SENTENZA N. 27
ANNO 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Giorgio LATTANZI; Giudici : Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 3 e 4, comma 1, lettera b), numero 3), del decreto legislativo 23 dicembre 1998, n. 504 (Riordino dell’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse, a norma dell’articolo 1, comma 2, della legge 3 agosto 1998, n. 288), e dell’art. 1, comma 66, lettera b), della legge 13 dicembre 2010, n. 220, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2011)», promossi dalla Commissione tributaria provinciale di Rieti con quattro ordinanze del 17 dicembre 2015, iscritte rispettivamente al n. 60, n. 61, n. 62 e n. 63 del registro ordinanze 2016 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell’anno 2016.
Visti gli atti di costituzione di M.C. G. e di Stanleybet Malta ltd, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella udienza pubblica del 23 gennaio 2018 il Giudice relatore Giuliano Amato;
uditi gli avvocati Daniela Agnello, Giuseppe Corasaniti, Roberto A. Jacchia per M.C. G., e gli avvocati Daniela Agnello, Roberto A. Jacchia e Fabio Ferraro per Stanleybet Malta ltd, nonché l’avvocato dello Stato Gianna Maria De Socio per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Con quattro ordinanze di analogo tenore letterale, la Commissione tributaria provinciale di Rieti ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 3 e 4, comma 1, lettera b), numero 3), del decreto legislativo 23 dicembre 1998, n. 504 (Riordino dell’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse, a norma dell’articolo 1, comma 2, della legge 3 agosto 1998, n. 288), e dell’art. 1, comma 66, lettera b), della legge 13 dicembre 2010, n. 220, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2011)», nella parte in cui, secondo il diritto vivente, prevedono che soggetti passivi dell’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse siano anche le ricevitorie operanti per conto di bookmakers privi di concessione.
2.– Nei quattro giudizi a quibus il giudice rimettente è investito della decisione in ordine ai ricorsi rispettivamente proposti da M.C. G. (r.o. n. 60 e n. 63 del 2016) e da Stanleybet Malta ltd (r.o. n. 61 e n. 62 del 2016), tutti nei confronti dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli di Stato. Riferisce il rimettente che, sulla base di un contratto di ricevitoria, essi gestiscono centri di raccolta scommesse per conto di Stanley International che, per quanto riguarda l’Italia, ha ceduto il ramo di azienda relativo ai giochi e alle scommesse a Stanleybet Malta ltd.
In particolare, le parti ricorrenti raccolgono le scommesse dei singoli scommettitori e le trasmettono al bookmaker Stanley International, che provvede a pagare l’eventuale vincita. Il rimettente precisa che l’organizzazione delle scommesse spetta al bookmaker, mentre la ricevitoria funge da centro di trasmissione dei dati (CTD), necessari alla conclusione del gioco.
Il giudice a quo riferisce, inoltre, che – in base all’art. 3 del d.lgs. n. 504 del 1998, come interpretato dall’art. 1, comma 66, lettera b), della legge n. 220 del 2010 – l’amministrazione finanziaria pretende il pagamento della imposta sulle scommesse anche dai ricevitori.
2.1.– La prima delle disposizioni censurate, l’art. 3 del d.lgs. n. 504 del 1998, stabilisce che soggetti passivi dell’imposta unica sono coloro i quali gestiscono, anche in concessione, i concorsi pronostici e le scommesse. Essa è stata oggetto di interpretazione autentica da parte dell’art. 1, comma 66, lettera b), della legge n. 220 del 2010, «nel senso che soggetto passivo d’imposta è chiunque, ancorché in assenza […] della concessione rilasciata dal Ministero dell’economia e delle finanze - Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, gestisce con qualunque mezzo, anche telematico, per conto proprio o di terzi, anche ubicati all’estero, concorsi pronostici o scommesse di qualsiasi genere. Se l’attività è esercitata per conto terzi, il soggetto per conto del quale l’attività è esercitata è obbligato solidalmente al pagamento dell’imposta e delle relative sanzioni».
L’Agenzia delle dogane e dei monopoli assume, pertanto, che i CTD siano gestori di scommesse per conto dei bookmakers, e li considera soggetti passivi di imposta. Viceversa, le parti ricorrenti contestano che le disposizioni in esame si riferiscano alla propria attività. Pertanto, al fine di stabilire se essi siano soggetti d’imposta, è necessario fare applicazione delle disposizioni censurate, la prima, quale formulazione originaria del precetto, e la seconda quale interpretazione autentica dello stesso.
Ad avviso del giudice a quo, la questione non sarebbe meramente interpretativa. Preso atto dell’esistenza di un’interpretazione che porta a ritenere le ricevitorie obbligate al pagamento dell’imposta, il rimettente ritiene che tale interpretazione produca una norma incostituzionale, di cui va fatta applicazione ai fini della decisione delle controversie sottoposte al suo esame.
Sarebbe esclusa la possibilità di una interpretazione conforme a Costituzione poiché, ad avviso del rimettente, l’applicabilità delle disposizioni censurate alle ricevitorie sarebbe stata affermata dalla prevalente giurisprudenza di merito, tale da costituire diritto vivente. Viceversa, il dovere del giudice rimettente di seguire l’interpretazione ritenuta più adeguata ai principi costituzionali sussisterebbe solo in assenza di un contrario diritto vivente.
2.2.– Quanto alla non manifesta infondatezza, è denunciata in primo luogo la violazione del principio di capacità contributiva di cui all’art. 53, primo comma, Cost.
Sulla premessa che l’imposta sulle scommesse è un’imposta indiretta, che colpisce il consumo di ricchezza del giocatore, il giudice a quo osserva che essa grava sullo scommettitore, anche se è riscossa dal concessionario e da questi versata all’erario. Il consumo della scommessa da parte dello scommettitore privato è indice indiretto di capacità contributiva e su di essa si commisura l’imposta. Come è tipico delle imposte indirette, l’onere relativo può essere trasferito sul consumatore della ricchezza soggetta ad imposizione, ossia sul giocatore. Soltanto se l’imposta potrà effettivamente gravare sul consumatore (o su soggetto capace di trasferire a quest’ultimo l’onere relativo), potrà ritenersi rispettato il criterio della capacità contributiva.
Tuttavia, ad avviso del giudice a quo, la ricevitoria non potrebbe in alcun modo traslare l’imposta sullo scommettitore, in quanto non potrebbe rivalersi su di esso, né potrebbe effettuare la ritenuta sulle puntate ricevute o sulle vincite versate. Ciò sarebbe precluso dal decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 1° marzo 2006, n. 111 (Norme concernenti la disciplina delle scommesse a quota fissa su eventi sportivi diversi dalle corse dei cavalli e su eventi non sportivi da adottare ai sensi dell’articolo 1, comma 286, della legge 30 dicembre 2004, n. 311). Né sarebbe possibile una traslazione indiretta, attraverso la modifica delle quote di scommessa, in quanto queste, come le percentuali di vincita, sono stabilite dal bookmaker. D’altra parte, il contratto tra il bookmaker ed il ricevitore vieta a quest’ultimo ogni forma di ingerenza nella determinazione della scommessa e delle quote.
