Il divieto di contatto imposto dall’art. 282-ter c.p.p. è violato anche se è la vittima a cercare l’incontro?
La Cassazione penale, con la sentenza n. 4936/2025, ha affrontato un caso emblematico legato alla violenza domestica e al delicato equilibrio tra la tutela della vittima e i diritti dell’imputato.
Il Tribunale di Firenze aveva annullato gli arresti domiciliari dell'imputato per la violazione delle prescrizioni di non avvicinarsi alla vittima, sostenendo che il contatto era stato cercato volontariamente dalla stessa vittima
Il Pubblico Ministero, però, ha presentato ricorso, evidenziando che l’imputato avrebbe dovuto comunque impedire il contatto.
La normativa e i principi applicabili
La Corte richiama le seguenti norme:
Art. 387-bis c.p.: Violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare o di divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa.
Art. 282-ter c.p.p.: Divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, con l’obbligo di mantenere una determinata distanza.
Convenzione di Istanbul (legge 27 giugno 2013, n. 77): Priorità assoluta alla sicurezza della vittima anche contro la sua volontà.
Legge 24 novembre 2023, n. 168: Rafforzamento delle misure cautelari, come l’obbligatorietà del braccialetto elettronico e l’arresto in caso di violazione.
Cita anche la sentenza della CEDU **(Talpis c. Italia e Landi c. Italia) **secondo cui gli Stati hanno l’obbligo di adottare misure efficaci per proteggere le vittime di violenza domestica.
I giudici di legittimità ricorrdano inoltre la sentenza della CEDU (Talpis c. Italia e Landi c. Italia), secondo cui gli Stati hanno l’obbligo di adottare misure preventive e reattive efficaci per proteggere le vittime di violenza domestica, garantendo interventi tempestivi anche quando le vittime possono apparire ambivalenti o riluttanti a collaborare.
La passività dell’imputato
La Corte ha evidenziato che il contatto con la vittima è vietato anche quando non è l’indagato a cercarlo attivamente.
Nel caso specifico, sebbene la vittima si fosse recata volontariamente a casa dell'imputato, quest'ultimo aveva l’obbligo di adottare comportamenti preventivi, come non farla entrare o avvisare le Forze dell’Ordine.
La Corte ha considerato la condotta passiva dell'imputato come una cooperazione attiva, poiché ha consapevolmente permesso il contatto nonostante la condizione di vulnerabilità della vittima, sottoposta ad amministrazione di sostegno e incapace di esercitare pienamente la propria volontà.
La Cassazione ha sottolineato che, nei casi di violenza domestica, il comportamento della vittima può essere condizionato dalla sua stessa posizione di sottomissione, rendendo quindi irrilevante il consenso apparente della vittima.
Inoltre, il principio espresso dalla Convenzione di Istanbul (art. 52) è chiaro: la sicurezza della vittima è prioritaria e non può essere derogata nemmeno dalla sua volontà. L’argomentazione difensiva secondo cui imputato non poteva allontanarsi dalla propria abitazione non è stata ritenuta sufficiente, poiché era comunque esigibile una condotta attiva volta a impedire il contatto.
Conclusioni
La Cassazione ha stabilito che l’imputato è responsabile per la violazione del divieto anche se è la vittima a cercare il contatto, quando non adotta le precauzioni necessarie per impedirlo.
L’ordinanza del Tribunale di Firenze è stata annullata con rinvio per un nuovo esame delle esigenze cautelari.
Nei casi di violenza di genere, quindi, la passività non è mai un’opzione valida per giustificare la violazione delle misure cautelari.
Consiglio: nei casi simili a quello descritto in questa vicenda, c'è una sola opzione per chi è sottoposto alla prescrizione di non avvicinamento: non aprire la porta!
Il delitto di violazione del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, di cui all’art. 387-bis cod. pen., anche la condotta di chi, essendo sottoposto alla misura cautelare impositiva di tale vincolo personale, consente che la persona offesa volontariamente gli si avvicini, attesa l’esigibilità del concreto esercizio dello ius excludendi e l’esigenza di conformarsi al criterio di «priorità alla sicurezza delle vittime e delle persone in pericolo», enunciato dall’art. 52 della Convenzione di Istanbul.
Cassazione penale sez. VI, sentenza 15/01/2025 (dep. 06/02/2025) n. 4936
RITENUTO IN FATTO
1. Con il provvedimento in epigrafe, il Tribunale di Firenze - adito in sede di riesame ex art. 309 cod. proc. pen. - annullava l'ordinanza di applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari emessa l'11 settembre 2024 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Pistoia nei confronti di Do.Ma. per il reato di cui all'art. 387 bis cod. pen. di cui alla provvisoria contestazione.
1.1. Secondo i Giudici non erano ravvisabili i gravi indizi di reità a carico di Do.Ma. - destinatario del provvedimento cautelare del divieto di dimora e del divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati da Ri.Ev., con prescrizione di "mantenere una distanza di almeno 500 metri anche in caso di incontro occasionale e del divieto di comunicazione con qualsiasi mezzo" -perché era stata la Ri.Ev. ad essersi volontariamente recata a casa del Do.Ma. e perché non si poteva esigere dall'indagato la condotta di allontanamento dalla propria abitazione né, tantomeno, era ravvisabile l'obbligo di allertare le Forze dell'Ordine.
