Pubblicato il

Violenza sessuale telematica, quando scatta il reato?

Corte di Cassazione, sez. III Penale, Sentenza n.5688 del 18/09/2024 (dep. 12/02/2025)

La violenza sessuale può avvenire anche senza contatto fisico tra autore e vittima?

La Cassazione, Sez. III penale, con la sentenza n. 5688 depositata il12 febbraio 2025, ha dato una risposta affermativa confermando la condanna di un uomo che aveva costretto una donna a inviargli video di atti autoerotici mediante minacce di diffusione di materiale compromettente.

La vicenda in esame

Il caso riguarda un uomo e una donna che avevano lavorato insieme come animatori in un albergo. L'imputato, dopo aver accusato la vittima di aver contribuito al licenziamento di alcuni colleghi, ha iniziato una serie di pressioni psicologiche e minacce. Dopo averla costretta a dare le dimissioni, l'ha perseguitata con richieste di denaro e, non ottenendolo, l'ha obbligata a inviare materiale sessualmente esplicito, incluso un video di autoerotismo registrato su sua richiesta.

Gli orientamenti giurisprudenziali

L'art. 609-bis c.p. tutela la libertà sessuale, prevedendo la punibilità di chiunque, con violenza, minaccia o abuso di autorità, costringa una persona a compiere o subire atti sessuali.

Secondo la giurisprudenza della Cassazione, il reato sussiste anche senza contatto fisico, purché vi sia una sopraffazione della volontà della vittima. In particolare:

  • Cass. n. 11958/2011: il reato di violenza sessuale può configurarsi anche in assenza di un'interazione corporea diretta se la vittima viene indotta a compiere atti sessuali su se stessa.

  • Cass. n. 41951/2019: la minaccia o l'abuso psicologico possono integrare il reato di violenza sessuale anche senza presenza fisica dell'agente.

  • Cass. n. 26809/2023 e Cass. n. 10692/2024: ciò che rileva non è l'eventuale soddisfazione sessuale dell'agente, ma la lesione della libertà sessuale della vittima.

La soluzione del caso

Nel caso di specie, l'imputato ha utilizzato pressioni psicologiche e minacce per ottenere dalla vittima un video sessualmente esplicito. La difesa ha sostenuto che non vi fosse stata una costrizione fisica diretta e che l'imputato non fosse presente durante la realizzazione del video, ma la Cassazione ha respinto tali argomentazioni.

La Corte ha ribadito che la consumazione del reato non richiede la compresenza fisica tra autore e vittima: la violenza sessuale può avvenire anche a distanza, se l'atto è il risultato di una coercizione psicologica.

Inoltre, ha chiarito che l'interazione tra l'agente e la vittima non deve essere necessariamente contestuale: può avvenire anche in momenti diversi, purché sussista un rapporto di causa-effetto tra la minaccia e l'atto sessuale compiuto dalla vittima.

Conclusioni

La Cassazione ha confermato la condanna, sancendo che la violenza sessuale si configura anche quando la vittima, sotto minaccia, viene costretta a compiere atti sessuali su se stessa.

Questo principio si adatta alle nuove realtà digitali, in cui la tecnologia viene spesso usata per esercitare forme di coercizione e controllo.

Violenza sessuale,  assenza di contatto fisico tra l'imputato e la vittima, contestualità, non necessarietà, condotta induttiva, rapporto di causa-effetto

Affinché possa ritenersi integrato il reato di violenza sessuale in assenza di contatto fisico tra l'imputato e la vittima, l'immediatezza dell'interazione tra costoro non deve necessariamente essere connotata dalla sua contestualità, ben potendo anche essere differita allorquando l'atto involgente la propria corporeità sessuale posto in essere dalla persona offesa sia l'effetto della vis psichica ovvero della condotta induttiva esercitata su di lei dall'agente all'interno di un rapporto di causa-effetto, indipendentemente dalle finalità da quest'ultimo perseguite.

