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Giustizia riparativa negata? Ricorso in Cassazione per tutti i reati

Corte di Cassazione, sez. V Penale, Sentenza n.131 del 26/11/2024 (dep. 03/01/2025)

L'ordinanza che nega l’accesso alla giustizia riparativa ai sensi dell’art. 129-bis Cpp può essere impugnata in Cassazione insieme alla sentenza conclusiva del giudizio anche nei casi di reati procedibili d'ufficio.

È quanto stabilito dalla Quinta sezione penale della Cassazione con la sentenza n. 131 depositata il 3 gennaio 2025.

La decisione supera l'orientamento giurisprudenziale precedente, che limitava questa possibilità ai soli reati perseguibili a querela.

Il problema

La questione al centro della sentenza era se l’ordinanza di diniego all’accesso ai programmi di giustizia riparativa potesse essere oggetto di ricorso per Cassazione.

Nel caso di specie, l’imputato, condannato per omicidio e porto illegale d’arma da fuoco, aveva avanzato la richiesta durante il giudizio rescissorio, ma la Corte d’Assise d’Appello di Palermo aveva respinto l’istanza.

Le regole applicabili

L’art. 129-bis del codice di procedura penale, introdotto dalla Riforma Cartabia, consente l’accesso ai programmi di giustizia riparativa in ogni fase del procedimento penale.

Tuttavia, la giurisprudenza precedente (Cass. n. 6595/2023) aveva escluso l’impugnabilità delle ordinanze di diniego, considerandole di natura non giurisdizionale.

Successivamente, la sentenza Cass. n. 33152/2024 aveva ammesso il ricorso solo per i reati perseguibili a querela.

L’applicazione al caso concreto

Con la sentenza n. 131/2025, la Cassazione ha stabilito che l’ordinanza di diniego può essere impugnata congiuntamente alla sentenza conclusiva del giudizio, senza distinzione tra reati procedibili a querela o d’ufficio.

La Corte ha evidenziato che il provvedimento emesso ai sensi dell’art. 129-bis c.p.p. ha una natura endoprocedimentale e può incidere sul trattamento sanzionatorio e sui diritti difensivi dell’imputato. In particolare, la partecipazione a un programma di giustizia riparativa può influire sul riconoscimento delle circostanze attenuanti, come previsto dall’art. 62 n. 6 c.p., e sulle decisioni in materia di dosimetria della pena.

Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che il giudice territoriale avesse errato nel negare l’invio ai programmi di giustizia riparativa, limitandosi a considerare non utile la partecipazione sulla base dell“oggetto del giudizio e del contenuto degli atti”. Questa valutazione è stata giudicata insufficiente alla luce della nuova normativa e dei principi di giustizia riparativa introdotti dalla Riforma Cartabia.

Conclusioni e implicazioni pratiche

La sentenza amplia le garanzie processuali per gli imputati, permettendo di impugnare i dinieghi anche nei procedimenti per reati gravi. Ciò rafforza il ruolo della giustizia riparativa come strumento complementare alla pena tradizionale, sottolineandone la rilevanza anche nei procedimenti più complessi.

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Cassazione penale, sez. V, sentenza 26/11/2024 (dep. 03/01/2025) n. 131

RITENUTO IN FATTO


1. Con sentenza del 18 maggio 2023 la Prima sezione di questa Corte annullava con rinvio, limitatamente alla concessione delle circostanze attenuanti generiche, la sentenza della Corte di assise di appello di Palermo del 14 aprile 2022 con la quale Bu.Ra., in parziale riforma della pronuncia del GUP del Tribunale di Agrigento all'esito del giudizio abbreviato, era stato condannato alla pena di anni dieci e mesi otto di reclusione in ordine ai seguenti reati commessi

il 2 novembre 2018 in Montechiaro, esclusa la circostanza aggravante della premeditazione, e riuniti tra loro dal vincolo della continuazione:

- omicidio del cognato Se.Ig. attenuato dalla c.d. provocazione per accumulo, ai sensi degli artt. 575 e 62, primo comma, n. 2, cod. pen., perché, a seguito dell'ennesimo comportamento aggressivo e molesto della vittima nei confronti di tutti i componenti della famiglia dell'imputato, quest'ultimo - con l'utilizzo della pistola di cui al capo B - aveva esploso numerosi colpi d'arma da fuoco nei confronti di Se.Ig., attingendolo in parti vitali e cagionandone la morte (capo A);

- porto illegale di arma comune da sparo, ai sensi degli artt. 4 e 7 legge 2 ottobre 1967, n, 895, perché aveva portato illegalmente in luogo pubblico una pistola semiautomatica, calibro 9x21, marca Beretta, matricola n. Omissis, legalmente denunciata dallo stesso (capo B).

1.1. In particolare, la Prima sezione riteneva fondato il motivo di ricorso relativo alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche:

- per la insufficiente risposta data dalla Corte di assise di appello alle richieste di concessione di dette attenuanti, sotto il profilo della grave situazione di pericolo che veniva alimentata dal protrarsi del comportamento aggressivo della vittima, tanto che lo stesso imputato, proprio il giorno precedente l'omicidio, aveva fatto installare delle telecamere di sorveglianza, che riprendevano e registravano le immagini nei pressi dell'abitazione della sorella. Per di più erano state sollecitate molte volte le forze di polizia per contenere l'aggressività della vittima ai danni della moglie, sorella dell'imputato, e dei prossimi congiunti.

- per l'errata interpretazione dell'art. 62-bis cod. pen. secondo cui era negato il riconoscimento di dette circostanze anche per il fatto che si trattava di valutare le medesime evenienze fattuali già considerate per la concessione della circostanza attenuante della provocazione per accumulo, di cui all'art. 62 comma primo n. 2 cod. pen.; interpretazione in contrasto con i principi più volte affermati dalla Corte di legittimità circa il fatto che, ai fini della concessione o del diniego delle attenuanti generiche, il giudice può prendere in considerazione gli stessi elementi valutati per la concessione di una circostanza attenuante comune, quando questi incidano non solo sull'intensità del dolo, ma sulla motivazione del delitto e sul carattere del reo, tanto da indurre il convincimento di una ridotta capacità a delinquere del colpevole.

1.2 A seguito del disposto annullamento la Corte di assise di appello di Palermo in diversa composizione con sentenza del 14 marzo 2024, in parziale riforma della sentenza del GUP del Tribunale di Agrigento, concedeva le circostanze attenuanti generiche all'imputato, riducendo la pena in precedenza inflitta ad anni 8 di reclusione.

2. Avverso siffatta decisione ha proposto ricorso l'imputato con atto a firma dei due difensori di fiducia, avv. FRANCESCO SCOPELLITI e Avv. DANIELA POSANTE, articolando i seguenti motivi.

