Se l’autore di un abuso edilizio non è il proprietario esclusivo del bene, è legittimato a richiedere un permesso in sanatoria?
Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 7158 del 21 luglio 2023, ha risposto negativamente, decidendo una controversia riguardante la richiesta di sanatoria presentata da un comproprietario di un fabbricato indiviso.
Per i giudici amministrativi, infatti, il soggetto legittimato alla richiesta del titolo abilitativo deve essere colui che ha la totale disponibilità del bene, non essendo sufficiente la proprietà di una sola sua parte o quota.
In caso di pluralità di proprietari del medesimo immobile, di conseguenza, la domanda di rilascio di titolo edilizio o sanatoria deve provenire congiuntamente da tutti i soggetti vantanti un diritto di proprietà sull’immobile.
Palazzo Spada aggiunge che il singolo comproprietario può essere legittimato alla presentazione della domanda solo ed esclusivamente nel caso in cui la situazione di fatto esistente sul bene consentisse di supporre l’esistenza di una sorta di cd. pactum fiduciae intercorrente tra i vari comproprietari.
Costituisce un’eccezione a tale regola il regime di comunione legale dei beni tra coniugi, con riferimento al quale la giurisprudenza ha ritenuto non trovi applicazione il principio del c.d. "consenso necessitato", anche allo scopo di salvaguardare il coniuge ignaro dell’abuso dalle conseguenze penali dello stesso.
Consiglio di Stato, sez. II, Sentenza n.7158 del 21/07/2023
Pubblicato il 21/07/2023
N. 07158/2023. REG.PROV.COLL.
N. 08341/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8341 del 2022, proposto dal signor P.B., rappresentato e difeso dagli avvocati Mario Caliendo e Paolo Cantile, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia,
contro
il Comune di Pozzilli, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Roberto Cicerone, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia,
nei confronti
dei signori B. e S.M., non costituiti in giudizio,
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise, 8 ottobre 2022, n. 322, resa tra le parti, avente ad oggetto un’ingiunzione a demolire e lo sgombero di immobile abusivo a fini di ripristino dello stato dei luoghi.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Pozzilli;
Visti tutti gli atti della causa;
Vista l’ordinanza del 30 novembre 2022, n. 5599;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 20 giugno 2023, in relazione alla quale entrambe le parti hanno presentato istanza di passaggio in decisione senza previa discussione orale, il Cons. Antonella Manzione;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. I signori B. sono comproprietari di un fabbricato ubicato nel Comune di Pozzilli, che il secondo ha conferito in un Fondo patrimoniale amministrato unitamente alla moglie, signora S.M.. Oggetto della controversia sono i lavori di modifica di destinazione d’uso di parte dello stesso, da “deposito” a “civile abitazione” realizzati dal primo sine titulo e denunciati dagli altri due. Ne è conseguita un’ordinanza di demolizione, n. 2 del 9 gennaio 2020, avente ad oggetto locali ubicati al piano terra e al piano soppalcato, analiticamente descritti nel verbale di sopralluogo del 15 novembre 2019, consolidatasi per mancata impugnazione. Il signor P.B. ha presentato a quel punto due istanze di sanatoria, una in data 10 aprile 2020 e la seconda in data 23 settembre 2020, entrambe respinte, rispettivamente con provvedimento del 27 maggio 2020, prot. n. 4773 e del 18 novembre 2020, prot. n. 10614. La reiterazione della domanda veniva motivata sulla base di un presunto errore di calcolo delle volumetrie assentite con il permesso di costruire n. 57 del 2 dicembre 2004, che, ove rettificato, avrebbe consentito il rispetto dei vigenti indici di fabbricabilità. Con successivo atto prot. 8789 del 10 giugno 2021, sia i due comproprietari che l’amministratrice del fondo venivano diffidati a comunicare al Comune di Pozzilli la data in cui l’immobile, adibito ad abitazione del signor P.B. e della sua famiglia dal 2007, sarebbe stato disponibile per l’esecuzione dei lavori di ripristino dello stato dei luoghi.
2. Il signor P.B. ha presentato ricorso al T.a.r. per il Molise per chiedere l’annullamento del diniego di sanatoria del 18 novembre 2020, integrato da motivi aggiunti avverso la diffida del 10 giugno 2021. Ha lamentato l’omessa valutazione, in dispregio dell’art. 10 bis della l. n. 241 del 1990, delle proprie osservazioni, che avrebbero dovuto comportare l’accoglimento della richiesta di sanatoria, riconoscendone peraltro la legittimazione attiva. Nessuna problematica di tal genere, infatti, gli sarebbe stata contrapposta in occasione della precedente istanza, pur essendo la seconda finalizzata ad un mero “aggiustamento” di cubature rispetto all’inserimento nelle stesse, da parte del Comune, di volumi tecnici, al contrario da considerare neutri (verande, porticati, scale interne e vani tecnici, appunto).