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

Cassazione penale, sez. III, sentenza 18/09/2024 (dep. 12/02/2025) n. 5688

RITENUTO IN FATTO


1. Con sentenza in data 23.10.2023 la Corte di Appello di Lecce - Sez. distaccata di Taranto ha confermato, ad eccezione del solo reato di cui all'art. 610 cod. pen. diventato improcedibile per sopravvenuta remissione di querela, la penale responsabilità di Lo.Mi. per i reati, commessi ai danni di Co.Ga., con cui aveva lavorato nell'ottobre 2020 avendo entrambi svolto attività quali componenti di un gruppo di animatori in un albergo sito in una località in provincia di T, di atti persecutori (capo 1), di plurimi tentativi di estorsione (capo 2), di violenza sessuale per averla costretta in un'occasione a compiere atti di autoerotismo da lei stessa ripresi in un video che gli aveva inviato (capo 2-bis), e di diffusione ex art. 612 ter cod. pen. di un filmato che li ritraevano insieme nel mentre intrattenevano un rapporto sessuale senza il consenso della p.o. (capo 3), riducendo la pena inflittagli, a parziale modifica della pronuncia di primo grado, in due anni, cinque mesi e dieci giorni di reclusione per effetto dell'eliminazione dell'aumento calcolato dal primo giudice in relazione al reato di violenza privata. Dalla convergente ricostruzione di entrambi i giudici di merito risulta che l'imputato, accusando la vittima di aver collaborato con il datore di lavoro per ottenere il licenziamento dall'hotel di altri due animatori suoi amici, l'aveva dapprima costretta a rassegnare le dimissioni dal lavoro prospettandole che ove non l'avesse fatto le sarebbe accaduto qualcosa di brutto e, una volta che aveva fatto rientro al suo paese natale, in provincia di Taranto, preteso da lei l'esborso a tempo indeterminato di Euro 100 ogni mese a ristoro dei danni subiti da costoro per la perdita dell'attività lavorativa, dietro minaccia di causare altrimenti a lei e alla sua famiglia un brutto male, corroborata dalla conoscenza di esponenti dell'ambiente malavitoso locale che sarebbero intervenuti ove non avesse adempiuto al versamento o, in alternativa, all'invio di foto o video che la ritraevano in atteggiamenti erotici, compulsandola quotidianamente mediante messaggi telefonici accompagnati da manifestazioni di disprezzo e denigrazione verso la sua persona. Quantunque la vittima non avesse mai inviato alcuna somma di danaro all'imputato aveva ciò nondimeno ceduto, dietro le pressanti minacce anche di morte, alla richiesta di invio di foto e in data 6.11.2020 alla realizzazione di un video in cui compiva su sé stessa atti di autoerotismo ripresi da una telecamera da lei stessa azionata in esecuzione degli ordini impartitile poche ore prima dall'imputato ed inviatogli via whatsapp, quest'ultimo ritenuto di per sé integrante, in ragione del coinvolgimento della corporeità sessuale della persona offesa, la fattispecie di cui all'art. 609 bis cod. pen., senza che peraltro a seguito del suo inoltro le pretese dell'uomo cessassero, risultando al contrario seguite da ulteriori richieste di danaro e di prestazioni sessuali non necessariamente formulate in via alternativa ma anche congiunta, sino alla minaccia, poi portata a compimento, di diffondere un video realizzato dallo stesso Lo.Mi. nel mentre intratteneva, all'epoca in cui lavoravano nell'hotel di Ledro, un rapporto sessuale con la ragazza, inviato ad un suo conoscente unitamente a frasi denigratorie nei confronti di costei.

2. Avverso il suddetto provvedimento l'imputato ha proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione articolando sette motivi di seguito riprodotti nei limiti di cui all'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Con il primo motivo contesta, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all'art. 609 bis cod. pen., la configurabilità del delitto di violenza sessuale in relazione al video del 6.11.2020 rilevando come mancasse in primo luogo il benché minimo contatto corporeo tra l'agente e la vittima, a tal fine invocando l'applicabilità dell'interpretazione giurisprudenziale più restrittiva seguita da questa Corte secondo cui la nozione di atti sessuali racchiude in sé i concetti di congiunzione carnale e quella di atti di libidine (Sez. 3 n. 15454 del 12.2.2004) e sostenendo in subordine che, anche qualora si volesse accedere all'interpretazione più lata, difetti l'immediatezza dell'interazione tra la condotta del reo e quella della p.o. per essere stato il video realizzato da quest'ultima senza la presenza dell'imputato, in un momento successivo alla sua richiesta.

2.2. Con il secondo motivo lamenta, in relazione al vizio di violazione di legge riferito al medesimo capo 2 bis dell'imputazione, l'insussistenza della condizione di procedibilità atteso che nella querela sporta non vi era alcun riferimento ad una subita violenza sessuale commessa a distanza per effetto della contestuale interazione dell'imputato, tanto meno riferita alla data del 6.21.2020, lamentando invece la p.o. di essere stata indotta con minaccia a realizzare e a trasmettere il video contenente riprese di natura pornografica, senza alcuna menzione di ulteriori condotte.

2.3. Con il terzo motivo deduce, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all'art. 609 septies cod. pen. e al vizio motivazionale, la mancanza di connessione del delitto di violenza sessuale con un reato procedibile di ufficio e la conseguente improcedibilità del suddetto delitto, contestato dal PM in via suppletiva solo a seguito del rigetto dell'eccezione di incompetenza territoriale da parte del gip che aveva invitato l'organo requirente ad espungere dall'imputazione la contestazione di estorsione consumata, escludendosi così ogni possibile connessione anche investigativa ai sensi del quarto comma n.4 dell'art. 609 septies cod. pen.

2.4. Con il quarto motivo contesta, in relazione al vizio di violazione di legge riferito agli artt. 612 bis, 56 e 629 cod. pen., il concorso del delitto di estorsione tentata con quello di atti persecutori in presenza della clausola di sussidiarietà di cui al primo comma dell'art. 612 bis cod. pen. operante nell'ipotesi in cui il delitto concorrente non sia in concreto più grave. Rileva al riguardo come le modalità attuative del tentativo di estorsione fossero, invece, le medesime del reato di atti persecutori ponendosi in rapporto di omogeneità e di reciproca interferenza in quanto accomunate dalla sottostante minaccia quale elemento costitutivo e parificate peraltro quoad poenam stante l'identico aumento applicato per essi ai fini della continuazione.

2.5. Con il quinto motivo contesta, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all'art. 612 bis cod. pen., che il reato di cui al capo 1) dell'imputazione potesse ritenersi soggetto a querela irrevocabile in difetto di qualsivoglia contestazione di minacce reiterate nei modi di cui all'art. 612 secondo comma, il quale dovendo, a sua volta, essere inteso come riferimento "ai modi indicati nell'art. 339 cod. pen.", non poteva trovare applicazione, con conseguente revocabilità della querela.

