In quali casi la coltivazione di sostanze stupefacenti costituisce reato?
Sul punto torna la Corte di Cassazione con la sentenza n. 2690 depositata il 22 gennaio 2025.
Il caso di specie riguarda due imputati condannati per la coltivazione di 646 piante di marijuana, con una difesa che sosteneva l'inoffensività in concreto della condotta.
Gli orientamenti della Cassazione
Il riferimento normativo principale è il D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo Unico sugli Stupefacenti), in particolare l’art. 73, che punisce la coltivazione illecita di sostanze stupefacenti.
Sulla norma si sono formati due orientamenti della Cassazione:
Sezioni Unite, sentenza n. 28605/2008: secondo cui qualsiasi coltivazione non autorizzata costituisce reato, anche se destinata all’uso personale, poiché incide sulla diffusione della droga nel mercato.
Sezioni Unite, sentenza n. 12348/2019: che distingue tra coltivazione tecnico-agraria e coltivazione domestica, ammettendo che le coltivazioni di minime dimensioni destinate all’uso personale, con tecniche rudimentali e un numero esiguo di piante, non siano penalmente rilevanti.
La sentenza in esame ha seguito il secondo orientamento.
Gli indici sintomatici per l'uso personale
Per i giudici di legittimità è necessario che il nesso di immediatezza tra coltivazione e destinazione ad esclusivo uso personale del coltivatore sia oggettivo ed ancorato a i seguenti indici sintomatici:
La soluzione del caso
Nel caso esaminato, la Corte d’Appello di Palermo ha confermato la responsabilità penale degli imputati, considerando che la quantità di piante e la presenza di strumenti di coltivazione avanzati indicassero una destinazione al mercato illegale.
La Cassazione, allineandosi alla sentenza di merito, ha ritenuto irrilevanti le argomentazioni della difesa sulla scarsa maturazione delle piante e sulla modesta quantità di principio attivo ricavabile.
Secondo la Suprema Corte, l’ampia estensione della coltivazione e la presenza di strumentazione professionale dimostrano che la condotta non rientrava nella nozione di coltivazione domestica ad uso personale delineata nel 2019.
Conclusione
La sentenza in commento ribadisce che la coltivazione di sostanze stupefacenti è sempre reato, salvo che non si dimostri il carattere minimo, rudimentale e destinato esclusivamente all’autoconsumo. La decisione conferma il principio di offensività in concreto, ma sottolinea che per escludere la punibilità occorre un rigoroso accertamento delle circostanze.
Cassazione penale sez. VI, sentenza 12/09/2024 (dep. 22/01/2025) n. 2690
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza emessa, all'esito del procedimento celebrato con il rito abbreviato dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Termini Imerese in data 11 luglio 2022, ha rideterminato la pena nei confronti degli imputati odierni ricorrenti alla misura di:
- anni cinque di reclusione ed Euro 31.629,00 di multa nei confronti di Pe.Sa.;
- anni quattro, mesi otto di reclusione ed Euro 20.000,00 di multa nei confronti di Pe.Da.;
ha disposto la conferma delle ulteriori statuizioni, relative alle pene accessorie, condannando Pe.Sa. al risarcimento dei danni in favore della parte civile ed alla refusione delle spese sostenute dalla difesa della parte civile stessa relative al grado.
Gli imputati sono stati ritenuti colpevoli:
- entrambi dei reati di cui agli artt. 61, n. 11 - quater, 99,110 cod. pen. e 73, commi 1 e 4, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, per avere illecitamente coltivato 646 piante di marjuana (capo 1);
Pe.Sa. anche del reato di cui agli artt. 61, nn. 2 e 11 - quater, 81, 99 cod. pen., 35.quinquies, D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, per avere falsamente attestato, mediante l'uso improprio del badge, la sua presenza in servizio presso la società partecipata Area Servizi Manutenzione del verde della città di Palermo Re. Se. T. S.c.p.a., alle cui dipendenze era assunto (capo 2);
Pe.Da. anche del reato di cui agli artt. 61 n. 11 - quater, 99,110 e 73, commi 1 e 4, D.P.R. n. 309 del 1990, per avere illecitamente detenuto 457 gr. netti di cannabis (capo 3).
Con recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale ritenuta nei confronti del solo Pe.Sa. e con le ulteriori aggravanti della connessione teleologica e dell'avere commesso il fatto essendo sottoposto a misura alternativa alla detenzione.