2.1. Con il primo motivo l'imputato denuncia violazione di legge e vizio di motivazione quanto all'ordinanza pronunziata dalla Corte di assise di appello in data 14 marzo 2024 con cui è stata negata la richiesta di accesso alla giustizia riparativa ex art.129 bis cod. proc. pen.

Evidenzia la difesa che nel corso del giudizio rescissorio era stata depositata all'udienza del 5 gennaio 2024 richiesta di accesso alla giustizia riparativa ex art.129 bis cod. proc. pen., respinta con ordinanza pronunziata in udienza in data 14 marzo 2024 in quanto lo svolgimento del programma di giustizia riparativa non era allo stato utile "... in relazione all'oggetto del giudizio e al contenuto degli atti, nonché alla risoluzione delle questioni derivanti dal fatto per cui si procede...."

Tale motivazione era stata poi integrata con le argomentazioni contenute nella sentenza successivamente depositata con la quale il giudice del rescissorio precisava che:

- non sussiste alcun automatismo tra la presentazione della domanda e l'avvio del programma in quanto è rimessa al giudice la valutazione della sua utilità (Sez. 4, n. 646 del 6/12/2023);

- l'esito del giudizio rescissorio era risultato positivo per l'imputato a seguito del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, unico e specifico oggetto del rinvio disposto dalla Prima sezione di questa Corte.

2.1.1. La ordinanza pronunziata all'udienza del 14 marzo 2024- lamenta la difesa - contiene una motivazione apparente, né siffatta mancanza di motivazione può ritenersi superata dalla integrazione contenuta in sentenza laddove si valorizza un elemento, quale quello della concessione delle circostanze attenuanti generiche, che la Corte territoriale non poteva avere ancora valutato al momento della presentazione dell'istanza difensiva.

2.2. Pur nella consapevolezza della esistenza di pronunzie di questa Corte che hanno escluso la possibilità di impugnare la ordinanza di rigetto di accesso alla giustizia riparativa (Sez.2, n.6595 del 12/12/2023, dep.2024, Baldo), a seguito della sua qualificazione quale procedimento di natura non giurisdizionale, e che hanno escluso la sussistenza di frizioni dell'art.129 bis cod. proc. pen. con i principi costituzionali, tuttavia la difesa- non condividendo siffatte conclusioni - ravvisa la possibilità non solo di ricorrere avverso siffatta ordinanza, ma di evidenziarne la nullità.

Nella lettura dell'art.129 bis cod. proc. pen. occorre distinguere:

- il diritto all'accesso alla giustizia riparativa, frutto di una scelta discrezionale del mediatore, non sindacabile in sede giudiziaria, perché non appartiene alla giurisdizione;

- l'invio alla giustizia riparativa previsto dall'art.129 bis cod. proc. pen. che esprime una doverosità nell'invio in caso di valutazione positiva condotta alla stregua dei criteri ivi offerti. Dunque, esiste un diritto all'invio in presenza delle condizioni previste.

2.3. Quanto ai presupposti necessari per l'invio, l'art. 129 bis cod. proc. pen. richiede al giudice di delibare "...la convergenza riparativa degli interessi dei possibili partecipanti)".

Di conseguenza la circostanza che nel caso di specie la istanza sia stata avanzata in sede di giudizio di rinvio avente ad oggetto la concessione delle circostanze attenuanti generiche non può comportare la mancanza di utilità della stessa derivante dalla impossibilità di valorizzare l'esito positivo in sede giudiziaria, atteso che persino in sede di esecuzione il percorso di giustizia riparativa produce effetti in bonam partem. Del resto, l'art. 129 bis cod. proc. pen. riconosce il diritto di accesso al percorso di giustizia riparativa in ogni stato e grado del giudizio.

2.4. Quanto alla possibilità di impugnare il provvedimento, si tratta di un provvedimento del giudice - ordinanza - di natura processuale collocato in un contesto giurisdizionale che soggiace alle regole di cui all'art.586 cod. proc. pen. e che ne consente la conseguente impugnazione unitamente alla sentenza conclusiva della fase di giudizio.

2.5. Quanto all'interesse ad impugnare, lo stesso sussiste sia dal punto di vista strettamente penalistico che dal punto di vista del paradigma riparativo: esiste un interesse concreto ed attuale a verificare la percorribilità di tale strada che apre un percorso di natura apprezzabile e il cui rinvio ad una successiva iniziativa o fase rischierebbe di comprometterne la valorizzazione degli esiti proprio nella fase di innesto nel giudizio di cognizione.

In particolare, il D.Lgs. n.150/2022 ha espressamente inserito all'art.62 n.6 cod. pen. una terza ipotesi di circostanza attenuante comune ("l'avere partecipato ad un programma di giustizia riparativa con la vittima del reato, concluso con un esito riparativo"), con evidenti ricadute sul trattamento sanzionatorio, tali da confermare la natura giurisdizionale del procedimento in esame.

L'annullamento con rinvio disposto dalla Prima sezione di questa Corte è comprensivo di una facoltà di rideterminazione della pena che fa rientrare in gioco anche la possibilità di applicazione, per il principio del favor rei, la concessione della circostanza attenuante dell'art.62 n.6 cod. pen. nella sua nuova formulazione, norma entrata in vigore dopo la presentazione del primo ricorso per Cassazione.

2.6. Una diversa lettura dell'art. 129 bis cod. proc. pen. in combinato disposto con l'art.586 cod. proc. pen. apparirebbe in contrasto con le norme costituzionali di cui agli artt. 111 e 24 Cost. nella parte in cui non consentono di impugnare l'ordinanza con la quale il giudice decide sull'invio dell'imputato ad un programma di giustizia riparativa.

Una lettura costituzionalmente orientata che preveda la ricorribilità dell'ordinanza si ricava dalla ulteriore disposizione contenuta nell'art.129 bis comma quarto cod. proc. pen. laddove prevede la sospensione del processo nei reati perseguibili a querela, sospensione nel processo incompatibile con la ritenuta natura non giurisdizionale del procedimento.

2.7. Premesso dunque che la ordinanza è ricorribile, la stessa deve considerarsi nulla per difetto di motivazione; né la integrazione del contenuto dell'ordinanza fornito con la motivazione della sentenza può ritenersi sanante la nullità, anche in ragione delle argomentazioni che circoscrivono la utilità del programma alla sola concessione delle circostanze attenuanti generiche, mentre la nuova disciplina prevede anche la ulteriore ricaduta in punto di trattamento sanzionatorio rappresentato dall'art. 62 n. 6 cod. pen.

Avendo il giudice rescindente annullato con rinvio la sentenza in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, dichiarando assorbito il terzo motivo di ricorso relativo al trattamento sanzionatorio, il giudice del rinvio aveva il potere dovere di rideterminare la pena anche tenendo conto dello ius superveniens, e quindi della introduzione, attraverso la ed. Riforma Cartabia, della giustizia riparativa.

