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Decreto Cutro: l'espulsione alternativa non cancella i diritti tutelati dalla CEDU

Corte di Cassazione, sez. I Penale, Sentenza n.13514 del 23/01/2025 (dep. 07/04/2025)

L'espulsione dello straniero come sanzione alternativa alla detenzione, prevista dall'art. 16, comma 5, del Testo Unico sull'Immigrazione, non può essere disposta quando rappresenta un'ingerenza nella vita privata e familiare, protetta dall'art. 8 della CEDU.

Lo ha confermato la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13514 depositata il 7 aprile 2025.

Il caso riguardava un cittadino senegalese cresciuto in Italia, destinatario di un decreto di espulsione confermato dal Tribunale di sorveglianza di Ancona, che aveva escluso l'esistenza di ostacoli legali all'espulsione, secondo il nuovo testo dell'art. 19 del D.Lgs. 286/1998, riformulato dal Decreto Cutro (D.L. 20/2023).

La Cassazione, accogliendo il ricorso, ha richiamato il precedente arresto n. 43082 del 2024, ribadendo che la modifica legislativa non ha effetto derogatorio rispetto ai principi sovraordinati della Convenzione europea.

Secondo la Corte, anche dopo l'abrogazione delle disposizioni che elencavano espressamente i criteri per valutare l'espulsione (durata del soggiorno, legami familiari, integrazione sociale), è necessario un bilanciamento caso per caso tra l'interesse pubblico e i diritti individuali, secondo quanto stabilito dalla giurisprudenza della Corte EDU.

Nel caso esaminato, il ricorrente aveva vissuto in Italia fin da bambino, svolto tutto il percorso scolastico nel Paese, e aveva legami familiari stabili: una figlia cittadina italiana e tre fratelli regolarmente soggiornanti. Il Tribunale, secondo la Cassazione, avrebbe dovuto approfondire tali elementi, invece di ritenere sufficiente la mancanza delle condizioni ostative previste dalla legge nazionale.

La sentenza chiarisce che l'abrogazione operata dal Decreto Cutro ha ridotto la tipicità e rigidità del sistema, ma non ha eliminato l'obbligo di rispettare gli standard imposti dall'art. 8 CEDU. L'interprete deve quindi rifarsi ai criteri giurisprudenziali sovranazionali, che impongono un'analisi proporzionata tra il reato commesso e il livello di integrazione dello straniero.

La Corte ha quindi annullato l'ordinanza impugnata, rinviando il procedimento al Tribunale di sorveglianza per un nuovo esame conforme a tali principi.

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Cassazione penale, sez. I, sentenza 23/01/2025 (dep. 07/04/2025) n. 13514

RITENUTO IN FATTO

1. Con l'ordinanza in epigrafe il Tribunale di sorveglianza di Ancona confermava, in sede di opposizione ai sensi dell'art. 16, comma 6, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, l'anteriore decreto del locale Magistrato di sorveglianza, che aveva ordinato l'espulsione dallo Stato di a titolo di sanzione alternativa alla detenzione. Il Tribunale rilevava, in particolare, l'insussistenza di alcuna delle cause ostative all'espulsione, indicate dall'art. 19 d.lgs. n. 286 del 1998, nel testo riformulato dal d.l. 10 marzo 2023, n. 20, conv. dalla legge 5 maggio 2023, n. 50, rimarcando la natura tassativa delle medesime e il carattere sotto ogni altro aspetto obbligato della misura espulsiva.

2. L'interessato ricorre per cassazione avverso la riconfermata adozione di quest'ultima, per il tramite del suo difensore di fiducia. Nel motivo unico il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione. Egli rammenta di avere prospettato al giudice di merito la specifica causa ostativa, rappresentata dall'esistenza di legami sociali, familiari e affettivi con l'Italia che, seppur non formalmente inquadrabili nelle fattispecie tipizzate dall'art. 19 d.lgs. n. 286 del 1998, andavano espressamente considerati nell'ambito del diritto al rispetto della vita personale e familiare dell'individuo, ancorché immigrato. Il Tribunale di sorveglianza avrebbe errato nel ritenere di poter totalmente prescindere dalla valutazione di tale dirimente profilo.

