La Pubblica Amministrazione può essere ritenuta responsabile per comportamento scorretto nella fase precontrattuale?
Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 7574 del 13 settembre 2024, ha chiarito che la violazione dei doveri di buona fede e correttezza da parte della PA nella fase precontrattuale può dar luogo a responsabilità risarcitoria.
Secondo i giudici amministrativi, il principio di buona fede e tutela dell'affidamento impone all'amministrazione, anche nello svolgimento dell'attività autoritativa, di rispettare le norme generali di lealtà e correttezza. Questo significa che la responsabilità precontrattuale della PA prescinde dalla legittimità del provvedimento finale, essendo fondata sul comportamento tenuto durante le trattative.
Nel caso di specie, una società aveva partecipato a una gara d'appalto e ne era risultata aggiudicataria nel 2008. Tuttavia, la stipula del contratto è stata ritardata di ben otto anni, a causa di ritardi attribuiti al Comune coinvolto. Quando finalmente la PA ha richiesto la stipula, la società aveva perso alcuni requisiti tecnici necessari, ma aveva proposto di sopperire tramite avvalimento. La PA ha rifiutato questa soluzione e ha proceduto con la revoca dell'aggiudicazione.
Il Consiglio di Stato ha ritenuto che la PA abbia violato i doveri di buona fede e correttezza, poiché un ritardo così prolungato ha direttamente causato alla società la perdita dei requisiti. Inoltre, ha sottolineato che la responsabilità precontrattuale è legata al comportamento e non alla legittimità del provvedimento. Pertanto, la PA è stata condannata al risarcimento dei danni subiti dalla società, limitati all'interesse contrattuale negativo.
In conclusione, la PA può essere condannata al risarcimento del danno per responsabilità precontrattuale quando viola i doveri di lealtà e correttezza nella fase precontrattuale, anche se il provvedimento finale è legittimo.
Pubblicato il 13/09/2024
N. 07574/2024REG.PROV.COLL.
N. 07221/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7221 del 2021, proposto da
Cav. Granata Group S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Antonio Melucci, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;
contro
Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti
Cobar s.p.a. (già Cobar s.r.l.), non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, Sez. II, n. 969 del 2021, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 aprile 2024 il Cons. Stefano Fantini e udito per la parte appellante l’avvocato Rocco in dichiarata delega di Melucci;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.-La Cav. Granata Group s.r.l. ha interposto appello nei confronti della sentenza 4 giugno 2021, n. 969 del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sez. II, che ha dichiarato inammissibile il suo ricorso finalizzato all’accertamento incidentale dell’illegittimità del decreto 2 marzo 2018 con cui il Provveditore alle Opere Pubbliche della sede coordinata di Bari ha disposto la revoca e decadenza dell’aggiudicazione dell’appalto di “lavori di manutenzione straordinaria occorrenti per il ripristino della piena efficienza del preesistente impianto di protezione catodica a correnti impresse per i pali in acciaio di sostegno degli impalcati del porto isola di Manfredonia” (risalente all’11 aprile 2018), e alla condanna dell’amministrazione al risarcimento del danno a titolo di responsabilità provvedimentale, ovvero di responsabilità precontrattuale, ovvero al riconoscimento dell’indennizzo ex art. 21-quinquies della legge n. 241 del 1990.
La società appellante ha partecipato alla procedura di gara indetta dal Ministero e ne è risultata aggiudicataria come da comunicazione in data 11 aprile 2008. Nei successivi otto anni il Ministero, benché sollecitato con lettere, diffide e incontri formali, non è mai addivenuto alla stipula del contratto, adducendo a colpa i ritardi del Comune di Manfredonia nel completamento dei prodromici lavori di bonifica.
Solamente in data 8 febbraio 2016 e poi in data 11 marzo 2016 il Ministero ha chiesto alla deducente la disponibilità all’esecuzione dei lavori oggetto della gara, nonché le dichiarazioni relative ai requisiti di carattere generale e speciale ai fini della stipulazione del contratto.
La società ha trasmesso la documentazione richiesta e un contratto di avvalimento con il consorzio stabile Al.Ma per sopperire alla mancanza del requisito di qualificazione SOA cat. OG11, class. IV, nel frattempo sopraggiunta.
