In tema di contratti pubblici, il meccanismo della revisione dei prezzi non trova applicazione nella fattispecie di proroga “atecnica”.
È quanto stabilito dal Consiglio di Stato, sez. V, con la sentenza n. 5146 del 25 maggio 2023.
I giudici ricordano che la clausola di revisione periodica del prezzo prevista dall’art. 6, comma 4, Legge. n. 537 del 1993 (una disposizione che ha trovato seguito nell’art. 115 D.lgs. n. 163 del 2006, nell’art. 106, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 50 del 2016 e nell’art. 60 d.lgs. n. 36 del 2023), ha natura imperativa, inserendosi automaticamente nella disciplina del rapporto fra le parti anche con prevalenza sulla regolamentazione pattizia.
Lo scopo principale di questa disposizione è duplice:
La condizione necessaria per applicare questa disposizione è che si sia verificata una mera proroga, non un rinnovo del rapporto contrattuale. La proroga consiste esclusivamente nel posticipare la scadenza finale del rapporto, che rimane regolato dal documento originale. Il rinnovo, al contrario, deriva da una nuova negoziazione con la stessa parte, che può risultare in una conferma totale delle condizioni precedenti o nella modifica di alcune di esse se non più attuali.
I giudici di Palazzo Spada aggiungono che, nel vigente quadro normativo, è consentita solo la "proroga tecnica", l'unica ammessa in materia di contratti pubblici. Questa ha un carattere eccezionale e deve essere basata su ritardi oggettivi e insuperabili nella conclusione del nuovo appalto, non imputabili alla stazione appaltante.
Nel caso di specie è stata ritenuto che il regime di proroga adottato non fosse previsto né ammesso dalla normativa, sostanzialmente assimilabile a nuovo affidamento, per cui è stata esclusa la revisione dei prezzi.
Consiglio di Stato, sez. V, 25 maggio 2023, n. 5146
Pubblicato il 25/05/2023
N. 05146/2023REG.PROV.COLL.
N. 01787/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello numero di registro generale 1787 del 2018, proposto da
Diemme soc. coop. a r.l., in proprio e nella qualità di mandataria di Ati con La Decima soc. coop. a r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Daniele Vagnozzi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Giunio Bazzoni, 3;
contro
Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Biblioteca Nazionale Centrale, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 09531/2017, resa tra le parti
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo e della Biblioteca Nazionale Centrale, nonché l’appello incidentale dagli stessi proposto;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 27 aprile 2023 il Cons. Alberto Urso e preso atto delle richieste di passaggio in decisione depositate in atti dagli avvocati Vagnozzi e dello Stato Varrone;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. L’Ati capeggiata dalla Diemme soc. coop. a r.l. riceveva in affidamento dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo - Biblioteca Nazionale Centrale di Roma la prestazione del servizio di pulizia dei locali della stessa Biblioteca Nazionale per il periodo di due anni, dal 6 marzo 2006 al 5 marzo 2008, successivamente prorogato sino al 16 aprile 2012.
Con il ricorso di primo grado la Diemme lamentava che l’amministrazione affidante non le aveva mai riconosciuto né corrisposto, all’epoca dei rinnovi contrattuali, alcun importo a titolo di revisione del canone ex art. 115 d.lgs. 163 del 2006 (e già ex art. 6, comma 4, l. n. 537 del 1993 e art. 44 l. n. 724 del 1994), nonostante le diffide e i solleciti inviati dalla stessa Diemme, cui il Ministero non aveva risposto; per questo domandava il riconoscimento della suddetta revisione con corrispondente condanna di pagamento a carico dell’amministrazione.
Con successivi motivi aggiunti la Diemme impugnava la nota del 4 novembre 2015 con cui il Ministero, dopo avere in precedenza manifestato l’intenzione di avviare l’istruttoria revisionale, respingeva illegittimamente le richieste avanzate dalla stessa Diemme.
Deduceva al riguardo, in sintesi, l’erroneità dell’istruttoria svolta dal Ministero e della valutazione circa l’inesistenza del diritto invocato dalla Diemme; l’amministrazione aveva in specie negato la revisione sulla base di motivi inconferenti e di profili irrilevanti attinenti al regime della cd. “spending review”. Perciò la ricorrente domandava il riconoscimento dell’importo revisionale e la condanna dell’amministrazione alla relativa corresponsione, per un importo pari a € 123.166,23, o alla diversa somma da determinare in corso di giudizio.
2. Il Tribunale amministrativo adito, nella resistenza del Ministero e della Biblioteca Nazionale, dichiarava in parte improcedibile il ricorso, in relazione alla domanda avverso il silenzio, stante l’intervenuto provvedimento di rigetto del Ministero; nel merito, respingeva le domande della ricorrente in relazione al periodo di proroga “atecnica” del contratto, intercorso tra il 5 marzo 2010 e il 16 aprile 2012, mentre le accoglieva in relazione al periodo anteriore (i.e., dal 5 marzo 2007 al 5 marzo 2010) annullando il provvedimento di diniego e dichiarando il diritto della ricorrente alla revisione prezzi dal marzo 2007 al marzo 2010, con nuova istruttoria da compiere dalla stazione appaltante (prendendo a riferimento, per la stessa istruttoria, l’indice cd. “FOI”), oltre interessi di mora dal dovuto al soddisfo, ai sensi del decreto legislativo n. 231 del 2002.
3. Avverso la sentenza ha proposto appello la Diemme deducendo la violazione e falsa applicazione dell’art. 6 l. n. 537 del 1993, dell’art. 44 l. n. 724 del 1994 e dell’art. 115 d.lgs. n. 163 del 2006; erroneità, illogicità e contraddittorietà della motivazione; violazione e falsa applicazione dell’art. 23 l. n. 62 del 2005; violazione dei principi di affidamento e buona fede; violazione dell’art. 97 Cost.
4. Resistono al gravame il Ministero e la Biblioteca Nazionale, i quali interpongono a loro volta appello incidentale - cui la Diemme resiste - con cui invocano la violazione e falsa applicazione dell’art. 3 del contratto d’appalto che regolava il rapporto tra le parti, dell’art. 2 della lettera d’invito e degli art. 1334 e 1335 Cod. civ.
5. All’udienza pubblica del 27 aprile 2023 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Può prescindersi dall’esame delle eccezioni preliminari stante il rigetto nel merito di entrambi gli appelli.
2. Con l’unico motivo del gravame principale la Diemme si duole dell’errore che il giudice di primo grado avrebbe commesso nell’equiparare indebitamente le (distinte) fattispecie del rinnovo contrattuale e della proroga; nella specie non sarebbe intercorsa alcuna nuova pattuizione o negoziazione delle condizioni di contratto fra le parti, ma con le varie comunicazioni susseguitesi l’amministrazione si sarebbe limitata a deliberare la proroga del termine finale del contratto, specificando nell’ultima nota del 21 dicembre 2010 anche la necessità di attendere l’aggiudicazione della nuova gara.
Alla luce di ciò, erroneamente il giudice avrebbe negato il diritto alla revisione per il periodo successivo al marzo 2010, considerato che siffatta revisione spetta di per sé in caso di proroga, come nella specie disposta.
D’altra parte, le proroghe concesse dall’amministrazione sono ben da considerare, nella specie, quali proroghe tecniche e legittime, giammai equiparabili a rinnovi contrattuali, né la stessa Diemme avrebbe del resto potuto sottrarsi alle stesse.
In ogni caso, un’eventuale illegittimità di tali proroghe non potrebbe inficiare di per sé il diritto alla revisione prezzi.
