Sentenza di non doversi procedere ex art. 420-quater Cpp, ricorso per cassazione, proponibilità anche prima del termine ex art. 159, u.c., Cp, sussistenza

Corte di Cassazione, sez. Unite Penale, Sentenza n.5847 del 26/09/2024 (dep. 13/02/2025)

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Sentenza di non doversi procedere ex art. 420-quater Cpp, ricorso per cassazione, proponibilità anche prima del termine ex art. 159, u.c., Cp, sussistenza

La sentenza di non doversi procedere pronunciata ai sensi dell’art. 420-quater cod. proc. pen. può essere impugnata da tutte le parti con ricorso per cassazione, proponibile per tutti i motivi di cui all’art. 606, comma 1, cod. proc. pen., anche prima della scadenza del termine previsto dall’art. 159, ultimo comma, cod. pen.

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Cassazione penale, sez. un., sentenza 26/09/2024 (dep. 13/02/2025) n. 5847

RITENUTO IN FATTO


1. Con sentenza del 26 settembre 2023, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Genova ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di An.Ov. per mancata conoscenza della pendenza del processo nei suoi confronti ai sensi dell'art. 420-quater cod. proc. pen.

2. Avverso tale sentenza ha proposto tempestivo ricorso il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Genova articolando un unico motivo, con cui deduce in particolare violazione di legge processuale con riferimento agli artt. 420-bis e 420-quater cod. proc. pen. e chiede l'annullamento della sentenza.

2.1. Nella specie, sostiene che nei confronti di chi elegge domicilio, nominando un difensore di fiducia nel corso delle indagini e rendendosi poi irreperibile, devono ritenersi realizzati i presupposti per la dichiarazione di assenza.

2.2. Richiamato in particolare il disposto dell'art. 164 cod. proc. pen., il Pubblico ministero ricorrente sostiene che, al momento dell'elezione di domicilio, l'imputato aveva acquisito la conoscenza della pendenza del procedimento e aveva mostrato, anzi, con la nomina fiduciaria, di essere pienamente al corrente del processo a suo carico, di talché la mancata comparizione doveva considerarsi frutto di una scelta consapevole e volontaria.

3. Il ricorso, assegnato per competenza tabellare alla Terza sezione penale, veniva fissato per l'udienza del 2 aprile 2024.

3.1. In vista di tale udienza, il difensore di ufficio, nominato dopo la rinuncia al mandato del difensore fiduciario, presentava conclusioni scritte con le quali chiedeva la conferma della sentenza impugnata, valorizzando in particolare quanto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 23948 del 28/11/2019, dep. 2020, Ismail Darwish Mhame, Rv. 279420 - 01), alla luce della inidoneità della sola elezione di domicilio presso il difensore d'ufficio a costituire presupposto per la dichiarazione di assenza. Osservava che la sostanziale mancanza di reali contatti col difensore fiduciario, per come emergenti dalle ragioni della dismissione del mandato, non consentiva di ritenere effettiva l'instaurazione del rapporto professionale, e, dunque, certa la conoscenza del processo.

3.2. Il Procuratore generale presso questa Corte, con requisitoria scritta del 15 febbraio 2024, ritenendo nel caso di specie sussistenti le condizioni per la dichiarazione di assenza, avendo l'imputato nominato un difensore di fiducia, chiedeva l'annullamento senza rinvio del provvedimento con restituzione degli atti all'ufficio del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Genova.

4. Con ordinanza del 2 aprile 2024, la Terza Sezione penale della Corte di cassazione ha rimesso il ricorso alle Sezioni Unite ai sensi dell'art. 618 cod. proc. pen., avendo la questione sottoposta al suo esame dato luogo, nella giurisprudenza di legittimità, ad un contrasto interpretativo.

L'ordinanza, in via preliminare, ha rilevato la presenza di orientamenti giurisprudenziali contrari alla ammissibilità del ricorso per cassazione avverso la sentenza di non luogo a procedere ex art. 420-quater cod. proc. pen. nel lasso temporale in cui la stessa sia ancora revocabile, corrispondente al periodo utile per proseguire le ricerche dell'irreperibile ai sensi del terzo comma della norma.

Si tratta dell'indirizzo espresso da due sentenze della Seconda Sezione penale, ovvero Sez. 2 n. 50426 del 26/10/2023, S., Rv. 285686 - 01 e Sez. 2, n. 11757 del 09/02/2024, Levi, non mass., a mente delle quali la pronuncia ex art. 420-quater cod. proc. pen., pur avendo la denominazione di sentenza, è destinata ad assumerne i caratteri solo al momento in cui, con lo spirare del termine di cui al terzo comma della norma, ne viene meno la revocabilità, con la conseguenza che, fino a quel momento, in applicazione del principio generale di tassatività dei mezzi di impugnazione, la stessa non è suscettibile di ricorso per cassazione. Peraltro, secondo tale indirizzo, il provvedimento - di natura sostanzialmente interlocutoria fino al momento della sua "non revocabilità" - difetta del carattere decisorio che rende operativa la garanzia costituzionale di cui all'art. 111, settimo comma, Cost.

Un secondo indirizzo, sostenuto da Sez. 5, n. 20140 del 23/02/2024, Stojanovic, Rv. 286276 - 01, ritiene invece la decisione immediatamente ricorribile per cassazione per violazione di legge, quantomeno in relazione alla determinazione della durata delle ricerche dell'imputato, in quanto, almeno per tale "segmento decisorio", immediatamente idoneo ad di incidere in via definitiva sulle situazioni giuridiche, opera la garanzia sancita dall'art. 111, settimo comma, Cost.

L'ordinanza di rimessione valuta invece ammissibile l'immediato ricorso per cassazione del provvedimento de quo, al pari di ogni altra "sentenza" inappellabile, secondo la disciplina delineata dall'art. 606, comma 2 cod. proc. pen., non ritenendo che la natura decisoria della pronuncia trovi un ostacolo nella sua possibile revocabilità, anche in considerazione della presenza, nell'ordinamento, di altre forme di sentenza "revocabile" suscettibili di immediata impugnazione.

4.1. Ritenendo pertanto la soluzione di tale questione prodromica alla valutazione nel merito del ricorso, la Terza sezione penale ha rimesso gli atti alle Sezioni Unite formulando il seguente quesito:

"Se la sentenza di non doversi procedere pronunciata ai sensi dell'art. 420-quater cod. proc. pen. possa essere impugnata con ricorso per cassazione anche prima della scadenza del termine previsto dall'art. 159, ultimo comma, cod. pen.".

5. Con decreto del 10 giugno 2024 la Prima Presidente ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite penali, fissandone la trattazione in udienza pubblica.

6. Con provvedimento del 15 luglio 2024, su richiesta del Procuratore generale presso questa Corte, la Prima Presidente ha disposto farsi luogo alla trattazione orale del ricorso.

7. Con memoria del 4 settembre 2024 il Procuratore generale, richiamato il quadro giurisprudenziale sulla questione posta e le contrapposte argomentazioni sviluppate, ha ritenuto di aderire all'indirizzo secondo cui la sentenza di non luogo a procedere pronunciata ai sensi dell'art. 420-quater cod. proc. pen. può essere impugnata con ricorso per cassazione anche prima della scadenza del termine previsto dall'art. 159, ultimo comma, cod. pen., sia dal pubblico ministero che dall'imputato, sussistendo in via generale, quanto a quest'ultimo, l'interesse concreto ed attuale al ricorso.