3. La settima sezione penale di questa Corte, assegnataria originaria del ricorso, ha rimesso gli atti, ai sensi dell'art. 610, comma 1, cod. proc. pen., per la trattazione nelle forme ordinarie, non ravvisando ipotesi di inammissibilità. Il ricorso è stato quindi esaminato e deciso nella camera di consiglio odierna della prima sezione penale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Secondo la costante giurisprudenza di legittimità, l'espulsione dello straniero non appartenente all'Unione europea, identificato, irregolare, il quale sia stato condannato e si trovi detenuto in esecuzione di pena, anche residua, non superiore a due anni per reati non ostativi, prevista dall'art. 16, comma 5, d.lgs. n. 286 del 1998, ha natura sostanzialmente amministrativa e costituisce una misura alternativa alla detenzione atipica, della quale è obbligatoria l'adozione in presenza delle condizioni fissate dalla legge (Sez. 1, n. 50871 del ) 25/05/2018, Tello; Sez. 1, n. 6814 del 09/07/2015, dep. 2016, Nakai; Sez. 1, n. 45601 del 14/12/2010, dep. 29/12/2010, Turtulli, Rv. 249175-01).

A fondamento della disposizione vi è l'esigenza di ridurre la popolazione carceraria. Per tale ragione ne è esclusa l'applicazione a quanti, in relazione alla pena da espiare, si trovino già sottoposti a una misura alternativa in senso proprio, o al regime di arresti domiciliari esecutivi di cui all'art. 656, comma 10, cod. proc. pen., mentre non è di ostacolo la sola applicazione dei benefici del lavoro esterno e dei permessi premio (Sez. 1, n. 5171 del 29/09/2015, dep. 2016, Meta, Rv. 266218-01; Sez. 1, n. 44143 del 16/02/2016, Ben Fraj Zouhair, Rv. 268290-01). La legge persegue l'obiettivo, facendo in modo che fuoriescano dal circuito penitenziario, e siano subito rimpatriati, i condannati comunque non reintegrabili nella comunità nazionale, perché sprovvisti di titolo per rimanervi, già non avviati a percorsi proficui di risocializzazione e per i quali non sussistano prevalenti esigenze di asilo, umanitarie ovvero di tutela della loro persona o delle loro relazioni familiari (Sez. 1, n. 9425 del 18/02/2019, G., Rv. 274885-01; Sez. 1, n. 915 del 17/10/2019, dep. 2020, Kouadio, Rv. 278065-01, § 2 del Considerato in diritto).

2. Queste ultime esigenze sono espresse, principalmente, dall'art. 19 d.lgs. n. 286 del 1998, a tal fine espressamente richiamato dal comma 9 del precedente art. 16, le cui ipotesi preclusive - tuttavia - sono state sempre considerate dalla giurisprudenza di legittimità come non tassative, ma suscettibili sia d'interpretazione internamente estensiva (Sez. 1, n. 44182 del 27/06/2016, Zagoudi, Rv. 268038-01, che al coniugio parifica la convivenza more uxorio; in termini, Sez. 1, n. 16385 del 15/03/2019, Chigri, Rv. 276184-01), sia d'integrazione analogica alla luce dell'intero tessuto ordinamentale.

L'integrazione in discorso si è resa talora necessaria, infatti, in chiave costituzionalmente e convenzionalmente orientata, onde assicurare il rispetto dei valori supremi su cui si regge la comunità nazionale.

Così questa Corte - ancor prima che la fattispecie trovasse esplicito riconoscimento nel comma 2, lett. d-bis, dell'art. 19, cit., introdotto dal d.l. 4 ottobre 2018, n. 113, conv. dalla legge 1° dicembre 2018, n. 132 - aveva statuito che l'espulsione in discorso non potesse essere eseguita qualora da ciò derivasse un irreparabile pregiudizio per la salute dell'individuo, e fosse dunque messo a rischio il diritto garantito dall'art. 32 della Carta (Sez. 1, n. 38041 del 26/05/2017, Makaadi, Rv. 270975-01; in termini, Sez. 1, n. 16383 del 15/03/2019, Mlouki Hamed, Rv. 275245-01).

Allo stesso modo, questa Corte aveva sancito l'esistenza di limiti ontologici assoluti all'esecuzione dell'espulsione, con specifico riferimento al serio pericolo. che il destinatario fosse sottoposto nel Paese d'origine alla pena di morte, ovvero a tortura o ad altro trattamento inumano o degradante (Sez. 1, n. 49242 del 18/05/2017, Lucky, Rv. 271450-01). Il legislatore è quindi prontamente intervenuto, traducendo in espressa previsione di legge (comma 1.1 dell'art, 19, cit., introdotto dall'art. 3, comma 1, della legge 14 luglio 2017, n. 110, e, sul punto specifico, in seguito ulteriormente modificato) il precetto corrispondente, già ritenuto, in sede di esegesi di legittimità, immanente nel sistema.

