In caso di ingiunzione di demolizione grava sul proprietario l’onere di dimostrare che la costruzione è antecedente alla legge Ponte del 1967.
Lo ha ribadito il Consiglio di Stato con la sentenza n. 1310 del 9 febbraio 2024.
I giudici amministrativi ricordano che i provvedimenti repressivi degli abusi edilizi - quale l'ordine di demolizione - sono provvedimenti tipizzati e vincolati, che presuppongono un mero accertamento tecnico sulla consistenza delle opere realizzate e sul carattere abusivo delle medesime.
Di conseguenza per la loro adozione non è necessario:
Nel caso di specie, i proprietari degli immobili ritenuti abusivi avevano contestato l'ingiunzione per mancanza di motivazione, argomentando che l'amministrazione avrebbe dovuto considerare l'interesse pubblico alla demolizione degli abusi storici e il loro affidamento sulla legittimità delle costruzioni, date le circostanze e la loro ignoranza delle irregolarità al momento dell'acquisto. Hanno anche affermato di aver già provato, durante il processo di primo grado, che l'immobile era stato costruito prima del 1967, rendendo gli appartamenti completamente regolari sotto ogni aspetto legale.
I giudici di Palazzo Spada hanno respinto il ricorso ricordando che:
I provvedimenti repressivi degli abusi edilizi - quale l'ordine di demolizione - sono provvedimenti tipizzati e vincolati, che presuppongono un mero accertamento tecnico sulla consistenza delle opere realizzate e sul carattere abusivo delle medesime, con la conseguenza che per la loro adozione non è necessario l'invio della comunicazione di avvio del procedimento, non essendovi spazio per momenti partecipativi del destinatario dell'atto e non essendo richiesta una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né, ancora, alcuna motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non potendo neppure ammettersi l'esistenza di un affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare.
Consiglio di Stato, Sezione VII, Sentenza n. 1310 del 09/02/2024
Pubblicato il 09/02/2024
N. 01310/2024REG.PROV.COLL.
N. 08862/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Settima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale -OMISSIS-, proposto da -OMISSIS-, rappresentati e difesi dall'avvocato Mario Saporito, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Paolo Colosimo in Roma, viale Pairoli, 77
contro
Città di Petilia Policastro, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Stefano Vona, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Calabria (Sezione seconda) n. -OMISSIS-
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della Città di Petilia Policastro;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;
Relatore all'udienza straordinaria del giorno 15 dicembre 2023 il consigliere Ofelia Fratamico e udito per la parte appellata l’avvocato Stefano Vona;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue
FATTO e DIRITTO
1. L’oggetto del presente giudizio è costituito dall’ordinanza n. -OMISSIS-, con cui il Comune di Petilia Policastro (KR) ha ingiunto la demolizione di tutte le opere abusive realizzate sull’immobile sito sul territorio comunale tra via -OMISSIS-
2. I numerosi proprietari delle abitazioni ricomprese nello stabile, destinatari dell’ingiunzione, hanno impugnato dinanzi al T.a.r. per la Calabria, la suddetta ordinanza e, con due ulteriori ricorsi, anche quelle analoghe concernenti diverse parti del medesimo immobile lamentando, in particolare:
- violazione dell’art. 21 septies della l. n. 241 del 1990, in relazione agli artt. 1346 e 1418 c.c., nullità dell’atto per mancanza dell’elemento essenziale: impossibilità giuridica dell’oggetto del comando, eccesso di potere e difetto di istruttoria;
- violazione dell’art. 21 nonies della L. 241 del 1990, in relazione alla mancata tutela del principio di affidamento legittimo, nonché violazione dell’art. 3 l.n. 241 del 1990: violazione dell’obbligo di motivazione, eccesso di potere per carenza di istruttoria e carenza di motivazione sotto altro aspetto.
3. Il Ta.r. per la Calabria, con la sentenza n. -OMISSIS-, ha riunito i ricorsi e li ha rigettati, compensando tra le parti le spese.
4. Gli originari ricorrenti hanno, quindi, chiesto al Consiglio di Stato di riformare tale pronuncia, riproponendo con l’appello i motivi già formulati in primo grado e deducendo:
- l’erroneità della sentenza del T.a.r. per omessa adeguata considerazione dell’impossibilità di dare esecuzione all’ordine di demolizione per l’esistenza di un sequestro penale sull’immobile;
- l’inesigibilità di una collaborazione forzata da parte loro alla demolizione;
- il difetto di motivazione del provvedimento;
- la violazione del loro legittimo affidamento sulla piena legittimità degli appartamenti, da loro acquistati in tempi remoti, da sempre regolarmente assoggettati ai tributi e muniti di tutti gli allacci.
5. Si è costituito in giudizio il Comune di Petilia Policastro, chiedendo il rigetto dell’appello, in quanto infondato.
6. All’udienza pubblica straordinaria del 15 dicembre 2023 la causa è stata, infine, trattenuta in decisione.
7. Con il primo motivo gli appellanti hanno riproposto dinanzi a questo Consiglio le doglianze già formulate in primo grado circa la pretesa impossibilità per l’Amministrazione di ingiungere validamente la demolizione di un immobile abusivo sottoposto a sequestro. Al riguardo gli originari ricorrenti hanno, in particolare, evidenziato, da un lato, il fatto che il sequestro li avesse privati della disponibilità materiale e giuridica del bene, rendendo l’ordine di demolizione ineseguibile, dall’altro, che non si potesse pretendere da parte loro una collaborazione “coatta” all’esecuzione del provvedimento.
8. Tale censura, come già puntualmente evidenziato dal T.a.r., è infondata e, contrastando con un orientamento ormai consolidato della giurisprudenza amministrativa, deve essere respinta.
9. La sottoposizione a sequestro penale preventivo di una costruzione abusiva da parte della competente autorità giudiziaria non esime, in verità, il destinatario dell'ingiunzione demolitoria dall'ottemperanza alla stessa, ben potendo essere richiesto in sede penale il dissequestro del bene al solo fine di provvedere alla demolizione, così da evitare il provvedimento di acquisizione, non rientrando il sequestro tra gli impedimenti assoluti che non consentono di dare esecuzione all'ingiunzione. In questi casi costituisce onere del responsabile dell'abuso motivatamente domandare all'autorità giudiziaria il dissequestro dell'immobile, secondo la procedura prevista dall' art. 85, disp. att. c.p.p. (in materia di restituzione delle cose sequestrate con imposizione di prescrizioni), al fine di ottemperare all'ingiunzione a demolire, ponendo in essere una condotta attiva che rientra nella ordinaria diligenza e non assume carattere di eccezionalità né di inesigibilità. (cfr. Consiglio di Stato Sez. VI, 20 giugno 2023, n. 6031; Consiglio di Stato Sez. VII, 20 febbraio 2023, n.1721).
10. Il suddetto onere era, del resto, espressamente previsto nell’ordinanza impugnata in primo grado, nella quale il Responsabile urbanistica dell’ente locale avvisava espressamente del fatto che nel caso in cui le opere fossero state sottoposte a sequestro, i termini prescritti per la demolizione sarebbero decorsi dal dissequestro che avrebbe dovuto essere, dai destinatari dell’ordinanza, richiesto tempestivamente all’Autorità competente, con contestuale informazione al Comune. Con riguardo alla fattispecie in esame, per completezza, può precisarsi inoltre che gli immobili in questione, sottoposti a sequestro da parte dell’Autorità Giudiziaria, sono stati dissequestrati per effetto della pronuncia della Corte di Cassazione del 18 giugno 2018, e come tali ben avrebbero potuto essere demoliti.
11. Con il secondo motivo di appello gli originari ricorrenti hanno, poi, riproposto la censura di difetto di motivazione dell’ingiunzione impugnata, nella quale, a loro dire, nell’illustrare le ragioni alla base del provvedimento, l’Amministrazione avrebbe dovuto dare specificamente conto dell’attualità dell’interesse pubblico alla demolizione degli abusi, assai risalenti, e dell’affidamento in essi ingenerato circa la legittimità delle opere, visto il tempo trascorso dalla realizzazione e la loro condizione di acquirenti incolpevoli. I medesimi appellanti hanno, inoltre, sostenuto di aver dimostrato già nel corso del giudizio di primo grado l’anteriorità della realizzazione dell’immobile al 1967 e, perciò, la completa regolarità degli appartamenti in esso ricavati, da sempre assoggettati ai tributi previsti dalla legge e muniti di tutti gli allacci.
12. In verità, neppure tali doglianze possono essere condivise poiché, come affermato dall’A.P. n. 9 del 2017 e come ribadito anche di recente da questo Consiglio, “i provvedimenti repressivi degli abusi edilizi - quale l'ordine di demolizione - sono provvedimenti tipizzati e vincolati, che presuppongono un mero accertamento tecnico sulla consistenza delle opere realizzate e sul carattere abusivo delle medesime, con la conseguenza che per la loro adozione non è necessario l'invio della comunicazione di avvio del procedimento, non essendovi spazio per momenti partecipativi del destinatario dell'atto e non essendo richiesta una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né, ancora, alcuna motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non potendo neppure ammettersi l'esistenza di un affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare.” (Consiglio di Stato, Sez. VII, 29 marzo 2023, n. 3279; Sez. VI, 12 maggio 2023 m. 4794; Sez. II, 1° giugno 2023 n. 5416).
13. Deve anche aggiungersi che le sanzioni urbanistiche ed edilizie hanno natura reale, ossia attengono alla cosa e non hanno carattere personale. L'ordinanza di demolizione è, infatti, rivolta a sanzionare una situazione di fatto oggettivamente antigiuridica e può essere rivolta a chiunque si trovi ad essere proprietario dell'immobile al momento dell'emanazione del provvedimento, pur se estraneo all'illecito, per cui, pur restando ferma la possibilità di dimostrare l'estraneità rispetto all'abuso e di rivalersi nei riguardi del dante causa, le misure repressive per l'attività edilizia abusiva sono legittimamente irrogate nei confronti degli attuali proprietari degli immobili diversi dal soggetto che ha realizzato l'abuso stesso, salva la loro facoltà di agire nei confronti dei danti causa (cfr. Consiglio di Stato Sez. VI, 26 febbraio 2021 n. 1648).
14. In base agli atti e ai documenti di causa gli originari ricorrenti non sono, poi, riusciti a dimostrare, anche attraverso elementi meramente “indizianti”, la circostanza per cui il fabbricato condominiale, per l’epoca in cui era stato costruito, non necessitasse di titolo abilitativo, mentre per giurisprudenza costante, grava sul proprietario assoggettato a ingiunzione di demolizione l'onere di provare il carattere risalente del manufatto di cui è ordinata la demolizione ad epoca anteriore alla c.d. l. “ponte” n. 761 del 1967, con la quale venne esteso l'obbligo di previa licenza edilizia alle costruzioni realizzate al di fuori del perimetro del centro urbano. Tale onere incombe sul privato a ciò interessato in applicazione del principio di vicinanza della prova, poiché egli è l’“unico soggetto a essere nella disponibilità di documenti e di elementi di prova, in grado di dimostrare con ragionevole certezza l'epoca di realizzazione del manufatto” (Consiglio di Stato, Sez. VI, 27 gennaio 2022 n. 570)
15. In conclusione, l’appello, integralmente infondato, deve essere, dunque, come anticipato, rigettato.
16. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo, con distrazione in favore del difensore del Comune di Petilia Policastro dichiaratosi antistatario.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione settima), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Condanna i ricorrenti, in solido tra loro, alla rifusione in favore del Comune delle spese di lite, liquidate in € 3000,00 oltre accessori di legge, con distrazione in favore dell’avv. Stefano Vona, dichiaratosi antistatario.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 dicembre 2023 con l'intervento dei magistrati:
L'ESTENSORE
Ofelia Fratamico
IL PRESIDENTE
Claudio Contessa
IL SEGRETARIO