3. Il T.a.r. per il Molise, con la sentenza segnata in epigrafe, ha respinto il ricorso principale e dichiarato inammissibili per sopravvenuta carenza di interesse i motivi aggiunti. Sotto il primo profilo, ha infatti ritenuto che l’atto impugnato «evidenzia l’adozione, da parte del Comune di Pozzilli, di un iter logico, chiaramente scandito nei suoi passaggi argomentativi, che si è basato su premesse diverse, e incompatibili, rispetto a quelle che erano state esposte dal privato in sede procedimentale: iter che consente, quindi, di comprendere sotto ogni aspetto le ragioni della decisione comunale, anche sotto l’aspetto del tacito ripudio delle tesi che l’interessato aveva sottoposto all’Ente locale ». In base al principio della ragione più liquida, ha quindi scrutinato funditus la sola questione del mancato consenso del comproprietario, che escluderebbe la possibilità di rilascio del titolo anche in sanatoria. A fronte, peraltro, dell’opposizione manifestata dai controinteressati, il ricorrente non sarebbe riuscito, neppure in giudizio, ad addurre alcuna adeguata circostanza, anche sopravvenuta, atta a dimostrare la propria disponibilità esclusiva del fondo oggetto dell’istanza di permesso in sanatoria. Ciò in primo luogo in relazione alla “disponibilità di fatto”, atteso che gli elementi addotti provano tutt’al più l’esercizio, da parte sua, dei poteri e delle facoltà connessi al godimento della cosa comune ai sensi dell’art. 1102 c.c., i quali tipicamente spettano ai singoli comproprietari. Dalle risultanze documentali si desume, anzi, che ogni qualvolta abbia cercato di mutare la destinazione del fondo, è stato oggetto degli esposti e dell’opposizione degli altri aventi diritto. E le stesse conclusioni valgono anche per la pretesa “disponibilità di diritto” poiché non è stata documentata la presenza, tra i vari comproprietari, di alcun rapporto obbligatorio sulla cosa comune, atto a legittimare il ricorrente a disporne in modo così pieno ed esclusivo da poterne mutare la destinazione.
3.1. Quanto alla declaratoria di inammissibilità dei motivi aggiunti, essendo essi rivolti avverso il provvedimento n. 8789 del 10 giugno 2021 «con cui il Comune, accertata l’inottemperanza da parte del sig. P.B. dell’ordinanza di demolizione/ripristino n. 20/2020, ormai consolidatasi, lo ha invitato a liberare l’immobile per consentire il ripristino della sua originaria destinazione d’uso illecitamente immutata», la sopravvenuta carenza di interesse sarebbe evidente in quanto: «i) le nuove censure così introdotte hanno investito un provvedimento meramente conseguente ed esecutivo rispetto all’ordinanza demolitoria, e come tale privo di autonoma capacità lesiva; ii) il ricorrente, d’altra parte, si è limitato, in sede di motivi aggiunti, ad articolare le proprie doglianze indirizzandole verso l’ordinanza stessa, un atto ormai però consolidatosi e pertanto inoppugnabile».
4. L’appellante ha impugnato la sentenza di primo grado con ricorso depositato il 3 novembre 2022, deducendo:
i) error in iudicando e in procedendo, violazione e falsa applicazione dell’art. 97 della Costituzione, degli artt. 3 e 10 bis della l. n. 241 del 1990 e del d.P.R. n. 380 del 2001, difetto di motivazione, eccesso di potere per contraddittorietà e perplessità manifesta. Con provvedimento del 18 novembre 2020, il Comune di Pozzilli avrebbe respinto la richiesta di permesso di costruire in sanatoria presentata dall’appellante il 23 settembre 2020 facendo genericamente riferimento al preavviso di rigetto del 22 ottobre 2020, senza motivare sulla ritenuta infondatezza delle proprie osservazioni. Entrando nel merito delle stesse, sarebbe al contrario risultata palese la pretestuosità della richiesta di taluni documenti (relazioni ed elaborati sui punti di approvvigionamento delle acque e di smaltimento delle acque nere, nonché sul soddisfacimento delle condizioni prescritte dall’art. 125 del testo unico e sull’asservimento dei terreni alla realizzazione del fabbricato). Quanto al computo dei metri cubi, occorreva eliminare la cubatura di vani tecnici o aperti su due/tre lati, rettificando la volumetria residua fissata in soli mc. 28. Infine, la corretta lettura dell’art. 11 del T.u.e. avrebbe imposto di riconoscergli il diritto di richiedere la sanatoria, in quanto possessore dell’immobile, seppure non proprietario esclusivo;
ii) error in iudicando e in procedendo sempre in relazione alla l. n. 241 del 1990 e al d.P.R. n. 380 del 2001 sotto altro profilo, in quanto il Comune si sarebbe addentrato in una controversia a carattere civilistico, afferente i rapporti tra i due fratelli, ignorando la circostanza di fatto del possesso esclusivo da parte dell’appellante della porzione di fabbricato di cui è causa, tanto da essere stato destinatario dell’intimazione a demolire del gennaio 2020, a seguito della quale si era attivato per la sanatoria. Da qui la riproposizione dei motivi di ricorso di primo grado non esaminati dal T.a.r. per il Molise, riferiti (nuovamente, essendo questione già sviluppata nella doglianza precedente) alla richiesta integrazione istruttoria contenuta nel preavviso di diniego e in realtà del tutto ultronea, avendo già il Comune di Pozzilli nella sua disponibilità quanto preteso dalla parte;
iii) ha infine ricordato come i medesimi vizi si ripercuotano anche sull’ingiunzione a demolire e sull’intimazione di sgombero dei locali, così in qualche modo ipotizzando di dover (ri)qualificare il provvedimento del 10 giugno 2021.
5. Con l’ordinanza segnata in epigrafe, la domanda cautelare è stata accolta ai soli fini della celere trattazione nel merito, ex art. 55, comma 10, c.p.a.
