SENTENZA N. 21
ANNO 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Giorgio LATTANZI; Giudici : Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione autonoma della Sardegna 16 marzo 2017, n. 4 (Ridefinizione dei confini tra i Comuni di Magomadas e Tresnuraghes), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 19-23 maggio 2017, depositato in cancelleria il 23 maggio 2017 ed iscritto al n. 39 del registro ricorsi 2017.
Visto l’atto di costituzione della Regione autonoma della Sardegna;
udito nella udienza pubblica del 23 gennaio 2018 il Giudice relatore Nicolò Zanon;
uditi l’avvocato dello Stato Massimo Salvatorelli per il Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati Mattia Pani e Alessandra Camba per la Regione autonoma della Sardegna.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato il 19-23 maggio 2017, e depositato il 23 maggio 2017, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, in riferimento all’art. 133, secondo comma, della Costituzione e agli artt. 3 e 45 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione autonoma della Sardegna 16 marzo 2017, n. 4 (Ridefinizione dei confini tra i Comuni di Magomadas e Tresnuraghes).
1.1.– Premette il Presidente del Consiglio dei ministri che la legge reg. Sardegna n. 4 del 2017 provvede, «ai sensi del titolo II della legge regionale 30 ottobre 1986, n. 58», alla ridefinizione dei confini dei Comuni di Magomadas e Tresnuraghes, e, in particolare, alla permuta di porzioni di territorio tra i due Comuni, con conseguente incremento della popolazione residente in favore del Comune di Tresnuraghes e decremento demografico nel Comune di Magomadas. Premette ancora il ricorrente che, dal testo della legge e dai documenti ad essa allegati, non risulta essersi svolta alcuna consultazione popolare.
Osserva, quindi, il Presidente del Consiglio dei ministri che la legge della Regione autonoma della Sardegna 30 ottobre 1986, n. 58 (Norme per l’istituzione di nuovi comuni, per la modifica delle circoscrizioni comunali e della denominazione dei comuni e delle frazioni) disciplina, al Titolo II, il procedimento per la definizione dei confini, disponendo che debba essere acquisito il parere dei Consigli comunali interessati alla «determinazione e definizione dei confini comunali» (ed eventualmente anche dei Consigli provinciali), senza, invece, «apparentemente» prevedere lo svolgimento di una consultazione popolare.
Il ricorrente evidenzia, però, che al Titolo IV, che regola le modalità di svolgimento della consultazione popolare, è stabilito, all’art. 22, che quest’ultima abbia luogo «quando vi si debba procedere», e, dunque, ritiene che debba essere presa in considerazione la disposizione «fondamentale e di principio» contenuta all’art. 1 della menzionata legge reg. Sardegna n. 58 del 1986, che espressamente richiama i «referendum consultivi ai sensi dell’art. 45 dello Statuto della Sardegna approvato con legge 26 febbraio 1948, n. 3». Quest’ultimo stabilisce che «la Regione, sentite le popolazioni interessate, può con legge istituire nel proprio territorio nuovi comuni e modificare le loro circoscrizioni e denominazioni».
Secondo il ricorrente, in definitiva, da una corretta ricostruzione del quadro normativo vigente e, in particolare, delle disposizioni da ultimo richiamate, si dovrebbe desumere che la ridefinizione dei confini tra due Comuni costituisca una delle ipotesi, contemplate dal Titolo IV della legge reg. Sardegna n. 58 del 1986, nelle quali si deve procedere alla consultazione popolare.
Poiché, nel caso di specie, tale consultazione non si è svolta, il legislatore regionale sarebbe incorso in una violazione di norme di rango costituzionale sotto un duplice profilo.
1.2.– Riconosce il Presidente del Consiglio dei ministri che la Regione autonoma della Sardegna – al pari delle altre Regioni a statuto speciale – gode, ai sensi dell’art. 3 del proprio statuto, di competenza legislativa esclusiva in materia di «ordinamento degli enti locali», da esercitarsi «in armonia con la Costituzione e i principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica e col rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali, nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica». Il legislatore regionale sarebbe tuttavia vincolato – in tale materia – al rispetto delle altre disposizioni contenute nello statuto speciale e, in particolare, dell’art. 45.
Quest’ultimo – il quale, come ricordato, obbliga a consultare le popolazioni interessate quando si intenda procedere ad una modifica delle circoscrizioni comunali – sarebbe stato violato, poiché la legge impugnata non è stata preceduta da alcuna consultazione, né essa «prevede che [tale consultazione] debba avvenire».
1.3.– Ad avviso del ricorrente, vi sarebbe, inoltre, una violazione dell’art. 133, secondo comma, Cost., il quale – analogamente al citato art. 45 dello statuto speciale – testualmente stabilisce che «[l]a Regione, sentite le popolazioni interessate, può con sue leggi istituire nel proprio territorio nuovi Comuni e modificare le loro circoscrizioni e denominazioni».
La legge impugnata si porrebbe, dunque, in contrasto anche con tale disposizione costituzionale, posta a garanzia della partecipazione popolare ad un procedimento destinato ad incidere significativamente sulla vita quotidiana dei cittadini interessati. In tal senso si sarebbe più volte espressa la Corte costituzionale in relazione a leggi di Regioni a statuto ordinario, ma ponendo principi – ad avviso del ricorrente – «certamente applicabili al caso oggi in esame, considerato, tra l’altro, il tenore degli artt. 3 e 45 dello Statuto della Regione Sardegna sopra richiamati» (sono menzionate le sentenze n. 214 del 2010, n. 47 del 2003, n. 94 del 2000, n. 433 del 1995, n. 279 del 1994, n. 107 del 1983 e n. 204 del 1981).
2.– Si è costituita in giudizio, con atto depositato il 22 giugno 2017, la Regione autonoma della Sardegna, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o, in subordine, infondato.
2.1.– Osserva preliminarmente la difesa regionale che la ridefinizione dei confini dei Comuni di Magomadas e Tresnuraghes si sarebbe resa necessaria per risolvere problematiche evidenziate a più riprese alle amministrazioni locali interessate dai cittadini e dai residenti del quartiere denominato «Bianae». Quest’ultimo, adiacente all’abitato del Comune di Tresnuraghes, era giuridicamente inserito nella circoscrizione territoriale del Comune di Magomadas, nonostante si trovi geograficamente più lontano da quest’ultimo. I cittadini del quartiere di Bianae, storicamente discendenti e appartenenti a famiglie radicate nel Comune di Tresnuraghes, pur essendo anagraficamente residenti nel Comune di Magomadas, hanno da sempre ricevuto tutti i servizi primari dal Comune di Tresnuraghes, subendo, per ciò, notevoli disagi.
La loro legittima aspettativa di «dipendere» da un solo Comune, e, in particolare, da quello di Tresnuraghes, emergerebbe dalla petizione presentata «fin dal 31 dicembre 1991 e così, ciclicamente, fino a quando i due Comuni – Tresnuraghes e Magomadas – hanno promosso congiuntamente un procedimento formale di accoglimento delle loro istanze».
Ricorda ancora la difesa regionale che le deliberazioni degli organi consiliari comunali sono state adottate all’unanimità dei presenti. Anche il Consiglio regionale avrebbe approvato all’unanimità la legge ora all’esame della Corte costituzionale.
Da ciò si evincerebbe «che l’iter procedurale della ridefinizione dei confini è stato avviato esclusivamente per la richiesta presentata in maniera diretta proprio dalla popolazione residente nel quartiere “Bianae”, rendendo superflua qualsiasi ulteriore consultazione».
Del resto – osserva la difesa regionale – la legge reg. Sardegna n. 58 del 1986 distinguerebbe due distinte ipotesi, rispettivamente regolate nel Titolo I e nel Titolo II: l’«Istituzione e modifica delle circoscrizioni e delle denominazioni dei Comuni», da un lato, e la «Determinazione e definizione dei confini comunali», dall’altro. Solo nel primo caso è espressamente previsto che il procedimento comprenda la consultazione popolare, e solo a tale ipotesi farebbe riferimento l’art. 22 della medesima legge regionale quando stabilisce che «[l]a consultazione popolare, quando vi si debba procedere, ha luogo».
Osserva, infine, la difesa regionale che dalla relazione allegata alla legge impugnata emergerebbe «quella situazione di incertezza» presupposto dell’intervento normativo regionale e, in particolare, la circostanza che sia per il quartiere di Bianae, sia per la località di Nosiola, risulterebbero abitazioni «a cavallo dei due Comuni» interessati alla parziale rideterminazione dei loro confini.
2.2.– Eccepisce, quindi, la difesa regionale che il ricorso sarebbe inammissibile per plurime ragioni.
In primo luogo, il ricorrente, pur riconoscendo che alla Regione autonoma della Sardegna spetta una potestà legislativa esclusiva in materia, avrebbe «del tutto contraddittoriamente» promosso il ricorso «a tutela di norme statutarie e di una competenza legislativa che afferma non essere propria», e, inoltre, richiamando disposizioni costituzionali riferite alle Regioni a statuto ordinario. Per tali ragioni le censure prospettate si presenterebbero come implausibili.
In secondo luogo – secondo la difesa regionale – il ricorso sarebbe inammissibile per carenza di interesse e, in particolare, per «mancata indicazione dell’interesse che il ricorrente intende tutelare a mezzo della questione di costituzionalità sollevata».
Le questioni di legittimità costituzionale promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri sarebbero altresì inammissibili, in quanto non sorrette da adeguata motivazione. Il ricorrente si limiterebbe ad evocare la lesione degli artt. 3 e 45 dello statuto speciale e dell’art. 133, secondo comma, Cost.
Con riferimento ai parametri statutari, non sarebbero esposte le ragioni per le quali la disposizione regionale impugnata pregiudicherebbe gli interessi delle piccole comunità locali interessate della legge regionale impugnata, né sul più generale interesse pubblico posto «a garanzia della partecipazione popolare ad un procedimento destinato ad incidere significativamente sulla vita quotidiana dei cittadini interessati».
Anche con riferimento all’asserita lesione dell’art. 133, secondo comma, Cost., la censura sarebbe generica, in quanto il ricorrente non solo non avrebbe individuato «l’oggetto della questione proposta», ma non avrebbe motivato in modo chiaro ed adeguato in ordine alle specifiche ragioni che determinerebbero la violazione dei parametri che assume lesi.
Le censure sarebbero infine inammissibili perché ipotetiche. Il ricorrente non avrebbe chiarito per quale ragione le comunità interessate sarebbero pregiudicate dalla modificazione dei confini.
2.3.– Nel merito, la difesa della Regione autonoma della Sardegna contesta l’interpretazione data alla legge reg. Sardegna n. 58 del 1986 dall’Avvocatura generale dello Stato, secondo la quale il Titolo II di tale legge non escluderebbe l’applicazione della consultazione popolare prevista dal successivo art. 22.
A tale fine, la resistente osserva che – spettando alla Regione autonoma della Sardegna la potestà legislativa esclusiva in materia di ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni (ai sensi dell’art. 3, lettera b, dello statuto speciale) – il legislatore regionale sarebbe obbligato dall’art. 45 dello statuto a prevedere una forma di consultazione popolare solo nell’ipotesi di istituzione di nuovo Comune e di conseguente modifica delle relative circoscrizioni e denominazioni in esito alla predetta nuova istituzione, non anche quando – come nel caso in esame – la Regione si limiti a rideterminare parzialmente i confini di una modesta porzione di territorio tra due Comuni, in esito alla volontà espressa dai rispettivi Consigli comunali.
La non fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri emergerebbe, dunque, già alla luce dell’iter procedurale seguito dalla Regione autonoma della Sardegna. La più volte menzionata legge reg. Sardegna n. 58 del 1986 regola, infatti, due distinte procedure, l’una, disciplinata nel Titolo I, applicabile in caso di modifica delle circoscrizioni comunali a causa dell’istituzione di nuovo Comune, in cui è previsto il ricorso alla consultazione popolare, l’altra, contenuta nel Titolo II, relativa alla sola modifica delle circoscrizioni comunali, in cui non si fa menzione alla consultazione popolare.
Sottolinea la difesa regionale come anche per il mutamento di denominazione del Comune sarebbe data la possibilità – dall’art. 14 della legge reg. Sardegna n. 58 del 1986 – di non dar corso alla consultazione popolare.
In conclusione, la difesa regionale sostiene che, «dalla lettura coordinata della citata legge 58/1986 e della lett. b) dell’art. 3 dello Statuto», emergerebbe che la Regione autonoma della Sardegna non sia tenuta a promuovere la consultazione popolare al di fuori delle ipotesi di modifica di circoscrizioni e di denominazioni che fanno seguito all’istituzione di nuovo Comune.
Alla luce di tale ricostruzione, la sentenza della Corte costituzionale n. 214 del 2010 – menzionata dal ricorrente – risulterebbe non conferente, in quanto relativa a una Regione a statuto ordinario. Pertinente al caso in esame sarebbe, invece, la sentenza n. 230 del 2001, con cui la Corte ha affermato la sussistenza di una competenza legislativa di rango primario in capo alle Regioni a statuto speciale in merito al procedimento di istituzione di nuove Province. Da tali decisioni – nella ricostruzione della difesa regionale – emergerebbe che il ricorso all’istituto referendario sarebbe «superfluo» al cospetto di una potestà legislativa primaria ed esclusiva della Regione, la quale – per il caso di modifica dei confini di enti locali preesistenti – ha scelto di non prevedere una consultazione popolare, ma solo un onere di partecipazione, attraverso, ad esempio, le deliberazioni dei Consigli comunali interessati.
La difesa regionale ritiene che, a sostegno dell’interpretazione proposta, deponga la legge della Regione autonoma della Sardegna 21 gennaio 2011, n. 3 (Legge regionale 30 ottobre 1986, n. 58. Ridefinizione dei confini tra i Comuni di Arborea e Terralba e San Teodoro, Budoni e Posada), che ha analogamente provveduto.
Conclude osservando come l’intervento operato dalla legge impugnata non abbia determinato una modifica delle circoscrizioni dei Comuni di Magomadas e Tresnuraghes, bensì «una ridefinizione dei confini che richiama l’azione di ridefinizione dei confini tra proprietà private di cui all’art. 950 del codice civile». La modifica territoriale sarebbe circoscritta e funzionale a risolvere un’evidente anomalia nella definizione dei confini e ad agevolare per molti aspetti la qualità di vita dei cittadini del quartiere di Banae.
Considerato in diritto
1.– Con il ricorso indicato in epigrafe, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, propone questioni di legittimità costituzionale in via principale dell’art. 1 della legge della Regione autonoma Sardegna 16 marzo 2017, n. 4 (Ridefinizione dei confini tra i Comuni di Magomadas e Tresnuraghes), per violazione degli artt. 3 e 45 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna) e dell’art. 133, secondo comma, della Costituzione.
Osserva il ricorrente che la disposizione impugnata – la quale ridefinisce i confini tra i Comuni di Magomadas e Tresnuraghes, operando una permuta di porzioni di territorio tra i due Comuni, con conseguente incremento della popolazione residente in favore del Comune di Tresnuraghes e decremento demografico nel Comune di Magomadas – è stata approvata senza previa consultazione della popolazione interessata dalla variazione delle circoscrizioni comunali.
Per tale ragione, essa si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 45 dello statuto speciale per la Sardegna, il primo dei quali riserva alla Regione autonoma della Sardegna la potestà legislativa esclusiva in materia di ordinamento degli enti locali e relative circoscrizioni, mentre il secondo stabilisce che la Regione può con legge istituire nel proprio territorio nuovi Comuni e modificare le loro circoscrizioni e denominazioni «sentite le popolazioni interessate».
La disposizione impugnata sarebbe inoltre lesiva dell’art. 133, secondo comma, Cost., il quale – analogamente al ricordato art. 45 dello statuto speciale – prevede che la Regione, sentite le popolazioni interessate, può con sue leggi istituire nel proprio territorio nuovi Comuni e modificare le loro circoscrizioni e denominazioni.
2.– La difesa regionale eccepisce preliminarmente l’inammissibilità del ricorso, per plurime ragioni.
2.1.– Con le prime due eccezioni, assume che il ricorrente, pur riconoscendo che alla Regione autonoma della Sardegna spetta una potestà legislativa esclusiva in materia di ordinamento degli enti locali e relative circoscrizioni, avrebbe «del tutto contraddittoriamente» promosso il ricorso «a tutela di norme statutarie e di una competenza legislativa che afferma non essere propria». Aggiunge altresì la resistente che l’Avvocatura generale dello Stato non avrebbe indicato l’interesse che intende tutelare a mezzo delle questioni di legittimità costituzionale promosse.
Palesemente infondata è l’eccezione d’inammissibilità del ricorso perché il Governo non avrebbe indicato l’interesse da tutelare lamentando la violazione, da parte della legge regionale, di norme dello statuto speciale per la Sardegna. Quest’ultimo, in quanto legge costituzionale, svolge a pieno titolo la funzione di parametro di legittimità costituzionale nei confronti di tutta la legislazione ordinaria, statale e regionale, e lo Stato è chiamato a garantirne il rispetto. L’interesse a ricorrere, in altre parole, è in re ipsa.
A diversa conclusione si deve giungere per la censura formulata dal Presidente del Consiglio dei ministri con riferimento all’art. 3 dello statuto di autonomia, il quale attribuisce alla Regione autonoma della Sardegna una potestà legislativa esclusiva in materia di «ordinamento degli enti locali e relative circoscrizioni».
Il ricorrente, infatti, da un lato riconosce che in tale materia la Regione autonoma della Sardegna gode della più ampia autonomia legislativa, al fine di argomentare che tale competenza deve essere esercitata in conformità dell’art. 45 dello statuto speciale; dall’altro, però, eccepisce la violazione del citato art. 3. Come è evidente, quest’ultima disposizione costituisce un presupposto argomentativo del ricorso, a giustificazione della violazione dell’art. 45 dello statuto medesimo, ma non può al contempo fungere da parametro rispetto al quale verificare la legittimità costituzionale della legge impugnata.
La questione posta con riferimento all’art. 3 dello statuto speciale è pertanto inammissibile.
2.2.– Non fondata è l’eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza di adeguata motivazione delle censure.
Sia pure sinteticamente, infatti, il ricorso statale individua esattamente la questione, indicando le norme regionali e i parametri costituzionali, ed espone le ragioni per la quali il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene che la legge regionale impugnata sia costituzionalmente illegittima, citando anche – a conforto delle proprie argomentazioni – la giurisprudenza costituzionale in materia (ex multis, sentenze n. 81 del 2017, n. 252 e n. 228 del 2016).
2.3.– Pure non fondata è l’eccezione d’inammissibilità per ipoteticità delle censure, sostenuta allegando che il ricorrente non avrebbe chiarito le ragioni per le quali le comunità interessate sarebbero pregiudicate dalla modificazione dei confini disposta dalla legge impugnata.
Vero che il ricorrente non spende argomenti in ordine all’interesse delle comunità interessate rispetto alla variazione circoscrizionale: ma non è tenuto a farlo né lo potrebbe. Lo Stato, infatti, può lamentare la violazione del procedimento per la variazione delle circoscrizioni comunali e, in particolare, la mancata consultazione delle popolazioni interessate, poiché tale onere procedimentale è imposto da disposizioni di rango costituzionale a garanzia del principio di autodeterminazione delle popolazioni interessate. Non gli appartiene, invece – attraverso un riferimento all’interesse delle popolazioni la cui posizione è incisa dalla legge – svolgere una valutazione sul merito della scelta discrezionale assunta dal Consiglio regionale all’esito del procedimento legislativo (sentenze n. 2 del 2018 e n. 94 del 2000).
2.4.– Eccepisce infine la difesa regionale che il ricorrente ha lamentato la violazione di una disposizione costituzionale – l’art. 133, secondo comma, Cost. – riferibile soltanto alle Regioni a statuto ordinario e non a quelle speciali.
Il ricorrente, in effetti, assume che la legge reg. Sardegna n. 4 del 2017 sarebbe stata adottata in violazione, oltre che dell’art. 45 dello statuto speciale per la Sardegna, anche dell’art. 133, secondo comma, Cost. Quest’ultimo parametro – a suo avviso – porrebbe principi certamente applicabili anche al caso in esame, considerato, tra l’altro, l’identico tenore delle due disposizioni.
L’eccezione non è fondata, poiché questa Corte ha già affermato che l’art. 133, secondo comma, Cost., certamente destinato alle Regioni a statuto ordinario, tuttavia vincola, nella parte in cui riconosce il principio di autodeterminazione delle popolazioni locali, anche le Regioni a statuto speciale, le quali restano peraltro libere di dare attuazione a tale principio nelle forme procedimentali ritenute più opportune (sentenza n. 453 del 1989). Per questa parte, e in questi limiti, il parametro è correttamente evocato.
3.– La questione è fondata.
In primo luogo, a dispetto di quanto sostenuto dalla difesa regionale, questa Corte ha già in più occasioni affermato, con riferimento all’art. 133, secondo comma, Cost., che tale disposizione impone di sentire le popolazioni interessate anche quando, come accaduto nella vicenda da cui origina la presente questione, la variazione circoscrizionale non è diretta conseguenza dell’istituzione di un nuovo Comune.
L’identico tenore testuale dell’art. 45 dello statuto della Regione autonoma Sardegna comporta che alla medesima conclusione si debba giungere anche in riferimento a tale disposizione.
Le popolazioni interessate, quindi, devono essere sentite anche qualora si proceda alla mera variazione delle circoscrizioni di due Comuni (sentenze n. 214 del 2010 e n. 279 del 1994, nonché, con riferimento ad una Regione a statuto speciale, sentenza n. 453 del 1989). Peraltro, nella sentenza n. 214 del 2010 questa affermazione è stata svolta proprio in relazione all’ipotesi di permuta e/o cessione di terreni voluta da due amministrazioni comunali confinanti. Inoltre, non ha peso l’obiezione della difesa regionale, che sottolinea il limitato impatto della variazione nonché il basso numero dei cittadini ad essa interessati. Infatti, nella sentenza n. 279 del 1994, questa Corte ha precisato che la consultazione deve svolgersi a prescindere dal numero dei soggetti interessati e dalla scarsa entità dell’intervento.
È, inoltre, pacifico che non garantisce il rispetto del principio di autodeterminazione delle popolazioni interessate la circostanza che la richiesta di variazione sia originata da un’istanza dei cittadini (nel caso in esame, da una petizione che, sulla base della documentazione prodotta dalla Regione, risalirebbe, peraltro, al 1991). Questa Corte, infatti, ha già affermato che «la sottoscrizione di dette istanze costituisce un modo di espressione dell’opinione che non offre garanzie circa la libertà di ciascuno in relazione a possibili condizionamenti esterni» e, soprattutto, che «altro è il momento dell’iniziativa altro è quello della consultazione vera e propria» (sentenza n. 453 del 1989). Né, infine, rileva che i Consigli comunali interessati e il Consiglio regionale si siano espressi all’unanimità, poiché l’interesse garantito dall’obbligo di consultazione è riferito direttamente alle popolazioni e non agli enti territoriali (sentenza n. 94 del 2000).
La legge reg. Sardegna n. 4 del 2017 si pone, quindi, in contrasto con l’art. 45 dello statuto speciale poiché ha determinato una sia pur limitata variazione delle circoscrizioni comunali, senza previamente e direttamente sentire le popolazioni interessate, violando altresì il principio, desumibile dall’art. 133, secondo comma, Cost., che garantisce in materia la loro autodeterminazione.
4.– Si deve aggiungere che la tesi della difesa regionale, secondo la quale le popolazioni interessate devono essere sentite solo quando la variazione circoscrizionale consegua all’istituzione di un nuovo Comune, è smentita dal tenore letterale della legge della Regione autonoma della Sardegna 30 ottobre 1986, n. 58 (Norme per l’istituzione di nuovi comuni, per la modifica delle circoscrizioni comunali e della denominazione dei comuni e delle frazioni), che regola, in via generale, i procedimenti per l’istituzione di nuovi Comuni, per la modifica delle loro circoscrizioni e denominazioni, nonché lo svolgimento dei referendum consultivi previsti dall’art. 45 dello statuto speciale.
Tale legge, al Titolo I, regola un procedimento nel cui ambito le popolazioni interessate devono essere sentite tramite un referendum consultivo. Questo procedimento, come emerge dalla rubrica del Titolo in questione (Istituzione e modifica delle circoscrizioni e delle denominazioni dei Comuni), è applicabile in tre distinte ipotesi: istituzione di Comuni, modifica delle circoscrizioni comunali e mutamento delle denominazioni dei Comuni.
Il fatto che tale procedura si applichi anche in caso di modifica delle circoscrizioni, senza istituzione di un nuovo Comune, come nella fattispecie in esame, è confermato dall’art. 4, il quale, nel disciplinare l’iniziativa del procedimento di variazione, la attribuisce ad un quinto degli elettori residenti nella «frazione o territorio che si chiede […] di trasferire ad altro comune», ovvero nel «comune che si chiede di aggregare ad altro contermine» o in uno dei «comuni che si chiede di fondere».
Ne risulta che la legge regionale impugnata è costituzionalmente illegittima perché non è stata approvata alla luce del procedimento descritto, bensì, erroneamente, secondo la ben diversa procedura disciplinata al Titolo II della legge reg. Sardegna n. 58 del 1986, nell’ambito del quale non è, invece, data la possibilità di indire una consultazione popolare. Tale procedimento si applica nei casi di «Determinazione dei confini» (art. 16), ossia «[q]ualora il confine tra due o più comuni, anche se di province diverse, non sia delimitato da segni naturali facilmente riconoscibili o comunque dia luogo ad incertezze», e di «Definizione dei confini» (art. 17), «[q]uando due o più comuni, anche se di province diverse, rivendichino un diritto di supremazia su uno stesso territorio o i cui confini, comunque, siano contestati».
In tali ipotesi non è necessario sentire le popolazioni interessate, poiché – appunto – non si tratta di variare le circoscrizioni comunali, bensì di definire una situazione di incertezza. Questa stessa Corte ha messo in luce la differenza tra le due fattispecie (sentenze n. 55 del 1993 e n. 743 del 1988).
Nel caso ora in esame, alla luce della documentazione allegata alla legge impugnata e a quella prodotta dalla difesa regionale, risulta chiaro che non vi era alcuna incertezza sulla delimitazione dei confini dei due Comuni e che la decisione di variarne le circoscrizioni è stata dettata da esigenze di razionalizzazione relative allo sviluppo urbanistico di determinate zone: esigenze che, in base allo statuto speciale e alla stessa legge reg. Sardegna n. 58 del 1986, non possono escludere la consultazione delle popolazioni interessate.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione autonoma della Sardegna 16 marzo 2017, n. 4 (Ridefinizione dei confini tra i Comuni di Magomadas e Tresnuraghes).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 gennaio 2018.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Nicolò ZANON, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 9 febbraio 2018.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA