Corte Costituzionale, Sentenza n.20 del 02/02/2018

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Rilevanza della questione incidentale - Argomentazione non implausibile del rimettente - Ammissibilità della questione - Rigetto di eccezione preliminare

Nel giudizio incidentale di legittimità costituzionale avente ad oggetto l'art. 6 del d.l. n. 201 del 2011, conv., con modif., in legge n. 214 del 2011, non è accolta l'eccezione di inammissibilità, per difetto di rilevanza, basata sull'asserito difetto di interesse ad agire della parte ricorrente nel giudizio a quo, che non potrebbe conseguire la pensione privilegiata, senza prima rinunciare alla pensione di inabilità già attribuitale. Con argomentazione non implausibile, il rimettente osserva che la disciplina denunciata impedisce in radice l'accoglimento del ricorso e, in questa prospettiva, si coglie la necessità di fare applicazione della norma censurata, con la conseguente rilevanza del dubbio di costituzionalità prospettato. La rilevanza di una determinata questione va valutata non già in relazione agli ipotetici vantaggi di cui potrebbero beneficiare le parti in causa, ma, piuttosto, in relazione alla semplice applicabilità nel giudizio a quo della legge di cui si contesta la legittimità costituzionale e, quindi, alla influenza che sotto tale profilo il giudizio di costituzionalità può esercitare su quello dal quale proviene la questione. (Precedente citato: sentenza n. 344 del 1990).

Previdenza - Pensione privilegiata ordinaria - Abrogazione dell'istituto per i dipendenti pubblici, ad eccezione di quelli appartenenti al comparto sicurezza, difesa, vigili del fuoco e soccorso pubblico - Assenza di stima analitica dei risparmi attesi - Denunciata disparità di trattamento e irragionevolezza - Insussistenza - Non fondatezza delle questioni

Non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dalla Corte dei conti, sez. giur. per la Regione Puglia, giudice unico delle pensioni, in riferimento all'art. 3 Cost. - dell'art. 6 del d.l. n. 201 del 2011, conv., con mod., in legge n. 214 del 2011, che abroga l'istituto della pensione privilegiata per la generalità dei dipendenti pubblici e conserva tale beneficio soltanto agli appartenenti al comparto sicurezza, difesa, vigili del fuoco e soccorso pubblico. La norma censurata ha accentuato i caratteri di specialità, sul versante oggettivo e soggettivo, della pensione privilegiata, delimitando la platea dei beneficiari, individuati secondo caratteristiche ragionevolmente omogenee, rispetto alla formulazione originaria, che includeva i dipendenti statali e i militari. Essa pertanto non può assurgere a tertium comparationis, idoneo a giustificare l'estensione della normativa derogatoria a tutti i dipendenti pubblici. Né la disciplina appare irragionevole, per essere stata introdotta senza una stima analitica dei risparmi attesi, perché il legislatore, con apprezzamento che si sottrae alle censure del rimettente, ha indicato in maniera puntuale gli ostacoli che si frappongono a una plausibile previsione dei risparmi e rendono ineludibile una valutazione a consuntivo. La pensione privilegiata, che si atteggia come una sorta di riparazione per il danno alla persona riconducibile al servizio prestato, è un istituto previdenziale che attribuisce un trattamento speciale di quiescenza e perciò presuppone la cessazione del rapporto di impiego. (Precedenti citati: sentenze n. 241 del 2016, n. 43 del 2015 e n. 428 del 1993).La giurisprudenza costituzionale conferisce rilievo alla carente illustrazione delle esigenze finanziarie e dei risparmi attesi dalle norme, quale indice sintomatico dell'irragionevolezza del bilanciamento di volta in volta attuato dal legislatore; tuttavia, la valenza significativa di tale dato si inquadra nell'àmbito di uno scrutinio più ampio, diretto a ponderare ogni elemento rivelatore dell'arbitrarietà e della sproporzione del sacrificio imposto agli interessi costituzionali rilevanti. In tale scrutinio rivestono rilievo cruciale l'arco temporale delle misure restrittive, l'incidenza sul nucleo essenziale dei diritti coinvolti, la portata generale degli interventi, la pluralità di variabili e la complessità delle implicazioni, che possono anche precludere una stima ponderata e credibile dei risparmi. (Precedenti citati: sentenze n. 124 del 2017 e n. 70 del 2015).

Eguaglianza e ragionevolezza (principi di) - Canone generale di ragionevolezza - Configurazione come "principio di sistema" - Valore orientativo delle scelte del legislatore in materia previdenziale

Il generale canone di ragionevolezza si configura come "principio di sistema", chiamato a orientare le scelte del legislatore in materia previdenziale. (Precedente citato: sentenza n. 250 del 2017).

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SENTENZA N. 20

ANNO 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Giorgio LATTANZI; Giudici : Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 6 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, promosso dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Puglia, giudice unico delle pensioni, nel procedimento instaurato da R.A. C. nei confronti dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), con ordinanza del 31 gennaio 2017, iscritta al n. 92 del registro ordinanze 2017 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 26, prima serie speciale, dell’anno 2017.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 10 gennaio 2018 il Giudice relatore Silvana Sciarra.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 31 gennaio 2017, iscritta al n. 92 del registro ordinanze 2017, la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Puglia, giudice unico delle pensioni, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 6 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214.

1.1.– Il giudice rimettente espone di dover decidere sulla domanda di pensione privilegiata ordinaria, proposta da un dirigente medico e rigettata in sede amministrativa dall’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), sul presupposto che la cessazione dal servizio fosse intervenuta il 1° ottobre 2012, in data successiva all’abrogazione dell’istituto disposta dalla disciplina censurata.

Il giudice a quo esclude che il ricorrente possa beneficiare della disciplina previgente, che continua a trovare applicazione soltanto «nei confronti del personale appartenente ai comparti sicurezza, difesa, vigili del fuoco e soccorso pubblico» e «ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto, nonché ai procedimenti per i quali, alla predetta data, non sia ancora scaduto il termine di presentazione della domanda, nonché ai procedimenti instaurabili d’ufficio per eventi occorsi prima della predetta data».

1.2.– Sulla base di tali premesse, il rimettente ritiene rilevante, e non superabile con una «interpretazione adeguatrice», la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6 del d.l. n. 201 del 2011, che abroga anche per il ricorrente nel giudizio principale l’istituto della pensione privilegiata ordinaria.

1.3.– Il giudice a quo assume che tale disciplina contrasti con l’art. 3 Cost. sotto un duplice profilo.

La disposizione censurata, nel salvaguardare la pensione privilegiata ordinaria per i soli appartenenti ai comparti sicurezza, difesa, vigili del fuoco e soccorso pubblico, determinerebbe un’irragionevole disparità di trattamento per la generalità dei dipendenti pubblici che, pur «in presenza della stessa infermità», non possono più accedere a tale beneficio.

Per altro verso, l’art. 6 del d.l. n. 201 del 2011 si porrebbe in contrasto con l’art. 3 Cost., perché lesivo dei princìpi di ragionevolezza e proporzionalità. La disciplina censurata, «sostanzialmente priva di una stima dei risparmi di spesa indotti dalla abrogazione dell’istituto della pensione privilegiata ordinaria per una parte di dipendenti pubblici (e non per la generalità)», sacrificherebbe irragionevolmente i diritti dei dipendenti pubblici esclusi da tale beneficio.

2.– Nel giudizio, con memoria del 18 luglio 2017, è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto di dichiarare inammissibile e in subordine infondata la questione di legittimità costituzionale.

Quanto alla paventata disparità di trattamento, la difesa dell’interveniente esclude l’omogeneità delle situazioni poste a raffronto. La scelta di salvaguardare la pensione privilegiata per gli appartenenti ai comparti sicurezza, difesa, vigili del fuoco e soccorso pubblico sarebbe sorretta da una giustificazione oggettiva, legata alla «diversità dei rischi immanenti all’attività propria dei singoli comparti» e al fatto che tali categorie, al contrario del personale civile pubblico, siano escluse «dalla tutela INAIL» (si richiamano i chiarimenti forniti dall’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro - INAIL - nella nota del 13 febbraio 2012).

Peraltro, il ricorrente, già titolare di pensione di inabilità, non avrebbe potuto conseguire l’ulteriore beneficio della pensione privilegiata ordinaria, in ragione del «divieto di cumulo di benefici erogati da Pubbliche Amministrazioni in caso di medesimo evento invalidante»: il ricorrente, pertanto, avrebbe dovuto rinunciare alla pensione di inabilità e optare per il trattamento privilegiato in esame. L’omessa considerazione di tale profilo, connesso all’interesse ad agire, potrebbe «eventualmente ricadere sulla rilevanza della questione».

Quanto alla mancata stima dei risparmi, la difesa dello Stato richiama le considerazioni svolte nella sentenza n. 124 del 2017 con riguardo alla disciplina del limite alle retribuzioni pubbliche, racchiusa nello stesso d.l. n. 201 del 2011. Dalla mancanza di una quantificazione precisa dei risparmi attesi non si potrebbe evincere l’irragionevolezza della disciplina censurata, allorché una credibile valutazione preventiva sia preclusa dalla molteplicità delle variabili in gioco.

Nel caso di specie, la «stratificazione normativa» di precedenti misure restrittive in tema di pensioni privilegiate (art. 70 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante «Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria», convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133), l’articolata disciplina transitoria prevista dalla norma censurata, la necessità di considerare l’applicazione del generale regime INAIL imporrebbero «una valutazione ex post dei risparmi di spesa».

Considerato in diritto

1.– La Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Puglia, giudice unico delle pensioni, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 6 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214.

La disposizione censurata abroga l’istituto della pensione privilegiata per la generalità dei dipendenti pubblici e conserva tale beneficio soltanto agli appartenenti «al comparto sicurezza, difesa, vigili del fuoco e soccorso pubblico».

Il rimettente denuncia il contrasto della disciplina in esame con l’art. 3 della Costituzione sotto un duplice profilo.

L’assetto delineato dal legislatore determinerebbe, in primo luogo, una irragionevole disparità di trattamento a danno della generalità dei dipendenti pubblici. Situazioni obiettivamente omogenee sarebbero assoggettate, senza alcuna giustificazione, a una disciplina differenziata: pur «in presenza della stessa infermità», la generalità dei dipendenti pubblici non potrebbe beneficiare di quella pensione privilegiata ordinaria che è attribuita, per contro, agli appartenenti «al comparto sicurezza, difesa, vigili del fuoco e soccorso pubblico».

Inoltre, la disposizione censurata contrasterebbe con il principio di ragionevolezza e di proporzionalità, in quanto, senza neppure richiamare le «contingenti situazioni finanziarie» e senza illustrare i risparmi di spesa derivanti dall’abrogazione dell’istituto della pensione privilegiata, sacrificherebbe in maniera arbitraria i diritti dei dipendenti pubblici esclusi da tale beneficio.

2.– L’Avvocatura generale dello Stato ha eccepito l’inammissibilità delle questioni, per difetto di rilevanza, e ha argomentato, a tale riguardo, che la parte ricorrente nel giudizio a quo non potrebbe conseguire la pensione privilegiata, senza prima rinunciare alla pensione di inabilità che già le è stata attribuita. Difetterebbe, pertanto, l’interesse ad agire.

L’eccezione deve essere disattesa.

Questa Corte ha chiarito che «la rilevanza di una determinata questione va valutata, non già in relazione agli ipotetici vantaggi di cui potrebbero beneficiare le parti in causa, ma, piuttosto, in relazione alla semplice applicabilità nel giudizio a quo della legge di cui si contesta la legittimità costituzionale e, quindi, alla influenza che sotto tale profilo il giudizio di costituzionalità può esercitare su quello dal quale proviene la questione» (sentenza n. 344 del 1990, punto 2. del Considerato in diritto).

Con argomentazione non implausibile, il rimettente osserva che la disciplina denunciata impedisce in radice l’accoglimento del ricorso e, in questa prospettiva, si coglie la necessità di fare applicazione della norma censurata, con la conseguente rilevanza del dubbio di costituzionalità prospettato.

3.– Le questioni non sono fondate.

3.1.– La disposizione censurata ha eliminato per la generalità dei dipendenti pubblici la pensione privilegiata, oggi riconosciuta soltanto al personale appartenente ai comparti sicurezza, difesa, vigili del fuoco e soccorso pubblico. A dire del rimettente, il trattamento deteriore riservato alla generalità dei dipendenti pubblici sarebbe privo di ogni giustificazione: «in presenza della stessa infermità», arbitrariamente diversa sarebbe la tutela accordata dalla legge.

La censura di disparità di trattamento non è fondata.

La pensione privilegiata, che si atteggia come «una sorta di “riparazione”» per il danno alla persona riconducibile al servizio prestato (sentenze n. 241 del 2016, punto 6.1. del Considerato in diritto, e n. 43 del 2015, punto 4. del Considerato in diritto), è «un istituto previdenziale che attribuisce un trattamento speciale di quiescenza e perciò presuppone la cessazione del rapporto d’impiego» (sentenza n. 428 del 1993, punto 2. del Considerato in diritto).

L’art. 6 del d.l. n. 201 del 2011 ha accentuato i caratteri di specialità di tale trattamento di quiescenza, delimitando la platea dei beneficiari rispetto alla formulazione originaria, che includeva i dipendenti statali e i militari (articoli da 64 a 67 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092, recante «Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato»).

La disciplina della pensione privilegiata, contraddistinta da una spiccata specialità sul versante oggettivo e soggettivo, non può assurgere a tertium comparationis, idoneo a giustificare l’estensione della normativa derogatoria a tutti i dipendenti pubblici.

Il regime speciale apprestato dal legislatore rispecchia la peculiarità dei comparti difesa, sicurezza, vigili del fuoco e soccorso pubblico, individuati secondo caratteristiche ragionevolmente omogenee, e si raccorda, per un verso, al più elevato livello di rischio ordinariamente connesso al servizio svolto nei comparti indicati e, per altro verso, alla mancanza di una specifica tutela assicurativa contro gli infortuni per le infermità contratte dai dipendenti di tali settori.

Le situazioni poste a raffronto non si prestano, pertanto, a una valutazione comparativa, che imponga l’estensione della disciplina derogatoria a tutti i dipendenti pubblici.

3.2.– Il rimettente ravvisa un ulteriore profilo di contrasto con l’art. 3 Cost. nell’irragionevolezza della disciplina, introdotta senza una stima analitica dei risparmi attesi.

Neppure tali censure sono fondate.

3.2.1.– Alla carente illustrazione delle esigenze finanziarie e dei risparmi questa Corte conferisce il rilievo di un indice sintomatico dell’irragionevolezza del bilanciamento di volta in volta attuato dal legislatore (sentenza n. 70 del 2015, punto 10. del Considerato in diritto). La valenza significativa di tale dato si inquadra, tuttavia, nell’àmbito di uno scrutinio più ampio, diretto a ponderare ogni elemento rivelatore dell’arbitrarietà e della sproporzione del sacrificio imposto agli interessi costituzionali rilevanti.

Nel sindacato demandato a questa Corte rivestono rilievo cruciale l’arco temporale delle misure restrittive, l’incidenza sul nucleo essenziale dei diritti coinvolti, la portata generale degli interventi, la pluralità di variabili e la complessità delle implicazioni, che possono anche precludere una stima ponderata e credibile dei risparmi (sentenza n. 124 del 2017, punto 8.4. del Considerato in diritto).

3.2.2.– Nel caso di specie, il legislatore persegue l’obiettivo tendenziale di attribuire all’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) la gestione della materia degli infortuni e delle malattie professionali dei dipendenti pubblici, con la particolare eccezione dei comparti sicurezza, difesa, vigili del fuoco e soccorso pubblico (Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 23 luglio 2013, n. 17895).

L’applicazione del nuovo regime è stata scandita secondo un percorso graduale, volto a salvaguardare le aspettative meritevoli di tutela.

La relazione tecnica, allegata al disegno di legge di conversione del d.l. n. 201 del 2011 (A.C. 4829), prefigura «economie quantificabili solo a consuntivo» e puntualizza che «l’esclusione esplicita di alcune categorie di personale nonché la necessaria gradualità delle modalità di applicazione, determina nel primo triennio effetti non puntualmente quantificabili tenuto conto, anche, dei tempi di liquidazione dei benefici previsti».

Il legislatore, con apprezzamento che si sottrae alle censure del rimettente, ha indicato in maniera puntuale gli ostacoli che si frappongono a una plausibile previsione dei risparmi e rendono ineludibile una valutazione «a consuntivo».

L’eliminazione della pensione privilegiata, attuata nell’àmbito di un graduale disegno di armonizzazione, non contrasta, pertanto, sotto il profilo dedotto dal rimettente, con il generale canone di ragionevolezza, che si configura come «principio di sistema», chiamato a orientare le scelte del legislatore in materia previdenziale (sentenza n. 250 del 2017, punto 6.5.1. del Considerato in diritto).

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 6 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, sollevate dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Puglia, giudice unico delle pensioni, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 gennaio 2018.

F.to:

Giorgio LATTANZI, Presidente

Silvana SCIARRA, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 2 febbraio 2018.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto MILANA

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