6. Si è costituito in giudizio il Comune di Pozzilli con memoria in controdeduzione del 29 dicembre 2022, chiedendo la reiezione dell’appello. Ha innanzi tutto rilevato che l’ingiunzione a demolire, n. 2 del 2020, non è stata oggetto di impugnativa, che ha invece riguardato la successiva intimazione di sgombero, nonché evidenziato la estraneità di talune censure al perimetro attuale della controversia per come ormai delineato dal T.a.r., che ha già ricondotto il diniego di sanatoria a due esclusive motivazioni, ovvero il mancato rispetto degli indici di fabbricabilità per eccedenza di volumetria richiesta rispetto a quella residua e il mancato assenso del comproprietario.
7. In vista della discussione della causa sia l’appellante (14 maggio 2023) che l’Amministrazione intimata (29 maggio 2023) ribadivano le proprie rispettive posizioni con memorie.
8. All’esito della pubblica udienza del 20 giugno 2023, la causa veniva tratta in decisione.
DIRITTO
9. In via preliminare il Collegio non può esimersi dal rilevare l’eccessiva lunghezza dell’atto di appello, che palesa anche profili di inammissibilità, laddove ripropone, in particolare nella declinazione del secondo motivo di gravame, tutte le censure del ricorso di primo grado in maniera talmente acritica da non espungere neppure le questioni definitivamente risolte in senso favorevole prima ancora che dal T.a.r., dal contenuto letterale del provvedimento avversato. Il ricorso, dunque, si dilunga nuovamente sul contenuto del preavviso di diniego, pur avendo il primo giudice definitivamente chiarito «che il nucleo motivazionale di quest’ultimo [il rigetto della sanatoria, n.d.r.] risulta basato essenzialmente su due ragioni giustificatrici indipendenti tra loro, ciascuna delle quali risulta autonomamente sufficiente a sorreggere la legittimità dell’atto: i) la mancanza della volumetria sufficiente per il rilascio del permesso richiesto, la quale sarebbe stata erroneamente computata dal ricorrente nell’istanza; ii) la mancanza di assenso del comproprietario dell’immobile e degli amministratori del fondo patrimoniale in cui il terreno è ricompreso (cfr. in particolare la pag. 6 del provvedimento impugnato)».
9.1. Esso si pone pertanto in contrasto con il principio di chiarezza e sinteticità declinato dall’art. 3, comma 2, del c.p.a., successivamente rafforzato e rimodulato in chiave sanzionatoria con l’introduzione dell’art. 13 ter delle disposizioni di attuazione e dei conseguenti provvedimenti attuativi, che costituisce una regola giuridica ispirata alla leale collaborazione tra le parti, e non un mero auspicio, nel caso di specie del Giudice.
9.2. Pur non volendo dunque trarre conseguenze processuali dalla obiettiva ridondanza argomentativa, non può non rilevarsi come la stessa finisca per andare a discapito della chiarezza espositiva, sicché se ne rende necessaria una sorta di reductio ad unum, focalizzando l’attenzione una sola volta sul principio di diritto sotteso ad ogni singola argomentazione, seppure reiteratamente riproposto, a prescindere dunque dalla sistematica seguita dalla parte.
10. L’appellante lamenta in primo luogo la mancata valutazione delle osservazioni presentate all’esito dell’inoltro del preavviso di diniego ex art. 10 bis della l. n. 241 del 1990.
10.1. Va al riguardo ricordato come in linea generale l’istituto del preavviso di diniego costituisce un importante momento di interlocuzione tra p.a. e cittadino, ulteriore e successivo a quello della fase istruttoria vera e propria, connotata dalle forme tipiche della partecipazione. Esso, cioè, finisce per accordare una sorta di seconda chance al privato per ottenere l’accoglimento della propria istanza, mediante un momento di confronto più pregnante e potenzialmente più utile perché si colloca in uno stadio avanzato del processo di “costruzione” della decisione amministrativa, quando cioè la determinazione è orientata negativamente e si rende necessario interagire non ai soli fini della raccolta del materiale ancora carente, ma rispetto al contenuto dispositivo dell’atto da adottare. Si è anche detto che trattasi di un istituto che implica un’utilità reciproca per le parti in causa: per il privato, che può saggiare in sede procedimentale un ultimo tentativo per convincere l’amministrazione all’accoglimento della propria istanza (ovvero, in senso diametralmente opposto, comprenderne e assimilarne le ragioni, rimodulando le proprie richieste e comunque desistendo da reazioni impugnatorie, con evidente effetto deflattivo del contenzioso); per l’amministrazione, che può svolgere al meglio la propria “missione” di addivenire a decisioni quanto più ponderate e meditate possibili, anche sul piano della condivisione col destinatario.
10.2. A quindici anni dalla sua introduzione, l’istituto è stato rafforzato dal c.d. decreto semplificazioni (d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla l. 11 settembre 2020, n. 120, segnatamente art. 12). Tra i profili emendati, per quanto qui di interesse va ricordato proprio l’ampliamento della portata della motivazione del provvedimento finale rispetto alle osservazioni presentate dal privato, cui fa da contraltare la sancita inapplicabilità della sanatoria processuale ex art. 21-octies della medesima l. n. 241/1990. La norma riformata dispone dunque che, in presenza di osservazioni presentate dal privato ex art. 10-bis, il responsabile del procedimento o l’autorità competente «sono tenuti a dare ragione nella motivazione del provvedimento finale di diniego», statuizione che evidentemente ribadisce e rafforza la doverosità della valutazione da parte della p.a. dell’apporto dei privati e del riscontro nella motivazione del provvedimento, con l’avvertenza, aggiunta dalla riforma, che in sede motivazionale l’autorità può intervenire «indicando, se ve ne sono, i soli motivi ostativi ulteriori che sono conseguenza delle osservazioni». L’amministrazione, dunque, da un lato deve prendere puntuale posizione rispetto alle osservazioni avanzate dai privati, dall’altro non può discostarsi dai motivi ostativi esternati con la comunicazione ex art. 10 bis, aggiungendone di nuovi solo a valere come risposta alle osservazioni del privato.