8. In data 11 settembre 2024, il difensore d'ufficio dell'imputato, Avv. Silvia Picconi, in replica alla requisitoria scritta del Procuratore generale, ha depositato memoria con la quale ha concluso per la non impugnabilità - anche prima della scadenza del termine previsto dall'art. 159, ultimo comma, cod. pen. - della sentenza emessa ai sensi dell'art. 420-quater cod. proc. pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La questione di diritto per cui il ricorso è stato rimesso alle Sezioni Unite è la seguente:

"Se la sentenza di non doversi procedere pronunciata ai sensi dell'art. 420-quater cod. proc. pen. possa essere impugnata con ricorso per cassazione anche prima della scadenza del termine previsto dall'art. 159, ultimo comma, cod. pen.".

2. Nella giurisprudenza di questa Corte, un primo orientamento (espresso da Sez. 2, n. 50426 del 26/10/2023, S., Rv. 285686 - 01 e, successivamente, ripreso da Sez. 2, n. 115 del 09/02/2024, Levi, non mass.) ritiene che, avendo riguardo alle peculiarità della norma, la pronuncia sia insuscettibile di ricorso per cassazione prima del decorso del termine di "non revocabilità", a ciò ostandovi il principio della tassatività dei mezzi di impugnazione. Essa infatti, benché denominata "sentenza", fino a che la sua efficacia non divenga stabile, avrebbe piuttosto natura interlocutoria.

2.1. Le pronunce, fondandosi anche sui lavori preparatori alla riforma, in cui si afferma l'assoluta novità della sentenza ex art. 420-quater cod. proc. pen., definita "del tutto sui generis, in quanto destinata nella sua fisiologia ad essere revocata", ne evidenziano gli elementi di difformità rispetto alle sentenze previste dal codice di rito.

In primo luogo, rilevano la mancanza nella pronuncia di ogni forma di accertamento nel merito della regiudicanda. Sostengono inoltre che il suo particolare contenuto, destinato a venir meno con la "non revocabilità", che ricomprende la parte relativa alla vocatio in iudicium nonché le disposizioni alla polizia giudiziaria sulla prosecuzione delle ricerche, la renda assimilabile ad un atto di impulso processuale, "come tale insuscettibile di passare in giudicato".

Argomento centrale è quello fondato sulla revocabilità della sentenza e sulla persistenza, fino al superamento del termine in cui tale revocabilità è possibile, dei già accennati effetti anomali, derivanti dalla potenziale prosecuzione del processo dinanzi al medesimo giudice, quali la possibilità di svolgere atti (istruttori) urgenti e la conservazione di efficacia delle misure cautelari personali e reali adottate, che la distinguono da altri provvedimenti in rito e ne dimostrano la provvisorietà.

Alla esclusione della impugnabilità del provvedimento fino alla sua "non revocabilità" non osta, secondo tale orientamento, il principio di cui all'art. 111, settimo comma, Cost., in quanto la garanzia costituzionale della impugnabilità delle sentenze riguarda solo, come precisato da Sez. U, n. 25080 del 28/05/2003, Pellegrino, Rv. 224610 - 01, "i provvedimenti giurisdizionali che abbiano carattere decisorio e capacità di incidere in via definitiva su situazioni giuridiche di diritto soggettivo producendo, con efficacia di giudicato, effetti di diritto sostanziale e processuale sul piano contenzioso della composizione di interessi contrapposti", in cui non rientrerebbe tale pronuncia, proprio a cagione della sua natura sostanzialmente interlocutoria, destinata a risolversi una volta divenuta impossibile la revoca.

Le citate sentenze della Seconda Sezione, entrambe su ricorso del Pubblico ministero che lamentava la erronea valutazione del giudice in merito al presupposto della mancata conoscenza del processo, che aveva impedito la dichiarazione di assenza, si confrontano infine anche con l'esigenza di individuare uno strumento di revisione dell'accertamento sulla conoscenza del processo. In entrambe, sul presupposto della natura interlocutoria del provvedimento, si osserva che, analogamente a quanto accade "nell'ipotesi in cui la persona assente che non abbia conoscenza della pendenza del processo sia successivamente rintracciata, allo stesso modo, nel caso si dimostri che l'imputato era, ab origine, a conoscenza del processo, la sentenza dovrà essere revocata mancando in radice il presupposto per l'adozione del provvedimento".

2.2. Il contrario orientamento, sostenuto da Sez. 5, n. 20140 del 23/02/2024, Stojanovic, Rv. 286276 - 01, affronta espressamente le argomentazioni espresse dalle sentenze appena ricordate ponendosi tuttavia con esse in consapevole contrasto e concludendo per la immediata impugnabilità della sentenza, almeno in relazione alla parte in cui ordina la prosecuzione delle ricerche indicandone il termine finale.

La decisione procede nella ricostruzione dell'istituto richiamando diverse fonti, tra cui parte della motivazione della sentenza n. 192 del 2023 della Corte costituzionale, ed evidenzia come da tutte le letture della norma e dalla Relazione illustrativa al D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 si evince la natura della sentenza di non doversi procedere, che "definisce, e dunque conclude, il processo iniziato con l'esercizio dell'azione penale e la richiesta di fissazione dell'udienza preliminare, sul presupposto della mancata conoscenza della pendenza del processo da parte dell'imputato".

Sulla base di tale premessa, la Quinta Sezione ricostruisce, pertanto, la sentenza in esame come un provvedimento "composito" in cui "convergono, in parallelo, due binari, che vanno, tuttavia, mantenuti distinti: la pronuncia di improcedibilità virtualmente conclusiva e la vocatio in iudicium della nuova ed eventuale fase processuale".

La sentenza tratta poi, in generale, il tema della natura decisoria delle pronunce giudiziali. Osserva che la nozione di provvedimento è distinta dalla sua irrevocabilità, e che solo dalla natura decisoria - vale a dire dalla sua capacità di incidere "sui diritti di libertà, patrimoniali o sulla pretesa punitiva dello Stato" - deriva la possibilità di proporre ricorso per cassazione, in applicazione della regola generale di cui agli artt. 568, comma 2, cod. proc. pen. e 111, settimo comma, Cost.; e tuttavia, così affrontando l'argomento principale del diverso orientamento, ossia l'inidoneità della sentenza ex art. 420-quater cod. proc. pen. ad incidere in via definitiva sulla posizione delle parti fino a che non possa più essere revocata, ritiene di individuare almeno un segmento di tale provvedimento immediatamente suscettibile di immediata e concreta ricaduta sui diritti delle parti, vale a dire quello relativo alla determinazione della durata delle ricerche dell'irreperibile.

Precisa che detta parte della sentenza, con effetti diretti sulla posizione dell'imputato, fonda l'intera sequenza procedimentale che si conclude con il decorso del termine di revocabilità della pronuncia e pertanto richiede uno strumento atto a darne immediata certezza. Nel caso in cui intervenga l'annullamento della Corte di cassazione per erronea determinazione dei termini successivamente alla data di "non revocabilità" della sentenza, infatti, le ricerche dovrebbero comunque riprendere, con pregiudizio delle finalità di deflazione e recupero di efficienza del sistema.

Ammettere la possibilità di ricorso immediato per cassazione, ex art. 111, settimo comma, Cost., su questa parte della sentenza, prosegue la richiamata decisione, è dunque conforme ai principi costituzionali e convenzionali in materia di ragionevole durata del processo e di efficienza della giurisdizione.