In tale prospettiva, la sentenza sarebbe anche contraddittoria - nella misura in cui ammette essa stessa che in caso di cd. “proroga ponte” il contraente è tenuto all’esecuzione delle prestazioni contrattuali - e si porrebbe in contrasto coi principi di affidamento e buona fede, finendo per porre a carico dell’impresa le conseguenze economiche negative dell’illegittimità di atti di proroga che la Diemme non ha contribuito ad adottare o sollecitare.
L’erronea qualificazione in termini di “rinnovo” della proroga (tecnica) concessa alla Diemme fa sì poi che la sentenza abbia erroneamente richiamato l’art. 23 l. n. 62 del 2005, il quale non impedisce appunto le proroghe tecniche in attesa della nuova aggiudicazione; in ogni caso la disposizione non troverebbe applicazione nel caso di specie, considerato che il contratto scadeva nel 2008.
Del pari erronea sarebbe l’interpretazione per cui la legittimità del disposto differimento sarebbe subordinata alla preventiva indizione della gara: da un lato, infatti, le comunicazioni del 19 aprile 2010 e 21 dicembre 2010 riconducevano chiaramente la disposta proroga all’espletamento di una nuova procedura di gara; dall’altro nessuna disposizione normativa subordina la legittimità della proroga alla preventiva indizione della nuova gara.
D’altra parte, l’esigenza di disporre una proroga si può manifestare anche prima dell’indizione della nuova gara, né comunque l’appaltatore è tenuto a sapere se l’amministrazione abbia nel frattempo indetto detta gara, né in che grado di sviluppo la stessa si trovi.
2.1. Il motivo non è condivisibile.
2.1.1. Come pacifico fra le parti e posto in risalto dalla stessa sentenza, il bando di gara prevedeva espressamente all’art. II.3 una durata biennale dell’affidamento “rinnovabile per ulteriori due anni”; coerentemente, il contratto inter partes del 28 febbraio 2006 prevedeva all’art. 3 una durata “a decorrere dal 6 […] marzo 2006 con scadenza il 5 […] marzo 2008”, con possibilità di proroga “su richiesta scritta della Biblioteca”, da comunicare all’impresa almeno due mesi prima della scadenza del contratto.
È dunque corretta, e rilevante ai fini dell’apprezzamento della doglianza, l’affermazione della sentenza per cui la proroga era sì consentita dalla lex specialis e dal contratto, ma non oltre al 5 marzo 2010: qualunque ulteriore differimento della durata del rapporto contrattuale esorbitava dagli atti di gara e dalle stesse pattuizioni negoziali inter partes.
Nel caso di specie, come pure osservato dalla sentenza, l’affidamento è soggetto alla disciplina anteriore al decreto legislativo n. 163 del 2006, e in specie all’art. 6, comma 4, l. n. 537 del 1993, come sostituito dall’art. 44, comma 1, l. n. 724 del 1994.
Il suddetto art. 6, comma 4, prevedeva che «Tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa debbono recare una clausola di revisione periodica del prezzo. La revisione viene operata sulla base di una istruttoria condotta dai dirigenti responsabili della acquisizione di beni e servizi sulla base dei dati di cui al comma 6».
La disposizione, che ha trovato seguito nell’analoga previsione dell’art. 115 d.lgs. n. 163 del 2006 (cfr., oggi, il regime di cui all’art. 106, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 50 del 2016 e all’art. 60 d.lgs. n. 36 del 2023), ha per consolidata giurisprudenza natura imperativa, inserendosi automaticamente nella disciplina del rapporto fra le parti anche con prevalenza sulla regolamentazione pattizia (cfr. Cons. Stato, V, 17 luglio 2019, n. 5021; III, 9 maggio 2012, n. 2682; V, 22 dicembre 2014, n. 6275; recentemente, Id., V, 16 febbraio 2023, n. 1626); la stessa ha infatti il precipuo scopo, da un lato, di “tutelare l’interesse pubblico a che le prestazioni di beni o servizi da parte degli appaltatori delle amministrazioni pubbliche non subiscano col tempo una diminuzione qualitativa a causa degli aumenti dei prezzi dei fattori della produzione, incidenti sulla percentuale di utile considerata in sede di formulazione dell’offerta, con conseguente incapacità del fornitore di far fronte compiutamente alle stesse prestazioni” (Cons. Stato, V, 2 novembre 2009, n. 6709), dall’altro “di evitare che il corrispettivo del contratto di durata subisca aumenti incontrollati nel corso del tempo tali da sconvolgere il quadro finanziario sulla cui base è avvenuta la stipulazione del contratto” (Cons. Stato, III, 9 gennaio 2017, n. 25).
Presupposto per l’applicazione dell’istituto è che vi sia stata una mera proroga, e non un rinnovo del rapporto contrattuale, consistendo la prima “nel solo effetto del differimento del termine finale del rapporto, il quale rimane per il resto regolato dall’atto originario”, mentre il secondo scaturisce da “una nuova negoziazione con il medesimo soggetto, che può concludersi con l’integrale conferma delle precedenti condizioni o con la modifica di alcune di esse se non più attuali” (Cons. Stato, n. 5021 del 2019, cit.; Cons. Stato, n. 2682 del 2012, cit.; cfr. anche Cons. Stato, IV, 1 giugno 2010 n. 3474; Id., III, 23 marzo 2012 n. 1687; cfr. anche Id., III, 27 agosto 2018, n. 5059).
In tale contesto, a sua volta l’art. 6, comma 2, l. n. 537 del 1993 prevedeva che «È vietato il rinnovo tacito dei contratti delle pubbliche amministrazioni per la fornitura di beni e servizi, ivi compresi quelli affidati in concessione a soggetti iscritti in appositi albi. I contratti stipulati in violazione del predetto divieto sono nulli» (il precedente ultimo periodo della disposizione, in cui si prevedeva che «Entro tre mesi dalla scadenza dei contratti, le amministrazioni accertano la sussistenza di ragioni di convenienza e di pubblico interesse per la rinnovazione dei contratti medesimi e, ove verificata detta sussistenza, comunicano al contraente la volontà di procedere alla rinnovazione», è stato abrogato dall’art. 23, comma 1, l. n. 62 del 2005).
L’art. 23, comma 2, l. n. 62 del 2005 ha previsto al contempo che «I contratti per acquisti e forniture di beni e servizi, già scaduti o che vengano a scadere nei sei mesi successivi alla data di entrata in vigore della presente legge, possono essere prorogati per il tempo necessario alla stipula dei nuovi contratti a seguito di espletamento di gare ad evidenza pubblica a condizione che la proroga non superi comunque i sei mesi e che il bando di gara venga pubblicato entro e non oltre novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge».
Se ne ricava un regime complessivo, ispirato ai principi concorrenziali di matrice europea, per cui da un lato non è ammesso il rinnovo automatico dei contratti, dall’altro la loro proroga, in relazione alle fattispecie ricomprese nel perimetro dell’art. 23, comma 2, l. n. 62 del 2005, è ammessa «per il tempo necessario alla stipula dei nuovi contratti a seguito di espletamento di gare ad evidenza pubblica a condizione che la proroga non superi comunque i sei mesi e che il bando di gara venga pubblicato entro e non oltre novanta giorni dalla data di entrata in vigore della [detta] legge».
Al di fuori di questi casi non è dunque ammesso un differimento della durata del rapporto, né una sua rinnovazione automatica.
2.1.2. Facendo applicazione dei suesposti principi al caso di specie emerge la correttezza della valutazione espressa dal giudice di primo grado in ordine all’insussistenza nella specie dei presupposti per ammettere l’applicazione della revisione prezzi in relazione al periodo successivo al 5 marzo 2010.