Ad avviso del rimettente, alla ricevitoria, quale obbligato “principale”, sarebbe altresì preclusa la rivalsa nei confronti del bookmaker, obbligato “dipendente”, atteso il divieto desumibile dall’art. 64, terzo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi).
In questo modo, sarebbe colpito un soggetto privo sia della capacità contributiva individuata dal legislatore quale fatto generatore del tributo, sia della possibilità di traslarne l’onere su chi possiede tale capacità.
2.3.– È altresì denunciata la violazione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., per l’irragionevole equiparazione, ai fini tributari, del gestore per conto proprio (il bookmaker) rispetto al gestore per conto terzi (il titolare di ricevitoria).
Il giudice a quo evidenzia che l’attività del bookmaker è diversa da quella svolta per conto di quest’ultimo dalla ricevitoria. Mentre il bookmaker sceglie gli eventi sui quali i giocatori sono invitati a effettuare scommesse, fissa le relative quote e le loro condizioni contrattuali e stipula in nome proprio i contratti di scommessa, la ricevitoria si limita a fornirgli il supporto logistico, mettendolo in contatto con i giocatori, trasmettendo le volontà contrattuali ed i flussi di provvista, e, in definitiva, eseguendo le direttive e le istruzioni ricevute dal bookmaker. Viceversa, la stessa ricevitoria non avrebbe alcun ruolo rispetto alle altre fasi della scommessa. Essa non partecipa alla formazione del programma di gioco, né alla quotazione delle scommesse; è soggetto terzo rispetto al contratto stipulato tra il bookmaker ed il giocatore; non vanta diritti sulla puntata, né risponde delle vincite che essa ha l’obbligo di pagare in esecuzione del mandato conferito dal bookmaker, con la provvista da lui fornita.
Il bookmaker è il mandante della ricevitoria, mentre questa è mera esecutrice degli incarichi. Inoltre, mentre il primo è parte del contratto di scommessa, la seconda rimane estranea ad esso, limitandosi a «ricevere le schede di partecipazione e riscuotere le poste da parte dei concorrenti» per conto del primo, come previsto dall’art. 55, primo comma, del d.P.R. 18 aprile 1951, n. 581 (Norme regolamentari per l’applicazione e l’esecuzione del decreto legislativo 14 aprile 1948, n. 496, sulla disciplina delle attività di giuoco).
Altrettanto diverse sono le utilità derivanti dalle rispettive attività. Infatti, mentre il ricavo del bookmaker è costituito dal valore delle scommesse stipulate, quello della ricevitoria è dato dalla provvigione che gli è riconosciuta dal bookmaker.
Diverso è anche il rapporto con la provvista versata dallo scommettitore. Infatti, mentre il bookmaker ne è il proprietario, la ricevitoria è un mero mandatario all’incasso con l’obbligo di fornire il rendiconto e di trasferire quanto ricevuto, al netto delle vincite pagate e delle provvigioni maturate.
Infine, solo il bookmaker potrebbe incidere sulla ricchezza dello scommettitore stabilendo quote meno favorevoli. Esso, inoltre, può ottenere la provvista necessaria all’assolvimento del tributo dalle puntate raccolte, mentre ciò non sarebbe possibile per il ricevitore, in mancanza di rapporti giuridici o economici con lo scommettitore.
Il giudice a quo dà atto dell’orientamento della giurisprudenza di merito che ha ritenuto che il titolare di ricevitoria possa liberarsi dell’onere dell’imposta mediante appositi accordi con il bookmaker che lo autorizzino a prelevare l’imposta dalla puntata. Tuttavia, ad avviso del rimettente, questa prospettazione non sarebbe condivisibile. Infatti, la necessità di un simile accordo, anziché giustificare la discriminazione, la confermerebbe, evidenziando l’inidoneità della norma a garantire di per sé la ragionevolezza del trattamento differenziato.
Inoltre, alla traslazione dell’onere tributario dalla ricevitoria al bookmaker osterebbe il fatto che la responsabilità di quest’ultimo ha natura dipendente ed è, quindi, accompagnata dal diritto di rivalsa nei confronti dell’obbligato principale (il titolare della ricevitoria), ai sensi dell’art. 64, terzo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973.
Attesa la radicale diversità del bookmaker dal ricevitore, la loro equiparazione dal punto di vista della responsabilità tributaria sarebbe priva di ragionevole giustificazione e si risolverebbe in una violazione del principio di uguaglianza. Non sarebbe neppure invocabile un’esigenza di parità di trattamento fiscale delle scommesse organizzate da titolari di concessione con quelle organizzate da soggetti privi di tale titolo, poiché nel sistema concessorio l’unico soggetto passivo è il titolare di concessione (art. 16 del d.m. n. 111 del 2006), e non la ricevitoria.
2.3.1.– Il giudice a quo denuncia, altresì, la violazione dell’art. 3 Cost. anche per difetto di proporzionalità e ragionevolezza.
Dopo avere richiamato la giurisprudenza costituzionale sul necessario rapporto tra l’obiettivo perseguito dal legislatore e i mezzi approntati per il suo raggiungimento, il giudice a quo osserva che l’intervento legislativo del 2010 era volto ad equiparare la tassazione delle scommesse offerte dai bookmakers nazionali muniti di concessione a quella dei bookmakers (prevalentemente esteri) che ne erano privi, al fine di recuperare così base imponibile e gettito, a fronte di fenomeni di elusione ed evasione nel settore. Tuttavia, in concreto, questi obiettivi non sarebbero stati raggiunti dalle disposizioni censurate.
L’intervento legislativo in esame non realizzerebbe, infatti, l’equiparazione tra ricevitori privi di concessione e ricevitori titolari di concessione, né tra bookmakers senza concessione e bookmakers con concessione. Ed invero, il d.m. n. 111 del 2006, all’art. 16, individua l’allibratore concessionario come unico debitore dell’imposta, prevedendo addirittura le modalità pratiche con cui essa deve venire assolta.
D’altra parte, i bookmakers titolari di concessione, a differenza di quelli privi di concessione che si avvalgono di ricevitorie, non sono assoggettati al medesimo obbligo. A questi ultimi, in quanto obbligati dipendenti, l’art. 64, terzo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973 attribuisce il diritto di regresso integrale nei confronti della ricevitoria.
Inoltre, non sarebbe realizzata neppure l’equiparazione ai fini fiscali delle scommesse “in concessione” rispetto a quelle “fuori concessione”. Infatti, il titolare di ricevitoria cui è addossato l’onere dell’imposta non ha alcuna possibilità di trasferirlo sugli scommettitori; pertanto, laddove le scommesse “fuori concessione” fossero state stipulate in evasione d’imposta prima della legge n. 220 del 2010, tale situazione non sarebbe cambiata.