Non convincente, secondo la citata decisione, appare infine la tesi prospettata dal contrario orientamento, secondo cui, all'eventuale errore del giudice (possibile anche su questioni diverse dalla valutazione della mancata conoscenza del processo da parte del prevenuto), possa ovviarsi chiedendo la revoca della sentenza. Il motivo è duplice: da un lato, il legislatore ha infatti espressamente limitato la revoca al caso di rintraccio dell'interessato e, dunque, 10 strumento indicato sarebbe "anomalo"; dall'altro, la soluzione non tiene conto della natura immediatamente decisoria del dictum giudiziale relativo al termine delle ricerche.

2.2.1. Nel solco del secondo indirizzo, l'ordinanza di rimessione della Terza Sezione penale ha inoltre argomentato che la sentenza di non luogo a procedere ex art. 420-quater cod. proc. pen. dovrebbe ritenersi immediatamente ricorribile per cassazione a norma dell'art. 606, comma 2, cod. proc. pen., per tutti i motivi di cui al comma 1 avendo il legislatore aggettivato la sentenza come "inappellabile", con conseguente possibilità di impugnazione con ricorso per cassazione.

2.2.2. Sempre nell'ambito del secondo orientamento, nella giurisprudenza di legittimità si rinvengono alcune pronunce, anche depositate successivamente a Sez. 2, n. 50426 del 2023, S., già citata, che, pur non affrontando espressamente il tema della ricorribilità in cassazione e della natura decisoria della sentenza ex art. 420-quater cod. proc. pen., trattano nel merito il ricorso del pubblico ministero, così, implicitamente, ritenendolo ammissibile (Sez. 2, n. 2342 del 24/11/2003, dep. 2024, Hoxha, non mass., e Sez. 5, n. 809 del 28/09/2023, dep. 2024, Lleshi, non mass.).

3. Tanto premesso, per la soluzione del caso in esame, rileva, anzitutto, il tema dell'impugnabilità per cassazione delle sentenze processuali, connotate da un'incidenza solo sul rito, nel senso che non contengono alcuna valutazione sul merito della regiudicanda e sul fatto-reato che la costituisce.

Sotto la vigenza del cessato codice del 1930, la giurisprudenza si era pronunciata a favore della generale impugnabilità delle sentenze anche processuali (Sez. U, n. 2477 del 6/12/1991, dep. 1992, Paglini, Rv. 189397 - 01 e Sez. U, n. 1475 del 24/11/1984, dep. 1985, Alamia, Rv. 167854 - 01).

Dopo l'entrata in vigore del nuovo codice di rito, tale principio è stato ribadito dalla giurisprudenza (Sez. U, n. 29529 del 25/06/2009, De Marino, Rv. 244108 - 01) che, per superare l'orientamento che riteneva in contrasto con il principio di tassatività delle impugnazioni e con il disposto degli artt. 607 e 608 cod. proc. pen. l'ammissibilità del ricorso per cassazione di una sentenza non inerente questioni di merito, ha ribadito la portata generale della garanzia di impugnabilità delle sentenze di cui all'art. 111, settimo comma, Cost., confermata indirettamente proprio dall'esplicita esclusione delle sentenze sulla competenza, altrimenti da ricomprendere tra quelle ricorribili. Le Sezioni Unite hanno rilevato come la presenza, nel codice di rito, di una norma (segnatamente contenuta nell'art. 190, secondo comma, del codice del 1930, e nell'art. 568, comma 2, del codice del 1988) che riprende il principio costituzionale dell'art. 111, settimo comma, Cost., abbia inciso notevolmente sull'assetto dei rimedi impugnatori "attraverso un parziale rovesciamento della logica originaria che presiedeva all'impiego dei diversi mezzi di impugnazione, dal momento che veniva di fatto ad assumere un connotato di centralità, quale rimedio di generale applicazione, proprio il ricorso per cassazione, prefigurato, invece, dal codice abrogato, come strumento eccezionale rispetto all'appello". Le Sezioni Unite hanno richiamato, infine, un inciso di altra importante decisione della Corte costituzionale relativa all'errore percettivo nel giudizio di cassazione che espressamente sottolinea come: "il presidio costituzionale... testualmente rivolto ad assicurare il controllo sulla legalità del giudizio (a ciò riferendosi, infatti, l'espresso richiamo al paradigmatico vizio di violazione di legge) contrassegna il diritto a fruire del controllo di legittimità riservato alla Corte Suprema, cioè il diritto al processo in cassazione" (Corte cost., sent. n. 395 del 2000).

4. Utile, per la soluzione della questione controversa, è poi l'inquadramento in ordine a contenuto e natura della norma processuale all'origine del contrasto.

A seguito della riformulazione dell'art. 420-quater cod. proc. pen. ad opera dell'art. 23 del D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, il legislatore ha previsto, nel caso di imputato non comparso per il quale non siano stati rilevati i presupposti per la dichiarazione di assenza di cui all'art. 420-bis cod. proc. pen., un peculiare provvedimento "in rito", ovvero appunto la sentenza di non doversi procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo.

Presupposto per la pronuncia della sentenza di non doversi procedere è l'accertamento - anche fondato su elementi indiziari - della insussistenza delle condizioni per dichiarare l'assenza.

Qualora sia escluso il positivo accertamento della conoscenza del processo da parte dell'imputato, con conseguente non volontarietà della mancata comparizione, il giudice, operato un ultimo tentativo di notifica personale dell'avviso di fissazione dell'udienza, della richiesta di rinvio a giudizio e del verbale d'udienza, ha l'obbligo di emettere la pronuncia.

4.1. Dai lavori preparatori al D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 emerge che si tratta di una pronuncia definitoria "di fase".

Nella Relazione illustrativa al citato D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, si legge che la pronuncia di cui all'art. 420-quater cod. proc. pen. "definisce il procedimento, sicché il destinatario della medesima non è più imputato e il fascicolo va specificamente archiviato per un suo più agevole recupero": la sentenza, infatti, presuppone una decisione sulla declaratoria di assenza e fissa i tempi per il prosieguo.

Contenutisticamente è un provvedimento che ha gli elementi formali della sentenza (di cui richiama nel contenuto gli artt. 426 e 546 cod. proc. pen.), pur presentando alcune particolarità che hanno indotto la dottrina a definirla come un provvedimento "bifronte", in quanto chiude una fase processuale, ossia quella del rinvio a giudizio e della fissazione dell'udienza preliminare, esauritasi per la mancata formazione del contraddittorio, e contemporaneamente ne innesca una nuova, ossia quella delle ricerche dell'imputato e della vocatio in iudicium idonea a riaprire il processo esaurito.

La natura "bifronte" di tale sentenza è stata anche riconosciuta dalla Corte costituzionale la quale ha osservato come tale ambivalenza è destinata "a sciogliersi con il decorso del tempo in quanto ai sensi dei commi 3 e 6 dello stesso art. 420-quater, nel momento in cui per tutti i reati oggetto di imputazione sia superato il termine previsto dall'art. 159, ultimo comma, cod. pen. (cioè il doppio del tempo necessario a prescrivere il reato), senza che la persona nei cui confronti è stata emessa sia stata rintracciata, la sentenza di non doversi procedere diviene irrevocabile. Pertanto, ove non si tratti di un reato imprescrittibile, la sentenza di improcedibilità per mancata conoscenza del processo da parte dell'imputato, è idonea a definirlo in modo irreversibile" (Corte cost., sent. n. 192 del 2023).