La sentenza impugnata non ha riconosciuto le circostanze attenuanti generiche nella massima estensione e l'esito del programma riparativo avrebbe, contrariamente a quanto affermato in sentenza circa l'esito pienamente favorevole del rinvio, potuto comportare:

- la concessione delle circostanze attenuanti generiche nella massima estensione;

- la minima riduzione dell'aumento di pena a seguito del riconoscimento del vincolo della continuazione con il capo B);

- la concessione della circostanza attenuante di cui all'art. 62 n.6 cod. pen. nella sua nuova formulazione.

3. Con il secondo motivo, è stata dedotta la incostituzionalità degli artt.129 bis e 586 cod. proc. pen. in relazione agli artt. 24,27 comma terzo e 111 Cost. laddove non prevedono la espressa possibilità di impugnare la ordinanza con la quale il giudice decide sull'invio dell'imputato all'avvio di un programma di giustizia riparativa.

3.1. La ritenuta non impugnabilità del provvedimento in esame compromette irrimediabilmente il diritto dell'indagato/imputato ad ottenere un controllo sul provvedimento di mancato invio e il diritto di provare a rimuovere l'esito di un provvedimento per lui pregiudizievole che incide sui suoi diritti soggettivi.

Il mancato invio in caso di condanna ha inevitabili conseguenze sfavorevoli sul piano del trattamento sanzionatorio.

4. Con il terzo motivo di ricorso è stato dedotto vizio di motivazione e violazione di legge in relazione alla entità della pena in concreto irrogata, alla omessa individuazione della pena base per il reato di omicidio nel minimo edittale e al minimo aumento a seguito del riconoscimento del vincolo della continuazione con i fatti reato di cui al capo B).

4.1. La sentenza di annullamento con rinvio, nell'accogliere il secondo motivo di ricorso relativo alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, aveva ritenuto assorbito il terzo motivo relativo al complessivo trattamento sanzionatorio.

Il giudizio rescissorio, dunque, doveva confrontarsi anche con le questioni oggetto del motivo assorbito essendo le stesse non decise, ma demandate senza alcun vincolo all'esame del giudice del rinvio.

Nel caso di specie la Corte territoriale, dopo aver motivato quanto alla concessione delle circostanze attenuanti generiche, ha pretermesso ogni valutazione sul denunziato vizio di eccessività della pena inflitta.

La violazione è ravvisabile:

- nella determinazione della pena base per la condotta omicidiaria - che è stata individuata in anni ventidue e mesi sei di reclusione- in misura superiore rispetto alla pena base di anni ventuno, senza alcuna effettiva motivazione sul punto (la pena appare proporzionata al disvalore del fatto e alla personalità dell'imputato) e omettendo di valutare il delicato e complesso contesto in cui la condotta era maturata;

- nella determinazione dell'aumento di pena a seguito del riconoscimento del vincolo della continuazione con il reato di cui al capo B) in anni uno di reclusione, in assenza dì motivazione.

5. Con il quarto motivo di ricorso è stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione in punto di mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche nella massima estensione di un terzo.

La mancata riduzione fino ad un terzo è stata effettuata in assenza di motivazione sul punto.

6. Con il quinto e ultimo motivo è stata dedotta la violazione di legge in ordine alla corretta determinazione del trattamento sanzionatorio.

Sostiene la difesa che la riduzione della pena per effetto delle riconosciute circostanze attenuanti generiche avrebbe dovuto essere effettuata non sulla pena base del reato di cui al capo A), ma sulla pena determinata a seguito dell'aumento per la continuazione per il capo B).

7. Con i motivi aggiunti pervenuti in data 6 novembre 2024, la difesa sollecita questa Corte a verificare la sussistenza dei presupposti per sollevare questione di legittimità costituzionale dell'art. 129 bis c.p.p., laddove limita il potere di sospensione del processo ai reati perseguibili a querela specificamente per violazione del principio di uguaglianza dinanzi alla legge, diritto di difesa, del diritto al giusto processo e del principio della funzione rieducativa della pena ex artt. 3,24,27, comma 3 e 111 Cost.

La complementarità della giustizia riparativa rispetto alla giustizia sanzionatoria penale è stata recentemente riconosciuta dalla Terza Sezione di questa Corte, laddove il procedimento abbia ad oggetto reati perseguibili a querela soggetta a remissione (33152/24).

In questi casi, i due paradigmi coesistono con la conseguenza che "...l'ordinanza di rigetto della richiesta di accesso ai programmi di giustizia riparativa può ritenersi giuridicamente influente sull'esito del processo, e quindi impugnabile unitamente alla sentenza......."

Sussiste contrasto tra le argomentazioni rassegnate a sostegno dell'inoppugnabilità delle ordinanze reiettive dell'istanza di accesso alla giustizia riparativa, e di quelle a sostegno dell'oppugnabilità solo nel caso di procedimenti con reati procedibili a querela.

Sotto questo ultimo profilo l'art. 129 bis c.p.p. risulterebbe costituzionalmente illegittimo per violazione dell'art. 3 della Costituzione, laddove si dovesse ammettere una possibilità di impugnazione dell'ordinanza che nega all'indagato/imputato l'accesso ad un programma di giustizia riparativa esclusivamente ai reati perseguibili a querela.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è nel suo complesso infondato.

1. Il primo motivo e il secondo motivo, da trattarsi congiuntamente, risultano infondati.

1.1.1 motivi si articolano in plurime censure che presuppongono la preliminare risoluzione di alcune questioni nel seguente ordine logico.

2.La prima questione attiene alla impugnabilità dell'ordinanza che ha respinto la richiesta di accesso al programma di giustizia riparativa.

Occorre ripercorrere, sia pure sinteticamente, la giurisprudenza di questa Corte sul punto.

2.1. Con la pronunzia del 12 dicembre 2023 (Sez. 2 n. 6595 del 12/12/2023, dep.2024, Baldo, Rv. 285930), la Seconda sezione di questa Corte ha affermato che è inammissibile il ricorso per cassazione avverso il provvedimento con cui il giudice nega al richiedente l'accesso ai programmi di giustizia riparativa ai sensi dell'art, 129-bis cod. proc. pen., non avendo il provvedimento natura giurisdizionale.

