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Carcere, il diritto all’affettività dei detenuti va tutelato

Corte di Cassazione, sez. I Penale, Sentenza n.5 del 11/12/2024 (dep. 02/01/2025)

I detenuti hanno diritto a colloqui intimi con il proprio coniuge?

La Cassazione, sez. I., con la sentenza n. 8 depositata il 2 gennaio 2025, è tornata ad occuparsi della questione.

Il caso di specie nasce dal ricorso di un detenuto del carcere di Asti, il quale si era visto negare la possibilità di svolgere colloqui in intimità con la moglie. L'ufficio di Sorveglianza di Torino aveva dichiarato inammissibile la sua richiesta, motivando che si trattava di una “mera aspettativa” e non di un diritto.

Secondo la Cassazione, invece, il diritto all’affettività dei detenuti è tutelato e non può essere degradato a mera aspettativa. La decisione richiama la sentenza della Corte Costituzionale n. 10/2024, che ha dichiarato illegittima la norma che imponeva il controllo visivo durante i colloqui con il coniuge o il convivente, salvo motivazioni legate a ragioni di sicurezza, ordine o disciplina.

La libertà di coltivare relazioni affettive è un diritto costituzionalmente garantito (artt. 27 e 117 della Costituzione, in relazione all'art. 8 CEDU). La Corte sottolinea che tale diritto non può essere totalmente annullato, ma solo limitato in modo proporzionato, considerando le specifiche condizioni individuali del detenuto.

Nella vicenda in esame, la Cassazione ha ritenuto illegittima la decisione dell’ufficio di Sorveglianza, che aveva motivato il diniego basandosi sull’inadeguatezza della struttura penitenziaria e non sul comportamento del detenuto o su ragioni di sicurezza. Questo approccio contrasta con il principio per cui l’amministrazione penitenziaria deve adoperarsi per rendere possibile l’esercizio dei diritti dei detenuti.

La Cassazione ha inoltre chiarito che il reclamo giurisdizionale presentato dal detenuto, ai sensi dell’art. 35-bis dell’Ordinamento penitenziario, era legittimo e doveva essere valutato nel merito.

La Corte ha quindi annullato il provvedimento dell’ufficio di Sorveglianza, rinviando il caso per una nuova valutazione.

La pronuncia ribadisce che i detenuti hanno il diritto di esprimere affettività nei confronti del proprio coniuge o convivente, un diritto che può essere limitato solo in presenza di ragioni specifiche e proporzionate. Questo rappresenta un passo verso il riconoscimento della dignità della persona anche in ambito detentivo.

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Cassazione penale, sez. I, sentenza 11/12/2024 (dep. 02/01/2025) n. 8

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza emessa in data 05 settembre 2024 l'Ufficio di sorveglianza di Torino ha dichiarato inammissibile l'impugnazione proposta da Sb.Al. contro il provvedimento con cui la casa di reclusione di A gli ha negato un colloquio in intimità con la propria moglie, con la motivazione che la struttura non lo consente.

Secondo il giudice la richiesta del detenuto non configura un vero e proprio diritto, ma una mera aspettativa, non tutelabile in via giurisdizionale.

2. Avverso l'ordinanza ha proposto ricorso Sb.Al., per mezzo del suo difensore avv. Davide Gatti, articolando un unico motivo, con il quale denuncia la violazione di legge e il vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen.

Premessa una valutazione circa la ricorribilità in cassazione del provvedimento, ai sensi dell'art. 666, comma 2, cod. proc. pen., in quanto emesso de plano, il ricorrente richiama il contenuto della sentenza della Corte Costituzionale n. 10/2024, che ha ritenuto illegittima l'omessa previsione della possibilità di svolgere colloqui con la persona convivente senza il controllo a vista del personale di custodia, se non ostano ragioni di sicurezza, ovvero di ordine e disciplina. Tale pronuncia evidenza che tali colloqui non costituiscono una mera aspettativa, bensì un vero diritto per il detenuto, la cui fruizione può essere negata solo per ragioni attinenti la sua condotta.

La struttura carceraria, pertanto, appare tenuta, secondo detta sentenza, ad adoperarsi per rendere possibile l'esercizio di tale diritto, e solo nei confronti di tale attività il diritto del detenuto può degradare ad interesse legittimo, ma mai ad una mera aspettativa. Il magistrato di sorveglianza, pertanto, in applicazione dell'art. 69, comma 6, lett. b), Ord. pen., avrebbe dovuto ordinare all'Amministrazione penitenziaria di porre rimedio a detta situazione, entro un termine preciso, dal momento che dalla sua inerzia deriva al detenuto un attuale e grave pregiudizio all'esercizio di un suo diritto.

