SENTENZA N. 52
ANNO 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Giorgio LATTANZI; Giudici : Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 17 della legge della Regione Campania 11 agosto 2005, n. 15 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione Campania - Legge finanziaria regionale 2005), nel testo anteriore alle modifiche apportate dall’art. 5, comma 7, della legge della Regione Campania 18 gennaio 2016, n. 1 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione finanziario per il triennio 2016-2018 della Regione Campania - Legge di stabilità regionale 2016), e dell’art. 19 della legge della Regione Campania 30 gennaio 2008, n. 1 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione Campania - Legge finanziaria 2008), promosso dalla Commissione tributaria provinciale di Napoli, nel procedimento vertente tra la Edil Cava srl e la Regione Campania, con ordinanza del 17 maggio 2016, iscritta al n. 262 del registro ordinanze 2016 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 1, prima serie speciale, dell’anno 2017.
Visti gli atti di costituzione della Edil Cava srl e della Regione Campania;
udito nella udienza pubblica del 6 febbraio 2018 il Giudice relatore Augusto Antonio Barbera;
uditi gli avvocati Demetrio Fenucciu per la Edil Cava srl e Maria Laura Consolazio per la Regione Campania.
Ritenuto in fatto
1.– La Commissione tributaria provinciale di Napoli (di seguito, anche: CTP), con ordinanza del 17 maggio 2016, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 23, 41, 117 e 119 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 17 della legge della Regione Campania 11 agosto 2005, n. 15 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione Campania - Legge finanziaria regionale 2005), e 19 della legge di detta Regione 30 gennaio 2008, n. 1 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione Campania - Legge finanziaria 2008).
2.– L’ordinanza di rimessione premette che la società Edil Cava srl (di seguito, anche: Società) ha impugnato un provvedimento dirigenziale della Regione Campania, avente ad oggetto la richiesta di pagamento delle somme dovute, ai sensi dei suindicati artt. 17 e 19, dai coltivatori di cave.
La ricorrente ha dedotto di svolgere attività estrattiva e, in riferimento al contributo richiesto ai sensi del citato art. 17 (per gli anni dal 2008 al 2012), ha eccepito anzitutto che la legge regionale n. 15 del 2005 «aveva previsto un'entrata, con specifica destinazione, individuata nel completamento e nell'avvio dell’aeroporto di Pontecagnano (SA), il quale avrebbe dovuto, nelle previsioni del legislatore, essere attuato, entro il triennio 2005/2007». Pertanto, poiché si era verificato, «nell'anno 2008, l’avvio del predetto aeroporto, la legittimità dell’imposta era venuta meno».
In relazione al contributo preteso ai sensi del richiamato art. 19, la Società ha chiesto l’annullamento del provvedimento impugnato, denunciando «violazione art. 19 della l.r. Campania n. 1/2008: erroneità, nel merito, del decreto dirigenziale gravato, il quale non avrebbe preso a riferimento i volumi estrattivi, riportati nel programma di coltivazione allegato al titolo legittimante la stessa, quanto piuttosto “dati acquisiti aliunde”».
Infine, ha contestato la pretesa della Regione, eccependo, in riferimento agli artt. 23, 117 e 119 Cost., l’illegittimità costituzionale di dette norme.
Nel giudizio si è costituita la Regione Campania, contestando la fondatezza del ricorso.
2.1.– Il rimettente espone che la CTP di Napoli, con sentenza del 7 ottobre 2013, n. 605, ha dichiarato il proprio difetto di giurisdizione, ritenendo la controversia spettante alla giurisdizione del giudice ordinario.
L’appello proposto dalla Società avverso detta pronuncia è stato accolto dalla Commissione tributaria regionale di Napoli, che, con sentenza del 22 luglio 2014, ha rimesso la causa alla CTP di Napoli, ai sensi dell’art. 59, lettera a), del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413).
2.2.– Posta tale premessa, secondo il giudice a quo, le sollevate questioni sarebbero rilevanti, in quanto sussisterebbe «un evidente collegamento tra le norme, della cui costituzionalità si dubita e la controversia», dato che, in caso di accoglimento, le somme richieste non sarebbero dovute.
