Una ditta individuale partecipa a una gara indetta dal Comune per la fornitura di servizi di riqualificazione e manutenzione del verde pubblico. Tuttavia, il Comune annulla la gara perché è contraria a talune disposizioni legislative. La ditta presenta un ricorso al Tar per ottenere il risarcimento del danno precontrattuale.
Il Tar ha riconosciuto la condotta negligente dell'amministrazione, che ha causato la partecipazione alla gara "contra legem" e l'induzione dei partecipanti a confidare nel suo regolare svolgimento. Il danno emergente è stato costituito dalle spese inutili sostenute per la partecipazione alla gara, ma non è stato provato il danno da lucro cessante.
La vicenda è stata poi esaminata dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 1074 del 31 gennaio 2023, che ha confermato la sentenza di primo grado e ha ribadito alcuni principi:
La responsabilità precontrattuale pura, riconducibile al modello civilistico di cui all’art. 1337 c.c., ricorre qualora l’Amministrazione, con un proprio comportamento contrario a buona fede, leda il legittimo affidamento riposto dal privato nella conclusione del contratto, incidendo negativamente sul suo diritto all’autodeterminazione in ambito negoziale e, quindi, violando una posizione di diritto soggettivo. La configurabilità di tale fattispecie ricorre tipicamente laddove l’amministrazione incida con atto di autotutela su di una gara già culminata nell’atto di aggiudicazione e il privato aggiudicatario avanzi una richiesta risarcitoria che fa leva sulla scorrettezza della stazione appaltante. In tal caso il risarcimento può riguardare il solo interesse negativo, rappresentato dalle spese sostenute per la partecipazione alla procedura e dai mancati profitti per i contratti che non siano stati stipulati a causa dell’impegno profuso nella partecipazione alla gara.
Consiglio di Stato, Sezione Quinta, sentenza 31/01/2023 n. 1074
Pubblicato il 31/01/2023
N. 01074/2023REG.PROV.COLL.
N. 10108/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello numero di registro generale 10108 del 2015, proposto da
F.C., rappresentato e difeso dall'avvocato Nino Paolantonio, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Principessa Clotilde n. 2;
contro
Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Angela Raimondo e Antonio Ciavarella, domiciliataria ex lege in Roma, via del Tempio di Giove n. 21;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda), 30 luglio 2015, n. 10486, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 22 novembre 2022 il Cons. Giorgio Manca e uditi per le parti gli avvocati Paolantonio Nino e Ciavarella Antonio in collegamento da remoto;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La ditta individuale C.F. ha partecipato alla procedura indetta da Roma Capitale per la dotazione di servizi, la riqualificazione e la manutenzione del verde pubblico nelle aree denominate “Punti verde ristoro”. Con la determinazione dirigenziale del 23 dicembre 2014 Roma Capitale ha annullato d’ufficio la predetta procedura.
Il provvedimento è stato impugnato con ricorso al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio che, con la sentenza in epigrafe, lo ha respinto.
L’amministrazione aveva motivato l’annullamento in autotutela con particolare riferimento al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 e al D.P.R. n. 554/99, vigenti ratione temporis, in quanto l’amministrazione non aveva posto a base di gara un preventivo studio di fattibilità, come disposto dall’art. 143, comma 5, del d.lgs. n.163 del 2006 in materia di concessione di lavori pubblici, non essendo così possibile svolgere una valutazione dei vincoli ambientali, storico – archeologici e paesaggistici eventualmente interferenti sulle aree e sugli immobili interessati dagli interventi.
Inoltre, l’avviso pubblico risultava carente del disciplinare di gara e dei contenuti per l’individuazione e descrizione dell’intervento necessari a garantire l’omogeneità e la comparabilità nella valutazione delle offerte più vantaggiose per l’amministrazione.
Infine non sarebbe stata osservata la procedura autorizzativa di cui all’art. 52 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 nonché della delibera del Commissario del Comune di Roma n. 50 del 2008 la quale prevedeva che i progetti di riqualificazione delle aree verdi e dei manufatti eventualmente esistenti nelle ville e nei parchi giochi dovessero ottemperare alle normative specifiche derivanti dai vincoli monumentali e paesistici che vi insistono e che, previo parere della Soprintendenza, per tutte le aree vincolate dovessero essere inseriti nel bando di gara chiari riferimento guida per la progettazione delle strutture dei punti di ristoro.