La natura non tassativa dell'art. 19 d.lgs. n. 286 del 1998, e la necessità della sua integrazione alla luce dei principi della Costituzione e attraverso l'analisi delle fonti sovranazionali (Trattati e diritto derivato dell'Unione europea, Carta di Nizza, CEDU), sono state riaffermate anche a cospetto dei soggetti che, pur non avendo diritto allo status di rifugiato, fossero nelle condizioni per godere della c.d. protezione sussidiaria, spettante tra l'altro nell'ipotesi di minaccia grave alla vita di un civile derivante da violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale; neppure in tali casi, si è detto, l'espulsione può dirsi ammessa (Sez. 1, n. 41949 del 04/04/2018, S., Rv. 273973-01, ribadita da Sez. 1, n. 39783 del 21/09/2021, Aguguo, Rv. 282147-01).

3. Tra le fonti sovranazionali, che giocano un ruolo determinante nella conformazione dell'istituto, va annoverata senz'altro, come si notava, la Convenzione EDU, e in particolare il suo art. 8, che tutela il diritto al rispetto della vita privata e familiare di ogni persona.

La Corte di Strasburgo ritiene che la totalità dei legami sociali tra gli immigrati radicati e la comunità in cui essi vivono costituisca parte del concetto di vita privata in questione, e che pertanto l'espulsione di un immigrato radicato costituisca un'ingerenza nell'esercizio di tale diritto (Maslov e altri c. Austria [GC], n. 1638/03, CEDU 2008, § 63), giustificata solo se proporzionata all'esito del bilanciamento tra il coefficiente di pericolosità del soggetto e il suo livello di integrazione nel consorzio sociale del Paese di accoglienza (Uner c. Paesi Bassi [GC], n. 46410/99, CEDU 2006-XII; Zakharchuk c. Russia, n. 2967/12, 17 dicembre 2019, §§ 46-49; Levakovic c. Danimarca, n. 7841/14, 23 ottobre 2018, §§ 42-45).

Costituisce dunque principio consolidato quello secondo cui il giudice penale italiano, nel disporre l'espulsione dello straniero dal territorio dello Stato, quale che ne sia la base legale, debba sempre verificare che l'allontanamento non comporti una violazione del suo diritto al rispetto della vita privata e familiare, procedendo all'esame comparativo della condizione dell'interessato al riguardo, ove ritualmente prospettata, con gli altri criteri di valutazione indicati dall'art. 133 cod. pen., tra cui la sua capacità a delinquere, in una prospettiva di bilanciamento tra l'interesse generale alla sicurezza sociale e l'interesse del singolo alla protezione della sua sfera domestica, pur nel caso in cui gli altri componenti del nucleo non siano cittadini italiani (Sez. 4, n. 50379 del 25/11/2014, Xhaferri, Rv. 261378-01, specificamente riferita all'espulsione quale misura di sicurezza; in termini, Sez. 4, n. 52137 del 17/10/2017, Talbi, Rv. 271257-01; Sez. 3, n. 10749 del 07/02/2023, Jahaj, Rv. 284317-01).

Anche ai fini dell'espulsione dello straniero quale sanzione alternativa alla detenzione, questa Corte reputa dunque, da tempo, che il giudice di sorveglianza non possa limitarsi alla verifica della sussistenza di una delle condizioni impeditive di cui all'art. 19 d.lgs. n. 286 del 1998, ma debba -acquisendo, ove occorra, le necessarie informazioni- orientare il giudizio al contemperamento tra le esigenze poste a fondamento del provvedimento e quelle di salvaguardia delle relazioni private e familiari dell'interessato (Sez. 1, n. 45973 del 30/10/2019, Ramirez Chavez, Rv. 277454-01, riaffermata da Sez. 1, n. 48950 del 07/11/2019, Merawarage, Rv. 277824-01).