2.3.– In ordine alla non manifesta infondatezza, il rimettente precisa che le questioni hanno ad oggetto l’art. 17 della legge regionale n. 15 del 2005, nel testo anteriore alla modifica apportata alla norma dall’art. 5, comma 7, della legge della Regione Campania 18 gennaio 2016, n. 1 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione finanziario per il triennio 2016-2018 della Regione Campania - Legge di stabilità regionale 2016), ritenuto applicabile ratione temporis, nonché l’art. 19 della legge regionale n. 1 del 2008.
A suo avviso, entrambe le norme violerebbero gli artt. 117 e 119 Cost., in quanto prevedrebbero tributi illegittimamente istituiti con legge regionale. La «materia dei tributi regionali» sarebbe riconducibile a quella «coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario», attribuita alla legislazione concorrente delle Regioni, tenute ad osservare i principi fondamentali stabiliti dalla legge statale (art. 117, terzo comma, Cost.). La circostanza che quelli in esame gravano sui coltivatori di cave consentirebbe altresì di «considerare la materia sottostante governo del territorio», anch’essa attribuita alla competenza legislativa concorrente delle Regioni.
Nella specie verrebbe altresì in rilievo l’art. 119 Cost. che, come affermato da questa Corte con la sentenza n. 37 del 2004, prevede la previa fissazione da parte del legislatore statale dei principi che si impongono al legislatore regionale e dei limiti entro i quali quest’ultimo può esercitare la potestà impositiva. Pertanto, la Regione non potrebbe istituire tributi in mancanza di una legge statale di coordinamento e neanche «legiferare (se non nei limiti ad esse già espressamente riconosciuti dalla legge statale) sui tributi esistenti istituiti e regolati da leggi statali».
I principi fondamentali applicabili sarebbero quelli stabiliti dalla legge 16 maggio 1970, n. 281 (Provvedimenti finanziari per l’attuazione delle regioni a statuto ordinario). La Regione Campania avrebbe «innovato il quadro dei tributi regionali, in maniera del tutto avulsa dalla normativa generale, di derivazione statale», poiché quelli oggetto delle norme censurate non sarebbero riconducibili alle previsioni degli artt. 1, 3, 11, 12 e 14 della legge 16 maggio 1970, n. 281 (Provvedimenti finanziari per l’attuazione delle Regioni a statuto ordinario). La Regione Campania, con le leggi regionali n. 15 del 2005 e n. 1 del 2008 avrebbe «motu proprio, istituito tributi del tutto nuovi», peraltro non collegati all’attività di coltivazione delle cave, «in assenza di una previsione di massima contenuta in leggi statali e, quindi, in contrasto con i citati parametri, di fonte costituzionale».
Ad avviso del giudice a quo, la sollevata questione sarebbe analoga a quella decisa da questa Corte con la sentenza n. 58 del 2015 (della quale trascrive alcune parti), che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 16, comma 4, della legge della Regione Piemonte 24 ottobre 2002, n. 24 (Norme per la gestione dei rifiuti.), il quale aveva stabilito un contributo a carico di coloro che gestiscono impianti di pre-trattamento e di trattamento di scarti animali.
2.4.– Secondo il rimettente, le norme censurate si porrebbero in contrasto anche con l’art. 23 Cost., poiché hanno ad oggetto «prestazioni patrimoniali», la cui previsione «postula una riserva di legge, che nella specie sarebbe stata violata (facendo, in particolare, difetto una legge generale statale che fissi i principi, in base ai quali la Regione possa deliberare l'istituzione dei nuovi tributi in oggetto)».
2.5.– Le norme regionali in esame violerebbero infine, i principi di eguaglianza (art. 3 Cost.) e di libertà dell’iniziativa economica (art. 41 Cost.), in quanto hanno ad oggetto «esclusivamente l’attività di coltivazione di cave, e non altre attività di tipo imprenditoriale, nonché attività di coltivazione di cave, svolte unicamente all'interno della Regione Campania».