A siffatte conclusioni la sentenza è giunta attraverso il seguente percorso motivazionale:

- la garanzia costituzionale dell'art. 111 Cost. riguarda i provvedimenti giurisdizionali che abbiano carattere decisorio e capacità di incidere in via definitiva su situazioni giuridiche di diritto soggettivo, producendo, con efficacia di giudicato, effetti di diritto sostanziale e processuale sul piano contenzioso della composizione di interessi contrapposti (S.U. n. 25080 del 28/05/2003, Pellegrino, Rv. 224610) e il provvedimento con il quale si rigetta la richiesta di accesso alla giustizia riparativa manca di tali requisiti, con la conseguente impossibilità di ricorrere per cassazione per violazione di legge ai sensi dell'art. 111, comma settimo, Cost.; la mancata previsione dell'impugnabilità dell'ordinanza con la quale sia stata rigettata la richiesta di accesso ad un programma di giustizia riparativa risulta coerente rispetto al sistema costituzionale e alle garanzie ivi previste;

le disposizioni che disciplinano l'istituto rivelano un rapporto di complementarità tra giustizia riparativa e giustizia punitiva "...secondo un modello - per cosi dire - autonomistico, in base al quale la giustizia riparativa e quella punitiva procedono separatamente su binari paralleli destinati a non incontrarsi, pur se la giustizia riparativa trova il suo naturale habitat proprio nel procedimento penale..."; è da escludere che il procedimento riparativo richieda la necessaria ' instaurazione di un procedimento penale (art. 44 commi 2 e 3 D. Igs.152/2022) così come è da escludere che, ove il procedimento penale sia instaurato, quello riparativo debba condividerne le regole (il procedimento riparativo è retto da un principio di riservatezza incompatibile con la formazione di prove dichiarative nel pubblico dibattimento) con la conseguenza che il procedimento riparativo non è un procedimento giurisdizionale: il programma riparativo e le attività relative appartengono non al procedimento/processo penale, quanto piuttosto "... all'ordine di un servizio pubblico di cura della relazione tra persone, non diversamente da altri servizi di cura relazionale ormai diffusi in diversi settori della sanità e del sociale...";

la mancata previsione per tali provvedimenti all'interno del procedimento/processo penale di un regime impugnatorio ad hoc è una scelta consapevole, ricollegata alla "speciale" natura, non giurisdizionale, del nuovo istituto, del legislatore.

Dunque, la pronunzia esaminata esclude in radice la possibilità che l'ordinanza di rigetto della richiesta di accesso ai programmi di giustizia riparativa possa essere impugnata con ricorso per cassazione, in ragione della natura non giurisdizionale dell'istituto.

2.2. La successiva decisione della Terza sezione di questa Corte (Sez.3, n. 33152 del 07/06/2024, Odoli, Rv. 286841), è giunta a conclusioni diverse affermando che l'ordinanza reiettiva della richiesta di accesso ai programmi di giustizia riparativa, di cui all'art. 129 bis cod. proc. pen., emessa durante il compimento degli atti preliminari o nel corso del dibattimento può essere impugnata, ex art. 586, comma primo cod. proc. pen., congiuntamente alla sentenza, a condizione che la richiesta risulti avanzata dall'imputato e riguardi reati procedibili a querela suscettibili di remissione, trattandosi del solo caso in cui il suo eventuale accoglimento determina la sospensione del processo.

Dopo avere richiamato la sentenza n.6595 del 12/12/2023, Baldo, cit. quanto alle conclusioni e al percorso motivazionale svolto, la Terza sezione ha ritenuto di dovere operare alcune precisazioni in senso difforme, nonché una specifica distinzione in relazione ai reati per cui si procede. In particolare, la pronuncia:

ha ribadito l'esclusione dell'autonoma impugnabilità dell'ordinanza di rigetto della richiesta di accesso ai programmi di giustizia riparativa, in ragione del principio di tassatività dei mezzi di impugnazione di cui all'art. 568, comma primo cod. proc. pen., dell'assenza di qualunque previsione relativa alla proponibilità di impugnazione dell'ordinanza in questione, e della estraneità della stessa alle categorie di provvedimenti (sentenze e provvedimenti sulla libertà personale) che sono ricorribili per cassazione a norma dell'art. 111, settimo comma, Cost.;

ha ricondotto la questione della impugnabilità del provvedimento in esame alla disciplina di cui all'art. 586 cod. proc. pen. in base al quale l'impugnazione delle ordinanze emesse nel corso degli atti preliminari o nel dibattimento, e diverse da quelle in materia di libertà personale, può essere proposta (solo) unitamente all'impugnazione contro la sentenza, salvo diversa disposizione di legge;

ha rilevato che, se la regola dell'impugnazione differita di cui all'art. 586 cod. proc. pen. impone di attendere l'esito del processo per consentire di accertare se, e in quale misura, le decisioni nelle quali le ordinanze emesse nel corso degli atti preliminari o nel dibattimento si concretizzano abbiano potuto incidere sulla decisione finale, il provvedimento di rigetto in esame non può ritenersi abbia una incidenza giuridicamente rilevante sulla decisione finale, perché esplica un'influenza sulla decisione di merito meramente eventuale e quale elemento di una fattispecie (molto) più complessa, integrata solo al verificarsi di ulteriori fatti del tutto estranei ed indipendenti dal procedimento penale e dal suo svolgimento, salvo che per una ipotesi specifica;

ha individuato tale unica ipotesi in deroga nel procedimento che abbia ad oggetto reati perseguibili a querela soggetta a remissione, atteso che in tal caso il giudice può disporre con ordinanza la sospensione del processo al fine di consentire lo svolgimento del programma di giustizia riparativa (art. 129-bis, comma quarto, cod. proc. pen.); negli altri casi, ritenere che l'ordinanza di rigetto della richiesta di accesso ai programmi di giustizia riparativa possa influire, in modo giuridicamente apprezzabile, sull'esito del processo significherebbe introdurre, di fatto, un obbligo di sospensione del processo penale non previsto dall'art. 129-bis cod. proc. pen. o da altre specifiche disposizioni di legge, e in contrasto con il principio generale della eccezionalità dei casi di sospensione del processo, fissato, in particolare, dall'art. 50, comma terzo, cod. proc. pen.

3. A parere del collegio le argomentazioni poste a fondamento della seconda delle pronunzie esaminate (n. 33152/24, Odoli) sono nel nucleo essenziale pienamente condivisibili, fatte salve alcune conclusioni finali cui la pronunzia medesima giunge.

3.1. La ordinanza pronunziata nel corso del processo ai sensi dell'art.129 bis cod. proc. pen. rappresenta una delle più rilevanti novità introdotte con la riforma Cartabia rispetto al modulo della giustizia riparativa in quanto "mette in comunicazione" il processo nel suo tradizionale svolgimento con il programma riparativo in un momento, quale quello della cognizione, a cui la giustizia riparativa " è sempre rimasta estranea.

3.1.1. Il giudizio di ammissibilità ai sensi dell'art.129 bis cod. proc. pen. cui è chiamato il giudice è profondamente diverso rispetto al giudizio di fattibilità che spetterà eventualmente ai mediatori in punto di valutazione del programma ai sensi dell'art.54 D.Lgs. 150/22 (così anche la Relazione dell'Ufficio del Massimario dedicata alla novella in oggetto).