Infine, l’irragionevolezza della disposizione introdotta dall’art. 1, comma 66, lettera b), della legge n. 220 del 2010 sarebbe aggravata dalla sua retroattività, derivante dalla natura di norma di interpretazione autentica.
2.4.– Ad avviso del giudice a quo, sarebbe impossibile un’interpretazione costituzionalmente orientata. Infatti, per sfuggire alle censure di legittimità costituzionale, le disposizioni censurate dovrebbero essere interpretate nel senso che esse non si applicano alle ricevitorie. Tuttavia, questa non sarebbe un’interpretazione costituzionalmente orientata, in quanto comporterebbe la disapplicazione delle disposizioni medesime. In ogni caso, tale impostazione sarebbe contraria al diritto vivente che ritiene i CTD soggetti all’imposta unica. La questione di legittimità costituzionale è sollevata, dunque, rispetto all’interpretazione che ne dà il diritto vivente.
3.– Nei giudizi innanzi alla Corte, è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o comunque non fondate.
3.1.– In via preliminare è eccepita l’inammissibilità della questione avente ad oggetto l’art. 4, comma 1, lettera b), numero 3), del d.lgs. n. 504 del 1998. Tale disposizione è indicata nel solo dispositivo dell’ordinanza e nella parte motiva non è investita da alcun dubbio di costituzionalità.
3.1.1.– L’Avvocatura generale dello Stato eccepisce, inoltre, l’insufficiente descrizione della fattispecie oggetto dei giudizi principali. Non essendo fornite indicazioni riguardo al contenuto dell’atto impositivo impugnato, all’ente impositore e ai motivi di ricorso sollevati dal contribuente, il requisito della rilevanza non sarebbe supportato da una motivazione sufficiente e non ne sarebbe possibile la verifica.
3.2.– Nel merito, l’Avvocatura generale dello Stato ritiene le questioni manifestamente infondate, o comunque non fondate, poiché legate ad una lettura parziale ed atomistica della legge, della quale sarebbe trascurato l’impianto complessivo.
L’art. l, comma 64, della legge n. 220 del 2010 indica esplicitamente le finalità perseguite dalla disposizione censurata. Oltre a quella di equiparare la tassazione delle scommesse offerte dai bookmakers nazionali muniti di concessione a quella dei bookmakers (per lo più esteri) che ne sono privi, il legislatore ha previsto ulteriori obiettivi, individuati nel contrasto del gioco d’azzardo ed illegale, nella tutela dei consumatori, in particolare dei minori, e dell’ordine pubblico, e nel recupero di base imponibile e di gettito a fronte di fenomeni elusivi e di evasione.
La scelta normativa di tassare anche le ricevitorie sarebbe strettamente funzionale a tutte le descritte finalità.
In concreto, la raccolta di scommesse si incentrerebbe sulla presenza di un’unica “filiera”, al termine della quale si porrebbero le ricevitorie. L’attribuzione di soggettività passiva al titolare della ricevitoria deriverebbe dal rapporto che lo lega ai bookmakers, sia a quelli legali, sia a quelli che operano illegalmente, i quali, di fatto, possono operare solo attraverso il CTD.
La scelta legislativa di valorizzare, dal punto di vista fiscale, l’ultimo (e necessario) anello della catena, ossia la ricevitoria, costituirebbe, dunque, un’efficace modalità per portare ad emersione il gioco illecito, esercitando così un controllo a difesa dei consumatori e perseguendo anche la finalità di recuperare base imponibile e di assicurare gettito non solo rispetto alle attività legali (bookmakers dotati di regolare concessione), ma anche alle attività illegali (bookmakers privi di regolare concessione).
Non sarebbe pertanto condivisibile l’assunto, fatto proprio dal rimettente, secondo cui la tassazione delle ricevitorie sarebbe ultronea rispetto alle finalità indicate dall’art. 1, comma 64, della stessa legge n. 220 del 2010.
3.2.1.– Inoltre, l’Avvocatura generale dello Stato fa rilevare che la ricevitoria non è estranea al processo di raccolta delle scommesse. Essa svolge attività che costituiscono il presupposto soggettivo dell’imposizione. In particolare, essa mette a disposizione locali ed apparecchiature; seleziona gli scommettitori, applicando i divieti di legge e accertando le condizioni che consentono la giocata; stabilisce le modalità di presidio del banco cui affluiscono le scommesse, individuando il personale da impiegare; trattiene parte delle somme raccolte ed esercita un controllo del volume delle scommesse.
L’Avvocatura sottolinea, inoltre, che il presupposto oggettivo per l’applicazione dell’imposta unica è rappresentato dalla raccolta delle scommesse. Ciò giustificherebbe pertanto, in base ad un ragionevole principio di prossimità, la tassazione in capo al soggetto che a ciò provvede.
3.2.2.– Quanto alla denunciata violazione del principio della capacità contributiva, l’interveniente evidenzia che il tributo in questione si qualifica come imposta indiretta, che non colpisce il reddito o il patrimonio dell’operatore (né del bookmaker, né della ricevitoria), bensì la manifestazione mediata di ricchezza.
Allo scopo di garantire l’attuazione del debito e la sua pronta riscossione, la legislazione tributaria è solita imporre obblighi fiscali anche a soggetti diversi da quelli cui si riferisce il fatto economico posto alla base del prelievo, per attuarlo nel momento in cui la riscossione è più agevole. La posizione di “anello finale” della filiera di raccolta delle scommesse rende la ricevitoria idonea a realizzare queste finalità, giustificando l’attribuzione del relativo carico tributario.
3.2.3.– L’Avvocatura generale dello Stato richiama, inoltre, l’orientamento della giurisprudenza di merito che ritiene legittimi gli accordi con i bookmakers, volti a consentire alla ricevitoria di prelevare l’imposta dalla puntata. D’altra parte, la possibilità del bookmaker di stabilire le quote delle vincite consentirebbe la traslazione dell’onere fiscale sullo scommettitore. Anche queste considerazioni dimostrerebbero la manifesta infondatezza dei dubbi di legittimità costituzionale sollevati, sia in relazione all’art. 53 Cost., sia in relazione all’art. 3 Cost.
3.2.4.– L’Avvocatura rileva, infine, che la legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», all’art. l, comma 945, ha stabilito che dal 1° gennaio 2016 le scommesse sportive non sono più tassate sull’ammontare della singola giocata, ma sulla differenza tra le somme giocate e le vincite pagate. In questo modo l’imposta unica sarebbe stata modificata da indiretta, sul consumo di ricchezza dello scommettitore, a diretta, sull’esercizio di attività economica. Pertanto, ora è solo chi svolge tale attività, il bookmaker, a dover pagare il tributo e alle ricevitorie non sarà più richiesto il pagamento della imposta unica.