3.– Nel giudizio davanti alla Corte si è costituita la Regione Campania, parte del processo principale, che ha eccepito l’inammissibilità e l’infondatezza delle questioni, argomentando dette conclusioni nella memoria depositata in prossimità dell’udienza pubblica.
A suo avviso, gli artt. 5, 117, 119, 123 e 127 Cost. permetterebbero di ritenere «ormai consolidato il concetto di pari dignità tra legge statale e legge regionale». Inoltre, in riferimento alla competenza legislativa di tipo residuale (art. 117, comma quarto Cost.), «le “riserve di legge” aliunde stabilite dal sistema costituzionale debbono comunque intendersi riferite alla sola legge della Regione». L’art. 119, primo e secondo comma, Cost., avrebbe poi attribuito alle Regioni un’autonomia di entrata, prevedendo «un potere normativo perfetto da esercitarsi mediante legge» e permettendo di ritenere che «tra i contenuti della legislazione esclusiva e residuale della Regione non possa non esservi la disciplina dei suoi propri tributi».
Secondo la Regione, l’art. 119, secondo comma, Cost., nella parte in cui impone alla Regione di rispettare il «sistema tributario», sarebbe riferibile al “sistema” «concernente lo stesso territorio regionale» e farebbe «intendere con evidenza» che detta norma «ha chiaramente stabilito la possibilità per le regioni di istituire tributi propri».
Le censure riferite agli artt. 3 e 41 Cost. sarebbero, infine, infondate, poiché le norme censurate non stabiliscono «alcun vincolo al pieno esplicarsi dell’attività imprenditoriale dell’attività estrattiva».
4.– Si è altresì costituita nel giudizio di costituzionalità la Società, ricorrente nel giudizio a quo, chiedendo, anche nella memoria depositata in prossimità dell’udienza pubblica, che le questioni siano dichiarate fondate.
A suo avviso, le modifiche dei censurati artt. 17 (prima da parte dell’art. 5, comma 7, della legge regionale 18 gennaio 2016, n. 1, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione finanziario per il triennio 2016-2018 della Regione Campania - Legge di stabilità regionale 2016»; poi ad opera dell’art. 15, comma 1, lettere a, b, della legge regionale 20 gennaio 2017, n. 3, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione finanziario per il triennio 2017-2019 della Regione Campania - Legge di stabilità regionale 2017») e 19 (da parte dell’art. 15, comma 2, lettere a, b, della legge regionale n. 3 del 2017) non sarebbero applicabili nel giudizio principale e, quindi, non influirebbero sulla perdurante rilevanza delle questioni.
Secondo la Società, nella Regione Campania coloro che coltivano le cave sono gravati da tre contributi; il primo, stabilito dall’art. 18 della legge della Regione Campania 13 dicembre 1985, n. 54 (Coltivazione di cave e torbiere), non avrebbe natura tributaria, diversamente dagli altri due, disciplinati dai censurati artt. 17 e 19. Tale natura del prelievo sarebbe confortata dal fatto che non sono stabiliti convenzionalmente, non spettano ai Comuni nel cui territorio è ubicata la cava, non hanno natura indennitaria e sono dovuti in relazione allo svolgimento dell’attività estrattiva e commisurati al materiale estratto.
Il contributo previsto dal richiamato art. 17 non concernerebbe la materia «cave e torbiere», ma quella «porti e aeroporti» o, al più, il «governo del territorio», attribuite alla competenza legislativa regionale concorrente. Tale norma sarebbe costituzionalmente illegittima, in quanto ha previsto un tributo in difetto di una disciplina statale recante i principi regolatori della materia. In contrario, a suo avviso, non rileverebbero la legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’art. 119 della Costituzione), ed il decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 (Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario), sia perché sopravvenuti alle norme censurate, sia perché la mancata completa attuazione del federalismo fiscale confermerebbe che le Regioni a statuto ordinario non possono ancora esercitare il potere impositivo. La Società formula, inoltre, ulteriori censure (non proposte dal rimettente), eccependo che le norme si porrebbero in contrasto con il divieto della doppia imposizione.