10.3. Le modifiche introdotte dalla novella inducono sicuramente ad una riflessione sull’orientamento della giurisprudenza che ha sempre inteso legittimare la p.a. a svolgere, in sede di adozione del provvedimento e del suo compendio motivazionale, una valutazione complessiva delle osservazioni del privato e a precisare ulteriormente le proprie posizioni giuridiche, con il limite della riconducibilità di queste ulteriori argomentazioni nello «schema» delineato dalla comunicazione ex art. 10 bis.
11. Il Collegio ritiene tuttavia che pur accedendo ad una lettura più rigorosa dell’istituto, essa non si spinga fino alla imposta necessità di controdedurre analiticamente su ogni singola argomentazione, purché l’impostazione del provvedimento argomenti chiaramente in senso reiettivo delle osservazioni del privato e non si limiti a mere formule di stile nel senso dell’avvenuta analisi delle stesse. Quanto detto a maggior ragione ove ridette osservazioni non introducano davvero alcun elemento di novità, ma si concretizzino nella mera ripetizione delle ragioni poste a base della domanda, in contrapposizione al non condiviso prospettato esito negativo. In tale ipotesi, dunque, il richiamo alla mancanza di novità nel contenuto delle osservazioni, già intrinsecamente confutate dal percorso motivazionale seguito, riassume correttamente in sé la loro avvenuta disamina e può essere smentito solo dalla evidenza di elementi, anche singoli, che seppure messi in luce dal privato, sono stati del tutto pretermessi dall’Amministrazione.
12. Nel caso in esame, dunque, è documentato per tabulas che il Comune ha tenuto in massimo conto le deduzioni/integrazioni della parte, giusta l’avvenuta eliminazione dalle motivazioni del provvedimento finale di tutte le carenze, anche documentali, di cui era stata contestata la sussistenza. Oltre a ciò, il provvedimento appare chiaro nel senso di non accedere alla prospettazione di parte, sulla base di un assunto ricostruttivo dichiaratamente e motivatamente opposto rispetto alle premesse esposte dal privato in sede procedimentale.
12.1. Rileva inoltre il Collegio come quanto detto assuma una maggiore pregnanza ove si tenga conto della natura sostanziale di provvedimento di secondo livello di quello impugnato -in verità non evidenziata da nessuna delle parti- conseguendo esso non ad una vera e propria richiesta di accertamento di conformità di un (nuovo) abuso, ma alla reiterazione della precedente, alla quale si imputa di avere assunto a base di calcolo delle volumetrie residue un dato erroneamente individuato nel titolo edilizio del 2004 (da qui, la minimizzata portata contenutistica della richiesta in termini di mero “aggiustamento di cubature”, da intendere sulla carta, e non quale tipologia dell’opera da sanare). Il rigetto della domanda contiene in sé la confutazione della tesi del richiedente, sul punto esplicitata nelle premesse alla relazione tecnica, indi ribadita nelle osservazioni: «le volumetrie che si intendono scomputare dal nuovo calcolo presentato, e precisamente quelle indicate con le lettere “S2”, “S7”, “S8” e “S9”, risultano, contrariamente a quanto riportato dal tecnico incaricato, correttamente calcolate come residenziali con indice di fabbricabilità pari a mc. 0,03/mq. nel permesso di costruire n. 57/2004». Non si vede in quale ulteriore argomentazione esplicativa avrebbe dovuto profondersi il Comune di Pozzilli a supporto del proprio iter motivazionale.
12.2. Quanto alla legittimazione attiva ad avanzare la richiesta, ferme restando le considerazioni di merito di cui nel prosieguo, il Comune non ha potuto che dare atto delle contrapposte posizioni manifestate dalle parti, entrambe destinatarie del preavviso di diniego del 22 ottobre 2020: a fronte, dunque, delle richiamate memorie del P.B., ha doverosamente ricordato anche la nota di riscontro a firma del legale dei coniugi B.-M., che ribadiscono la propria volontà di ottemperare all’ordinanza ingiunzione a demolire n. 2 del 2020, così rafforzando anche la contrarietà alla richiesta regolarizzazione dell’attuale stato di fatto, quand’anche possibile.
13. Le medesime questioni oggetto delle osservazioni avanzate nel corso del procedimento, integrano il contenuto degli ulteriori motivi di appello.
14. Sostiene l’appellante che la sua posizione di possessore del fabbricato, utilizzato a scopo abitativo, nonché di autore dell’abuso edilizio che ora chiede di sanare, ne radicherebbe la legittimazione attiva, malgrado il parere contrario del comproprietario, che deve rimanere relegato in un ambito esclusivamente civilistico.