Per quanto già osservato, infatti, non s’è in presenza nella specie di proroghe fondate sulle previsioni contrattuali: la lex specialis e il contratto fra le parti prevedevano infatti proroghe per il solo primo biennio successivo all’originaria scadenza contrattuale, non anche per i periodi successivi.
Né è possibile ricondurre la proroga nell’ambito dell’art. 23, comma 2, l. n. 62 del 2005, e cioè quale cd. “proroga ponte” nelle more dell’espletamento di nuova gara: è sufficiente osservare, a tal fine, come la prima proroga disposta dalla stazione appaltante, in data 19 febbraio 2010 (con effetto fino al 31 marzo 2010), non facesse alcun riferimento all’espletamento di nuove gare e dunque alla necessità di coprire il periodo di relativo svolgimento. Il che poneva la fattispecie di per sé al di fuori di un (legittimo e consentito) regime di proroga contrattuale, atteso che il disposto differimento del termine non aveva né base contrattuale e riconducibile alla lex specialis, né fondamento legale nell’istituto della “proroga ponte” o tecnica.
A tal fine, non giova peraltro all’appellante il richiamare i limiti applicativi previsti dal citato art. 23, comma 2 (i.e., contratti scaduti all’ingresso in vigore della legge o a scadere nei sei mesi successivi) atteso che si tratta appunto di limiti correlati all’applicabilità di una norma autorizzatoria, sicché la collocazione della fattispecie al di fuori del segmento temporale avrebbe l’effetto, semmai, di non consentire tout court la proroga, neppure alle condizioni previste dalla norma.
In tale contesto, una volta che la prima proroga disposta (anche se di poche settimane) è fuoriuscita dal novero delle fattispecie ammesse dalla legge, di per sé il regime di differimento della durata temporale del rapporto è venuto a porsi al di fuori di una (legittima) continuazione di quello originario, sicché non rileva il fatto che le successive proroghe menzionino l’espletamento di gare.
A ciò si aggiunga peraltro che, anche nelle successive proroghe, il richiamo a procedure ad evidenza pubblica è del tutto generico, né v’è evidenza di tali eventuali procedure (e peraltro le proroghe sono state complessivamente disposte per un termine ben superiore a quello semestrale previsto dalla norma dell’art. 23, comma 2, cit.), ciò in un contesto in cui invece la proroga tecnica ha natura eccezionale ed applicazione strettamente funzionalizzata alla conclusione della procedura (cfr. al riguardo, ad es., Cons. Stato, n. 1626 del 2023, cit., in cui si pone in risalto che “Come è noto, secondo la giurisprudenza prevalente, nel vigente quadro ordinamentale, è consentita solo la ‘proroga tecnica’, l’unica ammessa in materia di pubblici contratti, avente ‘carattere eccezionale’ (ex multis Cons. Stato, sez. III, 3 aprile 2017, n. 1521; Cons. Stato, sez. V, 17 gennaio 2018, n. 274), la quale deve essere fondata su ‘oggettivi e insuperabili ritardi nella conclusione della nuova gara non imputabili alla stazione appaltante’ (Cons. Stato, sez. V, 29 maggio 2019, n. 3588)”; Id., 29 maggio 2019, n. 3588, pur maturata sull’art. 106, comma 11, d.lgs. n. 50 del 2016; cfr. anche Id., 17 gennaio 2018, n. 274; III, 3 aprile 2017, n. 1521).
Alla luce di ciò, è da ritenere corretto l’apprezzamento del giudice di primo grado circa la non spettanza della revisione prezzi per il periodo posteriore al 5 marzo 2010: non può infatti ritenersi che un regime di proroga non previsto né ammesso dalla normativa, sostanzialmente assimilabile a nuovo affidamento (cfr. ancora, di recente, Cons. Stato, n. 1626 del 2023, cit.) - e cui dunque l’impresa avrebbe potuto legittimamente sottrarsi - possa legittimare una revisione prezzi, coincidendo piuttosto con una fattispecie di proroga “atecnica” illegittima (assimilabile, appunto, a nuovo affidamento, seppur a contenuto analogo), avvenuta con (inevitabile) assenso dell’impresa, cui non può conseguire anche la revisione dei prezzi, la quale presuppone piuttosto la vigenza di un legittimo e regolare rapporto fra le parti.