Il giudice si pronunzia attraverso il provvedimento di invio ai sensi dell'art.129 bis cod. proc. pen., per iniziativa ufficiosa o su richiesta di parte, previa instaurazione del contraddittorio e al fine di verificare se lo svolgimento di un programma di giustizia riparativa possa essere utile alla risoluzione delle questioni derivanti dal fatto per cui si procede e non comporti un pericolo concreto per gli interessati e per l'accertamento dei fatti.

La forma rivestita dal provvedimento motivato (ordinanza), i tempi e i luoghi del processo nei quali il provvedimento è adottato (in ogni stato e grado), la previa instaurazione del contraddittorio (sentite le parti, i difensori nominati e, se ritenuto necessario, la vittima del reato) in relazione alla verifica delle condizioni di ammissibilità previste dall'art.129 bis comma terzo cod. proc. pen. (utilità alla risoluzione delle questioni derivanti dal fatto per cui si procede e assenza di un pericolo concreto per gli interessati e per l'accertamento dei fatti), sono tutti elementi che consentono di ravvisare nell'atto di invio un atto del procedimento/processo penale di natura endoprocedimentale.

Conforta siffatta lettura anche la ulteriore modifica apportata dal D.Lgs. n.131/2024 attraverso l'aggiunta all'art.129 bis cod. proc. pen. del comma 4bis. La modifica ha, infatti, introdotto una "finestra di giurisdizione" nella fase compresa tra la notifica dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari e l'esercizio dell'azione penale, stabilendo che in questa fase, nei reati perseguibili a querela, sulla richiesta dell'interessato provvede il giudice per le indagini preliminari con ordinanza, sentito il pubblico ministero.

Nel corso delle indagini preliminari resta salva la competenza del pubblico ministero che provvede con decreto (comma 3).

3.1.2. In ragione di queste così specifiche e ben delineate caratteristiche, escludere la impugnazione differita dell'ordinanza in esame ai sensi dell'art.586 cod. proc. pen., si tradurrebbe nella assenza di confronto con i principi che disciplinano il sistema processuale, ma anche con le ulteriori indicazioni legislative che collegano significative ricadute di natura sostanziale all'accesso ai programmi di giustizia riparativa; si pensi, ad esempio, all'applicazione della circostanza attenuante di cui all'art. 62 n.6 cod. pen. nella sua nuova formulazione, nonché alle conseguenze in tema di dosimetria della pena ai sensi dell'art.133 seconda parte n. 3 cod. pen (condotta contemporanea o susseguente al reato).

Esistono, cioè, alcuni effetti collegati all'esito riparativo che hanno delle ricadute importanti sul concreto trattamento sanzionatorio e che, dunque, si pongono all'interno del processo/procedimento penale.

Né la reiterabilità della richiesta di ingresso ai programmi in ogni stato e grado del processo, unitamente alla esclusione che possa formarsi un giudicato sul provvedimento di rigetto, rappresentano argomenti dai quali poter trarre la non impugnabilità dell'ordinanza di mancato invio, atteso che siffatte facoltà di reiterazione nascono dalla natura dinamica del processo nei suoi vari stati e gradi e dalla possibilità che alcune condizioni di fatto, che sono a fondamento della richiesta, mutino nel corso del tempo.

Esistono dunque delle attività proprie dell'autorità giudiziaria che si estrinsecano nell'adozione di provvedimenti tipici del modulo processuale penale e rappresentate nel caso in esame dall'ordinanza di invio ex art. 129 bis cod. proc. pen. nelle forme tipicamente riconducibili all'art.125 cod. proc. pen.

Siffatte caratteristiche dell'ordinanza conducono ad una sua necessitata impugnabilità, sia pure differita con la sentenza, ai sensi dell'art.586 cod. proc. pen.

L'impugnabilità dei provvedimenti in materia di giustizia riparativa è peraltro prevista espressamente nella Raccomandazione del Consiglio di Europa in tema di giustizia riparativa (CM/Rec2018-8) che, al paragrafo 33, ha stabilito che: "...In particolare, le parti dovrebbero essere informate e avere accesso a procedure di reclamo chiare ed efficaci....." La Raccomandazione, dunque, non solo si sofferma sulla necessità di "informare", ma anche di poter "reclamare in modo chiaro ed efficace."

3.2. L'ulteriore tema da affrontare, ad avviso del collegio, è costituito dalla impugnabilità dell'ordinanza di mancato invio anche in tutte le ipotesi in cui il reato per cui si procede non sia rimettibile a querela, questione rilevante nel caso in esame relativo ad una condotta omicidiaria. La questione, come anticipato, è stata risolta in senso negativo dalla più volte citata sentenza n.33152/24, Odoli.

Pur comprendendo le ragioni analiticamente esposte in tale pronunzia per circoscrivere la impugnabilità ai soli reati procedibili a querela - ragioni riconducibili principalmente alla espressa previsione della sospensione del processo ai sensi dell'art. 129 bis comma quarto cod. proc. pen. solo per questi reati- una siffatta interpretazione ridurrebbe di significato e di rilevanza altre disposizioni che sono comunque racchiuse nel nuovo statuto della giustizia riparativa.

3.2.1. Prima ancora di individuare ed esaminare a tal fine le disposizioni di legge introdotte con la riforma "Cartabia", appare opportuno ribadire le indicazioni della Raccomandazione del Consiglio d'Europa (2018)8 già citata che, nel riconoscere un diritto "... all'accesso a procedure di reclamo chiare ed efficaci...", non opera alcuna distinzione fondata sulla procedibilità del reato.

3.2.2. Procedendo poi all'esame del D.Lgs. 150/22, l'art.44 recita testualmente:

"I programmi di giustizia riparativa disciplinati dal presente decreto sono accessibili senza preclusioni in relazione alla fattispecie di reato o alla sua gravità.

Ai programmi di cui al comma 1 si può accedere in ogni stato e grado del procedimento penale, nella fase esecutiva della pena e della misura di sicurezza, dopo l'esecuzione delle stesse e all'esito di una sentenza di non luogo a procedere o di non doversi procedere, per difetto della condizione di procedibilità, anche ai sensi dell'articolo 344-bis del codice di procedura penale, o per intervenuta causa estintiva del reato.

Qualora si tratti di delitti perseguibili a querela, ai programmi di cui al comma 1 si può accedere anche prima che la stessa sia stata proposta."