2.6. Con il sesto motivo lamenta, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all'art. 612-ter cod. pen. e al vizio motivazionale, l'inconfigurabilità del delitto di diffusione illecita del video a contenuto sessualmente esplicito ritraente la p.o. in assenza del dolo specifico costituito dal "fine di recare nocumento" a quest'ultima richiesto dal secondo comma, rilevando la palese incongruenza in cui era incorsa la Corte di appello nel sostenere che la ragazza, benché non fosse conosciuta dal destinatario del video, potesse in seguito venire da costui identificata. Sostiene, invece, la difesa che l'elemento soggettivo del reato è strettamente legato alla conoscenza effettiva del soggetto ritratto, nella quale si sostanzia la lesione della reputazione di quest'ultimo, mancando altrimenti l'offesa al bene giuridico tutelato dalla norma. Rileva in ogni caso come essendo il delitto di tentata estorsione assorbito dal reato di atti persecutori, manchi anche in tal caso la condizione di procedibilità per essere intervenuta la remissione processuale della querela e la conseguente connessione con altro reato procedibile di ufficio.

2.7. Con il settimo motivo si duole, in relazione al vizio di violazione di legge riferito agli artt. 58 e 59 L. 689/1981 e al vizio motivazionale, del rigetto dell'istanza di sostituzione della pena detentiva con le pene sostitutive richieste dalla difesa con i motivi nuovi formulati all'udienza del 6.10.2023, senza che la Corte di appello avesse neppure dato corso al sub procedimento di cui all'art. 545 cod. proc. pen., all'epoca della richiesta già entrato in vigore siffatto procedimento contempla la fissazione, previa acquisizione del parere del PM, di apposita udienza per decidere sulla suddetta richiesta con valutazione che, una volta acquisite le necessarie informazioni sulle condizioni dell'imputato e del suo nucleo familiare, deve essere parametrata al criterio della maggiore idoneità della pena sostitutiva alla rieducazione del condannato

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso non può, all'esito di una valutazione complessiva involgente i plurimi motivi di doglianza di cui si compone, ritenersi meritevole di accoglimento.

Nella suddetta statuizione incorre il primo motivo.

Al riguardo va premesso che il reato di violenza sessuale può configurarsi indipendentemente da un contatto fisico tra l'agente e la vittima allorquando venga lesa la capacità di autodeterminazione di quest'ultima per essere stata costretta, mediante violenza o minaccia (art. 609 bis primo comma), ovvero indotta (art. 609 bis secondo comma) alla profanazione della sua sfera sessuale. Ricorrono in tal caso inequivocabilmente tutti gli elementi costitutivi della fattispecie delittuosa, ivi compresa la sussistenza dell'atto sessuale per la configurabilità del quale non è affatto richiesto il collegamento fisico tra i due protagonisti, essendo sufficiente il coinvolgimento corporeo del soggetto passivo il quale deve essere, secondo l'espressa formulazione della norma, costretto o indotto a compierli o a subirli per soddisfare, indipendentemente dalla zona corporea attinta e dalla realizzazione della finalità di appagamento dei propri istinti libidinosi da parte dell'agente, le richieste di quest'ultimo. Del resto, a dispetto delle difformi affermazioni della difesa, la giurisprudenza di questa Corte non ha mai affermato che ai fini della configurabilità del reato in esame sia imprescindibile il contatto fisico tra l'imputato e la persona offesa, nulla in tal senso risultando neppure dall'arresto n. 15464 del 12/02/2004, Rv. 228498, riesumato nel presente ricorso che, nel precisare che la nozione di atti sessuali deriva dalla sommatoria dei concetti di congiunzione carnale ed atti di libidine previsti dalle previgenti fattispecie delittuose, aveva già allora fissato il ben diverso principio secondo il quale, essendo il bene giuridico oggetto di tutela rappresentato dalla libertà di determinazione della vittima nella disposizione della propria sfera sessuale, devono ritenersi in essi ricompresi tanto gli atti che si concretano in una contiguità corporea tra soggetto attivo e soggetto passivo, quanto quelli che coinvolgono solo la corporeità di quest'ultimo. Principio questo che è stato riaffermato in termini ancor più specifici da numerose successive pronunce di questa sessa Sezione (cfr. da ultimo Sez. 3, Sentenza n. 26809 del 04/04/2023, Rv. 285060 secondo cui il delitto di cui all'art. 609-quater cod. pen. non è necessariamente caratterizzato dal contatto fisico fra l'agente e la vittima, risultando configurabile anche nel caso in cui l'uno trovi soddisfacimento sessuale dal fatto di assistere all'esecuzione di atti sessuali da parte dell'altra, nonché Sez. 3, Sentenza n. 11958 del 22/12/2010 - dep. 24/03/2011, Rv. 249746; Sez. 3, Sentenza n. 25822 del 09/05/2013, Rv. 257139; Sez. 3, n. 41951 del 05/07/2019, Rv. 277053).