2. Ricorrono gli imputati con atti dei rispettivi difensori di fiducia, deducendo i seguenti motivi, sintetizzati nei limiti strettamente necessari alla motivazione, ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
3. Ricorso nell'interesse di Pe.Sa.
3.1. Con un unico motivo, la difesa deduce vizio di motivazione in relazione alla responsabilità del ricorrente per il reato di coltivazione illecita di sostanze stupefacenti di cui al capo 1).
La Corte ha ritenuto il ricorrente responsabile del reato per la condotta tenuta nell'unico giorno in cui è stata osservata dagli inquirenti la sua presenza attiva sul fondo, in relazione ad una attività ritenuta dalla Corte idonea ad integrare quanto meno la materialità del tentativo.
Sono stati valorizzati al riguardo, in termini puramente deduttivi, ed in assenza di ogni supporto dimostrativo: a) i precedenti penali da cui l'imputato è gravato, per dedurne la "conoscenza di luoghi e persone da cui rifornirsi dello stupefacente per rivenderlo a terzi"; b) le competenze botaniche dallo stesso possedute, quale addetto alla manutenzione del verde pubblico alle dipendenze della società partecipata che gestiva il relativo servizio a Palermo.
La sentenza impugnata, deduce la difesa:
- non ha spiegato quale contributo materialmente il ricorrente abbia prestato alla attività di coltivazione, contributo che, peraltro, è stato escluso dalle dichiarazioni dei correi Pe.Da. e Pi.Pe. e che di certo l'imputato non avrebbe prestato in pieno giorno, quando più elevati erano i rischi;
- non ha tenuto conto della assenza di elementi da cui desumere la presenza del ricorrente sui luoghi della piantagione di Misilmeri - che, stante il quantitativo di stupefacente rinvenuto, era in essere da tempo - prima della data dell'accertamento, essendo egli rimasto sottoposto alla misura alternativa dell'affidamento in prova con obbligo di soggiorno nel comune di Palermo - che risulta egli abbia espiato senza infrazioni - ed essendo stato autorizzato a trasferire il luogo di dimora nel comune di Misilmeri solo il giorno precedente quello dell'arresto.
4. Ricorso nell'interesse di Pe.Da.
4.1. Vizi di motivazione in relazione alla condotta di illecita coltivazione.
Le sentenze di merito si sono limitate ad accertare la conformità delle piante al tipo botanico cannabis e la loro attitudine a produrre sostanza stupefacente, ma la condotta risulta inoffensiva in concreto, alla luce dei principi affermati dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 306 del 1995 e dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 28605 del 28/04/2008, atteso che dalla coltivazione oggetto di accertamento non è derivato un aumento significativo di disponibilità di droga per il mercato, non essendo per conseguenza prospettabile alcun pericolo per la salute pubblica legato alla diffusione del relativo prodotto. Le piante non erano inoltre giunte a maturazione, come dimostra la limitatissima quantità di principio attivo ritraibile (34,664 gr. di THC) accertato dall'analisi tossicologica a fronte dell'ampia estensione dell'area coltivata.
4.2. Mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione, quanto al diniego delle circostanze attenuanti generiche.
La confessione resa dal ricorrente è stata svilita dalla Corte di appello perché relativa a circostanze cadute sotto la percezione visiva di coloro che hanno proceduto all'arresto.
Al contrario, l'apporto confessorio, al di là della idoneità del narrato ad agevolare la ricostruzione dei fatti, avrebbe dovuto essere valutato a favore del ricorrente, attenuando la pena, in quanto espressivo di riconsiderazione critica del proprio operato e di discontinuità con il proprio precedente modus agendi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Ricorso nell'interesse di Pe.Sa.
1.1. Il ricorso è inammissibile, essendo il motivo proposto aspecifico, nella parte in cui reitera temi già posti alla Corte di merito e dalla stessa adeguatamente risolti, e comunque manifestamente infondato.
La difesa ha operato una lettura parcellizzata dei plurimi elementi che sono stati enucleati nelle sentenze di merito a fondamento della compartecipazione di Pe.Sa. all'attività di illecita coltivazione, assumendone la mancanza di persuasività e concordanza.
