Corte Costituzionale, Sentenza n.13 del 30/01/2018

Pubblicato il
Arbitrato - Lodo arbitrale - Impugnazione per errori di diritto - Regime limitativo introdotto dalla riforma del 2006 - Inapplicabilità, secondo il diritto vivente, agli arbitrati convenuti antecedentemente - Denunciata disparità di trattamento, con conseguente violazione del principio tempus regit processum e dei principi di uguaglianza, autonomia privata e libertà contrattuale - Insussistenza - Non fondatezza della questione

È dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale - sollevata dalla Corte di appello di Milano in riferimento agli artt. 3 e 41 Cost. - dell'art. 829, terzo comma, cod. proc. civ., come sostituito dall'art. 24 del d.lgs. n. 40 del 2006, in combinato disposto con l'art. 27, comma 4, del medesimo d.lgs., che modifica il regime di impugnabilità del lodo arbitrale, precludendone la sindacabilità per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia, in assenza di una espressa previsione delle parti o della legge. La norma censurata, di natura sostanziale e non meramente processuale, non si applica, nell'interpretazione enunciata dalla Cassazione e ritenuta dal rimettente "diritto vivente", ai giudizi arbitrali promossi dopo il 2 marzo 2006 (data di entrata in vigore del d.lgs. n. 40 del 2006), se azionati in forza di convenzione di arbitrato stipulata prima della riforma. Le fattispecie poste a confronto dal rimettente, riferite a coloro che hanno stipulato la clausola compromissoria prima o dopo tale data, non risultano tra loro assimilabili, poiché i primi sono in una situazione obiettivamente diversa dai secondi, che devono esprimere una specifica volontà per consentire l'impugnazione del lodo per violazione delle regole di diritto. La norma censurata non viola neppure il principio tempus regit processum, considerato che la presenza di un'esplicita disciplina transitoria priva di rilevanza esclusiva il riferimento alla natura processuale degli atti per risolvere le questioni di diritto intertemporale; né sussiste la lesione dell'autonomia negoziale - che, prima della riforma, si poneva come momento fondamentale della disciplina, in quanto la legge ammetteva sempre l'impugnazione del lodo per violazione delle regole di diritto, salva la diversa volontà delle parti - perché l'interpretazione avanzata dalla Cassazione tutela proprio l'autonomia privata. Secondo il costante orientamento della giurisprudenza costituzionale, la violazione del principio di uguaglianza sussiste solo qualora situazioni sostanzialmente identiche siano disciplinate in modo ingiustificatamente diverso e non, invece, quando alla diversità di disciplina corrispondano situazioni non assimilabili. (Precedenti citati: sentenze n. 155 del 2014, n. 108 del 2006 e n. 340 del 2004).

Interpretazione della norma censurata - Orientamento interpretativo espresso (con tre sentenze) dalla Cassazione - Valore di diritto vivente - Facoltà del giudice di uniformarsi o meno ad esso e, nel secondo caso, di sollevare questione di legittimità costituzionale

In presenza di un orientamento interpretativo delle sezioni unite della Corte di cassazione, espresso con tre sentenze, può ritenersi che ricorra un'ipotesi di "diritto vivente", a cui il giudice a quo può uniformarsi o meno, restando libero, nel secondo caso, di assumere il "diritto vivente" ad oggetto delle proprie censure. (Precedenti citati: sentenze n. 117 del 2012 e n. 91 del 2004).

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

SENTENZA N. 13

ANNO 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Paolo GROSSI; Giudici : Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 829, terzo comma, del codice di procedura civile, come sostituito dall’art. 24 del decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 40 (Modifiche al codice di procedura civile in materia di processo di cassazione in funzione nomofilattica e di arbitrato, a norma dell’articolo 1, comma 2, della L. 14 maggio 2005, n. 80), in combinato disposto con l’art. 27, comma 4, del medesimo decreto legislativo, promosso dalla Corte di appello di Milano nel procedimento vertente tra la Ferri Immobiliare srl e l’Unicredit spa, con ordinanza del 16 dicembre 2016, iscritta al n. 61 del registro ordinanze 2017 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 18, prima serie speciale, dell’anno 2017.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 6 dicembre 2017 il Giudice relatore Giulio Prosperetti.

Ritenuto in fatto

1.– La Corte di appello di Milano, con ordinanza del 16 dicembre 2016, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 41 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 829, terzo comma, del codice di procedura civile, come sostituito dall’art. 24 del decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 40 (Modifiche al codice di procedura civile in materia di processo di cassazione in funzione nomofilattica e di arbitrato, a norma dell’articolo 1, comma 2, della L. 14 maggio 2005, n. 80), in combinato disposto con l’art. 27, comma 4, del medesimo decreto legislativo, nell’interpretazione, che ritiene costituire «diritto vivente», enunciata dalle sentenze della Corte di cassazione, sezioni unite, n. 9341, 9285 e 9284 del 9 maggio 2016.

L’art. 829, terzo comma, cod. proc. civ., nel testo attualmente vigente, sostituito al precedente dall’art. 24 del d.lgs. n. 40 del 2006, entrato in vigore il 2 marzo 2006, stabilisce che «[l]’impugnazione per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia è ammessa se espressamente disposta dalle parti o dalla legge. È ammessa in ogni caso l’impugnazione delle decisioni per contrarietà all’ordine pubblico», precludendo con ciò la sindacabilità del lodo arbitrale per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia, in assenza di una espressa previsione delle parti o della legge. Prima della riforma del 2006, la norma stabiliva, invece, che l’impugnazione del lodo per violazione delle regole di diritto era sempre ammessa, salvo che le parti avessero autorizzato gli arbitri a decidere secondo equità o avessero dichiarato il lodo non impugnabile.

L’art. 27, comma 4, del d.lgs. n. 40 del 2006, recante la disciplina transitoria, stabilisce che «[l]e disposizioni degli articoli 21, 22, 23, 24 e 25 si applicano ai procedimenti arbitrali, nei quali la domanda di arbitrato è stata proposta successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto».

Osserva il rimettente che, alla stregua dell’interpretazione indicata dalle menzionate sentenze gemelle delle sezioni unite, il mutato regime di impugnabilità del lodo non sarebbe applicabile ai giudizi arbitrali promossi dopo il 2 marzo 2006, se azionati in forza di convenzioni di arbitrato stipulate prima della riforma.

Ad avviso del rimettente sarebbe da escludere la possibilità di una diversa interpretazione, costituzionalmente orientata, della norma censurata, in quanto le citate sentenze delle sezioni unite «hanno i requisiti per essere qualificate “diritto vivente”, come tale non suscettibile di diversa interpretazione, fatto salvo il sindacato di costituzionalità».

Dopo aver motivato in punto di rilevanza della questione, in ordine alla non manifesta infondatezza, il rimettente evidenzia che la norma risultante dall’interpretazione delle sezioni unite si porrebbe in contrasto con l’art. 3 Cost., per violazione del principio di uguaglianza, comportando una disparità di trattamento tra situazioni analoghe.

E ciò perché, a coloro che hanno, comunque, proposto domanda di arbitrato dopo la data di entrata in vigore del d.lgs. n. 40 del 2006, verrebbe applicato un diverso regime processuale, a seconda che la clausola compromissoria sia stata stipulata prima o dopo di tale data, nonostante la nuova disciplina assuma rilievo solo sul piano processuale, non incidendo in alcun modo sulla validità e sul contenuto della clausola compromissoria su cui la domanda di arbitrato è fondata.

In altri termini, ad avviso del rimettente, il riferimento alla data di stipula della clausola compromissoria non potrebbe, in alcun modo, giustificare l’applicazione di un diverso regime a soggetti che hanno, comunque, proposto domanda di arbitrato dopo il 2 marzo 2006.

La norma che scaturisce dall’intervento delle sezioni unite violerebbe, pertanto, il principio tempus regit processum e il principio di uguaglianza, ponendo in comparazione due entità, nella sostanza, eterogenee: la clausola compromissoria (atto di natura sostanziale) e l’atto d’impugnazione del lodo (atto di natura processuale).

La Corte di appello di Milano ritiene, inoltre, che la norma che scaturisce dall’intervento delle sezioni unite, consentendo l’impugnazione del lodo per violazione delle regole di diritto anche nel caso in cui le parti non hanno previsto espressamente tale possibilità successivamente all’entrata in vigore del nuovo testo dell’art. 829, terzo comma, cod. proc. civ., violi il principio dell’autonomia privata e della libertà contrattuale stabilito dall’art. 41 Cost.

2.– Con memoria depositata in data 23 maggio 2017, è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sia dichiarata non fondata.

L’interveniente osserva che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice a quo, l’orientamento espresso dalle sezioni unite della Corte di cassazione offre un’interpretazione costituzionalmente orientata delle norme impugnate, consentendo alle parti che, alla luce del precedente regime, non avevano inserito nella convenzione di arbitrato alcuna specifica clausola per consentire l’impugnazione del lodo per violazione delle regole di diritto, di non essere sottratte a tale facoltà in conseguenza delle modifiche della normativa intervenute nel 2006.

Ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, la diversa interpretazione sostenuta dal rimettente, si porrebbe, anzi, in aperto contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost.

Sotto il primo profilo, infatti, tale interpretazione determinerebbe una irragionevole disparità di trattamento tra quanti hanno stipulato la clausola arbitrale dopo la riforma, nella consapevolezza del significato del loro silenzio nel nuovo contesto normativo, e quanti l’hanno, invece, sottoscritta prima, quando al silenzio era attribuito dalla legge un opposto significato.

Sotto il secondo profilo, detta interpretazione violerebbe il diritto di difesa delle parti che abbiano stipulato la convenzione di arbitrato prima del 2 marzo 2006, in quanto le priverebbe della facoltà di impugnare il lodo per errores juris in iudicando che esse, pur con il loro silenzio, avevano voluto riconoscersi alla luce della precedente disciplina contenuta nell’art. 829, terzo comma, cod. proc. civ.

Per queste ragioni, la questione di costituzionalità, ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, dovrebbe, quindi, essere dichiarata non fondata.

Considerato in diritto

1.– La Corte di appello di Milano dubita della legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 41 della Costituzione, dell’art. 829, terzo comma, del codice di procedura civile, come sostituito dall’art. 24 del decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 40 (Modifiche al codice di procedura civile in materia di processo di cassazione in funzione nomofilattica e di arbitrato, a norma dell’articolo 1, comma 2, della L. 14 maggio 2005, n. 80), in combinato disposto con l’art. 27, comma 4, del medesimo decreto legislativo, nell’interpretazione, che ritiene costituire «diritto vivente», enunciata dalle sentenze della Corte di cassazione, sezioni unite, n. 9341, 9285 e 9284 del 9 maggio 2016.

Il problema interpretativo origina dalla disposizione transitoria contenuta nel citato art. 27, secondo cui «[l]e disposizioni degli articoli 21, 22, 23, 24 e 25 si applicano ai procedimenti arbitrali, nei quali la domanda di arbitrato è stata proposta successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto».

Osserva il rimettente che, alla stregua dell’interpretazione indicata dalle menzionate sentenze gemelle delle sezioni unite, il mutato regime di impugnabilità del lodo non sarebbe applicabile ai giudizi arbitrali promossi dopo il 2 marzo 2006, se azionati in forza di convenzione di arbitrato stipulata prima della riforma.

Ad avviso del rimettente sarebbe da escludere la possibilità di una diversa interpretazione, costituzionalmente orientata, della norma censurata in quanto le citate sentenze delle sezioni unite «hanno i requisiti per essere qualificate “diritto vivente”, come tale non suscettibile di diversa interpretazione, fatto salvo il sindacato di costituzionalità».

Ad avviso del rimettente, la norma che scaturisce dall’intervento delle sezioni unite violerebbe il principio tempus regit processum e il principio di uguaglianza, in quanto a coloro che hanno, comunque, proposto domanda di arbitrato dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 40 del 2006 verrebbe applicato un diverso regime processuale, a seconda che la clausola compromissoria sia stata stipulata prima o dopo di tale data, nonostante la circostanza che la nuova disciplina non incida, in alcun modo, sulla validità e sul contenuto della clausola compromissoria su cui l’arbitrato risulta fondato.

Secondo il giudice a quo, infatti, alla nuova disciplina posta dall’art. 24 del d.lgs. n. 40 del 2006, che ha novellato l’art. 829, terzo comma, cod. proc. civ., dovrebbe riconoscersi un rilievo esclusivamente processuale e, quindi, darle immediata applicazione ai sensi del principio tempus regit processum.

La Corte di appello di Milano ritiene, inoltre, che la norma che scaturisce dall’intervento delle sezioni unite, consentendo l’impugnazione del lodo per violazione delle regole di diritto anche nei casi in cui le parti non hanno previsto espressamente tale possibilità, successivamente all’entrata in vigore del nuovo testo dell’art. 829, terzo comma, cod. proc. civ., violi il principio dell’autonomia privata e della libertà contrattuale di cui all’art. 41 Cost.

2.– La questione non è fondata.

2.1.– Preliminarmente, va osservato che il giudice a quo ritiene ostativa ad un’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione censurata l’esistenza di un “diritto vivente”, di cui sarebbero espressione le richiamate sentenze delle sezioni unite della Corte di cassazione.

L’interpretazione, della cui legittimità dubita il rimettente, corrisponde a un orientamento delle sezioni unite della Corte di cassazione, espresso con tre sentenze, per cui, nel caso in questione, può ritenersi che ricorra un’ipotesi di “diritto vivente”, a cui il giudice a quo può uniformarsi o meno (ex plurimis, sentenze n. 117 del 2012 e n. 91 del 2004), restando però libero, nel secondo caso, di assumere il “diritto vivente” ad oggetto delle proprie censure.