Ancorché in talune delle sentenze che equiparano le condotte che coinvolgano oggettivamente la corporeità sessuale della persona offesa a quelle contraddistinte dal contatto fisico con l'imputato si ponga l'accento sulla prospettiva del reo di soddisfare od eccitare il proprio istinto sessuale (Sez. 3, Sentenza n. 11958 del 22/12/2010 - dep. 24/03/2011, Rv. 249746; Sez. 3, Sentenza n. 25822 del 09/05/2013, Rv. 257139), trattasi di finalità che, seppur ricorrente nelle singole fattispecie oggetto di disamina, non è assolutamente necessaria ai fini del perfezionamento della fattispecie delittuosa di cui all'art. 609 bis cod. pen. che in quanto caratterizzata dal dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di compiere un atto invasivo e lesivo della libertà sessuale della persona offesa non consenziente, si concretizza, come già sopra osservato, quali che siano i desideri dell'agente che non obbligatoriamente devono tendere all'appagamento della sua concupiscenza, ben potendo consistere nel perseguimento di finalità di altra e diversa natura, quali la violenza fisica volta al mero dominio materiale della vittima, il gioco, l'umiliazione morale e finanche il pubblico scherno perseguito nei confronti del soggetto passivo (Sez. 3, n. 33464 dei 15/06/2006 - dep. 05/10/2006, Rv. 234786; Sez. 3, n. 36758 del 02/07/2003 - dep. 25/09/2003, Rv. 226072; Sez. 3, n. 4913 dei 22/10/2014 - dep. 03/02/2015, Rv. 262470).

Essendo il reato in esame posto a presidio della libertà personale dell'individuo che deve poter compiere o ricevere atti sessuali in assoluta autonomia e libertà, contro ogni possibile condizionamento, fisico o morale, e contro ogni non consentita e non voluta intrusione nella propria sfera intima, tale configurazione si riflette, invero, non solo sulla condotta materiale ma altresì sull'elemento psicologico del delitto che, in ragione dell'assolutezza del diritto tutelato, non tollera, nella chiara volontà del legislatore, possibili attenuazioni che possano derivare dalla ricerca di un fine ulteriore e diverso dalla semplice consapevolezza di compiere un atto sessuale, fine estraneo alla fattispecie e non richiesto dall'art. 609-bis, cod. pen. per qualificare la penale rilevanza della condotta. L'atto materiale deve essere, in altri termini, definito come "sessuale" sul piano obiettivo, non su quello soggettivo, riguardato cioè in relazione alle intenzioni dell'agente, che è sufficiente sia consapevole della natura "sessuale" dell'atto posto in essere con la propria condotta cosciente e volontaria.

Del resto, se è la stessa minaccia di diffondere sulla rete le immagini di cui l'imputato era in possesso ad aver indotto nella fattispecie oggetto del presente giudizio la p.o. a porre in essere l'atto di autoerotismo, la sua libertà sessuale è stata proprio in tal modo inequivocabilmente compromessa, indipendentemente dalla presenza fisica o anche soltanto virtuale del prevenuto al compimento della condotta masturbatoria. L'interazione tra il comportamento coercitivo dell'agente e il fatto delittuoso compiuto a seguito di esso dalla vittima non è affatto richiesto in termini di contestualità, essendo sufficiente che sussista tra la condotta intimidatoria dell'agente e l'atto sessuale ricadente sulla vittima il rapporto di causa-effetto, ben potendo quindi l'atto involgente la corporeità sessuale di quest'ultima svolgersi anche in un momento successivo, in assenza di colui che mediante la prospettazione delle nefaste conseguenze che si sarebbero verificate ove ragazza non avesse assecondato le sue richieste, la aveva comunque compulsata ad un atto sessuale del tutto contrario alla sua volontà. E ciò indipendentemente dalla finalità concupiscente perseguita dall'agente, essendo sufficiente che questi fosse consapevole della natura sessuale, fatto del tutto pacifico, dell'atto cui aveva costretto il soggetto passivo. In tal senso, peraltro, risulta essersi già pronunciata questa stessa Sezione che, in relazione alla condanna resa dai giudici di merito per violenza sessuale commessa con induzione ai danni di una minore tredicenne, blandita mediante comunicazioni telematiche al fine di fotografarsi nuda e di compiere su di sé atti sessuali, ha rigettato il ricorso per cassazione dell'imputato affermando, con condivisibile ragionamento, che per la consumazione del reato "non è necessario che l'agente sia presente o assista al momento in cui la minore, ove persuasa dalla richiesta dell'agente medesimo, compie su di sé atti sessuali (Sez. 3, n. 41577 del 6.6.2023, non mass.).

Il che, a completamento del ragionamento in materia di atti sessuali compiuti nel corso di rapporti intrattenuti in via telematica e dunque in assenza di contatto fisico tra la vittima e l'agente, comporta che, ove l'atto involgente la corporeità del soggetto passivo, id est sessuale, sia compiuto sulla sua persona da un minorenne dietro la vis compulsiva, in tal caso gioco forza attuabile solo nella forma della minaccia, ovvero la condotta induttiva dell'agente, possa configurarsi altresì, in concorso con il reato ex art. 609 bis cod. pen., il delitto in presenza dei necessari elementi costitutivi, di pornografia minorile di cui all'art. 600 ter cod. pen.

Ne consegue che la tesi sostenuta dalla difesa, secondo la quale sarebbe necessaria la medesima unità temporale ai fini dell'interazione tra la vittima e l'agente, finisca con lo sgretolarsi non trovando alcuno spazio all'interno dell'univoca interpretazione dottrinaria e giurisprudenziale formatasi in relazione del delitto di violenza sessuale.

E invero, se è pacifico, come già ampiamente argomentato, che non sia necessaria ai fini del compimento di un atto sessuale la presenza fisica dell'agente, elemento non solo non richiesto dalla attera legis, ma configurante una connotazione quanto meno anacronistica in una realtà quale quella attuale sempre più improntata a relazioni di natura virtuale legate all'interconnessione telematica universalmente apprestata dalla rete che consente la presenza degli interlocutori indipendentemente dalle distanze fisiche o geografiche, diventa un fuor d'opera esigerne la compresenza anche solo telematica al compimento dell'atto, rivolto nei confronti della sua stessa persona da parte della vittima allorquando sia accertato che il suo verificarsi, lungi dal rispondere ad una volizione spontanea del suo autore, sia l'effetto della costrizione ovvero dell'induzione posta in essere nei suoi confronti dal suo interlocutore. È, infatti, il coinvolgimento della vittima l'elemento caratterizzante il reato di violenza sessuale in cui la p.o. finisce per assecondare la volontà dell'agente sottostando ai suoi voleri nell'impossibilità o di sovrastarne la violenza fisica o psichica ovvero di resistere alla vis induttiva esprimendo un consenso in nuce viziato dall'attività di persuasione svolta nei suoi confronti, essendo in entrambi i casi lesa la sua libertà di autodeterminazione nel compimento dell'atto sessuale.

Tutto ciò premesso, deve perciò escludersi che nel caso di specie rivesta alcuna rilevanza, nella ricostruzione della vicenda incriminata e nella conseguente affermazione di responsabilità per il reato di cui al capo 2-bis), la circostanza che l'imputato non abbia direttamente o virtualmente assistito alla esecuzione del video che la donna aveva autonomamente realizzato ritraendosi nell'atto di infilarsi le dita nella vagina e successivamente inviatogli, non essendo oggetto di alcuna contestazione che la realizzazione del suddetto filmato sia stata effettuata dietro le direttive, accompagnate dall'esplicita minaccia diffondere il video, già in suo possesso, che li ritraeva in un amplesso sessuale e di mettersi in contatto con sua sorella al fine di esigere anche da costei prestazioni sessuali, compiutamente ricostruite dai giudici di merito sulla base delle conversazioni via whatsapp. È infatti evidente come in tal caso l'atto di autoerotismo, dalla stessa ripreso tramite video, sia stato l'effetto della vis intimidatoria posta ripetutamente in essere dal prevenuto.

Deve conseguentemente affermarsi il seguente principio di diritto affinché possa ritenersi integrato il reato di violenza sessuale in assenza di contatto fisico tra l'imputato e la vittima, l'immediatezza dell'interazione tra costoro non deve necessariamente essere connotata dalla sua contestualità, ben potendo anche essere differita allorquando l'atto involgente la propria corporeità sessuale posto in essere dalla p.o. sia l'effetto della vis psichica ovvero della condotta induttiva esercitata su di lei dall'agente all'interno di un rapporto di causa-effetto, indipendentemente dalle finalità da quest'ultimo perseguite.

Il motivo in esame deve essere, conseguentemente, rigettato.

2. Quanto alla condizione di procedibilità del reato ex art. 609 bis cod. pen. oggetto del secondo e del terzo motivo, neanche in tal caso le censure sollevate dalla difesa possono ritenersi meritevoli di accoglimento.

La Corte di appello ha ritenuto, al riguardo, che nella querela sporta dalla p.o. fosse stata chiaramente esplicitata, riproducendone taluni stralci, la "pretesa" delle prestazioni sessuali subite da parte dell'imputato "nonostante la (sua) contraria volontà", unitamente alle minacce profferite dal medesimo dì fare del male a lei e alla sua famiglia qualora non fossero state assecondate le sue richieste, consistite nella dazione di "danaro e/o in alternativa di foto e video" che la ritraessero nella sua intimità. Muovendo da tale assunto e dalla conseguente piena aderenza del capo 2 bis dell'imputazione alla condotta ivi descritta, i giudici distrettuali hanno concluso per la sussistenza della condizione di procedibilità, non solo perché per effetto della previsione di cui all'art. 609-septies cod. pen. la successiva rimessione della querela era irrilevante, ma altresì in ragione della connessione con gli altri delitti in contestazione "essendo stati compiuti con condotte parzialmente coincidenti ed in esecuzione di un medesimo disegno criminoso" (cfr. pag. 29 della sentenza impugnata).

Non solo la difesa non ha eccepito alcun travisamento dell'atto in disamina, limitandosi a contestarne l'interpretazione con censura non deducibile nella presente sede di legittimità in quanto non autosufficiente e comunque di mero stampo valutativo, ma, anche a prescindere da tale profilo e cioè ritenendosi che la querela riguardasse il solo reato di atti persecutori, le doglianze articolate non superano in ogni caso la connessione ad esso, così come al delitto di tentata estorsione di quello di violenza sessuale e la conseguente procedibilità di ufficio del delitto di violenza sessuale.