Anche, dunque, questa disposizione di carattere generale:

- afferma l'assenza di preclusioni legate "alla fattispecie di reato o alla sua gravità" e apre il momento dell'innesto di una eventuale fase riparativa "ad ogni stato e grado del processo", inserendo nell'alveo della piena cognitio del giudice il provvedimento di invio per qualsiasi reato si proceda ed in qualsiasi momento processuale, risultando quindi irragionevole operare un distinguo in punto di impugnabilità in ragione della procedibilità/non procedibilità a querela del reato;

-nel riservare un espresso comma ai reati perseguibili a querela, riconosce la possibilità che proprio e solo per questi reati il programma di giustizia possa essere attivato prima dell'istanza di punizione, ossia prima dell'attivazione della giustizia tradizionale, possibilità che non è invece riconosciuta per i reati per cui si procede di ufficio non rimettibili e per i quali il procedimento penale, nella sua più completa articolazione, risulta la sede naturale in cui le parti del conflitto vanno informate della possibilità di iniziare un percorso di giustizia riparativa.

L'art.44 cit., quindi, non contiene disposizione alcuna che possa- una volta affermata la ricorribilità del provvedimento di diniego di accesso in forma differita unitamente alla sentenza ai sensi dell'art.586 cod. proc. pen. - limitare siffatta ricorribilità per i soli reati procedibili a querela e rimettibili, potendosi altresì trarre argomento in senso contrario proprio dalla disposizione di cui all'art.44 comma terzo che prevede un accesso al programma fuori e prima del processo solo per i reati rimettibili e non per gli altri.

3.2.3. Procedendo nell'esame degli articoli del Codice penale e di procedura penale che sono stati interessati dalla novella in tema di giustizia riparativa (art. 62, 152,163 cod. pen.; artt. 90 bis, 90bis.l, 129 bis, 293, 369, 386, 408, 409, 415 bis, 419, 429,447, 460,552 cod. proc. pen.; art. 45 ter disp. att. cod. proc. pen.), si osserva che gli stessi (relativi a diverse fasi del procedimento/processo) non prevedono alcuna limitazione nell'applicazione della disciplina che sia specificamente legata alla procedibilità a querela del reato.

Le uniche due disposizioni che si occupano specificamente dei reati procedibili a querela sono l'art.152 cod. pen. e l'art.129 bis cod. proc. pen.

Con riferimento all'art. 152 cod. pen. è stata inserita, tra le ipotesi di remissione tacita della querela, la partecipazione del querelante a un programma di giustizia riparativa concluso con un esito riparativo; nella ipotesi in cui l'esito riparativo comporti l'assunzione da parte dell'imputato di impegni comportamentali, la querela si intende rimessa solo quando gli impegni sono stati rispettati.

L'art.129 bis cod. proc. pen. più volte citato, come ulteriormente interpolato dal D.Lgs. 19 marzo 2024 n.31, si occupa ai commi 4, 4bis e 4 ter della disciplina per i reati perseguibili a querela soggetta a remissione e in particolare:

-prevede su richiesta dell'imputato la possibilità di disporre con ordinanza la sospensione del processo per un periodo non superiore a centottanta giorni, al fine di consentire lo svolgimento del programma di giustizia riparativa. Durante la sospensione del processo il giudice, con le modalità stabilite per il dibattimento, acquisisce, a richiesta di parte, le prove non rinviabili (comma 4);

- estende l'applicabilità delle disposizioni di cui al comma 4 anche alla fase delle indagini preliminari prima dell'esercizio dell'azione penale, quando il pubblico ministero ha disposto la notifica dell'avviso di cui all'articolo 415 bis cod. proc. pen. In tal caso, sulla richiesta di sospensione del procedimento provvede il giudice per le indagini preliminari, sentito il pubblico ministero (comma 4 bis);

- dispone che durante il tempo in cui il procedimento o il processo è sospeso, sono sospesi il corso della prescrizione e i termini di cui all'articolo 344bis cod. proc. pen., nonché i termini di durata massima della custodia cautelare di cui all'articolo 303 cod. proc. pen. con ordinanza del giudice appellabile a norma dell'articolo 310 cod. proc. pen. (comma 4 ter).

3.3. Collegare la ricorribilità dell'ordinanza di mancato invio alle sole ipotesi in cui l'eventuale avvio comporterebbe la sospensione ex lege del processo - e dunque ai soli reati a querela rimettibili in cui vi sia richiesta dell'interessato - non risulta essere stata la intenzione del legislatore, come emerge dalla lettura della Relazione illustrativa al D.Lgs. n.150/2022.

Nel commentare la disciplina racchiusa nell'art.129 bis cod. proc. pen., la Relazione chiarisce le ragioni della limitazione della sospensione ex lege del procedimento penale ai soli reati rimettibili: si tratta, cioè di ipotesi in cui il raggiungimento di un esito riparativo si traduce nell'estinzione del reato con la conseguenza che il ritardo è compensato "...dalla definizione extragiudiziale del conflitto e dal conseguente risparmio di attività processuale...."

Richiamando quindi il canone costituzionale della ragionevole durata ex art. 111 Cost., la Relazione chiarisce che non si è prevista invece un'ipotesi sospensiva nei casi in cui la partecipazione a un programma di giustizia riparativa "...non possa tradursi in una deflazione..." e, quindi, in una ipotesi di estinzione del reato.

Tuttavia, prosegue la Relazione, ed è questo un punto rilevante, "...resta in questi casi, comunque, salva la possibilità di valorizzare l'istituto - già impiegato nella prassi - del rinvio su richiesta dell'imputato, per consentire di concludere il programma e quindi di permettere al giudice di tenerne conto in sede di definizione del trattamento sanzionatorio...".

Dunque, la sospensione ex lege del procedimento/processo è collegata ai reati rimettibili a querela su richiesta dell'interessato perché solo in tal caso la conclusione positiva del percorso riparativo comporta l'estinzione del reato in un'ottica deflattiva.

Ciò, tuttavia, non impedisce che l'esito del percorso di giustizia riparativa possa/debba essere valutato dal giudice nel corso del processo rispetto a rilevantissime ricadute di natura sostanziale sul trattamento sanzionatorio più volte richiamate e introdotte proprio dalla novella sulla giustizia riparativa.

Lo strumento è fornito, come suggerito dallo stesso legislatore nella Relazione illustrativa, dal rinvio su richiesta dell'imputato per concludere il programma e consentire al giudice della cognizione di valutarne gli esiti in punto di trattamento sanzionatorio. La richiesta di rinvio su istanza di parte comporta, infatti, la sospensione dei termini di prescrizione (art.159 comma primo n.3 cod. pen.) e dei termini di custodia cautelare (art.304 comma primo lett. a) cod. proc. pen.

Ulteriore conferma è data dalla disposizione di cui all'art.129 bis comma quinto cod. proc. pen. che prevede che, al termine dello svolgimento del programma di giustizia riparativa, l'autorità giudiziaria acquisisce la relazione trasmessa dal mediatore. La disposizione sembra riferirsi a qualsivoglia reato e dunque presuppone che vi sia stato un percorso di giustizia riparativa concluso di cui il giudice della cognizione debba tenere conto, senza alcuna distinzione.