Per tali ragioni l’appello principale va respinto.
3. Con unico motivo di censura l’amministrazione, appellante incidentale, deduce che la revisione prezzi non sarebbe dovuta alla Diemme neanche in relazione al periodo ricompreso fra il 2008 e il 2010, per il quale la sentenza di primo grado l’ha riconosciuta, ciò in quanto la proroga sarebbe stata nella specie tardivamente esercitata dalla stazione appaltante, al di fuori del termine di preavviso previsto dal contratto.
Segnatamente, ai sensi dell’art. 3 del contratto l’appaltatrice avrebbe dovuto ricevere notizia della proroga almeno due mesi prima della scadenza del contratto (i.e., il 5 gennaio 2008), mentre la proroga è stata qui disposta il 28 febbraio 2008 e appresa dall’impresa solo il 9 aprile 2008.
In ogni caso, come anticipato, alla luce della tempistica sopra descritta, la stessa proroga fu disposta tardivamente dall’amministrazione, e cioè dopo il termine di scadenza del contratto, considerato che la deliberata proroga doveva essere condotta a conoscenza del destinatario non oltre la scadenza contrattuale, trattandosi appunto di atto recettizio ex art. 1334 Cod. civ.
3.1. Il motivo formulato non è condivisibile.
3.1.1. Occorre premettere che l’amministrazione non contesta che si sia in presenza nella specie di una proroga, né censura la corrispondente affermazione della sentenza in parte qua, ma indirizza specificamente le proprie censure ai rilievi suindicati, inerenti sostanzialmente alla tempistica nell’esercizio della proroga.
Il che non è tuttavia rilevante in termini ostativi alle conclusioni del giudice di primo grado, atteso che la delibera di proroga è stata adottata anteriormente alla scadenza del contratto (e ben vale quale “richiesta scritta”, ex art. 3 del contratto), mentre il termine di preavviso di due mesi afferiva evidentemente al rapporto inter partes, essendo posto essenzialmente nell’interesse della controparte, che poteva dunque ben rinunciarvi, come in specie sostanzialmente avvenuto.
Allo stesso modo, non vale il richiamare la nota del 9 aprile 2008, pervenuta alla Diemme successivamente all’intervenuta scadenza contrattuale, per affermare l’inefficacia della proroga: è sufficiente rilevare, a tal fine, come a fronte di una tempestiva adozione dell’atto di proroga e di una (non contestata) continuità del servizio, anche successivamente alla scadenza contrattuale, non rileva di per sé solo il dato della posteriorità della comunicazione formale della medesima proroga per affermarne il suo tardivo perfezionamento, ben potendo la relativa comunicazione essere aliunde avvenuta (anche in via non formale), non trovando altrimenti spiegazione la mancata riconsegna del servizio da parte dell’appaltatore che ha piuttosto proseguito continuativamente la sua prestazione.
Per tali motivi, anche l’appello incidentale va respinto.
4. In conclusione, per le suesposte ragioni vanno respinti tanto l’appello principale quanto l’appello incidentale.
4.1. Stante la reciproca soccombenza, va disposta l’integrale compensazione delle spese di lite fra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti, respinge l’appello principale e l’appello incidentale;
Compensa integralmente le spese fra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 aprile 2023 con l’intervento dei magistrati:
Diego Sabatino, Presidente
Stefano Fantini, Consigliere
Giovanni Grasso, Consigliere
Alberto Urso, Consigliere, Estensore
Gianluca Rovelli, Consigliere
L'ESTENSORE
Alberto Urso
IL PRESIDENTE
Diego Sabatino
IL SEGRETARIO