15. Il Collegio ritiene opportuno innanzi tutto sgombrare il campo dalla possibile interferenza sulla vicenda dell’avvenuto conferimento del bene in un Fondo patrimoniale da parte del comproprietario, che ne conserva l’amministrazione unitamente alla moglie. Tale operazione incide esclusivamente sul coinvolgimento processuale anche dell’altra amministratrice, quale soggetto necessariamente interessato a mantenere lo status quo cristallizzato nell’atto, ma non introduce alcun elemento aggiuntivo rispetto alla questione degli effetti del dissenso del comproprietario sulla possibilità di rilascio, e quindi sulla legittimità, di un titolo edilizio riferito al bene comune. Il Fondo patrimoniale, infatti, costituisce, come noto, l’istituto giuridico mediante il quale entrambi i coniugi, uno solo o un terzo, vincolano determinati beni destinandoli al soddisfacimento dei bisogni familiari, introdotto in luogo del “patrimonio familiare” dopo la riforma del diritto di famiglia del 1975 e caratterizzato, tra l’altro, dalla possibilità di amministrazione congiunta da parte di entrambi.
16. Nucleo essenziale della controversia è, dunque, l’esatta lettura da dare al combinato disposto tra l’art. 11, recante le «Caratteristiche del permesso di costruire» e l’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, laddove individua i soggetti legittimati a richiedere la c.d. sanatoria ordinaria o accertamento di conformità. La prima di tali norme, infatti, al comma 1, stabilisce che «il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell’immobile o a chi abbia titolo per richiederlo»; l’altra finisce per individuare “chi abbia titolo” nel «responsabile dell’abuso» oltre che nell’ «attuale proprietario dell’immobile», con ciò volendo evidentemente abbracciare sia la posizione dell’autore dell’illecito non proprietario, sia quella del subentrante nella titolarità dell’immobile, per tale ragione presumibilmente incolpevole, ma interessato a difendere il valore del proprio bene anche in forza della sua regolarizzazione.
16.1. In giurisprudenza è pacifico che, nell’ottica della ricercata conformità degli interventi edilizi alla disciplina urbanistica, nell’esclusivo interesse pubblico ad una programmata e disciplinata trasformazione del territorio, l’impulso ad effettuare tale trasformazione debba provenire da un soggetto, che si trovi in posizione di detenzione qualificata del bene, anche nell’ambito di un rapporto di locazione (cfr., tra le molte, Cons. Stato, sez. VI, 26 gennaio 2015 n. 316).
16.2. La relativamente maggiore ampiezza della legittimazione a richiedere la sanatoria, rispetto a quanto dettato per il preventivo permesso di costruire, trova d’altra parte giustificazione nella possibilità da accordare al predetto responsabile, coincidente con l’esecutore materiale delle opere abusive, di fruizione di uno strumento giudiziario utile ad evitare le conseguenze penali dell’illecito commesso, ferma restando la salvezza dei diritti di terzi (cfr., ancora sulla sussistenza della legittimazione a presentare la domanda di sanatoria in capo all’autore dell’abuso, Cons. Stato, sez. IV, 8 settembre 2015, n. 4176).
16.3. D’altro canto, l’intero procedimento sanzionatorio in materia edilizia sconta la necessità di coinvolgere tanto il proprietario quanto l’autore dell’abuso, che l’art. 31 del medesimo T.u.e. appaia quali soggetti destinatari dell’ingiunzione a demolire, salvo precisare poi (comma 3) che la titolarità dell’obbligo demolitorio e di ripristino grava esclusivamente in capo al primo. La ricostruzione non è aliena da conseguenze, se si considera che laddove venga per errore omessa la notifica dell’ingiunzione a demolire al proprietario del bene, l’atto resta pur sempre efficace, salvo per quanto attiene alla decorrenza nei suoi confronti del termine previsto dalla legge per l’ottemperanza volontaria, finalizzata a scongiurare l’acquisizione al patrimonio del Comune (cfr. al riguardo Cons. Stato, sez. II, 20 gennaio 2023, n. 714).
17. Quanto detto non può non valere nell’ipotesi, di cui è causa, in cui l’autore dell’abuso non è il proprietario esclusivo del bene, vuoi che l’intervento abbia ad oggetto parti comuni di un condominio, vuoi che si tratti di un fabbricato indiviso, come nel caso di specie.
18. In linea di massima, la giurisprudenza, adattando i principi di cui sopra alle situazioni lato sensu di contitolarità, ha da tempo affermato che il soggetto legittimato alla richiesta del titolo abilitativo deve essere colui che ha la totale disponibilità del bene, non essendo sufficiente la proprietà di una sola sua parte o quota. Il comproprietario, quindi, non può essere legittimato, per l’evidente ragione che diversamente opinando il suo contegno autonomo finirebbe per pregiudicare i diritti e gli interessi qualificati dei soggetti con cui condivide la posizione giuridica sul bene oggetto di provvedimento. In caso di pluralità di proprietari del medesimo immobile, di conseguenza, la domanda di rilascio di titolo edilizio - sia esso o meno titolo in sanatoria di interventi già realizzati – dovrebbe dunque provenire congiuntamente da tutti i soggetti vantanti un diritto di proprietà sull’immobile, potendosi ritenere d’altra parte legittimato alla presentazione della domanda il singolo comproprietario solo ed esclusivamente nel caso in cui la situazione di fatto esistente sul bene consenta di supporre l’esistenza di una sorta di cd. pactum fiduciae intercorrente tra i vari comproprietari (cfr., Consiglio di Stato, sez. IV, 7 settembre 2016, n. 3823). Sul punto, anche la Sezione ha affermato in maniera inequivoca che «deve ritenersi illegittimo il titolo abilitativo rilasciato in base alla richiesta di un solo comproprietario, dovendo l’Amministrazione verificare la sussistenza, in capo al richiedente stesso, di un titolo idoneo di godimento sull’immobile ed accertare, altresì, la legittimazione soggettiva di quest’ultimo, la quale presuppone il consenso, anche tacito, dell’altro proprietario in regime di comunione» (Cons. Stato, sez. II, 12 marzo 2020, n. 1766. Costituisce un’eccezione il regime di comunione legale dei beni tra coniugi, con riferimento al quale la giurisprudenza ha ritenuto non trovi applicazione il principio del c.d. consenso necessitato, anche allo scopo di salvaguardare il coniuge ignaro dell’abuso dalle conseguenze penali dello stesso).
