L’arresto in flagranza di un soggetto affetto da gravi patologie psichiatriche è legittimo se lo stato di incapacita' non è immediatamente rilevabile al momento dell’intervento?
La questione è affrontata dalla Sezione VI penale della Cassazione con la sentenza n. 3760 depositata il 29 gennaio 2025.
Nel caso di specie, il Giudice per le indagini preliminari aveva convalidato l'arresto in flagranza dell'imputato per i reati di maltrattamenti in famiglia e lesioni aggravate, nonostante la difesa sostenesse l’evidente incapacita' di intendere e di volere del soggetto.
La normativa e la giurisprundenza
La norma di riferimento è l'art. 385 c.p.p., che vieta l'arresto quando risulta che il fatto è stato compiuto in presenza di cause di non punibilità.
Secondo la giurisprudenza costante l'arresto di un soggetto incapace di intendere e di volere è illegittimo solo se tale condizione è evidente e immediatamente rilevabile dagli agenti operanti al momento dell’arresto (tra le altre Sez. 5, n. 2584 del 1993 e Sez. 6, n. 7470 del 2017).
La soluzione del caso
Nella vicenda in esame, la difesa ha sostenuto che il giudice non avrebbe considerato lo stato di grave compromissione psichiatrica e di intossicazione da alcool, già noto agli inquirenti. Tuttavia, il verbale di arresto non riportava evidenze manifeste di disturbi psichiatrici, ma solo una forte reattività violenta e l’uso di sostanze stupefacenti.
La Cassazione ha sottolineato che il giudice della convalida non può integrare la valutazione degli agenti con informazioni acquisite successivamente, come documentazione sanitaria o interrogatori. In questo caso, il dubbio sulle cause di incapacita' è emerso solo durante l’udienza di convalida, rendendo legittima la decisione del giudice di primo grado.
Inoltre, la Corte ha precisato che eventuali perizie psichiatriche pregresse non possono automaticamente essere considerate per accertare il vizio totale o parziale di mente, poiché l’infermità va valutata rispetto a ciascun reato specifico e al momento della sua commissione.
La Cassazione ha perciò dichiarato inammissibile il ricorso, ritenendo corretto l'operato del giudice di convalida.
Conclusione
L’arresto in flagranza è quindi legittimo se lo stato di incapacita' non è immediatamente evidente agli agenti intervenuti. In mancanza di tale evidenza, il Gip non può basarsi su valutazioni esterne all’atto dell’arresto per convalidare la misura cautelare.
Cassazione penale sez. VI, sentenza 14/01/2025 (dep. 29/01/2025) n. 3760
RITENUTO IN FATTO
1. Con l'ordinanza impugnata il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torre Annunziata ha convalidato l'arresto in flagranza e ha disposto la misura coercitiva della custodia cautelare in carcere di Me.Fr. per i reati di maltrattamenti in famiglia e di lesioni aggravate.
2. L'avvocato Carmine Iovino ricorre avverso questa ordinanza e ne chiede l'annullamento.
Con unico motivo di ricorso, il difensore deduce l'inosservanza degli artt. 85 cod. pen. e 391 cod. proc. pen., in quanto il Giudice per le indagini preliminari avrebbe convalidato l'arresto senza valutare il difetto di imputabilità derivante dalle gravi patologie psichiatriche di Me.Fr., che è palesemente incapace di intendere e volere.
Lo stesso Giudice per le indagini preliminari, in un diverso procedimento penale (n. 6123/2023 R.G.N.R. n. 4440/2023 R.G.G.I.P.), all'esito dell'incidente probatorio, ha disposto nei confronti di Me.Fr. la misura di sicurezza della libertà vigilata con obbligo di cura. Sia i Carabinieri, che il Commissariato di Polizia di Torre del Greco sarebbero, peraltro, a conoscenza dello stato di grave intossicazione da alcool e di grave compromissione psichiatrica che affligge il ricorrente.
Posto, dunque, che lo stato di incapacità e volere del ricorrente sarebbe evidente e noto, sia agli inquirenti, che al Giudice per le indagini preliminari, l'arresto non doveva essere convalidato.
3. Con la requisitoria e le conclusioni scritte depositate in data 27 novembre 2024, il Procuratore generale, Cristina Marzagalli, ha chiesto di rigettare il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in quanto il motivo proposto è manifestamente infondato.
2. Con l'unico motivo proposto, il difensore deduce l'inosservanza degli artt. 85 cod. pen. e 391 cod. proc. pen., in quanto il Giudice per le indagini preliminari ha, infatti, convalidato l'arresto senza valutare il difetto di imputabilità derivante dalle gravi patologie psichiatriche di Me.Fr., che è soggetto palesemente incapace di intendere e volere.
3. Il motivo manifestamente infondato.
3.1. L'art. 385 cod. proc. pen. sancisce che "L'arresto o il fermo non è consentito quando, tenuto conto delle circostanze del fatto, appare che questo è stato compiuto nell'adempimento di un dovere o nell'esercizio di una facoltà legittima ovvero in presenza di una causa di non punibilità".
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, l'arresto in flagranza di un soggetto che versi in stato di incapacità di intendere e di volere è illegittimo, perché operato in violazione del divieto posto dall'art. 385, quando tale stato si manifesti chiaramente all'agente operante al momento dell'intervento e cioè sia immediatamente rilevabile da parte degli operanti sulla base di una ragionevole valutazione delle circostanze concrete; in carenza di tale condizione manifesta e, pertanto, ove la non imputabilità si palesi solo in sede di convalida dell'arresto, sulla base della documentazione sanitaria acquisita agli atti e/o dell'interrogatorio svolto (Sez. 5, n. 2584 del 05/0/1993, Rinaldi, Rv. 195841-01), non è consentito al giudice della convalida inserire nello schema valutativo del controllo dell'attività di polizia giudiziaria, conoscenze acquisite aliunde o comunque diverse da quelle poste a base dell'arresto e del fermo (Sez. 6, n. 7470 del 26/01/2017, Lattarulo, Rv. 269428-01; Sez. 2, n. 39894 del 28/09/2024, Flosco, Rv. 230064-01).
3.2. Dall'esame diretto degli atti processuali (ammesso in sede di legittimità quando è censurata una violazione della legge processuale, ex plurimis, Sez. U, n. n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 229092), risulta che il verbale di arresto non evidenzia problematiche manifestamente riconducibili a patologia di natura psichiatrica, bensì solo una forte e violenta reattività del ricorrente, oltre che l'uso di sostanze stupefacenti da parte di quest'ultimo.
Il dubbio circa possibili cause di incapacità è, dunque, emerso soltanto in sede di udienza di convalida.
Nel convalidare l'arresto, il Giudice per le indagini preliminari ha, dunque, fatto corretta applicazione dei principi di diritto costantemente affermati dalla giurisprudenza di legittimità, escludendo l'applicazione del divieto di arresto sancito dall'art. 385 cod. proc. pen. sulla base degli elementi conosciuti dagli operanti al momento dell'arresto.
Il giudice, nel provvedimento impugnato, ha, inoltre, legittimamente rilevato la necessità di acclarare la capacità di intendere e di volere del ricorrente al momento del fatto, disponendo apposita perizia psichiatrica "aggiornata ai fatti per cui si procede".
3.3. Nessun rilievo, inoltre, possono assumere pregresse perizie psichiatriche svolte sulla medesima persona del ricorrente.
Ai fini dell'applicazione degli artt. 88 e 89 cod. pen., l'infermità mentale non costituisce uno stato permanente, ma va accertata in relazione alla commissione di ciascun reato e, conseguentemente, non può essere ritenuta sulla sola base del precedente riconoscimento del vizio di mente in altro procedimento, sia pure relativo a fatti commessi nel medesimo periodo temporale di quello che forma oggetto del giudizio (ex plurimis: Sez. 2, n. 50196 del 26/10/2018, Montuori, Rv. 274684 - 02).
Come statuito dalle Sezioni Unite nella nota sentenza "Raso", infatti, ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente, è necessario che tra il disturbo mentale ed il fatto di reato sussista un nesso eziologico, che consenta di ritenere il secondo causalmente determinato dal primo (Sez. U, n. 9163 del 25/1/2005, Raso, Rv. 230317; in senso conforme v. Sez. 1, n. 52951 del 25/06/2014, Guidi, Rv. 261339; Sez. 3, n. 1161 del 20/11/2013, dep. 2014, D., Rv. 257923; Sez. 1, n. 48841 del 31/01/2013, Venzi, Rv. 258444; Sez. 6, n. 18458 del 05/04/2012, Bandì, Rv. 252686).
L'accertamento peritale relativo allo stato di mente dell'imputato compiuto in un determinato procedimento, dunque, non ha dì per sé rilevanza cogente in altro procedimento a carico del medesimo imputato, sia pure per fatti commessi nel medesimo periodo temporale (Sez. 2, n. 21826 del 05/03/2014, De Luca, Rv. 259576; Sez. 6, n. 40569 del 29/05/2008, Schembri, Rv. 241316; Sez. 3, n. 13237 del 08/02/2008, Colonna, Rv. 239575).
4. Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell'art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso siano stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata invia equitativa, di tremila Euro in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Dispone, a norma dell'art. 52 D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, che sia apposta, a cura della cancelleria, sull'originale del provvedimento, un'annotazione volta a precludere, in caso di riproduzione della presente sentenza in qualsiasi forma, l'indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi degli interessati riportati in sentenza.
Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2025.
Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 2025.