Il provvedimento è illegittimo anche perché motiva il diniego all'esercizio del diritto, di fatto, sulla base non dei comportamenti del detenuto, ma di situazioni a lui estranee.

3. Il Procuratore Generale, con requisitoria scritta, ha chiesto l'annullamento del provvedimento impugnato, con rinvio per nuovo giudizio.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato, e deve essere accolto.

2. Non vi sono dubbi circa la proponibilità del ricorso in cassazione avverso il provvedimento emesso dal magistrato di sorveglianza.

L'impugnazione proposta dal detenuto deve essere qualificata come un reclamo giurisdizionale, ai sensi dell'art. 35-bis Ord. pen., dal momento che egli ha impugnato il diniego opposto dall'istituto penitenziario alla sua richiesta di poter esercitare un diritto, correttamente rivolgendosi al magistrato di sorveglianza, stante la sua competenza stabilita dall'art. 69, comma 6, lett. b), Ord. pen. Il giudice adito ha dichiarato il reclamo inammissibile, adottando la procedura consentita dall'art. 666, comma 2, cod. proc. pen., e avverso il suo provvedimento la norma stessa stabilisce la ricorribilità in cassazione.

3. La declaratoria di inammissibilità è stata motivata dal fatto che la richiesta del detenuto rappresenterebbe una mera "aspettativa" e non un diritto, per cui lo stesso strumento del reclamo giurisdizionale da lui adottato sarebbe errato.

La valutazione del magistrato di sorveglianza, però, non è corretta.

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 10 emessa il 26 gennaio 2024, ha stabilito l'illegittimità dell'art. 18 Ord. pen. "nella parte in cui non prevede che la persona detenuta possa essere ammessa ... a svolgere i colloqui con il coniuge, la parte dell'unione civile o la persona con lei stabilmente convivente, senza il controllo a vista del personale di custodia". I giudici, infatti, hanno ritenuto, peraltro riprendendo valutazioni già esposte nella precedente sentenza n. 301/2012 di esito contrario, che la libertà di godimento delle relazioni affettive costituisce un diritto costituzionalmente tutelato, diritto che lo stato di detenzione può comprimere quanto alle modalità di esercizio, ma non può totalmente annullare, con una previsione astratta e generalizzata, che non tenga conto delle condizioni individuali del detenuto e delle sue prospettive di risocializzazione, in quanto ciò si tradurrebbe in una lesione della dignità della persona. L'obbligo di controllo visivo del personale di custodia durante i colloqui del detenuto, previsto come assoluto e inderogabile, è stato ritenuto costituire una compressione sproporzionata e irragionevole della dignità del detenuto e della libertà della persona a questi legata da una stabile relazione affettiva, che risulta limitata, anche per anni, a coltivare detta relazione, pur essendo estranea al reato e alla condanna. La Corte ha pertanto concluso che l'impossibilità, per il detenuto, di esprimere una normale affettività con il partner si traduce in un vulnus dei suoi rapporti familiari e in un pregiudizio nelle relazioni nelle quali si svolge la sua personalità, che, se non giustificato da ragioni di sicurezza o di mantenimento dell'ordine e della disciplina, ovvero dalla pericolosità sociale del detenuto o da ragioni giudiziarie per l'imputato, viola gli artt. 27 Cost. e 117 Cost., in relazione all'art. 8 CEDU.

Alla luce delle esplicite valutazioni contenute in questa pronuncia, non può ritenersi che la richiesta di poter svolgere colloqui con la propria moglie in condizioni di intimità, avanzata dal detenuto ricorrente, costituisca una mera aspettativa, essendo stato affermato che tali colloqui costituiscono una legittima espressione del diritto all'affettività e alla coltivazione dei rapporti familiari, e possono essere negati, secondo l'esplicito dettato della sentenza citata, solo per "ragioni di sicurezza o esigenze di mantenimento dell'ordine e della disciplina", ovvero per il comportamento non corretto dello stesso detenuto o per ragioni giudiziarie, in caso di soggetto ancora imputato.

Il reclamo proposto dal detenuto ricorrente, pertanto, non doveva essere dichiarato inammissibile ma, essendo relativo all'esercizio di un diritto che il detenuto riteneva illegittimamente pregiudicato dal comportamento dell'istituto penitenziario di appartenenza, doveva essere valutato dal magistrato di sorveglianza ai sensi dell'art. 35-bis Ord. pen.

4. Il provvedimento impugnato, pertanto, deve essere annullato, con rinvio al magistrato di sorveglianza di Torino, perché provveda sul reclamo proposto.

P.Q.M.

Annulla il provvedimento impugnato e rinvia per nuovo giudizio al magistrato di sorveglianza di Torino.

Così deciso in Roma, l'11 dicembre 2024.

Depositata in Cancelleria il 2 gennaio 2025.

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