Le indicazioni del legislatore nella Relazione preliminare permettono una interpretazione costituzionalmente conforme delle norme in esame contemperando:

- il principio della ragionevole durata del processo di cui all'art. 111 Cost., espressamente richiamato dal legislatore a fondamento della scelta della limitata sospensione ex lege;

- il principio di uguaglianza di cui all'art.3 Cost. laddove consente la impugnabilità in relazione a tutte le ipotesi di reato, con una ragionevole distinzione in relazione alle modalità con cui la eventuale sospensione del processo in attesa degli esiti riparativi possa operare.

3.4. Sulla base delle argomentazioni sin qui esposte, può ad avviso del collegio, ritenersi che l'ordinanza di mancato invio al programma di giustizia riparativa pronunciata dal giudice investito dalla richiesta dell'imputato è ricorribile per cassazione unitamente alla sentenza conclusiva del giudizio ai sensi dell'art. 586 cod. proc. pen., senza alcuna distinzione tra reati procedibili a querela rimettibili e reati procedibili di ufficio.

Siffatta interpretazione della normativa in esame consente di superare le questioni di legittimità costituzionale avanzate dal ricorrente con il secondo motivo di ricorso e con i motivi aggiunti, avuto riguardo:

- all'art.129 bis cod. proc. pen. in combinato disposto con l'art. 586 cod. proc. pen. -nella parte in cui non consentono di impugnare l'ordinanza con la quale il giudice decide sull'invio dell'imputato ad un programma di giustizia riparativa - per violazione degli artt. 111 e 24 Cost.;

- all'art. 129 bis c.p.p. - nella parte in cui non consente la possibilità di impugnazione dell'ordinanza che nega all'indagato/imputato l'accesso ad un programma di giustizia riparativa per i reati non rimettibili a querela - per violazione dell'art. 3 Cost.

4. Ritenuto, dunque, che l'ordinanza della Corte di assise di appello poteva essere oggetto di impugnazione unitamente alla sentenza conclusiva del giudizio, il ricorso richiede la risoluzione di un'ulteriore preliminare questione, peraltro oggetto di uno specifico rilievo contenuto nella requisitoria del Procuratore generale e ivi risolta in senso negativo, relativa alla possibilità di avanzare la richiesta di invio ai programmi di giustizia riparativa per la prima volta nel corso del giudizio rescissorio a seguito dell'annullamento con rinvio della Prima sezione di questa Corte.

La questione richiede un approfondimento in relazione alla entrata in vigore della disciplina in esame (ius superveniens) rispetto alle scansioni processuali del giudizio rescindente e rescissorio.

Come in precedenza evidenziato, il giudice rescindente aveva annullato la pronunzia impugnata avuto riguardo alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, ritenendo assorbite nell'accoglimento del motivo le ulteriori censure relative al trattamento sanzionatorio quali la immotivata ed eccessiva determinazione della pena.

La sentenza di annullamento con rinvio della Prima sezione di questa Corte di cassazione è stata pronunziata in data 18 maggio 2023.

4.1. La disciplina transitoria del D.Lgs. n.150 del 2022 all'art.92 comma 2-bis (introdotto dall'art. 5-novies del D.Lgs. n. 162 del 2022 convertito con modifiche dalla legge n. 199 del 2022) ha stabilito che le disposizioni in materia di giustizia riparativa, tra le quali anche l'art. 129 bis cod. proc. pen. (introdotto dall'art. 7, comma 1, lett. C) del d. Igs.150/22), si applicano nei procedimenti penali e nella fase dell'esecuzione della pena a decorrere dal 30 giugno 2023.

Ciò significa che durante il primo giudizio dinanzi a questa Corte, la normativa invocata non era ancora entrata in vigore.

A ciò si aggiunga che, in base all'art.45 ter disp att. cod. proc. pen. (disposizione introdotta dall'art. 41, comma 1, lett. c, del D.Lgs. n. 150 del 2022), la competenza per l'accesso alla giustizia riparativa spetta durante la pendenza del ricorso per cassazione, al giudice che ha emesso il provvedimento impugnato.

Anche siffatta disposizione è stata differita nella sua entrata in vigore al 30 giugno 2023 con la conseguenza che, durante il giudizio svoltosi dinanzi alla Prima sezione di questa Corte e conclusosi in data 18 maggio 2023, alcuna richiesta di accesso a percorsi di giustizia riparativa poteva essere avanzata neanche dinanzi al giudice della sentenza impugnata ai sensi del differito art. 45 ter disp. Att. cod. proc. pen.

4.2. Il primo momento utile per il ricorrente per avanzare la richiesta - in ragione della disciplina sopravvenuta e della diretta connessione con l'oggetto del giudizio rescissorio in punto di determinazione del trattamento sanzionatorio- era quella del giudizio rescissorio dinanzi alla Corte di assise di appello di Palermo nel pieno rispetto dei principi fissati da questa Corte in ordine all'ambito del giudizio di rinvio: trattandosi di annullamento per mancanza di motivazione su di un punto della decisione, il giudice del rinvio resta libero di determinare il proprio convincimento di merito mediante un'autonoma valutazione della situazione di fatto relativa al punto annullato e ha gli stessi poteri dei quali era titolare il giudice il cui provvedimento è stato annullato (in motivazione da ultimo Sez. 4, n. 646 del 06/12/2023, dep.2024, Rv. 285764, proprio in relazione alla possibilità di valutare da parte del giudice di rinvio gli esiti dell'ammissione ad un programma riparativo ai sensi dell'art.133 cod. pen.).

5. Ravvisata la possibilità di avanzare la richiesta di invio alla giustizia riparativa per la prima volta dinanzi al giudice del rinvio, la censura contenuta nel primo motivo quanto alla mancanza della motivazione dell'ordinanza di negato accesso al programma e alla sua conseguente nullità è, tuttavia, infondata.

Va in primo luogo respinta la doglianza del ricorrente secondo la quale il giudice non può integrare le motivazioni poste a fondamento di una ordinanza pronunciata nel corso del giudizio e impugnata unitamente alla sentenza.

Sul punto le Sezioni unite hanno chiarito che il vizio di motivazione di un'ordinanza dibattimentale diversa da quella dichiarativa della contumacia non può mai tradursi in una ragione di nullità del giudizio, specie quando il giudice abbia ribadito la decisione dibattimentale con la sentenza conclusiva, rielaborandone l'apparato giustificativo. (S.U. n. 17 del 21/06/2000, Primavera, Rv. 216662; di recente Sez. 3 n. 39489 del 24/09/2024, Rv. 287054).