2. Ha proposto ricorso il Pubblico Ministero, che, con un unico articolato motivo, ha dedotto:
- violazione di legge e vizio di motivazione per avere i Giudici di merito ritenuto -in modo contraddittorio ed illogico - che la violazione delle prescrizioni della misura cautelare ex art. 282-ter, comma 2, cod. proc. pen. non fosse sussumibile nella fattispecie di cui all'art. 387 bis cod. pen.: il Do.Ma. -sebbene non avesse cercato l'incontro con la Ri.Ev.- aveva violato la prescrizione impostagli nel permettere alla ragazza di intrattenersi nella sua abitazione, omettendo di adottare comportamenti - scarsamente onerosi e quindi esigibili- come quello di richiedere l'intervento delle Forze dell'Ordine.
3. Il difensore di Do.Ma. ha depositato memorie di replica, richiamando i principi espressi nella sentenza di questa Corte a Sez. Un. n. 39005 del 29/04/2021.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato e va accolto per le ragioni di seguito precisate.
2. Il devolutum investe il tema del ragionevole bilanciamento, nell'ambito dei reati di violenza di genere e di violenza domestica, tra valori in tensione, da un lato i diritti di libertà dell'indagato e, dall'altro, la incolumità fisica e psicologica della vittima vulnerabile, la cui tutela rappresenta l'obiettivo primario del legislatore nazionale e sovranazionale.
2.1. Numerosi sono, infatti, gli interventi legislativi "rafforzativi", tesi alla tutela della vittima vulnerabile (si veda, ad esempio, la legge del 24 novembre 2023 n. 168 sulla obbligatorietà del braccialetto elettronico nelle misure non custodiali ex artt. 282-bis, comma 6, e 282-ter, comma 1, cod. proc. pen. e l'arresto obbligatorio in caso di violazione) e all'attuazione delle prescrizioni sovranazionali, prime fra tutte quelle della Convenzione di Istanbul (Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, ratificata con legge 27 giugno 2013, n. 77), il cui obiettivo primario è quello di dare "priorità alla sicurezza delle vittime o delle persone in pericolo", sia attraverso la predisposizione di "un idoneo apparato di tutela" (Sez. 6, n. 46797 del 18/10/2023,T., Rv. 285542; Sez. 6, n. 7289 dell'11/01/2024, F.; Sez. 6, n. 29688 del 06/06/2022, P.)f,sia privando di "poteri dispositivi" la stessa persona offesa.
Ed infatti, l'art. 55 (Procedimenti d'ufficio o ex parte) della Convenzione di Istanbul - in considerazione delle modalità insidiose e manipolatorie in cui può svilupparsi la violenza domestica e quella di genere, della condizione di vulnerabilità relazionale (oggettiva o soggettiva) in cui la vittima potrebbe trovarsi, della inviolabilità dei diritti in gioco, della valutazione di particolare gravità delle condotte (Sez. 6, n. 37978 del 03/07/2023, B., Rv. 285273; Sez. 6, n. 7289 dell'11/01/2024, F.; Sez. 6, n. 31570 del 12/07/2022, O.) - prevede che i procedimenti penali continuino "anche se la vittima dovesse ritrattare l'accusa o ritirare la denuncia".
2.2. Altrettanto numerosi sono gli interventi a livello comunitario: la direttiva (UE) 2024/1385 sulla lotta alla violenza di genere e alla violenza domestica e le sentenza della Corte Europea per i diritti umani prevedono in capo agli Stati l'obbligo di proteggere le vittime, sia adottando adeguati ed efficaci strumenti di tutela rispetto ad aggressioni alla vita e all'integrità fisica, sia predisponendo obblighi procedurali in grado di rendere concreto e tempestivo il procedimento penale necessario per l'applicazione delle misure cautelari (ex muitis, Corte EDU sent. del 7 aprile 2022 nella causa Landi c. Italia; sent. del 2 marzo 2017 Talpis c. Italia là dove la Corte EDU rammentava che "nelle cause di violenza domestica i diritti dell'aggressore non possono prevalere sui diritti alla vita e alla integrità fisica e psichica della vittima").
2.3. Il peculiare contenuto delle misure cautelari di cui agli artt. 282 bis e 282 ter cod. proc. pen., basato su rigidi e non derogabili criteri applicativi, ha poi sollevato la questione della "compatibilità" con l'art. 13 Cost. per la sensibile compressione delle libertà di movimento e dei diritti dell'indagato.
La giurisprudenza di questa Corte, intervenuta nel suo massimo consesso (cfr Sez. Un. n 39005 del 29/04/2021, Rv. 281957, in motivazione), ha evidenziato come "la disposizione (dell'art. 282 ter cod. proc. pen.), completando il sistema di tutela adottato dall'art. 282 bis cod. proc. pen., introduce (a) una misura che ha la caratteristica di essere mirata alla tutela della singola persona offesa, in favore della quale intende creare un vero e proprio sistema di protezione rispetto a condotte dell'indagato mirate all'aggressione fisica e psicologica. La persona offesa deve potere godere di tranquillità e di libertà di frequentazione dei luoghi e di potersi muovere liberamente con la certezza che il soggetto che minaccia la sua libertà fisica o morale si tenga a distanza, essendo obbligato all'allontanamento anche in caso di incontro fortuito".
Dunque - come si evince dalla citata sentenza - l'obbligo di evitare ogni possibile contatto con la persona offesa e la prescrizione di mantenere una distanza minima trovano applicazione anche nel caso in cui non sia l'indagato a cercare volontariamente l'incontro con la vittima: ciò perché la misura cautelare in questione - per quanto incida sensibilmente sulla libertà di movimento dell'indagato - presenta pur sempre un indubbio profilo di favore per l'indagato, che vedrà una limitazione minore dei propri diritti e delle proprie libertà, essendo l'alternativa rappresentata dalle misure cautelari custodiali ex artt. 284 e ss cod. proc. pen.
2.4. Anche la Corte Costituzionale (n 178 del 2024) - nel disattendere la questione di legittimità costituzionale dell'art. 282 ter cod. proc. pen.- ha ritenuto che il legislatore abbia operato un congruo bilanciamento tra le libertà di movimento dell'indagato e la esigenza di tutelare la incolumità fisica e piscologica della persona minacciata.
3. In tale contesto normativo e alla stregua, indicate coordinate ermeneutiche è fondata la doglianza formulata dal Pubblico Ministero in termini di violazione di legge.
3.1. L'esegesi privilegiata dal Tribunale - che ha tracciato la linea di confine tra condotte penalmente e non penalmente rilevanti nella decisione della vittima di ritornare dal suo "aggressore" e nella non esigibilità di comportamenti "onerosi" per l'indagato - entra in rotta di collisione con il "criterio di priorità alla sicurezza delle vittime e delle persone in pericolo", enunciato dall'art. 52 della Convenzione di Istanbul.
Né la ipervalutazione della volontà della vittima si armonizza poi con i criteri enunciati nella direttiva (UE)2024/1385, nella parte in cui - al considerando 39 -sollecita un'attenzione particolare proprio in relazione alla situazioni in cui, ad esempio, emerge " il....legame di dipendenza e/o la...relazione con l'autore del reato o l'indagato....(e) il rischio che la vittima ritorni dall'autore del reato o dall'indagato..." e all'art. 16 raccomanda agli Stati " valutazioni individuali delle esigenze di protezione della vittima".
3.2. Nel caso specifico, se non era esigibile la condotta di lasciare la propria abitazione, era, nondimeno, esigibile lo ius exdudendi: il Do.Ma. - stando alla ricostruzione fattuale operata dai Giudici di merito- ha consentito alla Ri.Ev. di entrare nella sua abitazione e l'ha ospitata per l'intera giornata e/o addirittura, verosimilmente, per alcuni giorni (si legge nel provvedimento che la Ri.Ev. si era allontanata dalla propria abitazione il 5 settembre 2024 ed era stata trovata a casa del Do.Ma. il successivo 8 settembre).
Il ricorrente ha - scientemente e volutamente - stabilito un contatto diretto e ravvicinato con la giovane donna, "cooperando" nella violazione ab initio effettivamente riferibile alla persona offesa e approfittando della situazione venutasi a creare.
In un contesto caratterizzato da una relazione personale nettamente "squilibrata", anche per lo stato di conclamata vulnerabilità della Ri.Ev. (sottoposta ad amministrazione di sostegno), la preoccupazione principale deve essere quella di garantire la incolumità anche "contro la volontà della stessa persona offesa": la volontà della vittima non può, dunque, avere efficacia "scriminante" e/o "esimente" nè portata "liberatoria" dagli obblighi, "...occorrendo sempre effettuare una corretta valutazione e gestione dei rischi di letalità , di gravità della situazione, di reiterazione dei comportamenti violenti in un'ottica di prioritaria sicurezza della vittima..." (Sez. 6, n.46797 del 18/10/2023, T. Rv. 285542).
Grave è, dunque, il quadro indiziario sotto il profilo della dolosa violazione del contenuto precettivo della misura cautelare.
4. L'ordinanza va, pertanto, annullata con rinvio per nuovo giudizio innanzi al Tribunale di Firenze, al quale è devoluta la valutazione del diverso profilo delle esigenze cautelari nonché della adeguatezza e proporzionalità della misura custodiale richiesta.
P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per un nuovo giudizio al Tribunale di Firenze, competente ai sensi dell'art. 309, comma 7, cod. proc. pen.
Dispone, a norma dell'art. 52 D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, che sia apposta, a cura della cancelleria, sull'originale del provvedimento, un'annotazione volta a precludere, in caso di riproduzione della presente sentenza in qualsiasi forma, l'indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi degli interessati riportati in sentenza.
Così deciso in Roma il 15 gennaio 2025.
Depositata in Cancelleria il 6 febbraio 2025.