Si tratta di un provvedimento destinato ad essere revocato nell'eventualità del rintraccio dell'imputato, contenendo a tale scopo l'ordine alla polizia giudiziaria di procedere alle ricerche al fine di notificargli l'avviso per l'udienza preliminare a data fissa davanti al medesimo giudice e per il medesimo processo.

Nella sentenza deve, inoltre, essere indicata la data fino alla quale le ricerche dovranno continuare ai fini del rintraccio dell'imputato e della notifica a mani della sentenza, così da potere dichiarare l'assenza dell'imputato: il superamento di tale termine impedisce la revocabilità della sentenza e la ripresa del processo facendo venir meno l'operatività degli istituti connessi alla possibile riapertura del giudizio, ossia il persistere dell'efficacia delle misure cautelari custodiali personali e del sequestro probatorio, preventivo e conservativo che siano stati emessi, il mantenimento dei poteri istruttori relativi alle prove non rinviabili e della competenza sulle misure cautelari del giudice precedente.

4.2. Quanto poi alla previsione della revocabilità della sentenza ai sensi dell'art. 420-sex/es cod. proc. pen., è necessario sottolineare come l'attuale disciplina processuale preveda espressamente un "unico fatto" al quale consegue l'obbligo per il giudice di revocare con decreto la sentenza, vale a dire il rintraccio dell'imputato con la notifica a mani della sentenza che contiene la vocatio in judicium e con una relata di notifica che documenta la comunicazione della pendenza del processo, revoca prevista come automatica e consentita solo fino alla data indicata come conclusiva delle ricerche.

Si noti a tal proposito come - a differenza della disciplina riguardante l'ordinanza di sospensione del processo di cui all'art. 420-quater cod. proc. pen. nel testo antevigente - non sono previste ipotesi di revoca derivanti dalla prova certa della conoscenza del processo ovvero connesse alla pronuncia di una sentenza nel merito, come l'estinzione del reato per morte o per prescrizione.

5. Tanto premesso, le Sezioni Unite ritengono che debba essere privilegiata l'interpretazione che consente l'immediata ricorribilità per cassazione della sentenza di non doversi procedere per mancata conoscenza del processo da parte dell'imputato, in tal senso convergendo una serie di considerazioni, sia di ordine sistematico che di ordine logico - giuridico.

6. Deve anzitutto muoversi da una riflessione di carattere generale, correlata al principio del controllo di legalità processuale esercitato - per Costituzione prima ancora che per regola ordinamentale e processuale - dalla Corte di cassazione. In questo senso, la sottrazione della sentenza ex art. 420 - quater cod. proc. pen., al controllo di legalità da parte dell'organo deputato all'esatta osservanza della legge non pare avere alcuna effettiva giustificazione.

Pur trattandosi di pronuncia interlocutoria e suscettibile di revoca e pur avendo essa natura strumentale, in quanto inclusiva di una ulteriore vocatio in ius, l'adozione della "sentenza" in questione riposa anzitutto su una serie di valutazioni del giudice in merito all'esistenza dei presupposti che giustificano la decisione di improcedibilità, in alternativa alla sequenza processuale ordinaria.

Tali presupposti, a loro volta, selezionano come rilevanti una serie di parametri legali relativi alla sussistenza dell'effettiva conoscenza della pendenza del processo da parte dell'imputato e della conseguente volontarietà o meno della mancata comparizione, cui si connette una sicura attività decisoria, in ragione del fatto che il loro effettivo accertamento rende legittima o meno l'emissione della sentenza stessa.

Dunque, non importa che il provvedimento finale abbia natura "precaria" e sia destinato alla eventuale caducazione: ciò che rileva è che la sua adozione possa trovare origine in violazioni di legge che, ove si escludesse l'immediata ricorribilità in cassazione, risulterebbero incongruamente prive di formale rimedio.

6.1. Così dovrebbe anzitutto dirsi per la sentenza, fondata sul presupposto erroneo della mancata conoscenza del processo, emessa in relazione ad un reato imprescrittibile. Da un lato, non diventerebbe ex lege mai irrevocabile, e, dall'altro, ove si accogliesse il primo orientamento, resterebbe immutabile, sicché precludere l'intervento della Cassazione attraverso la sua immediata impugnabilità in sede di legittimità, sottraendole il controllo sulla corretta applicazione della legge, non sarebbe né giuridicamente né logicamente tollerabile, posto che il presunto autore di un reato imprescrittibile - dunque, potenziale destinatario di una pena perpetua - finirebbe per perdere la qualità di imputato per un tempo indefinito, in ragione di un errore giudiziale non emendabile.

6.2. A conclusioni analoghe dovrebbe giungersi nell'ipotesi in cui la sentenza ex art. 420-quater cod. proc. pen. fosse emessa nei confronti dell'imputato già dichiarato latitante (come nel caso deciso da Sez. 2, del 24/11/2023, n. 2343, Hoxha Oltion ed altri, non mass.), ipotesi per la quale è la stessa legge processuale a stabilire, invece, espressamente che si debba procedere in assenza (art. 420-bis, comma 3, cod. proc. pen.): ove non si ammettesse la immediata ricorribilità per cassazione di tale sentenza, si legittimerebbe l'innesco della complessa procedura prevista dall'art. 420-quater, cod. proc. pen. fuori dai casi consentiti.

6.3. Considerazioni simili, infine, varrebbero per il caso - non certo infrequente - dell'erroneo calcolo, nella sentenza in oggetto, del termine di prescrizione del reato: anche detto errore, tutt'altro che irrilevante - posto che dal tempo calcolato per la prescrizione del reato dipenderebbe anche quello della sospensione e, dunque, la stessa irrevocabilità della pronuncia - resterebbe irrazionalmente sottratto all'immediato sindacato giurisdizionale di legittimità.

Né può considerarsi ostativa alla ricorribilità per cassazione la natura "processuale" della sentenza emessa ai sensi dell'art. 420-quater, cod. proc. pen. Ed infatti, pur trattandosi di pronuncia interlocutoria e suscettibile di eventuale revoca, la sentenza ha una sicura natura "decisoria", in quanto è legata all'esercizio da parte del giudice di un indubbio potere valutativo volto ad affermare l'esistenza di presupposti che giustificano la decisione di improcedibilità, in alternativa alla sequenza processuale ordinaria.

Sottrarla, dunque, al controllo di legalità da parte dell'organo deputato all'esatta osservanza della legge non avrebbe alcuna effettiva giustificazione.

Del resto, già nella vigenza del codice di rito del 1930, in seguito all'entrata in vigore della Costituzione ed all'inserimento, ad opera della legge 18 giugno 1955, n. 517, di un secondo comma all'art. 190 che riprende il principio costituzionale dell'art. 111, settimo comma, Cost., la giurisprudenza si era pronunciata a favore della generale impugnabilità delle sentenze, anche processuali.

Così, Sez. U, n. 1475 del 24/11/1984, dep. 1985, Alamia, Rv. 167854 - 01, risolvendo un contrasto sul punto, aveva affermato che il provvedimento del giudice di appello di restituzione degli atti al pubblico ministero per violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza (previsto dal combinato disposto degli artt. 477, 519 del codice di rito del 1930), "avendo natura composta di sentenza e di ordinanza", doveva ritenersi soggetto a ricorso per cassazione, in virtù della regola generale fissata dall'art. 111 Cost. e 190, secondo comma, del codice di procedura del 1930.