5.1. La Corte territoriale ha motivato il diniego di accesso con ordinanza pronunziata in udienza in data 14 marzo 2024 ritenendo che:

- "... lo svolgimento di un programma di giustizia riparativa non sia allo stato utile in relazione all'oggetto del giudizio e al contenuto degli atti, nonché alla risoluzione delle questioni derivanti dal fatto per cui si procede...."

Quindi nelle motivazioni della sentenza successivamente depositate ha ulteriormente argomentato sulle ragioni per cui non erano ravvisabili le condizioni richieste dall'art. 129 bis comma terzo cod. proc. pen.

Ha in primo luogo condiviso ed espressamente richiamato il principio affermato da questa Corte secondo cui in tema di giustizia riparativa, la sola richiesta di accesso non fa sorgere in capo all'interessato il diritto ad essere avviato presso un centro per lo svolgimento del programma richiesto, non sussistendo alcun automatismo tra la presentazione della domanda e l'avvio del programma, in quanto è rimessa al giudice la valutazione della sua utilità. (Sez. 4, n. 646 del 06/12/2023, dep.2024, cit.). Ha, quindi, escluso che un eventuale avvio al programma riparativo potesse risultare utile anche in ragione della già intervenuta valutazione favorevole di una serie di circostanze di fatto ai fini della concessione delle circostanze attenuanti generiche.

Contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, la Corte territoriale ha con l'ordinanza escluso che "allo stato" l'invio non presentasse le condizioni di cui all'art. 129 bis cod. proc. pen., con ciò dimostrando di essersi confrontata con l'oggetto del processo e il contenuto degli atti nell'esprimere un giudizio "allo stato degli atti".

Ha poi ribadito nella sentenza impugnata il condivisibile principio già affermato da questa Corte della mancanza di automatismo tra richiesta ed invio: al riguardo la richiesta presentata dall'interessato nonché il successivo motivo di ricorso, pur nelle articolatissime considerazioni in punto di impugnabilità del provvedimento, non risultano individuare la "concreta utilità" che dall'avvio sarebbe derivata all'imputato.

La condizione prevista per l'accesso e cioè l'utilità alla risoluzione delle questioni derivanti dal fatto per cui si procede è il primo parametro cui il giudice deve attenersi e costituisce diretta applicazione del principio fissato nella legge delega.

Il giudice dovrà valutare se quella frattura sia suscettibile di una qualche forma di composizione, sulla base degli elementi a disposizione e, nel caso di richiesta dell'interessato, alla luce delle concrete indicazioni da quest'ultimo fornite.

Si tratta di una valutazione di merito che il giudice effettuerà sulla base delle risultanze fattuali e concretamente sussistenti, non sindacabile dal giudice della legittimità qualora la sussistenza l'insussistenza di siffatto presupposto (utilità) sia fondata su una motivazione immune da vizi, come nel caso di specie.

Né risulta che il giudice nel respingere la richiesta in punto di utilità abbia trascurato elementi concretamente suggeriti dalla difesa nella istanza.

6. Il terzo e il quarto motivo risultano manifestamente infondati.

Nell'accogliere il motivo relativo alle circostanze attenuanti generiche e nel rideterminare la pena, il giudice del rinvio ha fatto buon governo dei principi consolidati di questa Corte in punto di determinazione della pena.

6.1. Quanto alla pena base individuata per il reato di cui al capo A), il motivo non si confronta con i contenuti della sentenza che l'ha determinata con un discostamento non significativo dal minimo edittale (22 anni e 6 mesi rispetto a 21 anni di reclusione), motivando quanto alla "proporzione rispetto al disvalore del fatto e alla personalità del reo".

6.2. Quanto alla diminuzione della pena a seguito del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, il motivo non si confronta con le indicazioni di questa Corte secondo cui la mancata concessione delle attenuanti generiche nella massima estensione di un terzo non impone al giudice di considerare necessariamente gli elementi favorevoli dedotti dall'imputato, sia pure per disattenderli, essendo sufficiente che nel riferimento a quelli sfavorevoli di preponderante rilevanza, ritenuti ostativi alla concessione delle predette attenuanti nella massima estensione, abbia riguardo al trattamento sanzionatorio nel suo complesso, ritenendolo congruo rispetto alle esigenze di individualizzazione della pena, ex art. 27 Cost. (Sez. 2 n. 17347 del 26/01/2021, Angelini, Rv. 281217). Il motivo non si confronta neanche con il calcolo operato nella sentenza che, rispetto alla massima diminuzione pari ad anni 5, ha operato una significativa diminuzione pari ad anni 4 che si aggiungeva alla già operata e consistente diminuzione di anni 7 e mesi 6 di reclusione per la già concessa attenuante della provocazione.

6.3. Quanto alla mancanza di motivazione in relazione all'aumento per il reato satellite di cui al capo B) il motivo non si confronta con la pronunzia delle Sezioni Unite di questa Corte secondo la quale il giudice deve sì calcolare e motivare l'aumento di pena in modo distinto per ciascuno dei reati satellite, ma il grado di impegno motivazionale richiesto in ordine ai singoli aumenti di pena è correlato all'entità degli stessi e tale da consentire di verificare che sia stato rispettato il rapporto di proporzione tra le pene, anche in relazione agli altri illeciti accertati, che risultino rispettati i limiti previsti dall'art. 81 cod. pen. e che non si sia operato surrettiziamente un cumulo materiale di pene (S.U. n. 47127 del 24/06/2021, Pizzone, Rv. 282269). Nel caso di specie, rispetto alla fattispecie di porto illegale di armi (arma utilizzata per compiere l'omicidio), la Corte territoriale ha specificamente individuato il singolo aumento contenendolo in anni 1 di reclusione.

7. Il quinto e ultimo motivo è manifestamente infondato.

Il calcolo nella determinazione della pena finale operato dalla Corte territoriale risulta corretto, contrariamente a quello proposto dalla difesa.

Nella ipotesi di reato continuato, ai fini della determinazione della pena finale, una volta individuato il reato più grave, la pena base è determinata in relazione a tale reato ed è sul reato più grave che si operano gli eventuali aumenti o diminuzione di pena legati rispettivamente al riconoscimento della recidiva e delle aggravanti (aumenti) o al riconoscimento delle circostanze attenuanti (diminuzioni) nonché gli eventuali giudizi di bilanciamento tra circostanze attenuanti o aggravanti.

Solo successivamente, sulla pena determinata a seguito di siffatti calcoli, si procede all'aumento di pena per il riconosciuto vincolo della continuazione con il reato ed. satellite.

8. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Considerato altresì che, in ragione dei rapporti di affinità sussistenti tra le parti, va disposto - ai sensi dell'art 52 D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196 e in caso di diffusione del presente provvedimento - l'oscuramento delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti del processo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 D.Lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma in data 26 novembre 2024.

Depositata in Cancelleria il 3 gennaio 2025.

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