19. Il Collegio tuttavia non ignora le diverse conclusioni cui sembrerebbero giungere più recenti arresti della giustizia amministrativa, alla stregua dei quali l’amministrazione è «[…] tenuta a rilasciare il titolo abilitativo edilizio avendo esclusivo riguardo alla compatibilità urbanistica dell’opera richiesta – il che non implica affatto che essa non sia lesiva di diritti soggettivi altrui – lasciando ogni questione afferente a diritti soggettivi alla sua unica sede competente, che è il giudizio civile». Ciò in quanto non le compete di valutare, neanche incidentalmente, «se l’opera integri un’alterazione della destinazione della cosa comune (di cui un singolo comunista voglia servirsi in modo esclusivo); né se tale utilizzo sia compatibile con l’uso paritario altrui; né, infine, se l’opera sia o meno lesiva del decoro architettonico dell’edificio (ciò potendo evidentemente spettare, ma solo nei congrui casi, all’amministrazione dei beni culturali […]» (C.G.A.R.S., 5 giugno 2023, n. 392).
19.1. Su tale base, dalla supposta violazione dell’art.1102 del c.c., invocata dal primo giudice per inferirne l’unica forma di “disponibilità” esclusiva del fondo in via di fatto da parte del ricorrente, il cui accertamento appartiene alla cognizione del Giudice ordinario, non può conseguire l’illegittimità dell’opera, con emissione dell’ordinanza di demolizione e, a seguire, quella di acquisizione.
20. Il Collegio ritiene che tali assunti necessitino di alcune precisazioni. E’ del tutto evidente, infatti, che l’abusività di un’opera non può essere in alcun modo ricondotta all’assenso o dissenso degli altri comproprietari, dovendo dipendere esclusivamente dal rispetto delle regole sulla edificabilità dei suoli e di buon governo del territorio. I diritti dei comproprietari, infatti, ivi inclusi quelli connessi all’eventuale travalicamento dei limiti imposti a ogni comunista dall’art. 1102 cod. civ., non sono giammai pregiudicati dal rilascio del titolo edilizio (che, come detto, è sempre legittimamente rilasciato, senza neanche bisogno di esplicitazione, con salvezza dei diritti dei terzi). Al che consegue quale immediato corollario che i diritti dei terzi sono tutelabili (esclusivamente) mediante azioni civili innanzi al Giudice ordinario.
20.1. Ciò vale quanto dire, tuttavia, che la legittimità dell’intervento edilizio che “ciascun partecipante” alla comunione chieda alla p.a. di essere autorizzato a eseguire in forza della norma che gli consente di «servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto» (come testualmente recita l’articolo 1102 del codice civile), deve essere valutata dall’amministrazione competente ad autorizzarlo solo per i profili amministrativi senza riguardo ai profili civilistici e ai connessi limiti posti dalla norma, in quanto entrambi azionabili (dai titolari della specifica facultas agendi) soltanto davanti al giudice civile. Le decisioni del quale, tuttavia, operano (e dunque si eseguono) su piani diversi (in primo luogo, quello che facoltizza, ma non obbliga, all’esercizio dell’esecuzione forzata degli obblighi di fare o non fare) e per nulla interferenti con le valutazioni amministrative di competenza comunale. Pertanto, è ex se viziato l’esercizio del potere amministrativo come mero “braccio esecutivo” delle sentenze del giudice civile.
21. Tale affermazione, pur condivisibile in punto di diritto, vada conciliata proprio con l’esatta accezione da attribuire alla previsione della clausola di salvaguardia dei diritti dei terzi. Essa, cioè, se per regola esime l’Amministrazione procedente da qualsivoglia approfondimento circa l’effettiva titolarità della pienezza del proprio diritto proprietario, sicché l’emergenza di future problematiche in tal senso non incidono sulla legittimità dell’atto adottato, non consente di prescinderne laddove la carenza di legittimazione piena emerga per tabulas e non richieda né indagini suppletive, né, men che meno, prese di posizione a favore dell’una o dell’altra tesi di parte. Il comproprietario, infatti, diviene “terzo” solo nel momento in cui se ne è ignorata la presenza, laddove configura una sorta di litisconsorte necessario in caso di oggettiva conoscenza della contitolarità di un bene e del contrasto tra aventi diritto, a maggior ragione ove espresso, come nel caso di specie, sotto forma di denuncio dell’abuso dell’uno a carico dell’altro. In tali ipotesi, cioè, si ritiene che l’Ente abbia il dovere di compiere quel minimo di indagini necessarie per verificare se le contestazioni sono fondate sul piano quanto meno della legittimità formale e denegare il rilascio del titolo se il richiedente non sia in grado di fornire elementi seri a fondamento dell’esclusività, in fatto o in diritto, della sua posizione (in termini, Cons. Stato, sez. IV, 23 dicembre 2019, n. 6394; id., 14 gennaio 2019, n. 310; sez. V, 8 novembre 2011, n. 5894; sez. VI, 24 luglio 2020, n. 4745).