Secondo la parte, il richiamato art. 19 disciplinerebbe un tributo ambientale, destinato in parte ad alimentare il fondo previsto dall’art. 15 della legge regionale n. 1 del 2008, ciò che conforterebbe la violazione dei parametri costituzionali evocati dal rimettente con lesione, altresì, dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., perché concernerebbe la materia «ambiente».
La Società conclude, infine, deducendo che entrambe le norme regionali violerebbero gli artt. 3, 23, 41, 117 e 119 Cost., per le ragioni svolte nell’ordinanza di rimessione che, in larga misura, riproduce e fa proprie.
Considerato in diritto
1.– La Commissione tributaria provinciale di Napoli (di seguito, anche: CTP), con ordinanza del 17 maggio 2016, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 23, 41, 117 e 119 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 17 della legge della Regione Campania 11 agosto 2005, n. 15 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione Campania - Legge finanziaria regionale 2005) e dell’art. 19 della legge di detta Regione 30 gennaio 2008, n. 1 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione Campania - Legge finanziaria 2008).
2.– Il richiamato art. 17 è stato censurato nella formulazione anteriore alla modifica introdotta dall’art. 5, comma 7, della legge regionale 18 gennaio 2016, n. 1 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione finanziario per il triennio 2016-2018 della Regione Campania - Legge di stabilità regionale 2016), che il rimettente correttamente reputa inapplicabile ratione temporis, in quanto oggetto del processo principale è la legittimità di un provvedimento da valutare in base al principio tempus regit actum (tra le molte, sentenze n. 49 e n. 30 del 2016). Per tale ragione, la circostanza che entrambe le norme censurate sono state, inoltre, modificate dall’art. 5, commi 1 e 2, lettere a) e b), della legge regionale 18 gennaio 2016, n. 1 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione finanziario per il triennio 2016-2018 della Regione Campania - Legge di stabilità regionale 2016), sopravvenuto all’ordinanza di rimessione, neppure impone la restituzione degli atti al giudice a quo (sentenza n. 245 del 2016).
3.– L’art. 17, comma 1, della legge della Regione Campania n. 12 del 2005 (nel testo anteriore alle modifiche dianzi indicate) stabilisce che il «titolare di autorizzazione e di concessione alla coltivazione di giacimenti per attività di cava di cui alla legge regionale n. 54/85, e successive modificazioni, è tenuto a versare alla regione Campania, in un’unica soluzione, entro il 31 dicembre di ogni anno, un contributo annuo di euro 1,00 per ogni 10 metri cubi di materiale estratto».
L’art. 19 della legge regionale n. 1 del 2008 (nella formulazione antecedente alle modifiche sopra richiamate) dispone che «i titolari di autorizzazioni estrattive sono tenuti annualmente, in aggiunta ai contributi di cui all’articolo 18 della legge regionale 13 dicembre 1985, n. 54, e dell’articolo 17 della legge regionale 11 agosto 2005, n. 15, al pagamento alla regione Campania di un contributo ambientale», determinato con le modalità dallo stesso stabilite.
Secondo il giudice a quo, la cui prospettazione delimita l’oggetto del presente giudizio, non potendo essere presi in considerazione profili e parametri ulteriori dedotti dalle parti, ma non fatti propri dal rimettente (tra le più recenti, sentenza n. 250 del 2017), dette norme violerebbero gli artt. 117 e 119 Cost. Entrambe avrebbero infatti illegittimamente istituito dei tributi, in mancanza di «una previsione di massima, contenuta in una legge statale», prescrittiva dei «principi fondamentali delle nuove imposte», non essendo gli stessi neanche riconducibili «alle previsioni degli artt. 1, 3, 11, 12 e 14» della legge 16 maggio 1970, n. 281 (Provvedimenti finanziari per l'attuazione delle Regioni a statuto ordinario) ed essendo, a suo avviso, omologhi a quello oggetto di una norma regionale dichiarata illegittima da questa Corte, con la sentenza n. 58 del 2015.