2. Il giudice di primo grado ha motivato la decisione di rigetto sull’assunto che, nell’ipotesi in cui i lavori siano strumentali ad una concessione di servizi (quale definita dall’art. 30 del d.lgs. 163 del 2006) e siano quindi diretti a realizzare opere pubbliche che diventano di proprietà dell’amministrazione aggiudicatrice, il codice dei contratti pubblici trovi integrale applicazione, non solo nell’ipotesi in cui i lavori siano eseguiti dagli stessi concessionari ma anche in quella in cui questi ultimi operino quale stazione appaltante.
2.1. Ha rilevato, inoltre, che lo studio di fattibilità non è previsto esclusivamente nell’ambito della concessione di lavori, costituendo lo stesso il primo stadio della programmazione di tutte le opere pubbliche, indipendentemente dalla modalità di affidamento. Anche la progettazione preliminare sarebbe necessaria poiché diversamente verrebbe attribuita al concessionario un’inammissibile discrezionalità nel definire i caratteri tecnico-economici della prestazione.
2.2. Infine, per quanto attiene alle carenze relative all’inquadramento storico – archeologico, ambientale e paesaggistico degli interventi, il giudice di primo grado ha ritenuto che le stesse non potessero essere sanate mediate l’inserimento di un rappresentate del Ministero dei beni culturali nella commissione giudicatrice, ovvero mediante l’espressione postuma del parere del medesimo Ministero in ordine ai progetti presentati dai concorrenti: è infatti in sede di studio di fattibilità, così come espressamente previsto dall’art. 14 del d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207, che l’amministrazione è tenuta a descrivere ed analizzare “ai fini della valutazione preventiva della sostenibilità ambientale e della compatibilità paesaggistica dell'intervento” i “requisiti dell'opera da progettare”, le “caratteristiche” e i “collegamenti con il contesto nel quale l'intervento si inserisce, con particolare riferimento alla verifica dei vincoli ambientali, storici, archeologici, paesaggistici interferenti sulle aree o sugli immobili interessati dall'intervento” nonché ad individuare “le misure idonee a salvaguardare la tutela ambientale e i valori culturali e paesaggistici”. Nel caso di specie sarebbe mancato del tutto l’indispensabile approfondimento tecnico propedeutico all’approvazione del progetto preliminare di un’opera pubblica.
2.3. Relativamente al risarcimento del danno il T.a.r. ha ritenuto fondata la domanda relativa al risarcimento del danno precontrattuale data la condotta colposa dell’amministrazione che aveva indetto una gara contra legem e indotto così i partecipanti a confidare nel fisiologico sviluppo della gara e dei suoi esiti finali. Ha riconosciuto il danno emergente costituito dalle spese inutilmente sostenute per la partecipazione alla gara, non essendo stato provato il danno da lucro cessante.
3. Ha proposto appello il sig. C.F., articolato in otto motivi di ricorso con i quali vengono riproposti i motivi di primo grado relativi alla qualificazione della concessione e alla responsabilità aquiliana dell’amministrazione.
4. Si è costituita in giudizio Roma Capitale concludendo per il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza di primo grado.
5. All’udienza straordinaria del 22 novembre 2022 la causa è stata trattenuta in decisione
6. Con l’appello il sig. C. ripropone i motivi di ricorso di primo grado con i quali assume che la concessione in oggetto si qualifica come concessione di servizio pubblico, e non come concessione di lavori disciplinata dall’art. 142 del codice dei contratti (di cui al d.lgs. n. 163 del 2006).
6.1. La realizzazione dei chioschi e degli altri manufatti sopra descritti avrebbe un rilievo del tutto accessorio e servente rispetto alla manutenzione del verde e ai servizi da rendere al pubblico. Da tale qualificazione discenderebbe l’inapplicabilità delle disposizioni del codice dei contratti pubblici del 2006 poste alla base dell’annullamento d’ufficio adottato da Roma Capitale. Anche la circostanza che i chioschi realizzati o ristrutturati saranno acquisiti al patrimonio comunale non costituirebbe un elemento decisivo per contraddire la natura di concessione di servizio pubblico locale. Nella fattispecie in esame, pertanto, troverebbe applicazione unicamente l’art. 30 del codice dei contratti del 2006, che esclude le concessioni di servizi dall’ambito del codice medesimo: sarebbe quindi inapplicabile l’art. 143, comma 5, sugli studi di fattibilità, così come la disciplina in tema di progettazione di opere pubbliche. Oggetto dell’affidamento non sarebbe stata, quindi, la progettazione e la realizzazione di un’opera pubblica ma l’affidamento di un servizio pubblico locale.
6.2. Quanto alla mancata verifica dei vincoli storici, ambientali e paesaggistici esistenti sull’area, l’appellante sostiene che questa si è svolta successivamente alla determina di aggiudicazione quando il Comune ha trasmesso alle competenti Soprintendenze per i beni archeologici e ai beni paesaggistici tutti i progetti per l’adozione dei pareri.
6.3. L’appellante deduce, inoltre, la violazione dell’art. 21-nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241, per non essere state indicare le specifiche ragioni di pubblico interesse sottese all’annullamento della procedura di gara e per essere stato superato il limite del termine ragionevole.
7. I motivi sono infondati.
7.1. L’appellante ripropone, in primo luogo, le questioni relative alla qualificazione della concessione oggetto della procedura in esame nei termini di una concessione di servizi pubblici.
Peraltro, come rilevato anche dal giudice di prime cure, tale qualificazione non determinerebbe comunque la non assoggettabilità della stessa alla disciplina del codice dei contratti pubblici, quantomeno nei limiti segnati dal comma 3 dell’art. 30 del d.lgs. n. 163 del 2006, applicabile ratione temporis, il quale dispone che la scelta del concessionario «deve avvenire nel rispetto dei principi desumibili dal Trattato e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità, previa gara informale a cui sono invitati almeno cinque concorrenti, se sussistono in tale numero soggetti qualificati in relazione all'oggetto della concessione, e con predeterminazione dei criteri selettivi». Pertanto, sebbene la normativa comunitaria (all’epoca della procedura in esame) avesse tendenzialmente escluso dal proprio ambito le concessioni di servizi, le stesse non si sottraevano al rispetto dei principi fondamentali del Trattato, tra i cui corollari rientrava anche quello della predeterminazione dei criteri selettivi. Strumento quest’ultimo indispensabile per assicurare il rispetto dei principi di trasparenza, non discriminazione, parità di trattamento, proporzionalità. Quindi, sia pure nell’ambito di una gara informale, le concessioni di servizi potevano essere affidate solo all’esito di una procedura caratterizzata dalla predeterminazione dei criteri selettivi (così Consiglio di Stato, sez. V, 2 ottobre 2014, n. 4913).
7.2. Nel caso di specie, l’amministrazione comunale non ha individuato con la necessaria compiutezza neppure l’oggetto dell’affidamento, rimettendo in sostanza agli stessi concorrenti la presentazione di progetti da loro stessi individuati, salvo per quanto atteneva ai servizi di manutenzione del verde, gli unici puntualmente individuati nel disciplinare allegato al bando di gara.
Inoltre, come correttamente statuito dal giudice di primo grado, quando i lavori siano strumentali a una concessione di servizi, e quindi diretti a realizzare opere pubbliche che «diventano di proprietà dell’amministrazione aggiudicatrice», il codice dei contratti deve trovare integrale applicazione, sia quando siano eseguiti dagli stessi concessionari, sia quando questi ultimi operino come stazione appaltante. Invero l’art. 32, comma 1, lett. f) del d.lgs. n. 163 del 2006 equipara i concessionari di servizi alle amministrazioni aggiudicatrici esentandoli dall’applicazione solo di alcune norme del codice degli appalti.
