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Permesso di costruire: parziale difformità o variazione essenziale?

Consiglio di Stato, Sentenza n.10380 del 24/12/2024

Quali sono i confini tra parziale difformità e variazioni essenziali nell'ambito di un abuso edilizio?

Sulla questione è tornato il Consiglio di Stato con la sentenza n. 10380 del 24 dicembre 2024.

La distinzione è rilevante poiché soltanto nel caso di parziale difformità è possibile ottenere la fiscalizzazione in alternativa alla demolizione dell'opera.

La vicenda

Il caso di specie, riguardava un immobile in cui il proprietario aveva ottenuto un permesso di costruire per il recupero abitativo del sottotetto e per la realizzazione di un vano ascensore. Tuttavia, erano state realizzate anche opere non autorizzate, tra cui un ampliamento verso il lato est e un locale tecnico in elevazione. Il Comune aveva imposto la demolizione di queste opere, ritenendole non sanabili attraverso la fiscalizzazione, mentre il proprietario, invece, sosteneva che si trattasse di una parziale difformità e che la demolizione avrebbe causato un grave pregiudizio statico alla parte legittima dell’immobile.

La normativa

L’art. 34 del Testo Unico dell’Edilizia disciplina gli interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire, consentendo in tali casi l’applicazione di una sanzione pecuniaria in alternativa alla demolizione. Al contrario, l’art. 31 si applica agli interventi eseguiti in assenza di titolo o in variazione essenziale rispetto a esso. Una variazione essenziale si configura quando gli interventi determinano modificazioni significative alla struttura e alla sagoma del manufatto, come nel caso di un ampliamento che altera le dimensioni e la funzionalità dell’edificio.

La distinzione fra parziale difformità e variazione essenziale

Nel caso in esame, il Consiglio di Stato ha ritenuto che l’ampliamento e il locale tecnico in elevazione non costituissero una parziale difformità, bensì una variazione essenziale. Infatti, tali opere avevano modificato in modo significativo la struttura e la sagoma dell’immobile, rientrando quindi nell’ambito dell’art. 31. Il Comune aveva correttamente negato l’applicazione della sanzione pecuniaria, poiché le opere abusive non erano riconducibili a una semplice difformità dal permesso di costruire. Inoltre, la perizia presentata dal proprietario non dimostrava in modo convincente che la demolizione avrebbe causato un pregiudizio alla parte legittima dell’immobile.

Conclusioni

Il Consiglio di Stato ha confermato la decisione del Comune e del TAR Campania, rigettando l’appello del proprietario. La sentenza ribadisce che, in caso di variazioni essenziali, non è possibile applicare la sanzione pecuniaria prevista dall’art. 34, ma è necessaria la demolizione delle opere abusive. Questo caso chiarisce ulteriormente i confini tra parziale difformità e variazione essenziale, sottolineando l’importanza di rispettare i limiti del permesso di costruire per evitare interventi edilizi non autorizzati.

Permesso di costruire, parziale difformità, variazione essenziale, differenza

L’art. 34 del testo unico dell’edilizia riguarda gli interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire, mentre ampliamento e nuovo locale in elevazione ricadono nell’ambito di applicazione dell’art. 31, quali opere eseguite in assenza di titolo o comunque in variazione essenziale rispetto a esso. Una variazione essenziale si configura infatti ove vi siano interventi edilizi tali da determinare modificazioni significative alla struttura e alla sagoma del manufatto assentito, come per esempio avviene mediante un ampliamento che, pur senza creare un organismo edilizio nuovo ed incompatibile col progetto assentito e con la sua essenza, ne altera la struttura e le dimensioni, comportandone la dilatazione strutturale, funzionale e spaziale.

* In tale senso anche Cons. Stato, sez. VI, 4 giugno 2018, n. 3371.

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Pubblicato il 24/12/2024

N. 10380/2024REG.PROV.COLL.

N. 02230/2024 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2230 del 2024, proposto da Vincenzo Pelo, rappresentato e difeso dall’avvocata Maria Mauri, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Angri, rappresentato e difeso dall’avvocato Rosaria Violante, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sezione staccata di Salerno, 28 agosto 2023, n. 1937, resa tra le parti.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Angri;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 novembre 2024 il consigliere Alessandro Enrico Basilico e uditi per le parti gli avvocati Luigi Canale, per delega dell’avvocata Maria Mauri, e Rosaria Violante;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. L’appellante impugna la sentenza che ha respinto il ricorso contro il diniego della fiscalizzazione in alternativa alla demolizione, ai sensi dell’art. 34 del Testo unico dell’edilizia approvato con d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, in relazione a opere realizzate in un immobile di proprietà.

2. I fatti di causa rilevanti, quali emergono dalle affermazioni delle parti non specificamente contestate e comunque dagli atti e documenti del giudizio, possono essere sinteticamente ricostruiti nei termini seguenti.

2.1. Con istanza del 15 luglio 2013, prot. 23479, poi integrata il 28 marzo 2014 con nota prot. 9484, l’appellante ha chiesto il rilascio di un permesso di costruire, in parte in sanatoria per il recupero abitativo del sottotetto, in parte per il futuro ampliamento del fabbricato e la realizzazione di un vano ascensore.

2.2. Il Comune di Angri ha autorizzato i lavori con permesso di costruire n. 3383 dell’11 dicembre 2015 (prot. 37182), ponendo quale condizione speciale «che, prima dell’inizio dei lavori, vengano demolite le opere in difformità»: il riferimento è a un corpo in elevazione, una tettoia e un corpo verandato (p. 3 della memoria dell’Ente; nella perizia prodotta dall’appellante, p. 2, queste opere sono così descritte: «oltre alla copertura in lamiera grecata al piano terra, vi è un ampliamento verso il lato est dell’unità immobiliare del piano sottotetto, oltre ad un locale tecnico soprastante il vano scala in piano sottotetto con annessa rampa scale in cemento armato in prosecuzione della scala esistente»).

2.3. Con istanza del 20 marzo 2018, l’interessato ha chiesto l’applicazione dell’art. 34, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001 per l’irrogazione di una sanzione pecuniaria in luogo della demolizione dell’ampliamento verso il lato est e del locale tecnico in elevazione con annessa rampa di scale, sostenendo, anche con il conforto di una perizia di parte, che diversamente si sarebbe determinato un grave pregiudizio statico per le parti conformi.

2.4. Con provvedimento del 18 settembre 2018 il Comune ha respinto la richiesta, osservando che: «trattandosi di opere eseguite in assenza di titolo abilitativo non risulta applicabile l’art. 34 del D.P.R. n. 380/01 previsto per gli interventi eseguiti in parziale difformità da permesso di costruire; in subordine, non risulta, per quanto agli atti, dimostrata la non demolibilità delle opere abusive, realizzate successivamente alla edificazione del fabbricato, senza pregiudizio della parte legittima».

3. Il proprietario ha impugnato il diniego dinanzi al T.a.r. della Campania, sezione staccata di Salerno, deducendo, quale primo motivo di ricorso, un presunto vizio d’incompetenza e, come seconda censura, la violazione dell’art. 34, comma 2, del T.u. dell’edilizia, che sarebbe stato applicabile, a differenza di quanto sostenuto dall’Amministrazione.

4. Con sentenza 28 agosto 2023, n. 1937, il Tribunale ha respinto l’impugnativa, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

5. L’interessato ha proposto appello contro la sentenza, chiedendo la concessione di misure cautelari.

5.1. Con ordinanza 10 aprile 2024, n. 1293, è stata sospesa l’esecutività della sentenza impugnata e di conseguenza l’efficacia esecutiva del provvedimento comunale impugnato in primo grado.

5.2. In seguito si è costituito il Comune di Angri, resistendo al gravame.

5.3. All’udienza pubblica del 19 novembre 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.

6. L’appello si fonda su un unico motivo, con cui si deduce: «VIOLAZIONE ART. 34 DPR N. 380/2001. CARENZA DI ISTRUTTORIA. CARENZA ED ILLOGICITÀ DELLA MOTIVAZIONE. ILLOGICITÀ. ECCESSO DI IPOTECA».

In particolare, l’interessato contesta la valutazione del primo giudice sul secondo motivo del ricorso di primo grado, ribadendo che la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità e che sul punto la motivazione del provvedimento censurato è carente.

7. Il gravame è infondato.

7.1. Sotto un primo profilo, è condivisibile la tesi del Comune secondo cui l’art. 34 del T.u. dell’edilizia riguarda gli interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire, mentre ampliamento e nuovo locale in elevazione ricadono piuttosto nell’ambito di applicazione dell’art. 31, quali opere eseguite in assenza di titolo o comunque in variazione essenziale rispetto a esso (a tal proposito, come chiarito, tra l’altro, da Cons. Stato, sez. VI, 4 giugno 2018, n. 3371, una variazione essenziale «si configura ove vi siano interventi edilizi tali da determinare modificazioni significative alla struttura ed alla sagoma del manufatto altrimenti assentito» come per esempio avviene mediante «un ampliamento che, pur senza creare un organismo edilizio nuovo ed incompatibile col progetto assentito e con la sua essenza, ne altera la struttura e le dimensioni sì da apparire la dilatazione strutturale, funzionale e spaziale di quanto che invece sarebbe dovuto essere nella realtà»).

7.2. Sotto un secondo profilo, la perizia di parte afferma che «gli ampliamenti illegittimi realizzati presentano strutture portanti intelaiate in conglomerato cementizio armato che risultano connesse e concatenate in modo inscindibile alla struttura dell’esistente fabbricato»: tale circostanza, che di per sé rappresenta il portato della tecnica costruttiva adoperata, non è sufficiente a dimostrare che la loro demolizione cagionerebbe un pregiudizio per la parte legittima, circostanza di cui è lecito dubitare dato che le opere abusive sono state aggiunte a un fabbricato già esistente e di per sé da esse autonomo, e la stessa relazione non specifica i danni che l’immobile principale potrebbe subire per effetto della loro demolizione.

8. L’appello è dunque meritevole di rigetto.

9. Secondo la regola generale della soccombenza, dalla quale non vi è ragione di discostarsi nel caso di specie, l’appellante deve essere condannato al pagamento delle spese processuali del grado in favore del Comune di Angri, nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione II, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge; condanna l’appellante al pagamento, in favore del Comune di Angri, delle spese di lite del grado, liquidate in euro 4.000 (quattromila/00), oltre oneri e accessori come per legge (15% spese generali, i.v.a. e c.p.a.).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 novembre 2024 con l’intervento dei magistrati:

Francesco Frigida, Presidente FF

Carmelina Addesso, Consigliere

Alessandro Enrico Basilico, Consigliere, Estensore

Stefano Filippini, Consigliere

Francesco Cocomile, Consigliere

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