22. Ritiene il Collegio che, specularmente con la maggior ampiezza della possibilità di richiesta, quanto detto debba valere a maggior ragione nel caso essa si riferisca ad un titolo di legittimazione postumo. Il contraltare, cioè, della più ampia possibilità di accedere ad una potenziale causa estintiva di reato, non può che essere la valorizzazione del potere di “sbarramento” da parte del comproprietario, diversamente costretto a subire non solo un cambiamento dello stato dei luoghi realizzato (illegittimamente) a sua insaputa, ma pure il suo consolidarsi, a tutela (anche) della incensuratezza di controparte. La prevista notifica dell’ingiunzione a demolire anche al proprietario, infatti, ne salvaguarda la scelta di adesione volontaria al precetto, anche in disaccordo con la diversa opzione del responsabile dell’abuso, che casualmente sia anche lui (com)proprietario.
22.1. Al contrario, l’impossibilità di interferire nel rapporto che quest’ultimo instaura autonomamente con la P.a. finirebbe per lederne gravemente le garanzie partecipative a un procedimento di cui è parte necessaria, vanificando tutte le indicazioni a tutela che il legislatore ha viceversa inteso fornire, allo scopo di preservarlo dalla sanzione più grave della perdita del bene (v. ancora sul punto Cons. Stato, sez. II, n. 714/2023, cit. sub § 16.3).
23. Afferma dunque il T.a.r. per il Molise: «D’altra parte, a fronte dell’opposizione manifestata dai controinteressati, il ricorrente non è riuscito neppure in giudizio ad addurre alcuna adeguata circostanza, neppure sopravvenuta, atta a dimostrare la propria disponibilità esclusiva del fondo oggetto dell’istanza di permesso in sanatoria. Tanto vale innanzitutto per la “disponibilità di fatto” del fondo, atteso che gli elementi addotti hanno consentito di dimostrare al più l’esercizio, da parte sua, dei poteri e delle facoltà connessi al godimento della cosa comune ai sensi dell’art. 1102 cod.civ., i quali tipicamente spettano ai singoli comproprietari. Né l’interessato ha mai documentato alcun atto volto a disconoscere la condizione di contitolarità del fondo in esame (cfr. quanto riportato nella precedente istanza di permesso in sanatoria negata), oppure allegato un adeguato evento idoneo a mutare il titolo del suo possesso. Dalle risultanze disponibili si desume, anzi, che il ricorrente, le quante volte ha cercato di mutare la destinazione del fondo, è stato oggetto delle iniziative di esposto e di opposizione degli altri aventi diritto. E le stesse conclusioni valgono anche per la pretesa “disponibilità di diritto” del fondo, poiché non è stata documentata la presenza, tra i vari comproprietari, di alcun rapporto obbligatorio sulla cosa comune, atto a legittimare il ricorrente a disporne in modo così pieno ed esclusivo da poterne mutare la destinazione».
23.1. Sul punto, l’appellante non ha introdotto alcun elemento aggiuntivo, limitandosi ad insistere sulla propria titolarità esclusiva in via di fatto del bene, evidentemente individuata nell’avere realizzato l’abuso al preciso scopo di occupare in via esclusiva l’immobile. Aspetto questo, come meglio precisato nel prosieguo, effettivamente estraneo alle competenze del Comune di Pozzilli, tanto più che la demolizione spontanea dell’abuso, senza aggravi di costi per lo stesso, costituisce la via fisiologica per scongiurare la futura acquisizione, per addivenire alla quale compete in effetti al comproprietario avvalersi di tutto lo strumentario messo a disposizione dal diritto processuale civile a salvaguardia dei propri interessi (al contrario, non vi è traccia in atti dell’esito all’attualità del procedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c. funzionale proprio alla riacquisizione della disponibilità del bene).
24. Quanto detto sarebbe sufficiente, secondo il principio della ragione più liquida, invocato anche dal T.a.r. per il Molise, a respingere l’appello.
25. Il Collegio ritiene tuttavia di valutare anche l’ulteriore motivo di gravame riferito all’errato computo della volumetria residua disponibile, ritenendolo inammissibile per genericità, oltre che infondato.
Secondo l’appellante, non sarebbero stati idonei a produrre metratura le porzioni dei locali identificati come “S2”, “S7”, “S8” e “S9”, in quanto riferiti a balconi o porticati (mc.196,73), ovvero a vani scala interni (mc. 110,03), con conseguente recupero di cubatura residua di mc. 331,48, ampiamente sufficiente rispetto ai mc. 128,40 oggetto della sanatoria.
25.1. Occorre premettere che l’indice di fabbricabilità va ricavato dalla disciplina dettata dal vigente Programma di Fabbricazione del Comune di Pozzilli, che per le aree “E1-agricola”, quale quella in cui ricade il fabbricato in contestazione, lo fissa in mc. 0,03 mc., almeno in relazione all’uso residenziale, qui di interesse. L’estensione del lotto sulla cui base calcolare le potenziali cubature (mc. 1895,07) è stato portato a mq. 63.169 mediante asservimento a quello originario, pari a mq. 12.300, di un’ulteriore fetta di terreno di mq. 50.869. La realizzazione dell’immobile è avvenuta in accordo tra i proprietari, a seguito di concessione edilizia n. 6 del 6 febbraio 1995, oggetto di variante n. 57 del 2 dicembre 2004, riferita a sua volta ad un cambio di destinazione d’uso di locali da “servizi agricoli” a “civile abitazione”. Il presunto errore di calcolo, dunque, sarebbe da ascrivere a tale atto, ormai definitivamente cristallizzato nella sua configurazione e consistenza (ivi compreso, si presume, l’entità degli oneri accessori), giusta la risalenza nel tempo e, a maggior ragione, l’istruttoria ai sensi della disciplina urbanistica vigente e interpretata alla luce dei principi utilizzabili ratione temporis. Peraltro, su tale situazione si è “stratificato” un condono, rilasciato in data 24 ottobre 2006 ai sensi della l. n. 326 del 2003, per sua natura riferibile solo a situazioni regolari o regolarizzate in via definitiva.