Tali norme recherebbero altresì vulnus all’art. 23 Cost., poiché hanno ad oggetto «prestazioni patrimoniali» costituenti tributi, la cui previsione «postula una riserva di legge, che nella specie sarebbe stata violata».
Infine, esse sarebbero in contrasto con i principi di eguaglianza (art. 3 Cost.) e di libertà dell’iniziativa economica (art. 41 Cost.), in quanto hanno istituito tributi aventi ad oggetto «esclusivamente l’attività di coltivazione di cave, e non altre attività di tipo imprenditoriale, nonché attività di coltivazione di cave, svolte unicamente all’interno della Regione Campania».
4.– Le questioni sono inammissibili.
4.1.– Preliminarmente, occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza costituzionale, la sussistenza della giurisdizione costituisce un presupposto della legittima instaurazione del processo principale, la cui valutazione è rimessa al giudice a quo, rispetto al quale spetta a questa Corte una verifica esterna e strumentale al riscontro della rilevanza della questione (per tutte, sentenze n. 269 e n. 245 del 2016). Nella specie, la considerazione che la contestazione sorta in ordine a tale presupposto nel giudizio principale è stata decisa dal giudice di appello, che ha rimesso la causa al rimettente, ai sensi dell’art. 59, lettera a), del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), consente di ritenere la questione, sotto questo profilo, ammissibile.
Tale positiva verifica, e le ragioni della stessa, non escludono tuttavia il potere di questa Corte di valutare la correttezza della premessa interpretativa da cui muove il rimettente il quale, pertanto, non era sollevato dall’onere di motivare in ordine alle ragioni della natura tributaria del prelievo previsto dalle norme regionali censurate.
Il controllo in ordine alla giurisdizione concerne infatti la sussistenza di un presupposto della legittima instaurazione del giudizio principale. Rispetto a questo costituisce verifica diversa (successiva, nonché logicamente e giuridicamente differente) quella avente ad oggetto il contenuto della disposizione censurata. Quest’ultima attiene infatti alla premessa interpretativa, della quale si impone il controllo da parte di questa Corte, anche allo scopo di stabilire la pertinenza dei parametri costituzionali evocati dal rimettente.
Detta distinzione è stata implicitamente, ma chiaramente, evidenziata dall’ordinanza n. 387 del 1990, che ha deciso una questione analoga a quella in esame (avente ad oggetto una norma regionale che prevedeva un contributo per lo svolgimento di un’attività di cava), pure sollevata da una Commissione tributaria.
La pronuncia non ha ritenuto inammissibile la questione per difetto di giurisdizione. Nondimeno, l’ha dichiarata manifestamente infondata, poiché «l’erogazione pecuniaria suddetta nella sua disciplina rivela assenza di specifiche connotazioni tributarie» e la prestazione stabilita dalla norma scrutinata esorbita «dal complesso dei fenomeni tributari [e] non incide sui contenuti dell'art. 119 Cost.».
Tale esito è, peraltro, coerente con la rilevanza che questa Corte attribuisce al cosiddetto «diritto vivente», la cui presenza la induce, di regola, ad assumere la disposizione censurata nel significato da questo ritenuto, astenendosi dal fornirne uno proprio. Affinché ciò accada, è però necessario che sussista un’elaborazione giurisprudenziale che connoti la norma censurata in termini appunto di «diritto vivente», circostanza ricorrente in presenza di un’interpretazione offerta dalla Corte di cassazione, alla quale compete la funzione nomofilattica (per tutte, sentenze n. 122 del 2017, n. 220, n. 78 e n. 11 del 2015). In mancanza di un «diritto vivente» (quindi, di un’esegesi della disposizione da parte del giudice di legittimità), questa Corte procede invece direttamente all’interpretazione della disposizione e, conseguentemente, ancora prima, grava sul rimettente l’onere di esplicitare le ragioni della premessa interpretativa dalla quale egli muove per dubitare della legittimità costituzionale della medesima.