2.2.– Secondo il costante orientamento di questa Corte, la violazione del principio di uguaglianza sussiste solo qualora situazioni sostanzialmente identiche siano disciplinate in modo ingiustificatamente diverso e non, invece, quando alla diversità di disciplina corrispondano situazioni non assimilabili (ex plurimis, sentenze n. 155 del 2014, n. 108 del 2006 e n. 340 del 2004).

Tali non risultano, nel caso in esame, le fattispecie poste a confronto, contrariamente all’avviso del giudice rimettente.

Ed, invero, coloro che hanno stipulato una clausola compromissoria nella vigenza del vecchio testo dell’art. 829, terzo comma, cod. proc. civ., che prevedeva l’impugnabilità del lodo per violazione delle regole di diritto, salvo che le parti non avessero autorizzato gli arbitri a decidere secondo equità o avessero dichiarato il lodo non impugnabile, sono in una situazione obiettivamente diversa rispetto ai contraenti che, dopo il 2 marzo del 2006, vigente la nuova regola posta dall’art. 24 del d.lgs. 40 del 2006, debbono esprimere una specifica volontà per realizzare il medesimo obiettivo dell’impugnazione del lodo per violazione delle regole di diritto.

Il punto di riferimento ai fini della valutazione sulla identità delle fattispecie non può, infatti, essere individuato solo nella data di proposizione dell’arbitrato, in quanto così facendo si astrarrebbe la domanda dal suo contesto, trascurando il quadro normativo in cui la volontà delle parti si è formata e il ruolo che questa assume nell’arbitrato, come suo indefettibile fondamento.

Va, poi, riconosciuta la natura sostanziale e non meramente processuale della regola posta dal novellato art. 829, terzo comma, cod. proc. civ., a nulla rilevando che all’arbitrato sia attribuita natura giurisdizionale, poiché, come rilevato dalle sezioni unite della Corte di cassazione nelle richiamate sentenze, «la natura processuale dell’attività degli arbitri non esclude che sia pur sempre la convenzione di arbitrato a determinare i limiti di impugnabilità dei lodi» (Corte di cassazione, sezioni unite, 9 maggio 2016, n. 9341, 9285 e 9284).

Quanto, poi, alla ritenuta violazione del principio tempus regit processum, la censura deve, pure, ritenersi infondata, considerato che, come rilevato dalle sezioni unite, «la presenza di un’esplicita disciplina transitoria priva di rilevanza esclusiva il riferimento alla natura processuale degli atti per risolvere le questioni di diritto intertemporale» (Corte di cassazione, sezioni unite, 9 maggio 2016, n. 9341, 9285 e 9284) e che, quindi, l’interpretazione offerta dalle citate pronunce della Corte di cassazione appare pienamente conforme alla disciplina transitoria, regolata dall’art. 27, comma 4, del d.lgs. n. 40 del 2006.

2.3.– Con riferimento all’asserita violazione dell’art. 41 Cost., la questione deve, pure, ritenersi non fondata.

Anche nel regime precedente alla riforma del 2006, l’autonomia negoziale si poneva come momento fondamentale della disciplina dell’arbitrato, in quanto la legge consentiva l’impugnazione del lodo, per violazione delle regole di diritto, salva diversa volontà delle parti.

Il mutamento di disciplina, che restringe i motivi di impugnazione del lodo arbitrale non può, quindi, essere considerato come fondato sulla scelta di attribuire un maggiore rilievo all’autonomia delle stesse parti, visto che essa era pienamente salvaguardata anche nel vigore della precedente normativa.

Si deve, anzi, ritenere che l’interpretazione avanzata, a fronte del nuovo regime di impugnazione del lodo, dalle sezioni unite della Corte di cassazione tuteli, proprio, quell’autonomia delle parti che, invece, il giudice rimettente ritiene violata.

3.– Pertanto, la questione di legittimità costituzionale, sollevata dall’ordinanza di rimessione indicata in epigrafe, deve essere dichiarata non fondata.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 829, terzo comma, del codice di procedura civile, come sostituito dall’art. 24 del decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 40 (Modifiche al codice di procedura civile in materia di processo di cassazione in funzione nomofilattica e di arbitrato, a norma dell’articolo 1, comma 2, della L. 14 maggio 2005, n. 80), in combinato disposto con l’art. 27, comma 4, del medesimo decreto legislativo, sollevata dalla Corte di appello di Milano, in riferimento agli artt. 3 e 41 della Costituzione, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 dicembre 2017.

F.to:

Paolo GROSSI, Presidente

Giulio PROSPERETTI, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 30 gennaio 2018.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto MILANA

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472