26. L’appellante, dunque, pretenderebbe di scardinare, ora per allora, facendone oggetto di una seconda domanda di sanatoria, il computo dell’indice di fabbricabilità, individuando un certo numero di strutture (balconi e simili) da scomputare, senza peraltro darsi cura di indicare nominatim la disposizione in forza della quale ridetto stralcio sarebbe dovuto avvenire, in quanto frutto di un “grossolano” errore, evidentemente non “colto” all’atto dell’inoltro della prima domanda di sanatoria. La sedicente richiesta di nuova sanatoria, infatti, altro non è che la richiesta di rettifica di tale errore, mediante una sorta di autotutela dei contenuti del permesso di costruire n. 57 del 2004, «in riferimento al calcolo del volume ancora disponibile e da “sfruttare” per la parte residenziale» (così testualmente nella premessa dell’elaborato tecnico a corredo del progetto di sanatoria). Rettifica della quale il Comune di Pozzilli non ha inteso condividere le ragioni, ritenendo piuttosto «le volumetrie che si intendono scomputare dal nuovo calcolo presentato […] contrariamente a quanto riportato dal tecnico incaricato, correttamente calcolate con indice di fabbricabilità pari a mc.0,03/mq. nel permesso di costruire n. 57/2004».
27. Quanto detto consente di prescindere da un più approfondito scrutinio dell’incidenza delle c.d. superfici accessorie (SA) di cui al punto 15 dell’allegato A al Regolamento edilizio tipo, approvato in sede di Conferenza unificata e recepito nel d.P.C.M. 20 ottobre 2016, attuativo dell’art. 1, comma 1 sexies, del d.P.R. n. 380 del 2001, per come recepito nella Regione Molise con delibera n. 92 del 25 marzo 2019, sul calcolo degli indici di fabbricabilità negli strumenti urbanistici. E’ sufficiente qui ricordare soltanto che il riferimento, quale dichiarata possibile esemplificazione dei vani che possono concorrere a determinarla, anche ai «portici e le gallerie pedonali» e ai « ballatoi, le logge, i balconi e le terrazze», non implica affatto l’automatico scomputo di tali elementi costruttivi, prescindendo peraltro dalla (previgente e nel caso di specie salvaguardata) disciplina urbanistica locale, che ad esempio all’art. 7 del Regolamento edilizio comunale esclude dal calcolo del volume realizzabile solo quello dei porticati destinati ad uso collettivo. Situazione sicuramente non rispondente a quella in contestazione.
28. Con riferimento, infine, all’ordinanza del 10 giugno 2021, oggetto dei motivi aggiunti al ricorso di primo grado, le uniche censure mosse alla sentenza di primo grado attengono al ritenuto riverbero sul provvedimento dei medesimi vizi che affliggerebbero il diniego di sanatoria. Al rigetto delle relative censure non può che conseguire la conferma della declaratoria di inammissibilità dei motivi aggiunti avverso la stessa, qualificata dal primo giudice come conseguenza necessitata del consolidarsi della situazione abusiva.
28.1. Ai soli fini dell’effetto conformativo della sentenza, tuttavia, il Collegio non può esimersi dal rilevare la assoluta atipicità del provvedimento de quo, del quale la parte neppure sembra cogliere l’esatta portata (v. pag. 8 dell’atto di appello, parte in fatto, che riporta il dubbio -testualmente: «mi pare…o sbaglio?» - dell’estensore circa la sua riconducibilità ad un accertamento dell’inottemperanza all’ordine di demolizione). In verità il provvedimento in oggetto, contrariamente a quanto affermato anche dal primo giudice, non pare costituire né un’intimazione a demolire (ammesso ne sia necessaria la reiterazione, giusta la preesistenza di quella del 9 gennaio 2020, mai sospesa), né un accertamento di inottemperanza alla stessa: il relativo contenuto, privo peraltro di conseguenze sul piano sanzionatorio, pare concretizzarsi piuttosto in un’intimazione di sfratto, funzionale ad un (minacciato) ripristino dello stato dei luoghi da eseguire ex officio. Il che tuttavia sembrerebbe fare emergere proprio la mancanza di un (previo) accertamento formale di inottemperanza, notificato anche al comproprietario onde valutarne le azioni messe in campo per addivenire alla demolizione spontanea, senza aggravi di costi per l’erario, che non deve sostituirsi (qui sì) ai privati nella risoluzione delle loro diatribe civilistiche.
29. Per tutto quanto sopra detto, l’appello va respinto.
29.1. La complessità della vicenda giustifica la compensazione delle spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese del grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 giugno 2023 con l’intervento dei magistrati:
Giovanni Sabbato, Presidente FF
Antonella Manzione, Consigliere, Estensore
Francesco Guarracino, Consigliere
Maria Stella Boscarino, Consigliere
Francesco Cocomile, Consigliere
L'ESTENSORE
Antonella Manzione
IL PRESIDENTE
Giovanni Sabbato
IL SEGRETARIO