4. La consolidata giurisprudenza di legittimità si era, anche in materia, tradotta ad un certo punto in puntuali enunciati normativi, giacché il d.l. 21 ottobre 2020, n. 130, conv. dalla legge 18 dicembre 2020, n. 173, aveva (con l'art. 1, comma 1) interpolato il citato comma 1.1 dell'art. 19 d.lgs. n. 286 del 1998, vietando per l'effetto il respingimento o l'espulsione di una persona verso uno Stato qualora esistessero fondati motivi di ritenere che l'allontanamento dal territorio nazionale comportasse una violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare, fatte salve le ragioni imperative di sicurezza nazionale, di ordine e sicurezza pubblica o di protezione della salute dei residenti in Italia.

Ai fini della valutazione del rischio di una tale violazione, il menzionato comma 1.1, come riformulato, richiamava la natura e l'effettività dei vincoli familiari dell'interessato, il suo effettivo inserimento sociale in Italia, la durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonché l'esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d'origine.

Il successivo comma 1.2 dell'art. 19 d.lgs. n. 286, cit., introdotto dal medesimo d.l. n. 130 del 2020, conv. dalla legge n. 173 del 2020, stabiliva, coerentemente con tale assetto, che la Commissione territoriale, in tutti i casi in cui non ricorressero i requisiti per accordare la protezione internazionale, trasmettesse gli atti al Questore per il rilascio di un permesso di soggiorno per protezione speciale, ai sensi dell'articolo 32, comma 3, d.lgs. 28 gennaio 2008, n. 25.

5. I precetti normativi evocati nel § 4 sono stati tuttavia abrogati per effetto dell'art. 7, comma 1, d.l. 10 marzo 2023, n. 20, conv, dalla legge 5 maggio 2023, n. 50.

L'abrogazione è giustificata, nella relazione illustrativa che accompagna il d.d.l. di conversione in legge (A.S. 591, XI legislatura), «(n)ella prospettiva di una complessiva rivisitazione della disciplina della protezione speciale», che risulta essa stessa ridimensionata in misura corrispondente a seguito della novellazione legislativa, restando esclusi dal suo perimetro applicativo i casi, formalmente non più contemplati, già correlati al divieto di respingimento ed espulsione in ragione del rispetto della vita privata e familiare della persona.

5.1. Considerate proprio le finalità dichiarate dell'abrogazione, è però da escludere che quest'ultima abbia la forza e rivesta il significato di scongiurare l'applicazione di norme e principi di valore sovraordinato - che, come osservato, avevano cittadinanza nell'ordinamento a prescindere dalla formale vigenza delle norme soppresse - e quindi di limitare l'incondizionata osservanza, nel diritto interno, degli obblighi nascenti dall'art. 8 CEDU.

Tale conclusione è avvalorata dal quadro d'insieme che la disciplina legislativa in tema d'immigrazione restituisce, tuttora, all'interprete. Il comma 1.1 dell'art. 19 d.lgs. n. 286 del 1998, nella parte superstite dopo l'intervento abrogativo, continua a vietare il respingimento, l'espulsione o l'estradizione di una persona verso altro Stato, «qualora ricorrano gli obblighi di cui all'articolo 5, comma 6» del medesimo d.lgs. (nel testo risultante dal d.l. n. 130 del 2020, conv. dalla legge n. 173 del 2020), che sono gli obblighi «costituzionali o internazionali dello Stato italiano». Tra questi ultimi risaltano, come si notava, gli obblighi di conformazione ai precetti della Convenzione EDU, le cui norme funzionano notoriamente da parametro interposto ai fini dello stesso sindacato di conformità dell'ordinamento interno alla Carta repubblicana. E' tuttora pienamente vigente, inoltre, l'art. 2, comma 1, d.lgs. n. 286 del 1998, a mente del quale «(a)llo straniero comunque presente [...] nel territorio dello Stato sono riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali in vigore e dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti».

(Edit by Mister Lex)

Lo sforzo di interpretazione conforme alla Convenzione europea e alla giurisprudenza di Strasburgo, che deve sempre guidare le Corti nazionali (Corte EDU, Scordino c. Italia, n. 36813/97, 27 marzo 2003), non risulta dunque affatto incompatibile con il tenore letterale delle disposizioni ancora in vigore, né si rivela eccentrico in prospettiva sistematica e teleologica, ala luce dell'intero contesto normativo ove le disposizioni stesse ultime si collocano.

5.2. L'abrogazione ex d.l. n. 20 del 2023, come convertito, assume - ciò considerato - portata riduttiva, incidendo solo e piuttosto sulla selezione dei criteri di valutazione che presiedono al bilanciamento (imposto dall'art, 8 CEDU) degli interessi in gioco, posto che quelli esplicitati dal legislatore del 2020 (durata della presenza dello straniero sul territorio nazionale, effettività dei vincoli familiari, suo effettivo inserimento sociale, esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il Paese d'origine) sono stati espunti dal sistema. Quest'ultimo perde così, in proposito, i tratti di tipicità, ma anche di inevitabile rigidità, che era venuto ad assumere. L'interprete dovrà, d'ora innanzi, fare diretto riferimento ai criteri - largamente sovrapponibili, ma soggetti alla flessibile mediazione giudiziale - elaborati dalla giurisprudenza sovranazionale, già richiamati e fatti propri dagli arresti di questa Corte di legittimita.

Non è inutile allora ribadire che, secondo la Corte di Strasburgo, se l'art. 8 della Convenzione non prevede un diritto assoluto di non espulsione per nessuna categoria di stranieri, esistono circostanze in cui l'espulsione medesima si dimostra non necessaria in una società democratica e non proporzionata al legittimo obiettivo perseguito, comportando così la violazione di tale disposizione (Beldjoudi c. Francia, n. 12083/86, 26 marzo 1992; Amrollahi c. Danimarca, n. 56811/00, 11 luglio 2002; Yilmaz c. Germania, n. 52853/99, 17 aprile 2003; Keles c. Germania, n. 32231/02, 27 ottobre 2005).

Ed è altresì importante ricordare che tra i criteri, considerati dalla Corte EDU pertinenti per valutare se una misura di espulsione sia lecita rispetto al parametro convenzionale, vanno annoverati, tra l'altro (Boultif c. Svizzera, n. 54273/00, 2 agosto 2001, § 48), la natura e la gravità del reato commesso dal richiedente, la durata del soggiorno del richiedente nel paese dal quale deve essere espulso, la situazione familiare del richiedente, la gravità delle difficoltà che il richiedente potrebbe incontrare nel paese verso cui deve essere espulso.

6. Va dunque riaffermato il principio di diritto, secondo cui - pur dopo l'approvazione del d.l. 10 marzo 2023, n. 20, conv. dalla legge 5 maggio 2023, n. 50, al cui art. 7 si deve, tra l'altro, la riscrittura dell'art. 19, comma 1.1, d.lgs. n. 286 del 1998 e l'abrogazione del suo terzo e quarto periodo - l'espulsione dello straniero a titolo di sanzione alternativa alla detenzione, prevista dall'art. 16, comma 5, stesso d.lgs., non può essere disposta, al pari di ogni altra forma di espulsione di natura penale, quando tale misura si risolva in un'ingerenza nella vita privata e familiare dell'interessato, vietata dall'art. 8 della Convenzione EDU, p come interpretato dalla Corte di Strasburgo alla luce dei criteri sopra richiamati (in termini, Sez. 1, n. 43082 del 07/11/2024, Grami Fathi, Rv. 287150-01).

7. Dalle considerazioni che precedono discende la fondatezza del proposto ricorso.

Il Tribunale di sorveglianza, infatti - pur a fronte delle allegazioni contenute nell'atto di opposizione, con riguardo all'avvenuta integrazione sociale e familiare dell'opponente nella realtà nazionale, riprese nel ricorso ( avrebbe fatto ingresso in Italia sin da bambino, qui avrebbe compiuto l'intero suo percorso scolastico, qui vivrebbero la figlia minorenne cittadina italiana nonché tre fratelli, regolarmente soggiornanti e a lui fortemente legati, mentre non esisterebbero più suoi legami di alcun tipo con il Senegal) - ha omesso di approfondire il tema anche conducendo al riguardo la dovuta istruttoria, nonostante si trattasse di tema rilevante ai fini del rispetto degli obblighi nascenti dall'art. 8 CEDU, trincerandosi dietro la formale abrogazione, in parte qua, dell'art. 1.1 dell'art. 19 d.lgs. n. 286 del 1998, che è tuttavia irrilevante secondo quanto sin qui argomentato.

8. L'ordinanza impugnata deve essere conclusivamente annullata, con rinvio al giudice che l'ha adottata per rinnovato giudizio in merito al profilo di valutazione giudicato carente.

P.Q.M.

Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Ancona.


Così deciso il 23/01/2025

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