Il principio della generale ricorribilità in cassazione di tutte le sentenze, anche non relative al merito, non altrimenti impugnabili, era stato poi ribadito, sempre con riferimento ad istituti del codice abrogato, da Sez. U, n. 2477 del 6/12/1991, dep. 1992, Paglini, Rv. 189397 - 01, il cui insegnamento, in relazione agli istituti del nuovo codice (in particolare la sentenza di annullamento di cui all'art. 604, comma 4, cod. proc. pen.), veniva poi confermato da Sez. U, n. 29529 del 25/06/2009, De Marino, Rv. 244108 - 01, che riteneva ammissibile il ricorso per cassazione proposto avverso la sentenza con la quale il giudice d'appello dichiara la nullità di quella di primo grado, rinviando gli atti al Tribunale per il nuovo giudizio. Per superare l'orientamento che riteneva in contrasto con il principio di tassatività delle impugnazioni e con il disposto degli artt. 607 e 608 cod. proc. pen. l'ammissibilità del ricorso per cassazione di una sentenza non inerente questioni di merito, le Sezioni Unite ribadivano la portata generale della garanzia dì impugnabilità delle sentenze di cui all'art. 111, settimo comma, Cost., confermata indirettamente proprio dall'esplicita esclusione delle sentenze sulla competenza, altrimenti da ricomprendere tra quelle ricorribili per cassazione, e sottolineavano il connotato di centralità, quale rimedio di generale applicazione, assunto dal ricorso per cassazione, prefigurato, invece, dal codice abrogato, come strumento eccezionale rispetto all'appello.

7, Risultano, allora, non condivisibili le considerazioni svolte dal primo orientamento tendente ad escludere l'immediata ricorribilità della sentenza in esame, essenzialmente fondate sulla sua precarietà e sulla sua natura "interlocutoria" (o, il che è lo stesso, asseritamente "non decisoria"), alla luce delle considerazioni dianzi espresse, tanto più considerando che il rimedio evocato per emendare il provvedimento che si fondi su erronei presupposti, ovvero la revoca della sentenza, finisce per risultare, e ben vedere, esteso al di fuori delle strette ipotesi di legge.

Ferma, infatti, l'inappellabilità ex lege e la non ricorribilità della sentenza in questione per la inapplicabilità dell'art. 111, settimo comma, Cost., il rimedio sarebbe, secondo tale indirizzo, costituito, anche per il caso che l'imputato sia stato ab origine a conoscenza della pendenza del processo, dalla revoca della sentenza, ipotesi, questa, tuttavia ordinariamente contemplata non già per emendare patologie processuali della pronuncia, quanto, unicamente, per (re)instaurare il rapporto processuale nell'ipotesi di fisico reperimento dell'imputato, secondo l'unica sequenza procedimentale legittimamente individuata dall'art. 420-sexies, cod. proc. pen.

La disciplina, infatti, prevede espressamente un "unico fatto" cui consegue l'obbligo per il giudice di revocare con decreto la sentenza, vale a dire il rintraccio dell'imputato con notifica a mani della sentenza contenente la vocatio in iudicium, e con relata di notifica che documenti la "comunicazione" della pendenza del processo.

Operando come una sorta di "condizione", il rintraccio induce alla riapertura del processo: alla ricezione del processo verbale, il giudice è tenuto a revocare la sentenza e a riavviare il processo, nuovamente verificando la regolare costituzione delle parti. Si tratta di una revoca automatica, consentita solo fino alla data indicata come conclusiva delle ricerche, corrispondente al doppio del termine prescrizionale ex art. 157 cod. pen., calcolato a partire proprio dalla pronuncia della sentenza e parametrato sul reato più grave.

Di qui, dunque, la constatazione che l'orientamento qui disatteso finirebbe, negando la ricorribilità del provvedimento e in assenza, come appena visto, di ogni altro praticabile rimedio, per vanificare la ragione stessa dello strumento impugnatorio, ovvero l'esigenza, insita nel sistema, di confutare l'illegittima applicazione della norma da cui derivino le conseguenze appena sopra considerate.

8. A favore della immediata impugnabilità della sentenza ex art. 420-quater cod. proc. pen., vi è, del resto, da considerare come, nel nostro sistema processuale, siano presenti numerose ipotesi in cui la ricorribilità in cassazione è stata espressamente prevista dal legislatore, nell'intento di fornire uno strumento immediato alle parti onde ottenere una verifica di legittimità su provvedimenti che, pur non avendo natura decisoria, incidono significativamente sullo svolgimento dell'attività processuale.

In particolare, si pensi all'immediata ricorribilità per cassazione di talune ordinanze di sospensione del giudizio (artt. 71, comma 3; 464-quater, comma 7; 479, comma 2, cod. proc. pen.), in un'ottica di tutela dell'interesse delle parti, in special modo della parte pubblica, alla regolare ed immediata prosecuzione del processo e della sua ragionevole durata, o anche al fine di garantire un immediato controllo nei confronti di provvedimenti che anticipano una definizione alternativa rispetto a quella perseguita.

8.1. Quest'ultimo obiettivo, in particolare, è da ritenere a fondamento della ricorribilità immediata in cassazione dell'ordinanza di sospensione per messa alla prova di cui all'art. 464-quater cod. proc. pen.: qualora il giudice ritenga idoneo il programma di trattamento presentato con la richiesta di messa alla prova, fatto salvo il proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen., dispone la sospensione del processo con ordinanza. Questa ha natura interlocutoria, in quanto destinata a risolversi in una sentenza dichiarativa dell'estinzione del reato per esito positivo della messa alla prova ovvero, in caso di esito negativo, con la prosecuzione del processo e la sua ordinaria definizione (art. 464-septies cod. proc. pen.). La mancata ammissione dell'imputato (o indagato) alla messa alla prova è parimenti espressa in un'ordinanza di rigetto, ovvero di prosecuzione del processo, se iniziato.

8.2. Lo scopo di ottenere un controllo immediato di legittimità su decisioni giudiziarie "irragionevolmente" dilatorie, sottende, ancora, la possibilità di ricorso per cassazione avverso l'ordinanza di sospensione del processo prevista dagli artt. 3, comma 2 e 479, comma 2, cod. proc. pen.

In entrambi i casi, in deroga al principio dell'autosufficienza della giurisdizione penale di cui all'art. 2 cod. proc. pen., il giudice ha la facoltà di assumere la decisione di sospendere il processo per rapporto di pregiudizialità con una decisione relativa allo stato di cittadinanza o di famiglia in corso di valutazione in un processo civile o amministrativo, ovvero per attendere la risoluzione di una controversia civile o amministrativa di particolare complessità, per la quale sia già in corso un procedimento presso il giudice competente, da cui "dipenda" la configurabilità della fattispecie di reato oggetto della contestazione. È evidente l'esigenza di consentire un controllo immediato su decisioni connotate da un rilevante grado di discrezionalità (sulla "serietà" della questione, sulla pregiudizialità, sulla "dipendenza" della questione civile o amministrativa sulla sussistenza del reato), suscettibili di procrastinare o anche impedire l'accertamento del fatto e che comunque hanno effetti indiretti, ma evidenti, sull'oggetto del giudizio.