Di contro, la sentenza impugnata non si è limitata a rilevare la mera presenza del ricorrente nella piantagione, ma ha sottolineato come, prima della irruzione e per circa 40 minuti, i correi fossero stati osservati dai Carabinieri operanti mentre si affaccendavano tra l'area di coltivazione, quella in cui era conservato lo stupefacente appena colto e il luogo ove era collocata la bilancia digitale per la pesatura, che era accesa e in uso, muovendosi in tali spazi convulsamente; e ha richiamato il contegno avuto dal ricorrente al momento dell'intervento delle forze dell'ordine, in particolare, l'essersi lo stesso dato immediatamente alla fuga (salvo desistere, nel momento in cui si era conto di non avere possibilità di scampo).
I Giudici di merito hanno poi analizzato le dichiarazioni rese dai correi - figlio e nipote del ricorrente - valutandole, con argomentazione scevra da illogicità, non attendibili perché supportate da evidente finalità eteroprotettive, per essere Pe.Sa. gravato da plurimi e rilevanti precedenti penali.
In questa prospettiva, senza distonie logiche, sono state valorizzate le conoscenze botaniche dovute all'attività lavorativa svolta dal ricorrente alle dipendenze di una società incaricata della manutenzione del verde pubblico e i circuiti criminali sui quali, in forza dei suoi trascorsi criminali, egli avrebbe potuto contare per mettere a reddito l'attività di coltivazione.
Dunque, un compendio probatorio non esclusivamente indiziario, il cui contenuto evidenza un livello elevato di persuasività (Sez. 1, n. 47250 del 09/11/2011, Livadia, Rv. 251502 - 01).
Al riguardo, vanno richiamati principi oramai granitici, che non possono che essere qui ribaditi.
Con specifico riferimento ai vizi della motivazione, il costante orientamento di questa Corte di legittimità è nel senso che il sindacato della Corte di cassazione deve limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali (Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074 - 01).
Invero, non è dato al giudice di legittimità sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito, attraverso una diversa lettura, benché anch'essa logica, dei dati processuali od una diversa ricostruzione storica dei fatti o, ancora, un diverso giudizio di rilevanza o di attendibilità delle fonti di prova. (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944 nonché in precedenza Sez. U, n. 930 del 13/12/1995, Clarke, Rv. 203428; Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020- dep. 2021, F., Rv. 280601).
1.2. Le deduzioni difensive sulla assenza di prova della presenza del ricorrente nel luogo della coltivazione prima del giorno in cui venne tratto in arresto - desunte dalla circostanza, puramente asserita, che egli non abbia mai trasgredito le prescrizioni impostegli quando era sottoposto alla misura alternativa - non hanno pregio al fine di escludere la idoneità causale del contributo offerto dal ricorrente alla realizzazione collettiva. Si tratta, invero, pur sempre di una attività di agevolazione, per quanto limitata nella durata, che si inserisce nel determinismo causale della condotta criminosa. E, se anche Pe.Sa. fosse rimasto inoperoso - e così non è, essendo stato osservato mentre di affaccendava tra luogo di coltivazione, luogo di stoccaggio e luogo di pesatura del prodotto - anche l'essere sul posto, mentre era in atto la coltivazione e la estrazione della sostanza, è condotta idonea ad integrare il concorso morale.
Vengono in rilievo i principi generalissimi in tema di concorso di persone nel reato, espressi dalla clausola estensiva della punibilità di cui all'art. 110 cod. pen., in forza dei quali il contributo del concorrente può intervenire nella fase ideativa o preparatoria, oltre che in quella esecutiva del reato, e può estrinsecarsi anche in forme differenziate ed atipiche della condotta criminosa, quali l'istigazione o determinazione all'esecuzione del delitto, l'agevolazione alla sua preparazione o consumazione, ovvero il rafforzamento del proposito criminoso di altro concorrente. Con riguardo al concorso morale, anche la muta presenza può avere valenza rafforzativa e porsi in rapporto di causalità efficiente con le attività poste in essere dagli altri agenti.
Né può essere enfatizzato, quale elemento che infici sul punto la tenuta dell'impianto motivazionale della sentenza impugnata, il passaggio per cui la agevolazione alla coltivazione, se pure limitata ad un solo giorno, "sarebbe idonea a configurare la materialità del tentativo".