4.– Nei giudizi iscritti ai nn. 60 e 63 reg. ord. 2016 si è costituita M.C. G., parte ricorrente nei relativi giudizi a quibus, chiedendo l’accoglimento della questione.
Dopo aver illustrato i presupposti di applicabilità del tributo, la ricorrente evidenzia che l’imposta unica dovrebbe essere oggetto di rivalsa da parte del soggetto passivo nei confronti del giocatore, attraverso la determinazione del valore delle quote associate alle scommesse.
Ciò premesso, la parte fornisce un’ampia ricostruzione del sistema concessorio in materia di scommesse e della giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, dalla quale emergerebbe la portata escludente e discriminatoria della disciplina italiana delle gare per il rilascio delle concessioni statali in materia di giochi pubblici. Ciò avrebbe costretto la parte privata ad operare in modalità transfrontaliera e telematica dal proprio paese di residenza, avvalendosi di una rete di ricevitorie. Queste ultime rimarrebbero completamente estranee al rischio connesso alla scommessa e non avrebbero alcun potere di fissare le quote. Esse non avrebbero neppure la possibilità di rivalersi dell’onere fiscale sugli scommettitori, né di ricavare la relativa provvista dalle poste di gioco, che rimangono di proprietà esclusiva del bookmaker.
Dopo avere ripercorso i principali arresti della giurisprudenza costituzionale sul principio della capacità contributiva, la difesa di M.C. G. deduce che esso sarebbe violato dalle disposizioni censurate, poiché sarebbe onerato del carico fiscale un soggetto privo della capacità contributiva individuata quale fatto generatore del tributo.
La parte costituita ritiene, inoltre, violato il principio di uguaglianza per essere accomunate, ai fini fiscali, le situazioni oggettivamente diverse del bookmaker e della ricevitoria operante per il bookmaker estero.
Inoltre, si determinerebbe un’evidente sperequazione fra ricevitorie operanti per bookmakers “in concessione” e ricevitorie operanti per bookmakers “fuori concessione”. Infatti, mentre le prime non sono annoverate tra i soggetti passivi dell’imposta, per contro le seconde, pur svolgendo un’attività identica, a partire dalla legge n. 220 del 2010, sono divenute soggetti passivi dell’imposta unica.
D’altra parte, anche dopo la disposizione interpretativa del 2010, la giurisprudenza avrebbe escluso che l’imposta sulle scommesse gravi anche sulle ricevitorie operanti per bookmakers in concessione, affermando, con orientamento costante, tale da costituire diritto vivente, che, in presenza di concessione, il soggetto passivo dell’imposta unica deve essere individuato sempre e soltanto nel bookmaker in concessione, e non anche nelle ricevitorie operanti per quest’ultimo.
Pertanto, la violazione dell’art. 3 Cost. deriverebbe sia dall’equiparazione ai fini fiscali dei CTD operanti per un bookmaker estero ai bookmakers concessionari, sia dalla discriminazione degli stessi CTD rispetto alle ricevitorie operanti per i bookmakers concessionari.
La parte costituita lamenta, inoltre, la violazione del principio di ragionevolezza. Essa osserva che, sebbene le disposizioni censurate trovino la propria ratio nel sottoporre a tassazione la ricchezza manifestata dai giocatori attraverso il consumo di scommesse, tuttavia esse colpiscono la capacità contributiva del CTD, anziché quella del giocatore, determinando così uno scostamento «tra la regola introdotta e la “causa” normativa che la deve assistere» (è richiamata la sentenza n. 89 del 1996).
Dopo avere illustrato la giurisprudenza costituzionale in tema di retroattività di leggi tributarie, la parte privata ripercorre l’evoluzione storica della disciplina della soggettività passiva all’imposta unica. Da ciò emergerebbe come la qualifica di gestore delle scommesse competa a chi effettua l’organizzazione e l’esercizio delle stesse. Queste attività spetterebbero, in via esclusiva, agli enti pubblici ai quali sono riservate dalla legge, ovvero ai bookmakers che abbiano ottenuto la relativa concessione.
Tale assetto, risalente al decreto legislativo 14 aprile 1948, n. 496 (Disciplina delle attività di giuoco) ed attuato dal d.P.R. n. 581 del 1951, risulterebbe poi confermato dall’art. 3, comma 229, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), a sua volta attuato dall’art. 1 del decreto del Ministro delle finanze 2 giugno 1998, n. 174 (Regolamento recante norme per l’organizzazione e l’esercizio delle scommesse a totalizzatore ed a quota fissa su competizioni sportive organizzate dal CONI, da adottare ai sensi dell’articolo 3, comma 230, della legge 28 dicembre 1995, n. 549).
In linea di continuità con tale contesto normativo, l’art. 3 del d.lgs. n. 504 del 1998 ha, dunque, previsto la soggezione all’imposta unica di «coloro i quali gestiscono, anche in concessione, i concorsi pronostici e le scommesse». Pertanto, anche per il legislatore del 1998, «gestore» sarebbe chi opera «l’organizzazione e l’esercizio delle scommesse», sia che ciò avvenga in forza della riserva accordata per legge, vale a dire il Comitato olimpico nazionale italiano (CONI) e l’Unione nazionale incremento razze equine (UNIRE), sia che ciò avvenga in base ad un’apposita concessione, vale a dire il bookmaker concessionario. Questa sarebbe l’impostazione seguita anche dai successivi interventi normativi, ed in particolare dalla circolare del Ministro delle finanze 27 ottobre 2000, n. 194/E, dall’art. 16 del d.m. n. 111 del 2006 e dall’art. 7 dello schema di convenzione di concessione approvato con decreto direttoriale 27 luglio 2012, prot. n. 2012/34400.
Anche la disposizione dell’art. 1, comma 66, lettera b), della legge n. 220 del 2010 si porrebbe in linea di continuità con la disciplina della soggettività passiva d’imposta prevista dall’art. 3 del d.lgs. n. 504 del 1998, di cui offre l’interpretazione autentica. L’unico elemento di novità risiederebbe nella circostanza per cui la soggettività passiva del tributo è sganciata dalla titolarità di un valido titolo concessorio, rilevando esclusivamente l’elemento della «gestione». In definitiva, ad avviso della parte privata, almeno sino all’introduzione dell’art. l, comma 66, lettera b), della legge n. 220 del 2010, la disciplina dell’imposta unica non contemplava quale soggetti passivi del tributo i prestatori di servizi meramente ausiliari all’attività di scommesse, ossia le ricevitorie.
Ne consegue che la legge n. 220 del 2010 dovrebbe qualificarsi come legge innovativa con efficacia retroattiva. Essa avrebbe innovato il quadro normativo con l’introduzione di disposizioni aventi effetti anche su rapporti pregressi rispetto alla data della sua entrata in vigore. Tuttavia essa non risponderebbe a quel criterio di ragionevolezza che si impone nella valutazione di una norma retroattiva in materia extrapenale.