7.4. L’appellante ha inoltre rilevato che non fosse necessario approvare preventivamente uno studio di fattibilità.
L’argomento non può essere condiviso, dovendosi considerarsi che lo studio di fattibilità consiste in un elaborato con il quale vengono delineate le caratteristiche funzionali, tecniche, gestionali ed economiche dei lavori da realizzare e costituisce il primo stadio della programmazione di un’opera pubblica.
Deve ritenersi, inoltre, che costituisce un principio di carattere generale la predisposizione della progettazione preliminare da parte dell’amministrazione aggiudicatrice, poiché diversamente verrebbe attribuita al concessionario un’inammissibile discrezionalità nel definite i caratteri della prestazione, pregiudicando anche il conseguimento delle finalità di qualità, sostenibilità economica ed ambientale dell’intervento nonché il rispetto delle regole sulla qualificazione ed esecuzione dei lavori.
7.5. Come previsto dall’art. 14 del d.P.R. n. 207 del 2010, nello studio di fattibilità l’amministrazione è tenuta a descrivere e analizzare «ai fini della valutazione preventiva della sostenibilità ambientale e della compatibilità paesaggistica dell'intervento» i «requisiti dell'opera da progettare», e i «collegamenti con il contesto nel quale l'intervento si inserisce, con particolare riferimento alla verifica dei vincoli ambientali, storici, archeologici, paesaggistici interferenti sulle aree o sugli immobili interessati dall'intervento» nonché ad individuare «le misure idonee a salvaguardare la tutela ambientale e i valori culturali e paesaggistici».
Nel progetto preliminare debbono poi essere inseriti, accanto allo studio di prefattibilità ambientale, anche gli «studi necessari per un'adeguata conoscenza del contesto in cui è inserita l'opera, corredati da dati bibliografici, accertamenti ed indagini preliminari - quali quelle storiche archeologiche ambientali, topografiche, geologiche, idrologiche, idrauliche, geotecniche e sulle interferenze e relative relazioni ed elaborati grafici - atti a pervenire ad una completa caratterizzazione del territorio ed in particolare delle aree impegnate» (art. 17, comma 1, lett. d), del cit. d.P.R. n. 207 del 2010).
Come accennato, nella procedura in esame, la pubblica amministrazione non aveva predisposto né un progetto preliminare, in ordine alle strutture da realizzare e/o ristrutturare, né uno studio di fattibilità. Pertanto, come affermato dal giudice di prime cure, sebbene il bando faccia riferimento ad un progetto definitivo da presentare all’amministrazione, in realtà l’intera attività progettuale era stata delegata ai concorrenti rimettendo ad essi la scelta delle opere da realizzare.
7.6. Per quanto riguarda l’inquadramento storico – archeologico, ambientale e paesaggistico degli interventi, l’acquisizione postuma del parere da parte del MiBAC non costituisce una mera “inversione procedimentale”, essendo mancato l’indispensabile approfondimento tecnico propedeutico all’approvazione del progetto preliminare dell’opera.
8. Relativamente ai requisiti richiesti ai partecipanti alla gara non può essere accolto l’assunto di parte appellante secondo cui la qualificazione come “concessione di servizio pubblico” determinerebbe la possibilità di prevedere requisiti meno selettivi di quelli previsti dagli artt. 41 e 42 del d.lgs. n. 163 del 2006.
Come anticipato, anche nella concessione di servizi la scelta del concessionario (nel sistema disciplinato dal codice dei contratti del 2006) deve avvenire nel rispetto dei principi desumibili dal Trattato e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, con predeterminazione dei criteri selettivi. Nel caso di specie è agevole constatare come il bando non abbia previsto alcun requisito di esperienza e/o di qualificazione funzionale per la selezione del concessionario.
9. Analogamente il bando di gara risultava viziato a causa di parametri del tutto generici relativamente ai criteri selettivi. Risulta dunque violato il principio di predeterminazione dei criteri selettivi, ricavabile anche dai principi dell’art. 30 del d.lgs. n. 163 del 2006 come quelli da rispettare nella scelta del concessionario di una concessione di servizi. Invero, per costante giurisprudenza, le concessioni di servizi, sia pure nell’ambito di una gara informale, possono essere affidate solo all’esito di una procedura caratterizzata dalla predeterminazione dei criteri selettivi (cfr. Cons. Stato, Ad. pl, 30 gennaio 2014, n. 7; Cons. Stato, sez. V, 2 ottobre 2014, n. 4913).