Tale argomento sembra contraddire quanto in precedenza sostenuto dalla stessa Corte sulla ricorrenza dei presupposti per l'operatività del meccanismo estensivo di cui all'art. 110 cod. pen., che permette di attribuire rilevanza, come detto, anche a condotte che realizzino un limitato segmento dell'azione tipica o anche a condotte meramente agevolatrici/rafforzative dell'altrui proposito criminoso. Tuttavia, si tratta di un passaggio motivazionale inserito ad abundantiam, introdotto da una proposizione di chiaro segno concessivo ("anche volendo ammettere che l'appellante non si fosse mai recato presso il luogo della coltivazione), e coerentemente non risulta essere stata derubricato il reato (né, del resto, sono state formulate censure sulla mancata riqualificazione in melius).
2. Ricorso nell'interesse di Pe.Da.
2.1. Il ricorso è infondato e va respinto per le ragioni che si espongono di seguito.
2.1.1. Il primo motivo è infondato. La difesa richiama la sentenza Sez. U, n. 28605 del 24/04/2008, Di Salvia, Rv. 239920 - 01 e Rv. 239921 - 01, in tema di coltivazione non autorizzata di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti. L'assetto ricostruttivo delineato da tal pronuncia è stato significativamente inciso dalle più recenti Sez. U, n. 12348 del 19/12/2019, dep. 2020, Caruso, Rv. 278624 - 01.
Secondo la sentenza Di Salvia, posto il principio per cui costituisce condotta penalmente rilevante qualsiasi attività non autorizzata di coltivazione di piante della indicata natura, quand'anche realizzata per la destinazione del prodotto ad uso personale - e ciò sul presupposto della potenzialità diffusiva di tale attività, in quanto suscettibile di creare nuove e non predeterminabili disponibilità di stupefacenti - l'accento, ai fini della punibilità, doveva necessariamente spostarsi, in un'ottica costituzionalmente orientata, ispirata dalle sentenze della Corte cost. n. 360 del 1995 e n. 296 del 1996, sulla necessità di apprezzare l'offensività in concreto della condotta, da intendersi quale idoneità delle piantumazioni a produrre un "effetto drogante rilevabile" (id est ad alterare l'attività neuropsichica del consumatore).
Secondo tale arresto, l'ampiezza della oggettività giuridica della fattispecie imponeva, quale temperamento, la necessaria verifica del principio di offensività, in funzione selettiva di ciò che è meritevole di tutela penale.
La più recente pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di cassazione n. 12348 del 19/12/2019, dep. 2020, Caruso, 278624, ha tuttavia definito un nuovo paradigma della condotta di coltivazione, specialmente in relazione alla coltivazione "domestica", ossia di entità modesta.
Posta la premessa di metodo che debbano tenersi distinti i piani della tipicità e dell'offensività (dovendo poi tenersi conto, nell'ambito di quest'ultima categoria, dell'ulteriore partizione tra offensività in astratto ed offensività in concreto), le Sezioni Unite in disamina hanno recuperato la direttrice tracciata dalla Corte costituzionale (sentenza n. 360 del 1995) e rieditato la dicotomia tra coltivazione tecnico-agraria e coltivazione domestica. In consapevole dissonanza con la sentenza Di Salvia, che aveva negato tale alterità, la Corte ha rinvenuto nella normativa vigente elementi significativi di una nozione di coltivazione, nell'accezione di pratica tecnico-agraria di dimensioni apprezzabili, a connotazione commerciale (in dettaglio, nell'art. 27 del D.P.R. n. 309 del 1990, che richiama le "particelle catastali" e la "superficie del terreno sulla quale sarà effettuata la coltivazione", nonché, nei successivi artt. 28, 29 e 30, inerenti alle modalità di vigilanza, raccolta e produzione delle "coltivazioni autorizzate" ed alle eccedenze di produzione "sulle quantità consentite").
Su tali basi, Sez. U, n. 12348 del 19/12/2019, dep. 2020, Caruso, cit. hanno ritenuto di non poter condividere l'assunto di cui a Sez. U. n. 28605 del 24/04/2008. Di Salvia, 239920, per cui l'attività di coltivazione sarebbe sempre penalmente rilevante, e che facciano invece eccezione le coltivazioni di dimensioni minime destinate all'autoconsumo. In particolare, hanno affermato che non integra il reato di coltivazione di stupefacenti, per mancanza di tipicità, una condotta di coltivazione che, in assenza di significativi indici di un inserimento nel mercato illegale, denoti un nesso di immediatezza oggettiva con la destinazione esclusiva all'uso personale, in quanto svolta in forma domestica, utilizzando tecniche rudimentali e uno scarso numero di piante, da cui ricavare un modestissimo quantitativo di prodotto.
In altri termini, per conseguire risultati interpretativi dotati di sufficiente certezza, è necessario che il nesso di immediatezza tra coltivazione e destinazione ad esclusivo uso personale del coltivatore sia oggettivo ed ancorato ad indici sintomatici - necessariamente tutti compresenti - quali: il minimo elemento dimensionale della coltivazione, che deve comprendere uno scarso numero di piante, dalle quali siano ricavabili modestissime quantità di sostanza; lo svolgersi dell'attività in forma domestica e non industriale; le rudimentali tecniche utilizzate. Devono, inoltre, mancare indici significativi di inserimento dell'attività nel circuito del mercato illegale.
Un'attività colturale così caratterizzata non rientra, dunque, nel concetto legale di coltivazione.
Tornando al caso qui al vaglio, i Giudici di merito hanno ricostruito che l'intera piantagione era composta da n. 646 piante, da cui si sarebbero potuti ricavare, sulla scorta dell'accertamento tossicologico, 35,17 gr. di THC puro, corrispondenti a 1407,08 dosi medie singole.
Hanno poi evidenziato (v. pag. 8 della sentenza di primo grado, che con la conforme sentenza di appello forma un unitario corpo motivazionale), quali elementi significativi al fine di escludere la destinazione all'autoconsumo, oltre al rilevante numero di piante, l'apprestamento di strumenti professionali per la coltivazione (impianto di irrigazione), il quantitativo ricavabile, la detenzione di una consistente provvista di marjuana già essiccata (12 kg.) e di strumentazione per il confezionamento in dosi (bilancia digitale, bustine in plastica, macchinari per il sottovuoto), tutti univocamente significativi della destinazione del prodotto alla commercializzazione.
Non può esservi dubbio sulla offensività in concreto della condotta alla luce del principio, consacrato dalla medesima pronuncia a Sezioni Unite (Rv. 278624 - 02), per cui il reato di coltivazione di stupefacenti è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo estraibile nell'immediatezza, essendo sufficienti la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza ad effetto stupefacente.
Gli stessi elementi fattuali sopra indicati hanno consentito al Tribunale di affermare che, nella specie, gli arbusti erano anzi prevedibilmente in grado di rendere, all'esito di un fisiologico sviluppo, quantitativi significativi di prodotto drogante.
2.1.2. Il secondo motivo è aspecifico e confutativo.
La Corte territoriale ha dato compiutamente conto degli aspetti ostativi al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, rispetto ai quali la sola confessione è stata, all'evidenza, valutata come recessiva.
Il diniego risulta fondato sui parametri indicati dall'art. 133 cod. pen. essendosi sottolineate: la personalità del soggetto per come si evince dai precedenti specifici, l'intensità del dolo, ma anche le modalità concrete del fatto, avuto riguardo alle proporzioni della coltivazione illecita, al complesso delle apparecchiature necessarie per la maturazione, al numero di piante essiccate, al principio di purezza rilevato ed al numero di dosi ricavabili.
Sul punto, è costante il principio per il quale, al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche, il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall'art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all'entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare all'uopo sufficiente (tra le molte, Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549 - 02).
3. A norma dell'art. 616 cod. proc. pen. vanno disposte, alla luce di tutto quanto precede, la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento nonché, quanto a Pe.Da., per cui vi è stata declaratoria di inammissibilità, anche la condanna al versamento a favore della cassa delle ammende della somma che si valuta equo quantificare nella misura indicata in dispositivo, non vertendosi in ipotesi di assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. n. 186 del 13/06/2000).
Da ultimo, va disposta la condanna di Pe.Sa. alla rifusione delle spese processuali, con gli accessori di legge, nei confronti della parte civile costituta nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso di Pe.Sa. e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dichiara inammissibile il ricorso di Pe.Da. e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Condanna altresì Pe.Sa. alla rifusione delle spese processuali in favore della parte civile Re. Se. T. Palermo, che liquida in Euro 3686,00, oltre accessori di legge.
Così deciso il 12 settembre 2024.
Depositata in Cancelleria il 22 gennaio 2025.