8.3. È da ritenere, poi, ragione fondante della immediata impugnabilità per cassazione dell'ordinanza di sospensione del processo prevista dall'art. 71, comma 3, cod. proc. pen. l'esigenza di evitare inutili stasi processuali. L'ordinanza in esame segue ad una valutazione giudiziale, fondata su perizia o anche su altri elementi significativi, in merito alla incapacità dell'imputato, per infermità mentale sopravvenuta, di partecipare coscientemente al processo, ed alla possibile reversibilità di tale stato patologico. I controlli vengono ripetuti ogni semestre e, salvo il proscioglimento nel merito o in rito con sentenza, non appena risulti che lo stato mentale dell'imputato ne consente la cosciente partecipazione al procedimento, l'ordinanza è revocata e il processo riprende.

In particolare Sez. 1, n. 29936 del 08/07/2010, C., Rv. 248019 - 01 ha escluso che l'ordinanza di revoca sia autonomamente impugnabile giustificando significativamente in motivazione la differenza con la prevista impugnabilità dell'ordinanza di sospensione, proprio richiamando la ratio che la sottende: "L'aporia è presto risolta, sol che si consideri che, mentre l'ordinanza che dispone la sospensione, determinando una stasi del procedimento che non può più progredire verso il suo naturale epilogo rappresentato dalla sentenza, abbisogna, come rimedio contro gli eventuali errori, della specifica previsione di un apposito mezzo di impugnazione, l'ordinanza che dispone la revoca della sospensione, permettendo invece al processo di riprendere il suo corso verso la celebrazione del giudizio e la pronuncia della sentenza, sarà impugnabile, a norma dell'art. 586 c.p.p., comma 1, con l'impugnazione differita contro la sentenza."

8.4. Il ricorso per cassazione è, infine, ammesso anche avverso l'ordinanza, prevista dall'art. 721 cod. proc. pen., così come modificato dal D.Lgs. 3 ottobre 2017, n. 149, di sospensione del processo nel caso di operatività del principio di specialità nell'estradizione anche in ambito processuale, ove previsto nei rapporti convenzionali con lo Stato di consegna. È prevista, ai sensi del terzo comma, l'impugnabilità del provvedimento per cassazione da parte del pubblico ministero, dell'imputato e del suo difensore, non limitata ai motivi di legittimità.

9. Conclusivamente, al pari dei provvedimenti giurisdizionali citati, per i quali la giurisprudenza di questa Corte ha ammesso la generale ricorribilità per cassazione in un'ottica di tutela dell'interesse delle parti alla regolare ed immediata prosecuzione del processo e della sua ragionevole durata (o anche al fine di garantire un immediato controllo nei confronti di provvedimenti che anticipano una definizione alternativa rispetto a quella perseguita), deve dunque riconoscersi l'immediata ricorribilità della sentenza ex art. 420-quater, cod. proc. pen.

10. Una volta ammessa la ricorribilità per cassazione della sentenza emessa ai sensi dell'art. 420-quater, cod. proc. pen., le Sezioni Unite ritengono poi che non sussistano ragioni per non consentire detta ricorribilità per tutte le ipotesi contemplate dall'art. 606, comma 1, cod. proc. pen.

La lettura estensiva offerta sul punto dall'ordinanza di rimessione - alla luce delle considerazioni già espresse circa la necessità di non sottrarre al controllo di legittimità la valutazione, frutto dell'accertamento giudiziale, dei presupposti giuridici e di fatto (in particolare, l'accertamento "di merito" della non conoscenza della pendenza del processo in capo all'imputato) che consentono l'adozione della pronuncia ex art. 420-quater, cod. proc. pen. - deve ritenersi condivisibile.

Ciò discende da considerazioni di ordine sistematico - ossia l'espressa qualificazione della sentenza come inappellabile, ciò che rende di immediata applicazione l'art. 606, comma 2, cod. proc. pen., con conseguente estensione dell'impugnazione di legittimità anche a tutti i restanti motivi individuati dal comma 1 dell'art. 606, cod. proc. pen., diversi dalla mera violazione di legge - nonché dalla considerazione ulteriore per la quale, soprattutto con riferimento all'accertamento "di merito" della non conoscenza della pendenza del processo in capo all'imputato, la relativa valutazione giudiziale implica inevitabilmente l'estensione del sindacato anche a vizi diversi da quello di violazione di legge, e in particolare al vizio di motivazione.

La sentenza resa ai sensi dell'art. 420-quater, cod. proc. pen., pur se revocabile e destinata a "consolidarsi" solo dopo la scadenza del termine previsto dall'art. 159, ultimo comma, cod. pen., si fonda infatti sulla dimostrazione e sul controllo di una serie di elementi, storici e processuali, la cui corretta sussistenza costituisce, come visto, presupposto per l'emissione del provvedimento stesso.

L'estensione del sindacato di legittimità a tutti i motivi elencati dall'art. 606, comma 1, cod. proc. pen. è dunque una conseguenza necessaria di quanto in precedenza illustrato: se, infatti, la ragione del ricorso è di offrire alle parti processuali la possibilità di evidenziare che il giudice ha erroneamente ritenuto sussistenti i presupposti per la pronuncia della sentenza ex art. 420-quater, cod. proc. pen., il rimedio sarebbe evidentemente incompleto ove venisse limitato alla sola violazione di legge.

Da qui, dunque, la legittimazione della tesi dell'estensione dei casi di ricorso a tutte le ipotesi di cui al comma 1 dell'art. 606, cod. proc. pen.

11. Le Sezioni Unite, inoltre, ritengono che, una volta raggiunta tale conclusione, nell'ambito di un necessario, compiuto, esame sistematico della questione devoluta, debba valutarsi il profilo soggettivo della impugnabilità per Cassazione del provvedimento non solo, come nella specie, ad opera del pubblico ministero, il cui interesse concreto si sostanzia ictu oculi nella rimozione di un "impedimento" alla prosecuzione del giudizio nel merito, ma anche delle altre parti del processo, anch'esse in via generale legittimate, come la parte pubblica, ad impugnare, anche secondo i postulati, già ricordati, di Sez. U, De Marino, la sentenza inappellabile a norma degli artt. 568, comma 2, e 606, comma 2, cod. proc. pen., oltre che, con riferimento specifico all'imputato, a norma dell'art. 607 comma 1, cod. proc. pen.

In ordine a tale punto il Collegio ritiene che non possano sussistere preclusioni di sorta né per la parte civile né per l'imputato.

11.1. Dell'interesse alla rimozione della sentenza ex art. 420-quater, cod. proc. pen., erroneamente pronunciata al di fuori delle condizioni di legge, è anzitutto portatrice la parte civile al fine di ottenere una celere celebrazione del processo a carico dell'imputato, che, seppure ai soli effetti civili, ne affermi la responsabilità, rimuovendo la situazione di stasi procedurale altrimenti non eliminabile.

La necessità di tutela degli interessi della persona offesa, costituitasi parte civile, giustifica - come evidente in special modo per i reati di maggiore impatto sociale per i quali la "cristallizzazione" della sentenza può non verificarsi affatto ovvero verificarsi in un momento irragionevolmente lungo - l'attribuzione alla stessa del potere di sollecitare un immediato controllo sulla valutazione del giudice in merito ai presupposti della mancata dichiarazione di assenza e all'indicazione del termine finale di prosecuzione delle ricerche.