10. Anche le censure relative all’esercizio del potere di autotutela sono infondate.
10.1. In primo luogo, va rilevato che l’art. 11, comma 9, del d.lgs. n. 163 del 2006 fa espressamente salvi i poteri di autotutela nei casi consentiti dalle norme vigenti. Pertanto neanche l’avvenuta adozione del provvedimento di aggiudicazione definitiva limita il potere di annullamento in autotutela. Risulta da consolidata giurisprudenza che l’amministrazione può procedere ad annullare in autotutela il bando, le singole operazioni di gara e lo stesso provvedimento di aggiudicazione, in presenza di vizi di legittimità degli atti della procedura e delle altre condizioni fissate dall’art. 21 nonies, ossia le ragioni di interesse pubblico, la comparazione di tale interesse con quello privato al mantenimento dell'efficacia dell'atto, e il rispetto del termine ragionevole (così definito nel testo dell’art. 21 nonies nel testo applicabile ratione temporis) per l’adozione del provvedimento di secondo grado (ex multis Cons. Stato, sez. VI, 18 luglio 2017, n. 3524).
10.2. Nel caso di specie l’interesse pubblico sotteso all’annullamento d’ufficio deriva proprio dalle carenze riscontrate negli atti di gara, che non consentivano di esplicare quali fossero i bisogni e gli interessi che l’amministrazione intendeva soddisfare mediante la gara. Non solo e non tanto, quindi, il ripristino della legalità violata ma, a monte, la difficoltà a intendere quali fossero gli obiettivi dell’amministrazione nell’affidare i servizi in questione e dunque la necessità di ripristinare le condizioni ottimali di funzionamento dei meccanismi concorrenziali.
10.3. Quanto al rispetto della prescrizione posta dall’art. 21–nonies della legge n. 241 del 1990 sul termine entro il quale deve intervenire l’annullamento d’ufficio, premesso che il nuovo termine di diciotto mesi (ora divenuto di dodici mesi) è applicabile solo per i provvedimenti adottati successivamente alla entrata in vigore della legge n. 124 del 2015 (avvenuta il 28 agosto 2015), data la natura innovativa (e non interpretativa) della disposizione (per tutte Cons. Stato, sez. VI, 9 marzo 2022, n. 1704), la valutazione va condotta alla stregua del canone di ragionevolezza, secondo il tenore letterale della versione immediatamente antecedente alle modifiche sopra richiamate («termine ragionevole») e dell’affidamento incolpevole del privato.
10.4. Nonostante il decorso di oltre tre anni dall’approvazione della graduatoria (determinazione dirigenziale del 5 maggio 2011), il concreto svolgimento del procedimento in esame non ha precluso all’amministrazione comunale l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio, ove si tenga conto – per un verso - che nel momento in cui è stato avviato il procedimento di autotutela la convenzione di concessione non era stata ancora stipulata; e, per altro verso, delle ulteriori vicende procedimentali relative alla (peraltro tardiva e quindi illegittima, come si è rilevato sopra) acquisizione dei pareri da parte delle Soprintendenze competenti (come ha sottolineato anche il primo giudice, la stessa definizione degli interventi era, sostanzialmente, ancora in fieri, per effetto delle prescrizioni progettuali e dei pareri richiesti alle Soprintendenze statali).
10.5. Per tali ragioni, oltre che per la mancata sottoscrizione del contratto di concessione, non si può ritenere che sia maturato in capo all’appellante un affidamento incolpevole.
11. L’appellante ha riproposto la domanda di risarcimento del danno da responsabilità aquiliana e, in via subordinata, per il caso di riconoscimento della sola responsabilità precontrattuale, ha chiesto che il danno sia liquidato tenendo conto anche del lucro cessante (esplicitamente negato dal primo giudice) potendo la prova di esso ritenersi fondata sull’id quod plerumque accidit.