Nel caso in esame, l’irragionevolezza dell’art. l, comma 66, lettera b), della legge n. 220 del 2010 discenderebbe dall’inidoneità a perseguire i fini che esso si prefigge e dall’incongruità del bilanciamento con altri valori costituzionali, tra i quali il principio di capacità contributiva, di cui all’art. 53 Cost. Tale principio sarebbe irrimediabilmente sacrificato nel caso di specie, ove il prelievo, non solo è operato a distanza di anni dal momento in cui la capacità contributiva si è mostrata, ma è rivolto nei confronti di un soggetto passivo distinto da quello a cui essa fa capo. Tale soggetto passivo non aveva allora, né a fortiori avrà ora, alcuna possibilità di attingere a quest’ultima, al fine di soddisfare la pretesa erariale.
Sarebbe dunque manifestamente irragionevole pretendere che il titolare di ricevitoria, retroattivamente qualificato come soggetto passivo, operi ex post la rivalsa dell’imposta unica nei confronti dello scommettitore in relazione a transazioni che, al momento dell’imposizione, sono ormai concluse da vari anni. In tale ipotesi, alla ricevitoria non residuerà altra scelta se non quella di far fronte all’onere fiscale impiegando risorse proprie.
D’altra parte, ad avviso della parte privata, l’assoggettamento in via retroattiva dei CTD all’imposta unica violerebbe il legittimo affidamento che gli stessi hanno riposto sul contesto ordinamentale precedente all’entrata in vigore della legge n. 220 del 2010, che riconosceva soltanto al CONI, all’UNIRE e ai bookmakers concessionari la soggettività passiva rispetto all’imposta unica. A sostegno di tale impostazione, sono richiamati l’art. 16 del d.m. n. 111 del 2006, la circolare del Ministero delle Finanze del 25 giugno 1998, nonché la sentenza n. 350 del 2007 di questa Corte, laddove si afferma che «se la gestione del gioco viene per legge attribuita a soggetti diversi dal CONI e dall’UNIRE, sono i concessionari a doverla pagare». È, infine, richiamata la comunicazione del 7 giugno 2012, n. 2, prot. 763 (Imposta unica sui concorsi pronostici sportivi e sulle scommesse. Disposizioni interpretative di cui all’art. 1, comma 66, della legge 13 dicembre 2010, n. 220), con cui la stessa Agenzia autonoma dei monopoli di Stato ha invitato gli uffici periferici a non applicare sanzioni pecuniarie nei confronti dei CTD per le violazioni commesse fino all’entrata in vigore della legge n. 220 del 2010.
5.– Nei giudizi iscritti ai nn. 61 e 62 reg. ord. 2016 si è costituita la società Stanleybet Malta ltd, quale parte ricorrente nei relativi giudizi a quibus, chiedendo l’accoglimento della questione.
Dopo avere ripercorso la vicenda che ha dato origine alla presente questione, la società ricorrente ha illustrato l’evoluzione della giurisprudenza costituzionale sul principio della capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost., sottolineando come la struttura dell’imposta unica, avente natura di tributo indiretto, colpisca un soggetto diverso da quello che ha manifestato la capacità contributiva con l’atto di consumo della scommessa, nel presupposto che, attraverso lo strumento della rivalsa, il primo sia in grado di traslarne l’onere sul secondo.
Viceversa, ad avviso della Stanleybet Malta ltd, il tributo finirebbe per gravare sul CTD, in mancanza della necessaria corrispondenza tra la manifestazione di ricchezza assunta a presupposto del tributo (il consumo delle scommesse) e l’incisione del patrimonio del debitore d’imposta. Di contro, il tributo dovrebbe gravare sul bookmaker, unico soggetto che ha la possibilità di fissare il valore delle quote e, quindi, di traslare l’onere tributario sullo scommettitore.
Ad avviso della società ricorrente, la violazione dell’art. 53 Cost. sussisterebbe anche se si considera il bookmaker quale coobbligato solidale, in posizione di garanzia dell’assolvimento dell’obbligo tributario, ai sensi dell’art. 64, terzo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973. Infatti, esso dovrebbe poi rivalersene nei confronti del CTD, il quale tuttavia non possiede la capacità contributiva e non potrebbe traslare l’onere sullo scommettitore.
Con riferimento alla denunciata violazione del principio di uguaglianza, la difesa della parte privata fa rilevare che la differente natura dell’attività del bookmaker e di quella del titolare di ricevitoria deriverebbe dalla circostanza che la prima si qualificherebbe come servizio pubblico (venendo perciò stesso subordinata al possesso di una concessione), mentre il secondo non potrebbe qualificarsi come incaricato di un pubblico servizio (art. 55, terzo comma, del d.P.R. n. 581 del 1951). Pertanto, la sua attività sarebbe soggetta al possesso della sola licenza di polizia, di cui all’art. 88 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza).
La Stanleybet Malta ltd, inoltre, sottolinea le differenze tra i due soggetti, sotto il profilo delle utilità ritratte dalle rispettive attività, del rapporto con la provvista versata dallo scommettitore e della capacità contributiva destinata a venire incisa. Ciò porterebbe ad escludere che la loro equiparazione sotto il profilo della soggettività passiva tributaria trovi alcuna ragionevole giustificazione.
D’altra parte, l’intervento legislativo del 2010 avrebbe introdotto una nuova ingiustificata sperequazione fra bookmakers “fuori concessione”, come quelli esteri, e bookmakers “in concessione”, ossia i concessionari nazionali.
Infatti, la condizione dei ricevitori operanti per i primi sarebbe identica a quella di chi operi per conto dei bookmakers “in concessione”, sicché l’attribuzione della soggettività passiva tributaria agli uni, ma non agli altri, non troverebbe ragionevole giustificazione, risolvendosi nella violazione del principio di uguaglianza.
Dopo avere richiamato la giurisprudenza costituzionale sui principi di ragionevolezza e proporzionalità, la difesa della Stanleybet Malta ltd evidenzia, inoltre, che la finalità di equiparare la tassazione delle scommesse offerte dai bookmakers nazionali, muniti di concessione, a quella dei bookmakers, per lo più comunitari, che ne sono privi, seppur in astratto idonea a giustificare l’estensione dell’ambito applicativo del tributo, non sarebbe affatto realizzata dall’assetto dell’imposta risultante dall’intervento normativo del 2010. Infatti, i titolari di concessione sono soggetti all’imposta unica. Il d.m. n. 111 del 2006, all’art. 16 indica l’allibratore titolare di concessione come unico debitore dell’imposta, prevedendo anche le modalità con cui essa deve venire assolta. Viceversa, i bookmakers privi di concessione che si avvalgono di ricevitorie non sono assoggettati al medesimo obbligo. Ad essi, infatti, quali obbligati “dipendenti”, l’art. 64, terzo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973 attribuisce il diritto di regresso nei confronti della ricevitoria.