Ora è ben vero, rivisitando a ritroso la vicenda processuale, che il delitto di cui all'art. 609 bis cod. pen. non era stato all'inizio oggetto di contestazione per essere stato il Lo.Mi. tratto a giudizio per rispondere dei reati di atti persecutori (capo 1), di estorsione sia in forma consumata che tentata (capo 2) e di diffusione illecita di immagini sessualmente esplicite (capo 3), essendo stata la sua contestazione effettuata in via suppletiva nel corso del dibattimento allorquando la p.o., già risarcita del danno, aveva dichiarato di voler rimettere la querela e il difensore dell'imputato, munito di procura speciale, aveva accettato l'intervenuta remissione (cfr. verbale di udienza del 28.6.2022 innanzi al Tribunale di Taranto). È infatti accaduto che il giudice di primo grado, nel rigettare con ordinanza l'eccezione di incompetenza territoriale sollevata dalla difesa, invitava il Pubblico Ministero a riformulare l'imputazione, rilevando come il delitto di estorsione potesse ravvisarsi nella sola forma tentata per la quale sussisteva la sua competenza per essere stato il suddetto delitto commesso mediante ripetute richieste telefoniche ricevute dalla p.o. presso la sua abitazione. Alla successiva udienza il P.M. titolare del procedimento modificava l'imputazione, eliminando la fattispecie consumata dell'estorsione e contestando, invece, con l'introduzione del capo 2-bis il delitto di violenza sessuale consumata relativamente alla condotta posta in essere dall'imputato che aveva costretto la vittima a compiere sulla sua persona gli atti di autoerotismo come sopra esaminati. A seguito dell'autorizzazione da parte del Tribunale delle suddette modifiche, la difesa ha avanzato richiesta di giudizio abbreviato condizionato all'acquisizione di documenti, accolta dai giudice che ha proceduto alla celebrazione del rito nella forma richiesta.

Al di là di ogni disquisizione sulle preclusioni derivanti dalla scelta processuale, occorre rilevare che la circostanza che al momento in cui è stata sollevata la contestazione del delitto di violenza sessuale le indagini si fossero esaurite non esclude la connessione investigativa e cioè che dalle indagini preliminari fosse emersa la suddetta fattispecie delittuosa, ancorché non fosse stata per essa inizialmente esercitata l'azione penale, collegata dall'unitarietà del disegno criminoso al reato sia di atti persecutori che di tentata escussione, entrambi procedibili di ufficio (v. infra par. 4).

Ove, invero, si consideri che ai fini della perseguibilità in assenza di querela dei delitti di violenza sessuale, la connessione con un reato procedibile d'ufficio cui si riferisce l'art. 609-septies cod. pen. non è limitata alle ipotesi di connessione processuale di cui all'art. 12 cod. proc. pen., ma va estesa alla connessione meramente investigativa di cui all'art. 371, comma secondo, cod. proc. pen., ovvero alla presenza di reati commessi in occasione di altri reati, per eseguirne altri o allorché la prova di un reato o di una circostanza influisce sulla prova di un altro reato o di un'altra circostanza (Sez. 2, n. 24547 del 09/05/2024, 0., Rv. 286676; Sez. 3, Sentenza n. 32971 del 08/07/2005, Rv. 232185), è evidente che nel campo di operatività della procedibilità ex officio rientri il delitto in esame, connesso agli altri reati, posti in essere nella stessa occasione, da un vincolo connaturato alla stessa sequenza delittuosa nel suo divenire. Se tale è il legame intercorrente tra i vari reati, la connessione, che ove di natura investigativa preesiste, proprio perché immanente alla sequenza delle azioni delittuose, all'esercizio dell'azione penale, non può conseguentemente operare in senso monodirezionale così come è consentito al Pubblico Ministero che abbia inizialmente contestato un delitto di violenza sessuale di procedere successivamente per i reati ad esso connessi, altrettanto legittima risulta la contestazione, in assenza di querela, del reato di violenza sessuale effettuata successivamente all'azione penale esercitata per i reati procedibili di ufficio che risultino essere stati commessi in occasione del suddetto delitto.

La procedibilità ex officio rende pertanto irrilevante la remissione di querela e la sua correlata accettazione al momento della contestazione del delitto de quo, con conseguente rigetto delle doglianze articolate al riguardo.

3. Il quarto motivo, con cui viene contestata la configurabilità del reato di tentata estorsione sostenendosi il suo assorbimento in quello di atti persecutori, deve invece essere dichiarato inammissibile in ragione della sua manifesta infondatezza.

Premesso che è diversa l'oggettività giuridica delle due fattispecie incriminatrici, essendo l'estorsione un reato contro il patrimonio ed invece il delitto di atti persecutori - il quale a sua volta si configura come una specificazione dei reati di violenza, molestia e minaccia ulteriormente connotati dal fatto che le relative condotte debbano essere poste in essere in modo reiterato ed idoneo a cagionare almeno uno degli eventi indicati, ovvero uno perdurante stato di ansia o di paura per la incolumità propria o di un prossimo congiunto ovvero un cambiamento delle proprie abitudini di vita -, un reato contro la persona e in particolare contro la libertà morale, va rilevato che in presenza di una clausola di riserva, qual è quella contemplata dall'art. 612 bis cod. pen., che impone l'applicazione di una sola norma incriminatrice ad eccezione dell'ipotesi in cui "il fatto costituisca più grave reato", è il principio di specialità ad assurgere a criterio euristico di riferimento (Sez. U. n.41588 del 22.6.2017, La Marca).

Dovendo definirsi norma speciale quella che contiene tutti gli elementi costitutivi del reato previsto dalla norma generale e che al contempo presenta, in funzione specializzante, uno o più requisiti propri e caratteristici, di talché l'ipotesi di cui alla norma speciale, ove la stessa mancasse, ricadrebbe nell'ambito operativo della norma generale, deve escludersi all'evidenza, sol che si proceda al confronto strutturale tra le norme incriminatrici, il rapporto di continenza tra le due fattispecie stante la diversità dei rispettivi elementi costitutivi nel reato di estorsione infatti la minaccia è volta al conseguimento di un ingiusto profitto e dunque ad un accrescimento patrimoniale dell'agente, mentre nel reato di atti persecutori la stessa condotta è idonea ad ingenerare attraverso la sua reiterazione l'alterazione delle condizioni psichiche ovvero delle abitudini di vita della vittima. Peraltro, anche a prescindere da tale dirimente rilievo, è lo stesso supremo consesso a chiarire nella pronuncia citata che l'applicabilità del principio di specialità presuppone l'unità naturalistica del fatto e che pertanto, quand'anche il principio di specialità operasse, resta comunque impregiudicata l'ipotesi del concorso di reati qualora l'agente abbia posto in essere una pluralità dì condotte nell'ambito di una progressione criminosa.

Peraltro, riguardato sotto questo profilo, al di là dell'esclusione di un concorso apparente di norme, è il solo reato di cui all'art. 612 bis cod. pen. a sanzionare con effetti diacronici comportamenti che, traendo solo in parte origine dalle stesse condotte minatorie poste alla base dei tentativi di estorsione, si sono estrinsecati in molestie continuative e reiterate costituite nell'impossessamento più volte avvenuto del suo telefono cellulare, nel additarla quale responsabile del licenziamento e nell'averla perciò costretta ad interrompere a sua volta il rapporto di lavoro così modificando le sue abitudini di vita, nonché i continui messaggi in qualsiasi ora del giorno e della notte contenenti minacce anche di morte finalizzate ad ottenere in alternativa alla riscossione di danaro, la trasmissione di video e foto che la ritraessero nella sua intimità, tali da averla gettata in una condizione di prostrazione ed annichilimento assoluti e che esulano pertanto dalla fattispecie estorsiva in ragione dei diversi elementi costituitivi del reato.

4. Alla medesima sorte non si sottrae il quinto motivo.

Ai fini della irrevocabilità della querela e della conseguente procedibilità di ufficio è sufficiente avere riguardo alla previsione di cui al quarto comma dell'art. 612 bis cod. pen. che individua due condizioni, ovverosia la reiterazione delle minacce e l'espressione di esse nei modi di cui all'art. 612 secondo comma cod. pen., che, se realizzate entrambe, impediscono la revocabilità della querela. Dal momento che la norma richiamata prevede tanto la gravità della minaccia quanto la sua estrinsecazione secondo le modalità di cui all'art. 339 cod. pen. è sufficiente ai fini indicati che si realizzi una soltanto delle suddette due modalità, pur dovendo la stessa concorrere con l'elemento della reiterazione previsto dalla stessa norma incriminatrice, ovverosia l'art. 612 bis quarto comma cod. pen., la sentenza impugnata individua compiutamente le due condizioni stante la pluralità delle intimidazioni di morte o comunque di lesioni della sua integrità fisica o dei suoi familiari rivolte alla vittima ove non avesse adempiuto alle richieste dell'imputato, riportate diffusamente all'interno della stessa pronuncia stante la riproduzione pedissequa di interi passaggi delle conversazioni via chat tra il prevenuto e la p.o. da cui emerge chiaramente, avuto riguardo alle interlocuzioni del primo, la prospettazione delle nefaste conseguenze in cui sarebbe altrimenti incorsa la ragazza. La gravità richiesta dall'art. 339 cod. pen., integrata dall'entità del turbamento psichico ingenerato nel soggetto passivo (Sez. 5, Sentenza n. 8193 del 14/01/2019, Criscio, Rv. 275889), risulta essere stata compiutamente accertata non soltanto in ragione del tenore letterale delle espressioni usate, ma altresì della loro credibilità nello specifico contesto alla luce dei millantati legami intrattenuti dal Pe., destinatario del danaro tentato di estorcere alla vittima, con l'ambiente malavitoso operante nella zona di residenza di costei, e della pervicace ostinazione mostrata dall'imputato nei confronti della sorella della p.o., individuata quale ulteriore bersaglio delle proprie condotte ritorsive, senza essere stata in alcun modo scalfita dalle contestazioni difensive. Queste ultime si sostanziano in una lettura dell'art. 612 bis secondo comma non soltanto priva di alcun aggancio all'inequivoco tenore letterale della norma e di specifica confutazione dei rilievi spesi dalla sentenza impugnata, ma altresì in stridente contrasto con la consolidata interpretazione giurisprudenziale (Sez. 5, Sentenza n. 2299 del 17/09/2015, Rv. 266043; Sez. 5, Sentenza n. 12801 del 21/02/2019, Rv. 275306, Sez. 5, Sentenza n. 34412 del 11/05/2023, Rv. 284992), alla quale la Corte tarantina si è puntualmente uniformata.

5. Il sesto motivo non può essere ritenuto meritevole di accoglimento.

Integrando, infatti, la finalità di rendere nocumento richiesta dall'art. 612 ter secondo comma cod. pen., un elemento costitutivo del dolo che deve essere caratterizzato dalla volontà di ledere la reputazione del soggetto rappresentato nelle immagini dal contenuto sessualmente esplicito diffuse senza il suo consenso, la fattispecie delittuosa in esame si perfeziona allorquando all'invio delle suddette immagini si accompagnino frasi denigratorie della persona ritratta o ripresa, indipendentemente dal fatto che questa sia conosciuta dal destinatario della divulgazione.

L'interpretazione difensiva, secondo cui la mancanza di conoscenza pregressa della vittima da parte del destinatario del video trasmesso a quest'ultimo dall'imputato non avrebbe consentito dì ledere in alcun modo la reputazione della ragazza, rivela tutta la sua inconsistenza ove si muova dalla stessa nozione di dolo specifico, costituito dalla coscienza e volontà della condotta commissiva od omissiva preordinata alla finalità ulteriore contemplata dal legislatore che l'agente deve prendere di mira senza che ne sia necessaria la concreta realizzazione. Non essendo invero il nocumento, come ad esempio prevede, secondo il calzante esempio citato in contrasto dal Procuratore Generale, l'art. 167 D.L. 196/2003 che punisce la condotta di chi, operando in violazione di quanto disposto 123, 126 e 130 o dal provvedimento di cui all'art. 129, arreca nocumento all'interessato, un elemento costitutivo della stessa fattispecie criminosa, è del tutto indifferente che la finalità lesiva dell'altrui reputazione, che pure deve caratterizzare il proponimento che anima l'agente al momento della condotta venendo in tal modo conferita rilevanza al movente, abbia avuto l'esito sperato.

Mentre infatti è sufficiente ai fini del perfezionamento della fattispecie di cui al primo comma, costituita dalla diffusione delle immagini raffiguranti un soggetto in pose sessualmente esplicite da parte di chi le abbia realizzate, il dolo generico, ovverosia la condotta divulgativa senza il consenso della persona ritratta che pure aveva assentito ad essere ripresa, trattandosi di immagini destinate a restare private, occorre invece un quid pluris, così come previsto dal secondo comma, allorquando la diffusione avvenga senza il consenso della persona ritratta da parte di chi abbia ricevuto o altrimenti acquisito le suddette immagini, ovverosia la finalità di arrecare danno al soggetto rappresentato (Sez. 5, Sentenza n. 19201 del 23/02/2024, Rv. 286392). Al bene giuridico salvaguardato in termini generali dalla norma incriminatrice, costituito dalla mancanza di consenso della persona ritratta, della quale viene, con la divulgazione delle proprie immagini sessuali a soggetti differenti da quelli con cui abbia volontariamente realizzato le medesime immagini, violata la sfera più intima, si aggiunge ove si realizzi la condotta di cui al secondo comma la tutela della libertà di autodeterminazione non solo sessuale della p.o. a fronte della maggiore offensività derivante dall'utilizzo dei mezzi informatici di per sé idonei ad una diffusione a macchia di leopardo delle notizie e delle immagini che vengono immesse nella rete.

Dal momento che il video in contestazione nel capo di imputazione sub 3) è stato realizzato dall'imputato con il proprio cellulare nel mentre intratteneva un rapporto sessuale con la ragazza nell'ottobre del 2020, nel periodo in cui lavoravano insieme in quel di L, senza che costei ne fosse consapevole e che quindi non ha prestato alcun consenso alla videoripresa, la fattispecie di cui al secondo comma è proprio quella che viene in rilievo nel caso in esame avendo il Lo.Mi., come è emerso dalla consulenza informatica eseguita sul suo telefono mobile, trasmesso il video suddetto ad un suo conoscente, tale "(Omissis)", accompagnato dalla frase "questa è la tipa della Puglia", seguita da un ben poco edificante apprezzamento sulla sua persona, dal palese significato denigratorio. Frase questa, perciò, ampiamente sufficiente a rivelare la finalità perseguita dall'imputato, costituita dalla volontà di ledere la reputazione della vittima

6. Il settimo motivo è manifestamente infondato.

A fronte di una motivazione che mette compiutamente in evidenza le ragioni ostative all'accoglimento della richiesta di applicazione delle sanzioni sostitutive di cui alla L. 689/1981, costituite dalla estrema gravità della condotta e della pervicace indole criminale del reo, tali da frustrare alla radice la funzione punitiva, preventiva e rieducativa della pena, non ha pregio invocare la violazione dell'art. 545 bis cod. proc. pen. che è comunque un sub procedimento posto dal legislatore a valle della discrezionalità del giudice chiamato in primis a valutare, pur in presenza delle condizioni previste ex lege, l'opportunità di applicare le sanzioni sostitutive nell'esercizio della discrezionalità rimessagli nella determinazione del trattamento sanzionatorio. Discrezionalità, peraltro, ribadita espressamente sia dalla norma in esame che prevede, utilizzando il verbo "può" riferito al giudicante, che debbano ricorrere le condizioni per la sostituzione richiesta, sia dall'art. 58 L. 689/1981 che postula il previo apprezzamento della loro maggiore idoneità a garantire la rieducazione del condannato e al contempo il perseguimento della finalità volta a scongiurare il pericolo di ricaduta in altri reati.

Il ricorso deve essere, in conclusione, rigettato, seguendo a tale esito l'onere delle spese processuali a norma dell'art. 616 cod. proc. pen.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell'art. 52 D.Lgs. 196/2003 in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma il 18 settembre 2024.

Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2025.

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472