Una diversa conclusione pregiudicherebbe, del resto, il diritto delle vittime ad ottenere un processo per l'accertamento dei fatti, che la normativa sovranazionale riconosce in relazione ai reati più gravi. Con riferimento alla persona offesa, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha affermato che l'art. 6 par. 1 CEDU impone agli Stati di organizzare i loro sistemi in modo da assicurare le garanzie ivi previste, e ha sottolineato l'importanza dell'amministrazione della giustizia in un tempo ragionevole, onde non pregiudicarne l'effettività e la credibilità (si veda in particolare, Corte EDU 18/03/2021, Petrella c. Italia). Per altro verso, la Corte costituzionale (da ultimo, in particolare, con la sentenza n. 192 del 2023) ha richiamato, con riguardo ai presupposti per la dichiarazione di assenza di cui all'art. 420-bis, cod. proc. pen., la tutela costituzionale della dignità delle vittime a non vedersi irragionevolmente precluso il diritto all'accertamento giudiziale.

11.2. In secondo luogo, non possono sussistere preclusioni neppure per l'imputato, portatore dell'interesse non solo a vedere emendati eventuali errori del giudice nella determinazione in suo pregiudizio del tempo necessario a prescrivere ex art. 420-quater, comma 6, cod. proc. pen., ma anche, e soprattutto, ad ottenere una sentenza di proscioglimento nel merito e non meramente processuale che ne riconosca formalmente l'innocenza, fino a tale momento solo presunta.

Non può ritenersi pertanto condivisibile quanto in particolare affermato dalla già citata Sez. 2, n. 11109 del 17/01/2024, Niang, non mass., secondo cui l'imputato non avrebbe "un interesse ad impugnare che si connoti come pratico, concreto e attuale" a contrastare immediatamente l'erronea qualificazione di "irreperibile" quale presupposto della sentenza resa ex art. 420-quater cod. proc. pen., né quanto sostenuto da Sez. 5, n. 42643 del 19/09/2023, Manzi, non mass., che ha escluso la sussistenza dell'interesse ad impugnare del coimputato del soggetto nei confronti del quale sia stata emessa sentenza di non luogo a procedere.

Invero, il diritto al giusto processo di cui l'imputato è titolare include in ogni caso la prospettiva che esso sia celebrato senza ingiustificate dilazioni, stante, diversamente, la eventuale quiescenza dello stesso sino alla possibile maturazione dei termini di prescrizione, impeditiva dell'esclusione nel merito della colpevolezza.

11.3. Va aggiunto che quanto appena esposto "supera" anche le osservazioni della difesa dell'imputato, la quale - muovendo da una prospettiva di ritenuta non ricorribilità, allo stato attuale delle norme, della sentenza da parte dell'imputato, e della ricorribilità, invece, ad opera del pubblico ministero - , ne ha tratto la conclusione che riconoscere solo a quest'ultimo il potere di impugnazione si tradurrebbe in un'evidente e ingiustificabile disparità di trattamento tra accusa e difesa, sicché, nella specie, il ricorso del pubblico ministero andrebbe dichiarato inammissibile.

Deve infatti, in ogni caso, disattendersi il ragionamento secondo cui la mancata conoscenza del processo da parte dell'imputato comporterebbe automaticamente l'impossibilità per lo stesso di conferire lo specifico mandato ad impugnare tale sentenza (richiamandosi a sostegno il disposto dell'art. 581, comma 1-quater, cod. proc. pen.), oltre che l'impossibilità di resistere con piena coscienza nel giudizio incardinato, in seguito al ricorso promosso dal pubblico ministero, con inevitabile compromissione del diritto di difesa.

Va anzitutto chiarito che la previsione dell'art. 581, comma 1-quater, cod. proc. pen. (che, nella originaria versione richiedeva sempre, a pena d'inammissibilità dell'impugnazione, il deposito di uno "specifico mandato ad impugnare, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza e contenente la dichiarazione o l'elezione di domicilio dell'imputato, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio"), non impone più, a far data dal 25 agosto 2024, per effetto delle modifiche introdotte dalla legge 9 agosto 2024, n. 114, al difensore di fiducia dell'imputato assente un tale obbligo di deposito, avendo il legislatore circoscritto (e mantenuto) lo stesso alla sola ipotesi di difesa d'ufficio, ossia quella in cui il rapporto tra imputato e difensore è, verosimilmente, più labile.

Ciò posto, tuttavia, anche con riguardo all'ipotesi del difensore di ufficio, non sussiste il paventato trattamento discriminante derivante dal fatto che, in tal caso, l'imputato non potrebbe impugnare per cassazione il provvedimento, a differenza del pubblico ministero.

Nella vigenza dell'attuale sistema processuale, l'art. 581, comma 1 - quater cod. proc. pen. nel riferirsi allo "imputato rispetto al quale si è proceduto in assenza", intende richiamare un concetto di assenza in senso "formale", ossia una dichiarazione di assenza conseguente ad una delle ipotesi normativamente indicate dall'art. 420-bis cod. proc. pen. che hanno tutte, quale presupposto positivo, l'effettiva conoscenza della pendenza del processo e il fatto che la "assenza" all'udienza è dovuta ad una scelta volontaria e consapevole.

Se cosi è, dunque, la circostanza che il novellato art. 581, comma 1 - quater, cod. proc. pen. richieda oggi, nella sola ipotesi dell'imputato "rispetto al quale si è proceduto in assenza" (dichiarata, s'intende, a norma dell'art. 420-bis cod. proc. pen.), l'obbligo di depositare, a pena d'inammissibilità, se difeso da un difensore d'ufficio, l'atto di impugnazione unitamente allo specifico mandato ad impugnare "rilasciato dopo la pronuncia della sentenza e contenente la dichiarazione o l'elezione di domicilio dell'imputato, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio", non preclude allo stesso difensore la presentazione dell'impugnazione della sentenza resa ai sensi dell'art. 420-quater, cod. proc. pen. Si tratta, infatti, di sentenza pronunciata proprio in difetto della condizione necessaria per pervenire a tale epilogo, ovverossia la conoscenza della pendenza del processo da parte dell'imputato.

12. Conclusivamente, si deve riconoscere a tutte le parti processuali il diritto ad interloquire e sollecitare il controllo di legittimità su di un provvedimento, qual è la sentenza emessa ai sensi dell'art. 420-quater, cod. proc. pen. che "chiude" il processo, definito in assenza dei relativi presupposti.

La funzione di controllo sulla legalità del processo svolta dalla Corte di cassazione comporta il riconoscimento di un suo potere di intervento tutte le volte in cui siano in gioco una possibile violazione di legge (o un vizio di motivazione rilevante ex art. 606, cod. proc. pen.), su iniziativa della parte pubblica o privata.

13. Alla luce delle argomentazioni fin qui esposte, la questione oggetto di rimessione va quindi risolta enunciando il seguente principio di diritto:

"La sentenza di non doversi procedere pronunciata ai sensi dell'art. 420-quater cod. proc. pen. può essere impugnata da tutte le parti con ricorso per cassazione, proponibile per tutti i motivi di cui all'art. 606, comma 1, cod. proc. pen., anche prima della scadenza del termine previsto dall'art. 159, ultimo comma, cod. pen.".

14. Dovendo dunque, in applicazione della "regula iuris" innanzi delineata, esaminarsi il merito del ricorso, le Sezioni Unite ritengono che lo stesso debba essere rigettato; infatti la dedotta violazione della legge processuale, in particolare degli artt. 420-bis e 420-quater cod. proc. pen., non ha pregio, non potendo dirsi viziata in diritto la valutazione operata dal Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Genova che ha ritenuto insussistenti le condizioni per procedere in assenza dell'imputato ex art. 420-bis, cod. proc. pen.