11.1. I motivi sono infondati.
11.2. Con riferimento alla riproposta domanda di risarcimento del danno, l’accertata infondatezza dei plurimi vizi di legittimità dedotti dall’appellante avverso il provvedimento di annullamento d’ufficio comporta come conseguenza l’insussistenza dell’elemento costitutivo della fattispecie di responsabilità rappresentato dalla illegittima attività provvedimentale dell’amministrazione. Pertanto, sotto questo profilo va confermata la sentenza appellata.
11.3. La sentenza va condivisa anche nella parte in cui ha riconosciuto all’appellante la spettanza del danno da responsabilità precontrattuale, dovuta al coinvolgimento in una procedura che sin dall’origine era da considerarsi invalida per fatto imputabile all’amministrazione e che, per questo motivo, è stata annullata in autotutela da Roma Capitale. Come affermato nella sentenza, la «condotta colposa dell’amministrazione si è concretizzata sia nell’indizione di una gara “contra legem” sia nell’induzione dei partecipanti a confidare nel fisiologico sviluppo della gara e dei suoi esiti finali».
La responsabilità della pubblica amministrazione deriva dunque da un comportamento colposo tenuto nella fase delle trattative e nella fase precedente alla stipula del contratto che ha leso l’altrui libertà negoziale. Ricorre invero un caso di responsabilità precontrattuale pura, riconducibile al modello civilistico di cui all’art. 1337 c.c., qualora l’Amministrazione, con un proprio comportamento contrario a buona fede, leda il legittimo affidamento riposto dal privato nella conclusione del contratto, incidendo negativamente sul suo diritto all’autodeterminazione in ambito negoziale e, quindi, violando una posizione di diritto soggettivo. La configurabilità di tale fattispecie ricorre tipicamente laddove l’amministrazione incida con atto di autotutela su di una gara già culminata nell’atto di aggiudicazione e il privato aggiudicatario avanzi una richiesta risarcitoria che fa leva sulla scorrettezza della stazione appaltante.
In tal caso, peraltro, il risarcimento può riguardare il solo interesse negativo, rappresentato dalle spese sostenute per la partecipazione alla procedura e dai mancati profitti per i contratti che non siano stati stipulati a causa dell’impegno profuso nella partecipazione alla gara (in termini di recente cfr. Cons. Stato, V, 12 luglio 2021, n. 5274; 12 aprile 2021, n. 2938; 2 febbraio 2018, n. 680; in generale cfr. anche Ad. Plen., 4 maggio 2018, n. 5).
11.4. Come anticipato, per quanto attiene alla quantificazione del danno può essere riconosciuto unicamente quello relativo all’interesse negativo ed in particolare il solo danno emergente costituito dalle spese inutilmente sostenute per la partecipazione alla gara, non essendo stata fornita alcuna prova circa il lucro cessante. Il riconoscimento del lucro cessante, nel danno precontrattuale, non potendo fondarsi sulla mancata esecuzione del contratto o della concessione, è dimostrato esclusivamente mediante l’allegazione di proposte contrattuali sfumate a causa dell’impegno richiesto dalla partecipazione alla gara successivamente annullata. Anche sotto quest’ultimo profilo deve quindi rimanere ferma la statuizione del giudice di prime di cure e il danno risarcibile deve essere limitato al solo interesse negativo ravvisabile nelle spese inutilmente sopportate per partecipare alla gara.
12. In conclusione, l’appello va integralmente rigettato.
13. Le spese del grado di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Condanna l’appellante al pagamento in favore di Roma Capitale delle spese giudiziali per il presente grado di giudizio, liquidate in euro 4.000,00 (quattromila/00), oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 novembre 2022 con l'intervento dei magistrati:
Francesco Caringella, Presidente
Fabio Franconiero, Consigliere
Elena Quadri, Consigliere
Giorgio Manca, Consigliere, Estensore
Annamaria Fasano, Consigliere
L'ESTENSORE
Giorgio Manca
IL PRESIDENTE
Francesco Caringella
IL SEGRETARIO