L’irragionevolezza della disposizione dell’art. l, comma 66, lettera b), della legge n. 220 del 2010 è ravvisata, oltre che sul piano intrinseco, anche nella prospettiva della sua retroattività. Osserva la Stanleybet Malta ltd che, se le norme denunciate sono inidonee a perseguire i fini che si prefiggono, la compressione dei diritti di pari rango costituzionale prodotta dalla loro retroattività sarebbe doppiamente inaccettabile.
La parte costituita evidenzia, infine, un ulteriore profilo di irragionevolezza. L’art. 4, primo comma, lettera b), numero 3), del d.lgs. n. 504 del 1998 commisura l’aliquota dell’imposta unica al movimento netto dei dodici mesi precedenti, ossia al valore complessivo delle scommesse a quota fissa giocate in Italia nell’anno considerato. Le aliquote del tributo sono degressive e decrescono inversamente al crescere di cinque fasce di movimento netto.
Tale meccanismo non è stato modificato dalla disposizione interpretativa del 2010, che estende la soggettività passiva ai CTD. Per la norma novellata, sono quindi divenute imponibili anche le scommesse offerte con modalità transfrontaliera, in assenza di concessione. Anche queste scommesse – riconosciute dall’ordinamento, pur trovandosi “fuori sistema” – devono concorrere al computo del movimento netto, che è il parametro in funzione del quale sono fissate le aliquote. Tuttavia, il movimento delle scommesse “fuori sistema” non viene rilevato (né poteva esserlo) per i periodi di imposta antecedenti l’entrata in vigore della legge n. 220 del 2010. Cionondimeno, l’imposta viene applicata dall’amministrazione finanziaria con effetto retroattivo. Conseguentemente, le aliquote indicate dall’art. 4, comma 1, lettera b), numero 3), del d.lgs. n. 504 del 1998 non rappresentano, né potevano rappresentare, nei periodi di imposta prima del 2011, il movimento netto reale.
Pertanto, i volumi di gioco imponibile “fuori sistema” sono esclusi dalla formazione del movimento netto che determina le aliquote. Da ciò deriverebbe che l’imposta unica già accertata o in corso di accertamento per il periodo precedente al 2011, è stata applicata a tutti i soggetti passivi – ivi compresi i concessionari nazionali operanti nel sistema – con aliquote superiori a quelle che avrebbero dovuto applicarsi secondo la legge e secondo coerenza, poiché per quei periodi i volumi di gioco “fuori sistema” non sono stati aggiunti al movimento netto ufficiale. L’impianto degressivo dell’imposta unica risulterebbe così depotenziato e contraddetto dallo stesso legislatore.
Considerato in diritto
1.– Con quattro ordinanze di analogo tenore letterale, la Commissione tributaria provinciale di Rieti ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 3 e 4, comma 1, lettera b), numero 3), del decreto legislativo 23 dicembre 1998, n. 504 (Riordino dell’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse, a norma dell’articolo 1, comma 2, della legge 3 agosto 1998, n. 288), e dell’art. 1, comma 66, lettera b), della legge 13 dicembre 2010, n. 220, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2011)», nella parte in cui, secondo il diritto vivente, prevedono che soggetti passivi dell’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse siano anche le ricevitorie operanti come centri di trasmissione dati (CTD) per conto di bookmakers privi di concessione, ma che nondimeno possano lecitamente raccogliere scommesse sul territorio nazionale.
2.– Considerata l’identità delle questioni sollevate, i giudizi devono essere riuniti per una decisione congiunta.
3.– Devono essere preliminarmente esaminati i profili che attengono all’ammissibilità delle questioni sollevate.
3.1.– In primo luogo, deve essere rilevata l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, lettera b), numero 3), del d.lgs. n. 504 del 1998.
Tale disposizione, che disciplina il computo del carico tributario con la previsione di aliquote differenziate, risulta colpita dalle censure di illegittimità nel solo dispositivo delle ordinanze di rimessione. Viceversa, nella motivazione delle ordinanze è stata omessa qualsiasi considerazione del contenuto precettivo della disposizione in esame. Nessun accenno si rinviene circa la rilevanza della disciplina dell’art. 4 in esame rispetto ai giudizi a quibus, né circa le ipotetiche ragioni di contrasto con i parametri costituzionali invocati. Da ciò consegue l’inammissibilità della questione.
3.1.1.– Argomenti a sostegno della illegittimità del sistema di determinazione delle aliquote, di cui all’art. 4, sono contenuti nelle memorie depositate dalle parti private nei giudizi incidentali.
A questo riguardo, va tuttavia richiamata la costante giurisprudenza costituzionale sul principio dell’autosufficienza dell’ordinanza di rinvio, che esclude la possibilità di ampliare il thema decidendum proposto dal rimettente, fino a ricomprendervi questioni formulate dalle parti, che tuttavia egli non abbia ritenuto di fare proprie. L’oggetto del giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale è limitato alle disposizioni e ai parametri indicati nelle ordinanze di rimessione; non possono, pertanto, essere presi in considerazione, oltre i limiti in queste fissati, ulteriori questioni o profili di costituzionalità dedotti dalle parti, sia eccepiti, ma non fatti propri dal giudice a quo, sia volti ad ampliare o modificare successivamente il contenuto delle stesse ordinanze (ex plurimis, sentenze n. 251, n. 250, n. 35 e n. 29 del 2017; n. 214 e n. 96 del 2016).
3.2.– Non è fondata l’eccezione – sollevata dall’Avvocatura generale dello Stato – di inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale per insufficiente descrizione della fattispecie oggetto dei giudizi principali.
Invero, nel censurare la soggezione delle parti ricorrenti all’imposta unica, il rimettente fornisce gli elementi necessari e sufficienti alla ricostruzione della fattispecie sottoposta al suo esame, specificando in particolare l’attività svolta dalle stesse parti ed integrante il presupposto impositivo. Riferisce in particolare il giudice a quo che esse, sulla base di un contratto di ricevitoria con il bookmaker estero, gestiscono un centro di raccolta delle scommesse. Le stesse ricevitorie provvedono, quindi, a trasmettere le scommesse raccolte a Stanleybet e a pagare l’eventuale vincita.
È altresì univocamente indicato il titolo dell’obbligazione tributaria dedotta in giudizio ed il contenuto della pretesa fiscale vantata dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli (dovendo attribuirsi ad un mero errore materiale il riferimento, contenuto in un passaggio della motivazione, all’Agenzia delle entrate). In particolare, tale pretesa attiene all’imposta unica sulle scommesse per le annualità 2008 (nei giudizi iscritti al r.o. n. 60 e n. 61 del 2016) e 2009 (nei giudizi iscritti al r.o. n. 62 e 63 del 2016).
Le ordinanze di rimessione consentono, dunque, di enucleare gli elementi necessari ai fini della preliminare valutazione della rilevanza.