Il Ministero con nota del 2 marzo 2018 ha disposto la revoca e decadenza dell’aggiudicazione in ragione dell’impossibilità di procedere alla stipulazione del contratto per la perdita della classifica SOA.
Con il ricorso in primo grado la Granata ha chiesto il risarcimento dei danni conseguenti all’illegittimo provvedimento di revoca e al comportamento colposo dell’amministrazione, evidenziando come dall’aggiudicazione, risalente al 2008, l’amministrazione abbia lasciato trascorrere bene otto anni (2016) per addivenire alla sottoscrizione del contratto. Ha allegato come sia illogico pretendere che un operatore economico conservi la categoria SOA sine die, e illegittimo è stato precludere alla società aggiudicataria di sopperire a tale mancanza sopraggiunta mediante l’avvalimento (tanto più considerando che la perdita della classe SOA è conseguenza proprio della mancata esecuzione dei lavori oggetto di controversia).
2. - La sentenza appellata ha dichiarato il ricorso inammissibile nella considerazione che il provvedimento di revoca dell’aggiudicazione, risalente al 2 marzo 2018, non è stato tempestivamente impugnato, avendo la ricorrente «introdotto mera azione risarcitoria con ricorso notificato in data 6 luglio 2018, la quale è da ritenersi inammissibile, in quanto l’impugnazione tempestiva del provvedimento avrebbe potuto consentire la tutela ordinaria nella forma specifica dell’annullamento».
3.- Con il ricorso in appello la Cav. Granata Group s.r.l. ha dedotto l’erroneità della sentenza impugnata, ponendo in evidenza i differenti piani sui quali si colloca l’illegittimità provvedimentale rispetto al comportamento scorretto dell’amministrazione nella fase di formazione del contratto, situazione prodromica al riconoscimento della responsabilità precontrattuale. In tale prospettiva, l’appellante ha evidenziato che la conclusione del procedimento teso alla stipula del contratto è avvenuta a distanza di bene otto anni dall’adozione dell’aggiudicazione; non verrebbe dunque in rilievo l’illegittimità del provvedimento amministrativo impugnato, bensì il comportamento serbato dall’amministrazione in questi otto anni che ha ritardato la stipula del contratto. Ha dunque riproposto i motivi del ricorso di primo grado assorbiti e non esaminati dalla sentenza appellata.
4. - Si è costituito in resistenza il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti controdeducendo (anche nel senso di ipotizzare una speculare responsabilità precontrattuale della società appellante, che non avrebbe comunicato il conferimento di ramo di azienda e soprattutto la perdita della SOA) e chiedendo la reiezione del ricorso in appello.
5. - All’udienza pubblica dell’11 aprile 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1.-L’assunto dell’appellante, svolto con il primo motivo di gravame, è concettualmente fondato, non apparendo condivisibile, nella sua assolutezza, la statuizione (di primo grado) di inammissibilità basata sul convincimento che la parte ricorrente sia incorsa in decadenza per omessa impugnazione dell’atto dedotto come lesivo (id est, la revoca dell’aggiudicazione in data 2 marzo 2018).
Tale tesi ha un senso con riguardo alla responsabilità civile da provvedimento amministrativo, a norma dell’art. 30, comma 3, cod. proc. amm., ma non anche con riguardo alla responsabilità precontrattuale, che, secondo il paradigma generale di cui all’art. 1337 cod. civ., impone alle parti di comportarsi, nella fase che precede la stipulazione del contratto, secondo buona fede in senso oggettivo. La giurisprudenza ha posto in evidenza che nei rapporti di diritto amministrativo è configurabile un affidamento del privato sul legittimo esercizio di tale potere e sull’operato dell’amministrazione conforme ai principi di correttezza e buona fede, fonte per quest’ultima di responsabilità non solo in relazione a comportamenti contrari ai canoni di origine civilistica suindicati, ma anche per il caso di provvedimento favorevole annullato su ricorso di terzi (Cons. Stato, Ad. plen., 29 novembre 2021, n. 21).
Il principio di buona fede e di tutela dell’affidamento (da ultimo, recepito nell’art. 5 del nuovo codice dei contratti pubblici, di cui al d.lgs. n. 36 del 2023), già secondo l’elaborazione compiuta da Cons. Stato, Ad. plen., 4 maggio 2018, n. 5, comporta che nello svolgimento dell’attività autoritativa l’amministrazione è tenuta a rispettare, oltre alle norme di diritto pubblico (la cui violazione implica, di regola, l’invalidità del provvedimento e l’eventuale responsabilità da lesione dell’interesse legittimo), anche le norme generali dell’ordinamento civile, che impongono di agire con lealtà e correttezza, la violazione delle quali può fare nascere una responsabilità da comportamento scorretto, incidente sul diritto soggettivo di autodeterminarsi liberamente nei rapporti negoziali, cioè sulla libertà di compiere le proprie scelte negoziali senza subire ingerenze derivanti dall’altrui scorrettezza. La sentenza dell’Adunanza plenaria ha altresì chiarito che la responsabilità precontrattuale richiede non solo la buona fede soggettiva del privato, ma anche gli ulteriori seguenti presupposti : a) che l’affidamento incolpevole risulti leso da una condotta oggettivamente contraria ai doveri di correttezza e lealtà; b) che tale oggettiva violazione dei doveri di correttezza sia anche soggettivamente imputabile all’amministrazione, in termini di colpa o dolo; c) che il privato provi sia il danno-evento (la lesione della libertà di autodeterminazione negoziale), sia il danno-conseguenza (e cioè le perdite economiche subite a causa delle scelte negoziali illecitamente condizionate), sia il nesso eziologico tra il danno e il comportamento scorretto che si imputa all’amministrazione.
Emerge dunque da tale inquadramento generale che la responsabilità precontrattuale è in funzione del comportamento scorretto (Cons. Stato, V, 10 agosto 2018, n. 4912; IV, 20 febbraio 2014, n. 790), e non già dell’illegittimità provvedimentale.
La statuizione di inammissibilità appare dunque non condivisibile con riguardo alla responsabilità precontrattuale, che prescinde dall’illegittimità provvedimentale e dunque dall’esigenza stessa di impugnare il provvedimento (nel caso di specie, di revoca dell’aggiudicazione).
2. – Nella delineata cornice di riferimento appare fondato il primo motivo riproposto, finalizzato a dimostrare la colpa dell’amministrazione, mediante l’evidenziazione del fatto che seppure i lavori aggiudicati all’appellante (consistenti nell’alloggiamento di un c.d. anello sacrificale di tipo metallico volto a preservare i pali del porto di Manfredonia dagli agenti corrosivi derivanti dal contatto con l’acqua marina) presupponevano il previo incapsulamento del rivestimento in cemento amianto presente sugli stessi pali, oggetto di un appalto affidato dal Comune di Manfredonia alla Dalena Eco.Trend s.r.l, detti lavori “strumentali” erano terminati in data 18 agosto 2011, mentre la stipula del contratto è stata richiesta dal Ministero in data 8 febbraio 2016 e in data 11 marzo 2016, e dunque dopo bene cinque anni.
Detto in altri termini, la richiesta di stipula del contratto è intervenuta otto anni dopo l’aggiudicazione, risalente all’11 aprile 2008, e dopo circa cinque anni dalla conclusione dei lavori prodromici (terminati il 18 agosto 2011), oggetto di separato e diverso appalto; in entrambi i casi si tratta di un arco temporale molto esteso, e privo di reale giustificazione, in assenza di previa informazione. Giova anzi rilevare, anticipando la trattazione del terzo motivo riproposto, che dal verbale di incontro in data 24 settembre 2010 si evince comunque, nonostante la persistenza dei lavori indetti dal Comune di Manfredonia, una previsione per la stipula dell’appalto entro l’anno 2010, allo scopo di “scongiurare la perdita del finanziamento”.
L’inerzia della stazione appaltante, d’altro canto, non può ritenersi priva di rilevanza causale nella perdita del possesso dei requisiti speciali da parte dell’appellante, atteso che il decremento della classifica SOA (dalla IV, richiesta dal bando, alla III bis, ed infine alla II), a fare tempo dal 2014, dipende o comunque è in correlazione anche proprio con la mancata esecuzione dei lavori aggiudicati (apportante arricchimento curriculare).
3. - Ne discende, per le stesse ragioni, la fondatezza anche del secondo motivo riproposto con cui si lamenta l’illegittimità del diniego (in data 8 agosto 2016) sull’istanza di qualificarsi mediante avvalimento, presupposto della revoca/decadenza dell’aggiudicazione. E’ pur vero che vige il principio di continuità del possesso dei requisiti, generali e speciali (Cons. Stato, Ad. plen., 20 luglio 2015, n. 8), ma tale regola non può essere interpretata in modo irragionevole e solamente formalistico; come è stato rilevato in giurisprudenza ad altri fini, “sarebbe irragionevole pretendere (non già il possesso del requisiti, ma) la continuità del possesso per un periodo indefinito, durante il quale non c’è alcuna competizione, alcuna attività valutativa dell’amministrazione e, per giunta, alcun impegno vincolante nei confronti dell’amministrazione” (Cons. Stato, III, 6 marzo 2017, n. 1050).
4. - E’ fondato anche il quarto motivo con il quale viene stigmatizzato il differimento della stipulazione del contratto, benché i preliminari lavori di incapsulamento del rivestimento in cemento amianto presente sui pali e l’installazione di una finestra nella camicia di rivestimento dei pali (ove alloggiare il collegamento elettrico degli anelli sacrificali) siano comunque terminati in data 18 agosto 2011, condizione, questa, tale da non consentire all’amministrazione di invocare la clausola di cui all’art. 14 del bando (subordinante la stipula del contratto alla bonifica del rivestimento in cemento amianto dei pali stessi, “prevista con altro progetto in corso di appalto da parte del Comune di Manfredonia”). In particolare, dunque, alla data del 18 agosto 2011 non sussistevano ragioni ostative alla stipula del contratto ed a quell’epoca l’appellante era in possesso della SOA cat. OG11, classifica IV.
L’argomento secondo cui prima della stipula del contratto doveva essere avviata dal Comune di Manfredonia una seconda procedura di gara finalizzata all’installazione del c.d. collare metallico ai pali (in sostituzione della finestra) fa riferimento ad una circostanza non indicata dagli atti di gara, né resa nota alla Cav. Granata Group s.r.l., attenendo alla lunga interlocuzione tra Ministero e Comune di Manfredonia, svoltasi tra il 2007 e il 2016 (significative sono in particolare le note comunali in data 26 maggio 2915, di comunicazione dell’affidamento dei lavori, e in data 13 gennaio 2016, di comunicazione dell’ultimazione dei lavori), e conosciuta dall’appellante solamente a seguito di accesso documentale (di cui all’istanza in data 12 aprile 2018).
Merita, per chiarezza espositiva, ribadire che il bando di gara, all’art. 15, disciplinando il “termine di validità dell’offerta”, lo ha fissato in «180 gg dalla data dell’esperimento della gara. La stipula del contratto con l’aggiudicatario, a norma dell’art. 11 co. 9 del d.lgs. n. 163/2006, è subordinata alla bonifica del rivestimento in cemento amianto dei pali stessi, prevista con altro progetto in corso di appalto da parte del Comune di Manfredonia». Il disciplinare di gara, poi, al punto 5, sub lett. Q), richiedeva la dichiarazione «di essere ben edotto circa quanto indicato nel bando di gara al punto 14) relativamente ai tempi necessari per la stipula del contratto di appalto, al momento non quantificabili, e subordinati alla bonifica del rivestimento in cemento amianto dei pali stessi, prevista con altro progetto in corso di appalto da parte del Comune di Manfredonia e che pertanto in caso di aggiudicazione non potrà sciogliersi da ogni vincolo per la mancata sottoscrizione del contratto entro i termini previsti dalla normativa vigente».
Entrambe le previsioni della lex specialis, seppure diversamente declinate, e con differente scopo, sono peraltro convergenti nel fare riferimento ad un unico progetto, e dunque ad un unico contratto di appalto per la bonifica del rivestimento da parte del Comune di Manfredonia, non dando conto dell’esigenza di un secondo appalto integrativo, di “completamento” del collare di protezione catodica.
La non conoscenza, da parte dell’appellante, del necessario ricorso ad un secondo appalto, il cui completamento è avvenuto nel dicembre 2015, fa sì che tale circostanza non assuma rilievo nella prospettiva dell’affidamento incolpevole della società Cavaliere Granata, contribuendo invece ad evidenziare un comportamento colpevole, negligente del Ministero, che mai ha esternato tale esigenza.
Né rileva che la scelta di procedere con due distinti appalti sia imputabile al Comune di Manfredonia anziché al Ministero, in quanto ciò che viene in rilievo in questa sede è la violazione del principio del clare loqui da parte dell’amministrazione statale nei confronti dell’appellante, che ha confidato in un altro quadro di lavorazioni prodromiche e in un’altra tempistica esecutiva, risultando pregiudicata dal protrarsi del tempo per la stipulazione del contratto (profilo di danno che ovviamente si pone in una prospettiva diversa da quella della spettanza, cui allude il MIT allorché nei propri scritti difensivi allega che prima della realizzazione del collare metallico l’opera oggetto dell’aggiudicazione revocata non sarebbe stata cantierabile).
5. – Con il quinto mezzo viene poi dedotta l’illegittimità dell’impugnato provvedimento di revoca del 2 marzo 2018, in quanto carente di un’adeguata motivazione comparativa tra le ragioni di interesse pubblico e la tutela dell’affidamento ingenerato nell’operatore economico che ha partecipato alla gara.
Il motivo, per come formulato in termini di domanda annullatoria, è irricevibile, essendo stato impugnato con ricorso notificato in data 6 luglio 2018, e dunque oltre il termine decadenziale previsto dalla normativa processuale.
6. – Procedendosi ora alla disamina della pretesa risarcitoria per equivalente della Cav. Granata Group s.r.l., va anzitutto respinta la domanda formulata in funzione della illegittimità provvedimentale in ragione della sua tardiva proposizione, in coerenza con un indirizzo consolidatosi a partire da Cons. Stato, Ad. plen., 23 marzo 2011, n. 3, alla cui stregua la mancata proposizione dell’azione di annullamento non incide sull’ammissibilità dell’actio damni, ma sulla sua fondatezza, nella considerazione che l’omessa attivazione degli strumenti di tutela costituisce dato valutabile, in considerazione del canone della buona fede e del principio di solidarietà, ai fini dell’esclusione del danno evitabile con l’ordinaria diligenza.
7. – Fondata è invece, nei limiti che seguono, la domanda di risarcimento a titolo di responsabilità precontrattuale, che prescinde dalla legittimità o meno del provvedimento (secondo una giurisprudenza consolidatasi principalmente proprio in materia di revoca dell’aggiudicazione : Cons. Stato, V, 23 novembre 2018, n. 6633), in quanto è responsabilità da comportamento e non già da provvedimento (Cons. Stato, V, 10 agosto 2018, n. 4912; IV, 20 febbraio 2014, n. 790).
Sussistono invero, alla luce di quanto prima esposto, i presupposti della responsabilità precontrattuale del Ministero per violazione dei doveri di correttezza e buona fede e di un legittimo e ragionevole affidamento in capo alla società appellante, non inficiato da elementi di colpa.
Il danno risarcibile in caso di responsabilità precontrattuale è limitato al c.d. interesse contrattuale negativo, che copre sia il danno emergente (spese documentate per la partecipazione alla gara) che il lucro cessante (Cons. Stato, V, 12 luglio 2021, n. 5274), essendo in particolare astrattamente ammesso anche il ristoro della perdita di chance per le sole occasioni di guadagno alternative cui l’operatore economico avrebbe potuto attingere in assenza del contegno colposo dell’amministrazione (Cons. Stato, VII, 10 maggio 2022, n. 3661).
Si applicano, come noto, al giudizio amministrativo in materia di responsabilità precontrattuale i principi sull’onere della prova di cui all’art. 2697 cod. civ., incombendo dunque in capo al ricorrente la prova del danno – conseguenza (che si concretizza, come già detto, nelle perdite economiche subite a causa delle scelte negoziali illecitamente condizionate).
A questo riguardo, va osservato che la ricorrente con la perizia tecnica depositata in primo grado (redatta dall’ing. Antonio Trotta) ha indicato il mancato utile (che non costituisce parametro della responsabilità precontrattuale).
Con riguardo alle spese ed ai costi inutilmente sopportati per la preparazione dell’offerta e per la partecipazione alla procedura di gara possono essere riconosciuti, alla stregua della perizia predetta (allegato 3), seguendo il processo deduttivo del “più probabile che non”, ed in assenza di contestazioni ex adverso, le spese concernenti la polizza provvisoria (indicata in euro 250,00) e la polizza definitiva (ammontante ad euro 2.000), i “costi specifici di gara” (ammontanti ad euro 1.000), nonché gli “oneri tecnici relativi alla redazione del progetto esecutivo cantierabile modificato sulla base dello stato dei luoghi“ (pari ad euro 2.000), per un totale di euro 5.250,00.
Non è documentato il danno da perdita di chance, intesa come perdita di ulteriori occasioni di stipula di contratti altrettanto o maggiormente vantaggiosi, e non può riconoscersi il danno curriculare, derivante cioè dalla mancata stipulazione ed esecuzione del contratto, che preclude di fare valere, da parte della società appellante, nelle future contrattazioni, il requisito economico pari al valore dell’appalto non eseguito (Cons. Stato, IV, 7 febbraio 2012, n. 662).
Ed invero il danno curriculare non è risarcibile nell’ambito della responsabilità precontrattuale, in quanto ontologicamente non diverso dal danno legato al mancato perseguimento dell’interesse positivo, o, per meglio dire, derivando dalla mancata esecuzione dell’appalto, e non già dall’inutilità della trattativa (Cons. Stato, V, 29 dicembre 2014, n. 6406).
In particolare, il danno curriculare (ovvero il pregiudizio subito dall’impresa a causa del mancato arricchimento del curriculum professionale per non potere indicare in esso l’avvenuta esecuzione dell’appalto) risulta incompatibile con la responsabilità precontrattuale, in quanto danno-evento conseguente alla mancata stipulazione del contratto.
8. – Non spetta inoltre l’indennizzo ex art. 21-quinquies della legge n. 241 del 1990 in conseguenza della revoca, atteso che lo stesso, parametrato al solo danno emergente, si pone in alternativa alla responsabilità precontrattuale, spettando allorché l’esercizio del potere di autotutela, oltre ad essere legittimo, si accompagni ad un complessivo comportamento, improntato al rispetto dei principi di correttezza e buona fede (Cons. Stato, IV, 7 febbraio 2012, n. 662).
9. - Da ultimo, occorre precisare che l’amministrazione appellata, pur avendo ipotizzato, a pagina 19 della propria memoria, una responsabilità precontrattuale della società appellante, non ha tradotto tale allegazione difensiva in una domanda riconvenzionale articolata mediante ricorso incidentale.
10. - Alla stregua di quanto esposto, l’appello va accolto; per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, il ricorso di primo grado va accolto, con condanna del Ministero al risarcimento di euro 5.250,00.
Le spese di giudizio seguono, come per regola, la soccombenza e sono liquidate nel dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione; per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso di primo grado, con conseguente condanna del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti al risarcimento di euro 5.250,00 in favore della società appellante.
Condanna altresì il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti alla rifusione, in favore della società appellante, delle spese del doppio grado di giudizio, liquidate in complessivi euro tremila/00 (3.000,00), da distrarsi al difensore anticipatario.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati:
Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Presidente
Stefano Fantini, Consigliere, Estensore
Marina Perrelli, Consigliere
Gianluca Rovelli, Consigliere
Annamaria Fasano, Consigliere
L'ESTENSORE
Stefano Fantini
IL PRESIDENTE
Paolo Giovanni Nicolo' Lotti
IL SEGRETARIO