. 448, sul processo penale a carico di imputati minorenni ("La sentenza di condanna nei confronti di persona minore degli anni diciotto al momento in cui ha commesso il fatto non comporta l'obbligo del pagamento delle spese processuali e di quelle per il suo mantenimento in carcere").

6. L'ordinanza impugnata va pertanto annullata senza rinvio, unitamente agli atti conseguenziali (decreto di perquisizione e sequestro emesso in data 29/04/2024, verbale di perquisizione in data 03/05/2024, verbali di sequestro in data 03/05/2024), con restituzione di quanto in sequestro all'avente diritto.

La fondatezza del primo motivo di ricorso ha efficacia assorbente sul secondo, terzo e quarto motivo.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata nonché il decreto di perquisizione e sequestro in data 29 aprile 2024 e i verbali di perquisizione e sequestro in data 3 maggio 2024, ordinando la restituzione di quanto in sequestro agli aventi diritto.

Manda alla cancelleria per l'immediata comunicazione al Procuratore generale in sede per quanto di competenza ai sensi dell'art. 626 cod. proc. pen..

In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi, ai sensi dell'art. 52 del D.Lgs. 196/2003, in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma il 13 febbraio 2025.

Depositato in Cancelleria il 1 aprile 2025.

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