3.3.– L’Avvocatura generale dello Stato fa rilevare che la legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», all’art. l, comma 945, ha stabilito che dal 1° gennaio 2016 le scommesse sportive non sono più tassate sull’ammontare della singola giocata, ma sulla differenza tra le somme giocate e le vincite pagate.
L’ambito applicativo dell’intervento normativo in esame è riferito ai rapporti e ai periodi di imposta successivi al 1° gennaio 2016, mentre i giudizi a quibus attengono alla pretesa fiscale relativa alle annualità 2008 e 2009. In virtù del principio tempus regit actum, la legittimità degli atti impugnati nei giudizi a quibus deve essere esaminata con riguardo alla situazione di fatto e di diritto esistente al momento della loro adozione. Pertanto, la modifica apportata dall’art. l, comma 945, della legge n. 208 del 2015 non influisce sulla rilevanza delle questioni sollevate dal rimettente.
4.– Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3 del d.lgs. n. 504 del 1998, e dell’art. 1, comma 66, lettera b), della legge n. 220 del 2010 sono fondate, limitatamente alla parte in cui essi si applicano alle annualità d’imposta precedenti al 2011.
4.1.– Il presupposto oggettivo per l’applicazione dell’imposta unica sulle scommesse è definito dall’art. 1 del d.lgs. n. 504 del 1998, secondo il quale essa «è dovuta per i concorsi pronostici e le scommesse di qualunque tipo, relativi a qualunque evento, anche se svolto all’estero». Tale previsione generale ed astratta è delimitata dal successivo richiamo al «rispetto delle disposizioni contenute nell’articolo 24, comma 27, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e nell’articolo 88 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773». Tale richiamo contiene in sé il riferimento alla riserva statale dell’organizzazione e dell’esercizio di giuochi di abilità e di concorsi pronostici e al relativo sistema concessorio, istituito dal decreto legislativo 14 aprile 1948, n. 496 (Disciplina delle attività di giuoco).
Il successivo art. 3, oggetto della presente questione, sin dalla sua originaria formulazione, individua i soggetti passivi della stessa imposta in «coloro i quali gestiscono, anche in concessione, i concorsi pronostici e le scommesse».
La definizione di «gestore» era già contenuta nell’art. 23 del d.P.R. 18 aprile 1951, n. 581 (Norme regolamentari per l’applicazione e l’esecuzione del decreto legislativo 14 aprile 1948, n. 496, sulla disciplina delle attività di giuoco), che lo individua nella «persona fisica o giuridica che provvede con propria organizzazione allo svolgimento delle operazioni del giuoco o del concorso». L’attività caratteristica del «gestore» consiste quindi nell’approntare gli strumenti organizzativi, anche tecnologici, indispensabili per garantire la regolare e proficua raccolta delle scommesse. In linea di continuità con tale impostazione, il censurato art. 3 del d.lgs. n. 504 del 1998 àncora all’esercizio dell’attività di gestione l’ambito soggettivo di applicazione dell’imposta.
Peraltro, il tenore letterale di tale disposizione, ed in particolare l’inclusione dei soggetti che esercitino tale attività «anche in concessione», autorizzava a ritenere che, già nella sua originaria versione, precedente alla disposizione interpretativa del 2010, l’art. 3 in esame rivolgesse la pretesa impositiva statale anche nei confronti degli stessi soggetti operanti al di fuori del sistema concessorio.
Secondo tale interpretazione, fatta propria dall’Avvocatura generale dello Stato, l’applicazione dell’imposta unica non sarebbe stata limitata ai soli soggetti regolarmente abilitati, e ciò in coerenza con il principio, affermato in riferimento alle imposte dirette, secondo cui sono soggette a tassazione anche le attività illegali (art. 14, comma 4, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, recante «Interventi correttivi di finanza pubblica»).
Tuttavia, il tenore letterale della disposizione consentiva anche una diversa interpretazione, nel senso che, attraverso il richiamo contenuto nell’art. 1 del d.lgs. n. 504 del 1998 al rispetto della concessione e della licenza di pubblica sicurezza, essa contemplasse i soli soggetti operanti nel sistema concessorio (ad esclusione perciò dei bookmakers con sede all’estero, sforniti di titolo concessorio in Italia, e della rete delle ricevitorie di cui essi si avvalgono nel territorio italiano).
Per il periodo antecedente alla disposizione interpretativa del 2010, la sussistenza di tale incertezza è stata espressamente riconosciuta dalla stessa Agenzia autonoma dei monopoli di Stato, che – nella successiva comunicazione del 7 giugno 2012, n. 2, prot. 763 (Imposta unica sui concorsi pronostici sportivi e sulle scommesse. Disposizioni interpretative di cui all’art. 1, comma 66, legge 13 dicembre 2010, n. 220) – ha ritenuto applicabile alle sanzioni relative alle annualità fiscali sino al 2011 l’esimente di cui all’art. 6, secondo comma, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472 (Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie, a norma dell’articolo 3, comma 133, della legge 23 dicembre 1996, n. 662).
4.1.1.( Con la disposizione interpretativa dell’art. 1, comma 66, lettera b), della legge n. 220 del 2010, il legislatore ha dunque esplicitato una possibile variante di senso della disposizione interpretata, ribadendo, da un lato, che l’imposta è dovuta anche nel caso di scommesse raccolte al di fuori del sistema concessorio e stabilendo, altresì, che il generale concetto di “gestione” include anche l’attività svolta “per conto di terzi”, compresi i bookmakers con sede all’estero e privi di concessione.
Gli obiettivi perseguiti dal legislatore con tale intervento, espressamente indicati dal precedente comma 64, sono «[…] di rendere più efficaci ed efficienti l’azione per il contrasto del gioco gestito e praticato in forme, modalità e termini diversi da quelli propri del gioco lecito e sicuro, in funzione del monopolio statale in materia di giochi […], nonché l’azione per la tutela dei consumatori, in particolare minori di età, dell’ordine pubblico, della lotta contro il gioco minorile e le infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore dei giochi, garantendo altresì maggiore effettività al principio di lealtà fiscale nel settore del gioco e recuperando base imponibile e gettito a fronte di fenomeni di elusione ed evasione fiscali nel medesimo settore».
Allo scopo di realizzare tali finalità, il legislatore ha così esplicitato l’obbligo delle ricevitorie operanti per conto di bookmakers privi di concessione al versamento del tributo e delle relative sanzioni.
4.2.– Ciò premesso, l’equiparazione, ai fini tributari, del “gestore per conto terzi” (il titolare di ricevitoria) al “gestore per conto proprio” (il bookmaker) non risulta irragionevole.
Infatti, le differenze tra il contributo rispettivamente prestato dalla ricevitoria e dal bookmaker alla complessiva attività di raccolta delle scommesse non escludono affatto – ed anzi presuppongono – che entrambi i soggetti partecipino, sia pure su piani diversi e secondo differenti modalità operative, allo svolgimento di quell’attività di «organizzazione ed esercizio» delle scommesse sottoposta ad imposizione.
Sebbene non partecipi direttamente al rischio connaturato al contratto di scommessa, il titolare della ricevitoria svolge una attività di «gestione» attraverso la propria organizzazione imprenditoriale. Esso assicura la disponibilità di locali idonei e la ricezione della proposta; si occupa della trasmissione al bookmaker dell’accettazione della scommessa, dell’incasso e del trasferimento delle somme giocate, nonché del pagamento delle vincite secondo le procedure ed istruzioni fornite dal bookmaker.
Tali elementi configurano quell’attività di «gestione» delle scommesse che costituisce il presupposto dell’imposizione. Nell’ampia nozione di «gestione» – individuata dal legislatore sin dal d.P.R. n. 581 del 1951 – non risulta necessariamente ricompresa l’assunzione del rischio proprio del contratto di scommessa, che grava sul bookmaker per conto del quale opera il ricevitore. L’attività gestoria che costituisce il presupposto dell’imposizione è riferita, infatti, alla raccolta delle scommesse, il cui volume determina anche la provvigione della ricevitoria e quindi il suo stesso rischio imprenditoriale.
4.3.– In riferimento al denunciato difetto di congruità e proporzione dell’intervento legislativo rispetto alle finalità perseguite, non è ravvisabile alcuna irragionevolezza nell’assoggettamento ad imposta del ricevitore operante per bookmaker sfornito di concessione, con conseguente parificazione dello stesso ricevitore al bookmaker concessionario.
Come è già stato rilevato dalla giurisprudenza tributaria consolidatasi sul punto, tale scelta legislativa risponde ad un’esigenza di effettività del principio di lealtà fiscale nel settore del gioco, allo scopo di evitare l’irragionevole esenzione per gli operatori posti al di fuori del sistema concessorio, i quali finirebbero per essere favoriti per il solo fatto di non avere ottenuto la necessaria concessione, ovvero di operare per conto di chi ne sia privo.
Inoltre, la censura riguardante la parificazione tra ricevitorie e bookmakers concessionari non tiene conto della previsione dell’obbligazione tributaria gravante in solido sul soggetto per conto del quale l’attività è esercitata. La previsione della solidarietà passiva per l’assolvimento dell’imposta in esame è contenuta nello stesso art. 1, comma 66, lettera b), della legge n. 220 del 2010.
D’altra parte, rimane estranea alla questione di legittimità costituzionale la possibilità del bookmaker di agire in via di rivalsa nei confronti del coobbligato in solido. Nei rapporti interni, i coobbligati in solido rimangono liberi di regolare il riparto dell’onere tributario che il legislatore, con la previsione del vincolo della solidarietà passiva, pone a carico di entrambi.
4.4.– Quanto alla denunciata violazione del principio della capacità contributiva, la scelta di assoggettare all’imposta i titolari delle ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione tiene conto della circostanza che il rapporto tra il titolare della ricevitoria che agisce per conto di terzi ed il bookmaker è disciplinato da un contratto dal quale sono regolate le stesse commissioni dovute al titolare della ricevitoria per il servizio prestato. Attraverso la regolazione negoziale delle commissioni, il titolare della ricevitoria ha la possibilità di trasferire il carico tributario sul bookmaker per conto del quale opera. D’altra parte, le commissioni a lui dovute rappresentano un elemento di costo che necessariamente entra far parte delle valutazioni economiche dello stesso bookmaker, il quale ne terrà conto nella determinazione delle quote e, quindi, dell’importo che lo scommettitore deve corrispondere per la scommessa.
Con riferimento ai rapporti successivi al 2011, ossia alla data di entrata in vigore della disposizione interpretativa dell’art. 1, comma 66, lettera b), non sussiste, pertanto, la denunciata impossibilità di traslazione dell’imposta da parte del titolare della ricevitoria. Ne consegue la non fondatezza della questione relativa alla denunciata violazione dell’art. 53 Cost.
4.5.– Tali argomenti non sono replicabili con riferimento all’applicazione della disciplina in esame alle annualità fiscali antecedenti all’entrata in vigore della disciplina interpretativa del 2010.
In mancanza di una regolazione degli effetti transitori ed in considerazione della portata interpretativa dell’art. 1, comma 66, lettera b), della legge n. 220 del 2010, tale disposizione è destinata ad applicarsi anche ai rapporti negoziali perfezionati prima della sua entrata in vigore. Tuttavia, rispetto a questa categoria di rapporti non può aver luogo la traslazione dell’imposta, giacché l’entità delle commissioni pattuite fra ricevitore e bookmaker si era già cristallizzata sulla base del quadro regolatorio, anche sotto il profilo tributario, precedente alla legge n. 220 del 2010.
La stessa Agenzia autonoma dei monopoli di Stato ha dimostrato di rendersene conto con la ricordata comunicazione 7 giugno 2012, n. 2, prot. n. 763, che, con espresso riferimento all’apparato sanzionatorio relativo all’imposta in esame, ha riconosciuto l’applicabilità dell’esimente di cui all’art. 6, secondo comma, del d.lgs. n. 472 del 1997.
In ragione dell’impossibilità per le ricevitorie di traslare l’imposta per gli esercizi anteriori al 2011, l’applicazione di essa nei loro confronti viola l’art. 53 Cost.
Deve essere pertanto dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 del d.lgs. n. 504 del 1998 e dell’art. 1, comma 66, lettera b), della legge n. 220 del 2010, nella parte in cui prevedono che – anche nelle annualità d’imposta precedenti al 2011 – soggetti passivi dell’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse siano le ricevitorie operanti per conto di bookmakers privi di concessione.
4.6.- Restano assorbiti gli ulteriori profili di illegittimità costituzionale denunciati dal giudice rimettente.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 del decreto legislativo 23 dicembre 1998, n. 504 (Riordino dell’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse, a norma dell’articolo 1, comma 2, della legge 3 agosto 1998, n. 288) e dell’art. 1, comma 66, lettera b), della legge 13 dicembre 2010, n. 220, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2011)», nella parte in cui prevedono che – nelle annualità d’imposta precedenti al 2011 – siano assoggettate all’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse le ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione.
2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, lettera b), numero 3), del d.lgs. n. 504 del 1998, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., dalla Commissione tributaria provinciale di Rieti con le ordinanze indicate in epigrafe;
3) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3 del d.lgs. n. 504 del 1998 e dell’art. 1, comma 66, lettera b), della legge n. 220 del 2010, nella parte in cui prevedono che – nelle annualità d’imposta successive al 2011 – siano assoggettate all’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse le ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., dalla Commissione tributaria provinciale di Rieti con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 gennaio 2018.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Giuliano AMATO, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 14 febbraio 2018.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA