La nuova disciplina processuale sui ricorsi contro i provvedimenti di trattenimento dei migranti è conforme ai principi costituzionali?
La questione è stata sollevata dalla Prima sezione penale della Cassazione con l'ordinanza n. 4308 del 31 gennaio 2025.
Il caso nasce dal ricorso presentato da un migrante contro il decreto di trattenimento emesso dal Questore di Nuoro e convalidato dalla Corte d'appello di Cagliari. Il trattenimento era stato disposto in seguito a un provvedimento di espulsione, con la motivazione che il ricorrente rappresentasse un pericolo per l'ordine pubblico e che vi fosse il rischio di fuga.
La normativa e i principi
Le norme di riferimento includono:
Art. 14, D.Lgs. n. 286/1998 (T.U. immigrazione): disciplina i casi di trattenimento dei migranti in centri di permanenza temporanea.
Legge n. 187/2024 (di conversione del D.L. n. 145/2024), che ha modificato la procedura dei ricorsi contro i decreti di trattenimento, introducendo termini estremamente ristretti e prevedendo la decisione in camera di consiglio senza l’intervento dei difensori.
Principi costituzionali rilevanti: Art. 3 (uguaglianza), Art. 24 (diritto di difesa), Art. 111 (giusto processo) e Art. 117 della Costituzione, quest’ultimo con riferimento all’Art. 6 della CEDU.
Le criticità della disciplina processuale
La Cassazione ha rilevato una serie di criticità legate alla nuova disciplina processuale, tra cui:
Lesione del diritto di difesa: la decisione in camera di consiglio senza l’intervento dei difensori potrebbe impedire il pieno esercizio del contraddittorio.
Tempistiche troppo ristrette: la nuova normativa prevede che il ricorso debba essere deciso entro sette giorni dalla ricezione degli atti. Questa compressione dei tempi, secondo la Cassazione, non consente un’adeguata valutazione delle difese.
Modello del mandato d’arresto europeo: la normativa ricalca quella prevista per il mandato d’arresto europeo, ma tale modello è giudicato inappropriato per i casi di trattenimento, caratterizzati da un elevato livello di conflittualità.
Nella fattispecie, il difensore ha lamentato la mancanza di un’adeguata valutazione del pericolo per la libertà personale in caso di rimpatrio in Algeria. La Cassazione ha sottolineato che, vista la natura sensibile della questione, è necessaria una procedura che garantisca un ordinato svolgimento del contraddittorio.
Conclusione
La Cassazione ha ritenuto non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 6, D.Lgs. n. 286/1998, e ha disposto il rinvio alla Corte costituzionale. La decisione finale potrebbe portare a una revisione della normativa per garantire il rispetto dei principi del giusto processo e del diritto di difesa.
Nel frattempo l'effetto del rinvio alla Consulta è la sospensione di tutti i ricorsi contro i trattenimenti dei migranti.
È rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 6, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, richiamato dall’art. 5-bis d.lgs. 18 agosto 2015, n. 142, per contrasto con gli artt. 3, 24, 111, commi 1 e 2 e 117 Cost., quest’ultimo con riferimento all’art. 6, par. 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nella parte in cui, rinviando all’art. 22, comma 5-bis, quarto periodo, legge 22 aprile 2005, n. 69, prevede che la Corte di cassazione giudichi in conformità al modello procedimentale previsto per il caso di mandato di arresto europeo “consensuale”.
Cassazione penale sez. I, ordinanza 31/01/2025 (dep. 31/01/2025) n. 4308
RITENUTO IN FATTO
1. Con decreto in data 17 gennaio 2025, la Corte di appello di Cagliari in composizione monocratica ha disposto la convalida del provvedimento di trattenimento presso il Centro di permanenza per i rimpatri di Ma. emesso dal Questore di Nuoro in data 15/01/2025 a carico di Bo.Ab.) per un periodo di 60 giorni prorogabile.
1.1. Nel provvedimento del Questore di Nuoro si premette:
- che, con decreto in data 10 gennaio 2025, il Questore di Vercelli aveva emesso analogo provvedimento di trattenimento del Bo.Ab. presso il medesimo Centro di permanenza per i rimpatri, ai sensi dell'art. 14, comma 1, D.Lgs. n. 286/98, convalidato dal Giudice di pace di Oristano all'udienza del 13 gennaio 2015;
- che già in sede di adozione del presupposto provvedimento di espulsione del Prefetto di Vercelli in data 9 gennaio 2025 era stato accertato che l'interessato non aveva presentato una richiesta di protezione internazionale, pur avendo fatto ingresso in Italia il 22 dicembre 2021;
- che la richiesta di protezione internazionale veniva, quindi, compiutamente formalizzata solo in data 15 gennaio 2025.
Tanto premesso, il Questore di Nuoro fondava il suo provvedimento considerando BO.AB., valutati i precedenti penali e di polizia documentati a suo carico, pericoloso per l'ordine e la sicurezza pubblica ai sensi dell'art. 6, comma 2, lett. c), D.Lgs. n. 142/2015, nonché ravvisando, nella specie, un concreto pericolo di fuga nei suoi confronti, ai sensi della lett. d) della citata disposizione e ritenendo, infine, palesemente pretestuosa la domanda di protezione internazionale da lui inoltrata, ai sensi del comma 3 dell'articolo 6. La Corte di merito, nella sostanza, ha condiviso la motivazione del provvedimento questorile, respingendo, inoltre, le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla difesa di BO.AB. ed escludendo, in caso di suo rimpatrio in Algeria, pericoli per la sua libertà personale o il rischio di carcerazione.
2. Avverso il decreto di convalida ha proposto ricorso per cassazione il difensore di Bo.Ab., articolando cinque motivi.
2.1. Con il primo lamenta violazione dell'art. 6, comma 5-bis, D.Lgs. n. 142/2015 in relazione all'art. 14, comma 6, D.Lgs. n. 286/1998 e agli artt. 3,13,25 e 111 Cost. e 117 Cost. con riferimento agli artt. 3, 13 e 14 CEDU.
Il ricorrente deduce che l'art. 14, comma 6, D.Lgs. n. 286/1998, come ° modificato dalla legge n. 187/2024, con il richiamo al secondo e al quarto periodo del comma 5-bis dell'art. 22 della legge n. 69/2005 in materia di mandato di arresto europeo, avrebbe comportato la riduzione del termine per proporre ricorso per cassazione a cinque giorni, discriminando il soggetto sottoposto a restrizione della libertà personale in forza di provvedimento di trattenimento rispetto a quelli sottoposti a restrizione presso gli istituti penali ai quali sono riservati termini più ampi per predisporre la propria difesa, e ha determinato, altresì, la sottrazione della competenza a decidere alle sezioni civili della Corte di cassazione, da considerarsi giudice naturale in queste materie.
Inoltre, i motivi di ricorso, che la disposizione normativa di recente introduzione prevede, vengono ricondotti alle ipotesi previste dalle lett. a), b) e c) dell'art. 606 cod. proc. pen., che non hanno attinenza alla materia trattata, riguardando l'esercizio da parte del giudice di una potestà riservata dalla legge ad altri organi o non consentita ai pubblici poteri, l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale e l'inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione dell'art. 6, comma 5-bis, D.Lgs. n. 142/2015 in relazione all'art. 14, comma 6, D.Lgs. n. 286/1998 e agli artt. 2,3 e 4 D.L. 17/02/2017 n. 13, conv. con modificazioni dalla legge 13/04/2017 n. 46, nonché agli artt. 3, 13,25 e 111 Cost. e 117 Cost. con riferimento agli artt. 3, 13 e 14 CEDU.
Lamenta che il primo giudice non avrebbe valutato la preliminare eccezione di incompetenza, avanzata con memoria difensiva depositata in atti e nella quale si sosteneva che la mancata modifica dell'art. 4, comma 3, D.L. n. 13/2017, conv. con modificazioni dalla legge n. 46/2017 doveva considerarsi indicativa del mantenimento della competenza in capo alla Sezione specializzata del Tribunale; la Corte di appello aveva ritenuto la propria competenza con motivazione del tutto apparente.
2.3. Con il terzo motivo, che si ricollega al precedente, si denuncia ancora violazione dell'art. 6, comma 5-bis, D.Lgs. n. 142/2015 in relazione all'art. 14, comma 6, D.Lgs. n. 286/1998 e agli artt. 2,3 e 4 D.L. 17/02/2017 n. 13, conv. con / modificazioni dalla legge 13/04/2017 n. 46, nonché agli artt. 3, 13,25 e 111 Cost.
e 117 Cost. con riferimento agli artt. 3, 13 e 14 CEDU.
Con motivazione apparente la Corte di appello avrebbe deciso sull'eccepita questione di legittimità costituzionale dell'art. 6, comma 5, D.Lgs. n. 142/2015, che attribuisce la competenza a decidere sulle domande di protezione internazionale avanzate dai soggetti liberi alle sezioni specializzate dei Tribunali e su quelle avanzate dai soggetti a trattenimento al giudice penale non specializzato.
Altrettanto apparente avrebbe dovuto considerarsi la motivazione circa la dedotta violazione del principio costituzionale del giudice naturale (art. 25 Cost.), da identificarsi certamente con le suddette Sezioni specializzate ai sensi dell'art. 4, comma 3, L. n. 46/2017.
2.4. Con il quarto motivo il ricorrente deduce violazione dell'art. 6, comma 5, D.Lgs. n. 142/2015 in relazione agli artt. 10, comma 3, Cost., 19, commi 1 e 1.1., D.Lgs. n. 286/1998; in relazione all'art. 3 CEDU, all'art. 8, comma 3, D.Lgs. n. 25/2008 e all'art. 2697 cod. civ.
Espone di aver eccepito, nella memoria difensiva prodotta davanti al Giudice di Cagliari, l'illegittimità dell'espulsione dell'interessato posta alla base del trattenimento, in quanto adottata in violazione dell'art. 19, commi 1 e 1.1., D.Lgs. n. 286/1998, nel senso che il rimpatrio del Bo.Ab. in Algeria lo esporrebbe al rischio dì essere sottoposto a processo ai sensi dell'art. 175-bis cod. pen. algerino (reato di espatrio senza autorizzazione amministrativa).
Nello stesso atto difensivo si era segnalato, inoltre, anche con richiami di brani, non tradotti in lingua italiana, tratti da rapporti delle organizzazioni "Human Rights Watch" e "Amnesty International", che in Algeria vengono denunciati trattamenti inumani e degradanti nei confronti delle persone private della libertà personale ed è prevista la pena di morte, sicché non sarebbe dato comprendere in base a quali criteri quel Paese fosse stato designato come "sicuro" dal Governo italiano.
Si era, ancora, rimarcato come il ricorrente non potesse reputarsi un soggetto pericoloso, condizione neppure evidenziata nel decreto di espulsione, tanto che quest'ultimo provvedimento era stato emanato per inottemperanza a precedente ordine del Questore di abbandonare il territorio nazionale ai sensi dell'art. 14, commi 1 e 5, D.Lgs. n. 286/98.
Sui rilievi difensivi, la Corte di appello avrebbe risposto con motivazione apparente quanto alla ritenuta inattualità della questione sulla sicurezza in Algeria, essendosi limitata a recepire pedissequamente il contenuto del provvedimento di trattenimento emesso dal Questore.
La motivazione, inoltre, sarebbe contraddittoria, poiché, per un verso, r / rimprovera all'istante di non aver specificato i motivi per i quali egli avrebbe potuto ° vedere pregiudicati i suoi diritti in caso di rimpatrio, per altro verso, afferma la presunta insussistenza del pericolo di carcerazione.
2.5. Con il quinto motivo il ricorrente lamenta violazione dell'art. 6, comma 5, D.Lgs. n. 142/2015 in relazione agli artt. 10, comma 3, Cost., 19, commi 1 e 1.1, D.Lgs. n. 286/1998; in relazione all'art. 3 CEDU, all'art. 8, comma 3, D.Lgs. n. 25/2008 e all'art. 2697 cod. civ.
Nella memoria il ricorrente aveva dedotto argomenti e documenti al fine di dimostrare la non pretestuosità della sua richiesta di protezione internazionale, spiegando di essere stato costretto a espatriare dall'Algeria per sottrarsi alle aggressioni e violenze che aveva subito dai familiari della ragazza a lui legata da
relazione sentimentale, relazione non condivisa dalla famiglia di lei.
Esprime il timore di non essere tutelato dalle autorità algerine, notoriamente corrotte, in caso di rimpatrio.
Rappresenta, infine, di avere una compagna in Italia che intende ospitarlo.
Critica, in sintesi, come apparente la motivazione fornita dal giudice di merito sulle illustrate deduzioni.
2.5.1. Il difensore ha concluso chiedendo, in via preliminare e pregiudiziale, di rimettere gli atti e le parti davanti alla Corte costituzionale o davanti alla Corte di giustizia europea, con ogni conseguenza di legge, ivi compresa la liberazione dell'istante dal Centro per il rimpatrio di Ma. in attesa della loro decisione; ha, comunque, chiesto l'annullamento dell'impugnato decreto.
3.1. Sostituti Procuratori generali Luisa De Renzis e Pasquale Serrao d'Aquino hanno concluso con requisitoria scritta, chiedendo il rigetto del ricorso.
4. Il difensore del ricorrente ha trasmesso a mezzo posta elettronica certificata in data 30 gennaio 2025, ossia nel giorno fissato per la decisione del ricorso, memoria contenente note difensive con le quali si insiste argomentatamente nelle doglianze prospettate con il ricorso, si contestano alcune delle conclusioni in rito raggiunte da questa Corte con la sentenza n. 2967 del 24 gennaio 2025 e si sviluppano considerazioni in ordine all'assimilazione dei procedimento di convalida a quelli scaturenti dall'emissione di un mandato di arresto europeo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il quadro normativo di riferimento. Nella Gazzetta ufficiale n. 289 del 10 dicembre 2024 è stata pubblicata la legge 9 dicembre 2024, n. 187, di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 11 ottobre 2024, n. 145, recante "Disposizioni urgenti in materia di ingresso in Italia di lavoratori stranieri, di tutela e assistenza alle vittime di caporalato, di gestione dei flussi migratori e di protezione internazionale, nonché dei relativi procedimenti giurisdizionali".
Per quanto rileva ai fini della decisione, l'art. 18-bis, comma 1, lett. ò), D.L. n. 145 del 2024, aggiunto dalla legge di conversione n. 187, ha modificato l'art. 14, comma 6, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, la cui formulazione è divenuta la seguente: "6. Contro i decreti di convalida e di proroga di cui al comma 5 è proponibile ricorso per cassazione entro cinque giorni dalla comunicazione, solo per i motivi di cui alle lettere a), b) e c) del comma 1 dell'articolo 606 del codice di procedura penale. Il relativo ricorso non sospende l'esecuzione della misura. Si osservano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all'articolo 22, comma 5-bis, secondo e quarto periodo, della legge 22 aprile 2005, n. 69".
Lo stesso art. 14, comma 6, D.Lgs. n. 286 del 1998 è contestualmente richiamato - sempre ai fini della ricorribilità per cassazione - dal nuovo comma 5-bis dell'art. 6 D.Lgs. 18 agosto 2015, n. 142, introdotto dall'art. 18, comma 1, lett. a), n. 2, D.L. n. 145 del 2024, come modificato in sede di conversione, il quale così stabilisce: "5-bis. Contro i provvedimenti adottati ai sensi del comma 5 è ammesso ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 14, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286".
2. La rilevanza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 6, D.Lgs. n. 286 del 1998, richiamato dall'art. 5-bis D.Lgs. n. 142 del 2015.
Alla luce di quanto osservato supra nel Ritenuto in fatto, questa Corte è, pertanto, chiamata ad esaminare il ricorso nel quadro della procedura indicata dall'art. 14, comma 6, D.Lgs. n. 286 del 1998, quale richiamata dall'art. 5-bis D.Lgs. n. 142 del 2015.
Come detto, l'art. 14, comma 6 cit. dispone che contro i decreti di convalida e di proroga di cui al comma 5 è proponibile ricorso per cassazione, entro cinque giorni dalla comunicazione, solo per i motivi di cui alle lettere a), b) e c) del comma 1 dell'articolo 606 cod. proc. pen. Il relativo ricorso non sospende l'esecuzione della misura. Si osservano, in quanto compatibili, le disposizioni dell'art. 22, comma 5-bis, secondo e quarto periodo, della legge 22 aprile 2005, n. 69.
Per effetto di quest'ultimo puntuale richiamo, il legislatore impone, pertanto: a) che il ricorso sia presentato nella cancelleria della corte di appello che ha emesso il provvedimento, la quale lo trasmette alla Corte di cassazione, con precedenza assoluta su ogni altro affare e comunque entro il giorno successivo, unitamente al provvedimento impugnato e agli atti del procedimento (secondo periodo dell'art. 22, comma 5-bis, I. n. 69 del 2005); b) che la Corte, nel termine i di sette giorni dalla ricezione degli atti, giudichi in camera di consiglio sui motivi di ricorso e sulle richieste del procuratore generale senza intervento dei difensori e depositi la decisione con la contestuale motivazione a conclusione dell'udienza, provvedendo altresì, fuori dei casi di cui al comma 6, agli adempimenti indicati al comma 5 dello stesso art. 22.
Se, per un verso, il richiamo alle previsioni dell'art. 22, comma 5-bis I. n. 69 del 2005, operato dall'art. 14, comma 6, D.Lgs. n. 286 del 1998 nei limiti della compatibilità, solleva il problema della necessità, fuori dei casi di cui al comma 6 (annullamento con rinvio) dello stesso art. 22, della trasmissione di copia del provvedimento al Ministero della giustizia, giacché tale adempimento appare
strettamente correlato all'esecuzione del mandato di arresto europeo e alla conseguente cooperazione internazionale necessaria all'esecuzione, per altro verso, il rinvio al comma 6 dell'art. 22 giustifica il sollecito svolgimento dell'eventuale giudizio di rinvio secondo le cadenze temporali descritte in quest'ultimo comma.
E certamente esatto che il legislatore non determina quali conseguenze scaturiscano dall'inosservanza del termine di sette giorni per il deposito della decisione. Tuttavia, ritiene questa Corte che lo sbarramento temporale debba essere rispettato, alla luce delle considerazioni sostanziali e valoriali che verranno sviluppate infra al termine di questo paragrafo e del dovere di osservanza delle norme processuali quale ribadito dall'art. 124, comma 1, cod. proc. pen. In particolare, il richiamo dell'art. 124 cod. proc. pen. alle "norme di questo codice" non può essere inteso in senso limitativo, alla luce della soggezione del giudice alla legge (art. 101, secondo comma, Cost.), che impone un impegno continuo nel rispetto delle prescrizioni normative.
Ritiene, in altri termini, questa Corte che le prescrizioni normative vadano sempre e comunque rispettate.
Ciò che, tuttavia, resta regolamentato in termini che appaiono strutturalmente inidonei a garantire l'ordinato svolgimento del contraddittorio è il procedimento dinanzi a questa Corte. È in relazione a questo profilo, di immediata rilevanza nel caso di specie, poiché questa Corte è appunto chiamata a decidere sul ricorso presentato nel quadro delle regole processuali dettate dal legislatore, che vengono sollevati i dubbi di legittimità costituzionale esposti nel paragrafo che segue.
In particolare, proprio il fatto che, in concreto, sia pervenuta nella mattinata del 30 gennaio 2025, una articolata memoria del ricorrente rende evidente il tema del modo nel quale assicurare il contraddittorio.
Occorre, peraltro, sin da ora precisare che, sebbene il quarto periodo del (comma 5-bis dell'art. 22 della I. n. 69 del 2005 appaia letteralmente correlare il termine di sette giorni - previsto per il deposito della motivazione del provvedimento - alla decisione sui motivi di ricorso e sulle richieste del procuratore generale e non anche all'ordinanza con la quale si sollevi incidente di costituzionalità, ritiene questa Corte di provvedere comunque al rispetto del medesimo termine. Tanto per farsi carico delle esigenze di sollecito esame dei ricorsi che il legislatore ha ritenuto di indicare all'autorità giudiziaria, alla luce dei valori sottesi alla necessità di garantire un celere controllo sulla legittimità ° dell'adozione di misure incidenti sulla libertà personale (quali certamente sono, ad es., le misure che determinino la coazione della persona a rimanere in un determinato luogo, come il trattenimento in un centro di permanenza temporanea per stranieri, oggi centro di permanenza per i rimpatri: su quest'ultima ipotesi, v. la menzione di Corte cost., sent. n. 203 del 2024, che, al punto 4.1.1. del Considerato in diritto, richiama le proprie sentenze n. 212 del 2023, n. 127 del 2022 e n. 105 del 2001).
Si tratta di soluzione che appare in linea con l'ormai risalente consapevolezza che, nei giudizi riguardanti norme incidenti sulle libertà dello straniero, il parametro dell'art. 3 Cost. non va considerato isolatamente ma in connessione con l'art. 2 e con l'art. 10, secondo comma, Cost., il primo dei quali riconosce a tutti, cittadini e stranieri, i diritti inviolabili dell'uomo (Corte cost., sent. n. 120 del 1967). Come ricordato dalla citata Corte cost., sent. n. 105 del 2001, per quanto gli interessi pubblici incidenti sulla materia della immigrazione siano molteplici e per quanto possano essere percepiti come gravi i problemi di sicurezza e di ordine pubblico connessi a flussi migratori incontrollati, non può risultarne minimamente scalfito il carattere universale della libertà personale, che, al pari degli altri diritti che la Costituzione proclama inviolabili, spetta ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani (per un recente richiamo a siffatti principi, v., in motivazione, al punto 2 delle Ragioni della decisione, Cass. civ., 19/12/2024, n. 14533).
3. La non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale.
3.1. La disciplina processuale sopra ricordata, prescelta dal legislatore in relazione al giudizio di legittimità presenta profili di indeterminatezza delle scansioni nelle quali ospitare il necessario contraddittorio delle parti, che appaiono legate alla scelta di prevedere l'applicabilità delle regole dettate dall'art. 2, comma 5-bis, I. n. 69 del 2005, per le ipotesi di ricorso per cassazione proposto avverso le ordinanze di cui all'art. 14, comma 5 della stessa I. n. 69 del 2005. Queste ultime vengono assunte dalla Corte d'Appello quando la persona della quale è stata richiesta la consegna ai sensi degli articoli 10, comma 1, e 13, comma 1, della stessa I. n. 69 del 2005, esprime consenso alla consegna o rinuncia al beneficio di cui all'articolo 10, comma 1 della L. n. 69 del 2005.
Si tratta, come verrà ribadito infra, di disciplina radicalmente diversa da quella prevista per i casi di procedimenti relativi all'esecuzione di mandati di arresto europei non caratterizzati da profili di "consensualità".
In particolare, la previsione, da parte dell'art, art. 22, comma 5-bis, quarto periodo, di una decisione da assumere nel termine di sette giorni dalla ricezione degli atti, rende evidentemente inapplicabile il modello processuale ordinario di cui all'art. 611 cod. proc. pen., che presuppone una diversa articolazione temporale.
Deve aggiungersi che proprio l'esistenza di un termine assegnato alla Corte per la decisione, la cui rilevanza è stata sopra sottolineata, esclude, ad avviso del Collegio, la possibilità di una lettura adeguatrice che, prospettando una interpretatio abrogans del termine indicato, consenta di modulare diversamente il rito secondo diverse cadenze processuali. Non viene, infatti, in rilievo un mero silenzio legislativo (Corte cost., sent. n. 208 del 2024) o una mera non intenzionale lacuna (Corte cost., sent. n. 25 del 2024), ma una precisa scelta normativa che costituisce, anche in nome di fondamentali esigenze di certezza, legate al principio di legalità processuale, una barriera insuperabile per l'attività interpretativa (per il principio di carattere generale, v., di recente, Corte cost., sent. n. 5 del 2024).
Ugualmente deve ritenersi preclusa, per la non equivoca contraria scelta normativa, la possibilità di consentire la partecipazione dei difensori in una udienza fissata in modo pretorio.
Ne discende che, in assenza di qualunque regolamentazione, le parti possono trasmettere, in qualunque momento, memorie senza che sia disciplinato il diritto delle controparti di averne contezza (o di avere contezza del termine entro il quale l'antagonista processuale è chiamato a depositare i propri scritti).
3.2. Al riguardo, occorre premettere che, come anche di recente sottolineato dalla Corte costituzionale (sent. n. 96 del 2024, resa in relazione all'art. 171 -bis cod. proc. civ., ma con l'affermazione di principi di carattere generale connessi al sistema processuale, alla luce dell'art. 24 e dell'art. Ili, secondo comma, Cost.), il contraddittorio, "quale primaria e fondamentale garanzia del giusto processo", consiste nella "necessità che tanto l'attore, quanto il contraddittore, partecipino o siano messi in condizione di partecipare al procedimento", anche se "al legislatore è consentito di differenziare la tutela giurisdizionale con riguardo alla particolarità del rapporto da regolare" (sentenza n. 73 del 2022). Il principio del contraddittorio costituisce un connotato intrinseco del processo (sentenza n. 93 del 2022), nel quale deve essere assicurato il diritto di difesa, "quale spetta a tutti i cittadini nei procedimenti giurisdizionali" (sentenza " n. 341 del 2006). Il "giusto processo", nel quale si attua la giurisdizione e si realizza il diritto inviolabile di difesa, comporta necessariamente che esso "si svolga nel contraddittorio tra le parti", nonché - prescrive ulteriormente l'art. Ili, secondo comma, Cost. - "in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale". Il contraddittorio è, invero, un momento fondamentale del giudizio quale cardine della ricerca dialettica della verità processuale, condotta dal giudice con la collaborazione delle parti, volta alla pronuncia di una decisione che sia il più possibile "giusta". Il principio del contraddittorio, infatti, chiama in causa non solo la dialettica tra le parti nel corso del processo, ma riguarda anche la partecipazione attiva del giudice.
Può anzi aggiungersi che siffatta partecipazione - delle parti e del giudice - altro non è se non la premessa procedimentale dell'effettività della tutela giurisdizionale.
3.3. Ora, ad avviso di questa Corte, lo svolgimento del contradditorio postula un'ordinata scansione dei momenti processuali all'interno della quale le parti possano svolgere le loro difese, consentendo al giudice di apprezzarle e di esprimersi su di esse in termini argomentati: ciò soprattutto quando, come nel caso di specie, vengano in rilievo giudizi nei quali non si registrino forme di consenso o di rinuncia ritualmente espresse dai protagonisti della vicenda, che razionalmente giustificano semplificazioni processuali fondate sulle autonome scelte degli stessi, come appunto accade nella disciplina dettata, in tema di esecuzione dei mandati di arresto europeo, dall'art. 22 della I. n. 69 del 2005.
Questa Corte è ben consapevole dei rilievi per i quali l'assenza di disciplina processuale, in taluni casi, non può assumere il significato di un esonero dal rispetto del contraddittorio, ma comporta soltanto che il legislatore non ha inteso vincolare il giudice all'obbligo di determinate forme, lasciandolo libero di scegliere, caso per caso, quelle ritenute più opportune per assicurare sia pure in modo celere e semplificato, una effettiva dialettica tra accusa e difesa (Corte cost., sent. n. 434 del 1995).
Ma siffatta conclusione appare calibrata su una specifica questione (la proroga dei termini di custodia cautelare affidata ad "un'ordinanza del giudice, su richiesta del pubblico ministero, sentito il difensore", laddove, secondo il giudice a quo, sarebbe stato necessario provvedere in camera di consiglio a norma dell'art. 127 cod. proc. pen.) che non appare comparabile a quella che si pone nel presente giudizio.
Nel caso di specie, infatti, non si tratta di una pur rilevante decisione incidentale rispetto alla quale è sufficiente, ai fini della tenuta costituzionale, che, pur senza l'osservanza di forme specifiche, il difensore sia, con congruo termine, posto in grado di interloquire, che le motivazioni della richiesta siano adeguatamente specificate, ed anche che la congruità del termine assegnato al difensore sia valutata in rapporto alla richiesta del pubblico ministero ed al grado di complessità della stessa.
Viene, invece, in rilievo un giudizio di legittimità destinato a definire una controversia che investe la rispondenza ai requisiti di legge della limitazione della libertà personale per un periodo apprezzabile e che si accompagna ad una pluralità di questioni la cui soluzione da parte di questa Corte richiede un ordinato (dal legislatore) svolgimento delle scansioni nelle quali le parti possono interloquire.
3.5. La vicenda del presente procedimento è, come si diceva supra, emblematica delle questioni sollevate dalla disciplina processuale applicabile.
La trasmissione di una memoria ad opera di una delle parti, poche ore prima delia camera di consiglio destinata all'esame del ricorso, senza che siano disciplinati i modi, i tempi e i protagonisti di idonee attività comunicative e senza che siano individuati i termini nei quali il contraddittorio è destinato ad articolarsi in modo congruo, rende non manifestamente infondato il dubbio che venga rimesso al giudice il potere - invece di competenza del legislatore - di determinare, attraverso un ragionevole bilanciamento delle esigenze di celerità e quelle di compiuto dispiegarsi del diritto di difesa delle parti, pubbliche e private, interessate, le cadenze del processo.
Va escluso, infatti, che il giudice possa individuare adempimenti e termini la cui inosservanza riceva sanzioni processuali non previste dal legislatore. Qualunque tentativo di regolamentazione, caso per caso, del confronto fra le parti espone ad una inevitabile incertezza proprio sulla definizione della sede in cui si dispiegano le ragioni delle parti prima della decisione dell'autorità giudiziaria.
Soprattutto siffatta soluzione apre la strada da una supplenza del potere giudiziario rispetto alle necessarie determinazioni del potere legislativo.
3.6. In altri termini, non è in discussione la consolidata affermazione per la quale il legislatore gode di ampia discrezionalità, censurabile soltanto nei limiti della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà delle scelte operate (ex plurimis, Corte cost., sent. n. 74 del 2022, n. 213 del 2021, n. 95 del 2020, n. 79 e n. 58 del 2020, n. 155 e n. 139 del 2019, n. 225 del 2018 e n. 241 del 2017), soprattutto quando vengano perseguite finalità acceleratone, nella configurazione degli istituti processuali.
Viene piuttosto in evidenza il rilievo per il quale siffatta discrezionalità deve appunto essere esercitata in modo da delineare compiutamente i tratti del giudizio di legittimità nel rispetto dei principi di rilievo costituzionale di legalità processuale con le conseguenti ricadute sui modi di esercizio del diritto di difesa.
3.7. È proprio la consapevolezza dell'assoggettamento del giudice alla legge e delle incertezze alle quali il sistema processuale è esposto qualora alla Corte di cassazione sia rimesso non di regolamentare aspetti minimi di dettaglio, f ma le scansioni fondamentali del giudizio di legittimità che comporta, ad avviso del Collegio, l'esigenza di sottoporre il non manifestamente infondato dubbio di legittimità alla Corte costituzionale.
Ciò, in relazione ai seguenti parametri.
3.7.1. Innanzi tutto, l'art. Ili, primo comma, Cost. dispone che la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge. Tanto implica che le condizioni che rendono giusto il processo, ossia, per quanto sopra detto, in relazione al secondo comma dello stesso art. Ili, il suo svolgimento nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, devono essere definite, in termini di prevedibile certezza, dal legislatore.
3.7.2. La garanzia della disciplina legale, ritraibile anche, per il tramite dell'art. 117, primo comma, Cost., dall'art. 6, par. 2 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, implica, peraltro, la qualità della fonte di regolazione che, nel caso di specie, viene in rilievo non come chiarezza espositiva, ma come completezza della disciplina, che, sola, garantisce una definizione prevedibile della sede del confronto processuale (per la necessità che il carattere giusto del processo debba essere apprezzato alla luce del primato della legge che inerisce a tutte la garanzie approntate dalla Cedu alla luce del Preambolo della stessa e che assicura la prevedibilità delle regole di svolgimento del processo, v., ad es., 15 marzo 2022, Grzqda c. Polonia, par. 339)
D'altra parte, la strumentalità del processo al pieno dispiegarsi del diritto di difesa, sia pure variamente articolato in relazione alle finalità acceleratone perseguire dal legislatore, implica che una normazione destinata a incidere significativamente sul diritto delle parti di conoscere le ragioni della controparte, soprattutto quando vengano in gioco diritti fondamentali e in sede di giudizio di legittimità, ultima istanza giurisdizionale, appare collidere con l'art. 24 Cost.
3.7.3. Va, infine, osservato che, pur nel quadro di procedure particolarmente celeri, il legislatore, all'art. 22, commi da 1 a 4, della citata I. n. 69 del 2005, delinea, per il caso di procedura contrassegnata dall'assenza del consenso o della rinuncia cui fa riferimento l'art. 14, comma 1, della stessa I. n. 69 del 2005, un modello che, attraverso il richiamo all'art. 127 cod. proc. pen. consente un ordinato svolgimento del contraddittorio attraverso il riferimento ad un procedimento adeguato al contrasto di posizioni delle parti.
Ciò che esalta anche l'ulteriore dubbio di legittimità, quanto alla ragionevolezza della scelta di optare per una disciplina processuale costruita sul presupposto di una scelta consensuale del destinatario della richiesta di consegna laddove, nel caso di specie, il procedimento è contrassegnato da una manifesta contrapposizione degli interessi in gioco.
In ogni caso, come di recente sottolineato dalla Corte costituzionale, con la sent. n. 128 del 2024 (par. 3 del Considerato in diritto), una volta accertato un vulnus a un principio o a un diritto riconosciuti dalla Costituzione, "non può essere di ostacolo all'esame nel merito della questione di legittimità costituzionale l'assenza di un'unica soluzione a "rime obbligate" per ricondurre l'ordinamento al rispetto della Costituzione, ancorché si versi in materie riservate alla discrezionalità del legislatore" (sent. n. 6 del 2024, che cita la sent. n. 62 del 2022; nello stesso senso, Corte cost., sent. n. 200 del 2023). La medesima Corte cost., sent. n. 128 del 2024 ha concluso che è pertanto "sufficiente "la presenza nell'ordinamento di una o più soluzioni "costituzionalmente adeguate", che si inseriscano nel tessuto normativo coerentemente con la logica perseguita dal legislatore (ex plurimis, sentenze n. 28 del 2022, n. 63 del 2021, n. 252 e n. 224 del 2020, n. 99 e n. 40 del 2019, n. 233 e n. 222 del 2018)" (sentenza n. 95 del 2022), mentre "l'assenza di una soluzione a rime obbligate non è preclusiva di per sé sola dell'esame nel merito delle censure" (sentenza n. 48 del 2021)", spettando alla stessa Corte, ove ritenga fondate le questioni, "di individuare la pronuncia più idonea alla reductio ad legitimitatem della disposizione censurata, non essendo vincolata alla formulazione del petitum dell'ordinanza dì rimessione nel rispetto dei parametri evocati, stante anche che "l'assenza di soluzioni costituzionalmente vincolate" non compromette l'ammissibilità delle questioni stesse (ex plurimis, Corte cost., n. n. 59 del 2021) quando sia rinvenibile nell'ordinamento una soluzione adeguata al parametro di riferimento" (Corte cost., sent. n. 221 del 2023)".
4. La mancata previsione di fonti normative che giustifichino una incidenza della presente decisione sul trattenimento del ricorrente - la cui efficacia nel tempo è regolata dalla legge e, in concreto, dallo specifico provvedimento che lo riguarda - esclude che possano essere adottate decisioni al riguardo, salve restando le determinazioni dell'autorità amministrativa, in relazione al quadro normativo vigente.
P.Q.M.
Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 6, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, richiamato dall'art. 5-bis D.Lgs. 18 agosto 2015, n. 142, nella parte in cui, rinviando alle disposizioni di cui all'art. 22, comma 5-bis, quarto periodo, della legge 22 aprile 2005, n. 69, prevede che la Corte di cassazione giudichi in camera di consiglio sui motivi di ricorso e sulle richieste del procuratore generale senza intervento dei difensori, in tal modo affidando alla creazione dell'autorità giudiziaria l'individuazione delle scansioni processuali idonee a realizzare il contraddittorio nel termine di sette giorni dalla ricezione degli atti previsto per la decisione, in relazione agli articoli 3, 24, 111, primo e secondo comma, 117 Cost., quest'ultimo con riferimento all'art. 6, par. 1 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali; dispone la sospensione del presente giudizio; ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti del giudizio di cassazione e al Presidente del consiglio dei ministri; ordina, altresì, che l'ordinanza venga comunicata ai presidenti delle due Camere del Parlamento; dispone l'immediata trasmissione degli atti, comprensivi della documentazione attestante il perfezionamento delle prescritte notificazioni e comunicazioni, alla Corte costituzionale.
In caso di diffusione del presente provvedimento vanno omesse le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 D.Lgs. 196/03, in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2025.
Depositato in Cancelleria il 31 gennaio 2025.