14.1. Ed invero, risulta dagli atti - che questa Corte è legittimata a consultare in ragione della natura processuale dell'eccezione (Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 220092 - 01) - che l'avviso di fissazione dell'udienza preliminare per la data del 15 luglio 2022 era stato notificato presso lo studio del difensore di fiducia domiciliatario. Con pec del 13 luglio 2022, il predetto difensore aveva tuttavia comunicato la rinuncia alla difesa fiduciaria del suo patrocinato, dovuta all'impossibilità di avere contatti con il medesimo, con conseguente omessa comunicazione della rinuncia al diretto interessato ex art. 107 cod. proc. pen.

All'udienza preliminare l'imputato non compariva e il giudice, rilevata l'insussistenza delle condizioni per procedere in sua assenza ai sensi dell'art. 420-bis cod. proc. pen., nella formulazione introdotta dalla L. 28 aprile 2014, n. 67, nominato un difensore di ufficio, disponeva la notifica "a mani", rinviando il processo all'udienza del 14 ottobre 2022.

Anche a tale udienza l'imputato non si presentava e il giudice, dato atto della impossibilità di procedere alla notifica per irreperibilità, documentata nel verbale di vane ricerche, pronunciava ordinanza di sospensione del processo secondo il disposto dell'allora vigente art. 420-quater cod. proc. pen., fissava nuova udienza per il 19 settembre 2023 e disponeva nuove ricerche, ai sensi dell'allora vigente art. 420-quinquies, comma 1, cod, proc. pen.

A tale ultima udienza, successiva all'entrata in vigore del D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, come disposto dalla normativa transitoria, il giudice, infine, applicava il novellato art. 420-quater cod. proc. pen. e, sentite le parti, pronunciava sentenza di non doversi procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo.

14.2. La complessiva censura del ricorrente non può, quindi, essere accolta, conformemente, peraltro, a quanto già deciso da Sez. 5, n. 809 del 28/09/2023, dep. 2024, Lleshi, Rv. 285780 - 01 su impugnazione del medesimo Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Genova avverso la sentenza resa ai sensi dell'art. 420-quater cod. proc. pen. con motivazione del tutto analoga a quella del provvedimento impugnato nella fattispecie in esame.

Deve, infatti, evidenziarsi come la ritualità della notificazione, presso il domicilio eletto, dell'avviso di fissazione dell'udienza preliminare non esclude che il giudice debba comunque valutare l'esistenza di quegli elementi, descritti nell'art. 420-bis, cod. proc. pen. che legittimano la dichiarazione di assenza nel "processo".

Nel sistema delineato dalla novella introdotta dal D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, come correttamente afferma il richiamato precedente giurisprudenziale di questa Corte, può procedersi in assenza solo se consti la conoscenza da parte dell'imputato del "processo", in particolare della vocatio in ius, e non del "procedimento" (segnatamente della fase delle indagini preliminari), e che la mancata comparizione dell'imputato sia frutto di una scelta volontaria di non parteciparvi. Sotto tale profilo, come si trae anche dalla relativa Relazione illustrativa, la riforma ha, infatti, inteso disporre in conformità con la Direttiva U.E. 2016/343 del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali, e ha prediletto gli approdi della giurisprudenza di legittimità che ha individuato il presupposto per procedere in assenza (già alla luce della disciplina anteriore) in "una situazione di piena conoscenza personale (o comprovato rifiuto) della chiamata in giudizio" (cosi Sez. U, n. 23948 del 28/11/2019, dep. 2020, Ismail, 279420 - 01; vedi anche Sez. 6, n. 34523 del 11/05/2023, Safi, Rv. 285177 - 01; Sez. 3, n. 48376 del 09/11/2022, Naouar, Rv. 284062 - 01; Sez. 6, n. 21997 del 18/06/2020, Cappelli, Rv. 279680 - 01). E ciò, in maniera convergente con la nuova disciplina - efficacemente definita "rafforzata" - delle notificazioni degli atti introduttivi del giudizio (cfr. in particolare, con riguardo alla notificazione all'imputato non detenuto, il nuovo art. 157-tercod. proc. pen.), e con la più ampia sfera operativa, pure frutto della riforma, dei rimedi processuali che hanno interessato l'istituto della rescissione del giudicato (art. 629-bis cod. proc. pen.), la nuova disciplina relativa alla restituzione nel termine per impugnare (cfr., in particolare, i novellati artt. 604, commi 5-bis, 5-ter e 5-quater, l'art. 623, comma 1, lett. b-bis), cod. proc. pen., nonché l'art. 175, comma 2.1, cod. proc. pen.).

Peraltro, già in relazione al disposto del precedente testo dell'art. 420-6/s, comma 2, cod. proc. pen., il cui tenore richiedeva al giudice una verifica analoga a quella prevista del testo vigente, le Sezioni Unite avevano chiarito che la volontaria sottrazione richiedeva "condotte positive", da acclarare per il tramite di "un accertamento in fatto, anche quanto al coefficiente psicologico della condotta", non potendosi fare "rientrare automaticamente in tale ambito le situazioni comuni quali la irreperibilità, il domicilio eletto, etc." e avevano messo in guardia l'interprete dall'esasperare "il concetto di "mancata diligenza"" informativa dell'imputato "sino a trasformarla automaticamente in una conclamata volontà di evitare la conoscenza degli atti, ritenendola sufficiente per fare a meno della prova della consapevolezza della vocatio in ius per procedere in assenza", poiché ciò equivarrebbe al ritorno alle "vecchie presunzioni" che si era inteso superare già prima della più recente novella (Sez. U, n. 23948 del 28/11/2019, dep. 2020, Ismail, Rv. 279420 - 01).

15. Orbene, facendo coerente applicazione di tali principi, deve ritenersi che, nel caso di specie, il giudice - valutati gli elementi fattuali emergenti dagli atti (ovvero la mancata comparizione dell'imputato all'udienza preliminare, a seguito della notifica della vocatio in iudicium nel domicilio eletto presso il difensore di fiducia che aveva nominato nel corso delle indagini, il quale aveva tuttavia rinunciato al mandato due giorni prima di tale udienza rappresentando di aver perso ogni contatto con l'imputato e di non essere a conoscenza di alcun recapito utile, e il mancato positivo esito delle ricerche disposte per il tramite della polizia giudiziaria) - ha correttamente tratto il difetto di prova della conoscenza del processo da parte dell'imputato, che effettivamente non risulta essere mai stato edotto di essere stato tratto a giudizio, così rendendo la impugnata sentenza.

Né possono ravvisarsi i presupposti della volontaria sottrazione dell'imputato alla conoscenza della pendenza del processo, in ragione della sua "negligenza informativa". La negligenza informativa dell'imputato - che non abbia mantenuto i contatti con il proprio difensore e si sia reso di fatto irreperibile - non può costituire infatti, di per sé, prova della volontaria sottrazione alla conoscenza della pendenza del processo, valorizzabile ex art. 420-bis, comma 3, cod. proc. pen. (cfr., da ultimo: Sez. 6, n. 24729 del 07/03/2024, Fai Cheickh, Rv. 286712 -01; Sez. 5, n. 809 del 28/09/2023, dep. 2024, Lleshi, Rv. 285780 - 01; Sez. 4, n. 13236 del 23/03/2022, Piunti, Rv. 283019 - 01).

16. Il ricorso del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Genova dev'essere pertanto rigettato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 D.Lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, il 26 settembre 2024.

Depositato in Cancelleria il 13 febbraio 2025.

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