Siffatto onere non può essere escluso neanche qualora, come nella specie, il giudice a quo sia vincolato in punto di sussistenza della giurisdizione. Di detta ultima circostanza si è, peraltro, significativamente dimostrata avveduta la Società ricorrente nel processo principale che, nel presente giudizio, l’ha infatti approfondito, svolgendo argomentazioni che, tuttavia, non possono porre rimedio alle lacune descrittive dell’ordinanza di rimessione.
4.2.– La mancanza di una consolidata elaborazione giurisprudenziale – e, comunque, di una pronuncia sul punto da parte del giudice di legittimità – impone a questa Corte di verificare se la qualificazione come tributario del prelievo sia corretta. Tuttavia, proprio per questo, ancora prima, come sopra precisato, detta mancanza onerava il giudice a quo dell’esplicitazione delle ragioni a conforto di tale qualificazione. Si tratta infatti di un’operazione ermeneutica imprescindibile, allo scopo di accertare la riferibilità alla norma dei parametri costituzionali che il rimettente ipotizza lesi, proprio ed esclusivamente in ragione dell’asserita natura tributaria del prelievo.
La controvertibilità del profilo in esame, desumibile già dal contrasto maturato all’interno del processo principale, è avvalorata anzitutto dalla constatazione che la natura tributaria è stata negata dalla Corte di cassazione con riguardo a contributi omologhi previsti da norme di altre leggi regionali (sezioni unite civili, ordinanze 24 dicembre 2009, n. 27347 e 19 dicembre 2009, n. 26815). Inoltre, la stessa controvertibilità è confortata dalla circostanza che un orientamento della giurisprudenza amministrativa ha evidentemente ritenuto la natura non tributaria dei contributi previsti dall’art. 18 della legge della Regione Campania 13 dicembre 1985, n. 54 (Coltivazione di cave e torbiere), affermando che le relative controversie sono attribuite alla giurisdizione del giudice ordinario (TAR Campania, Napoli, sezione quarta, sentenza 6 luglio 2016, n. 340; sezione terza, sentenza 12 gennaio 2015, n. 138).
Quest’ultimo orientamento assume preciso rilievo, tenuto conto dell’espresso riferimento contenuto nel censurato art. 17, comma 1, alla legge regionale n. 54 del 1985 e dell’ancora più specifico richiamo della stessa da parte del citato art. 19 (che, al comma 1, dispone: «i titolari di autorizzazioni estrattive sono tenuti annualmente, in aggiunta ai contributi di cui all’articolo 18 […]» di detta legge), in quanto entrambi sono tali che impongono di approfondire se, ed entro quali termini, il contributo previsto da dette norme si inscriva in quello già previsto dalla legge regionale n. 54 del 1985, che potrebbero essersi limitate ad integrare.
Nel contesto di dette circostanze, costituendo la natura tributaria dei contributi il presupposto dei sollevati dubbi di legittimità costituzionale, gravava dunque sul rimettente l’onere di indicare, almeno in sintesi, le ragioni a conforto della sussistenza degli indefettibili requisiti necessari per detta configurazione (e cioè che la disciplina legale deve essere diretta, in via prevalente, a procurare una definitiva decurtazione patrimoniale a carico del soggetto passivo; la decurtazione non deve integrare una modifica di un rapporto sinallagmatico; le risorse, connesse ad un presupposto economicamente rilevante e derivanti dalla suddetta decurtazione, debbono essere destinate a sovvenire pubbliche spese; per tutte, sentenze n. 269 e n. 236 del 2017).
L’ordinanza di rimessione non ha svolto invece nessun argomento a conforto di tale premessa. Il relativo onere motivazionale non può, inoltre, ritenersi adempiuto mediante il mero, generico, riferimento alla sentenza del giudice di appello, in quanto effettuato senza dare conto in alcun modo delle ragioni in questa addotte a conforto della natura tributaria dei prelievi, che costituisce il presupposto dei dubbi di legittimità costituzionale.
Il difetto di motivazione in ordine alla premessa interpretativa comporta l’inammissibilità delle sollevate questioni (sentenza n. 45 del 2017).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 17 della legge della Regione Campania 11 agosto 2005, n. 15 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione Campania - Legge finanziaria regionale 2005) e dell’art. 19 della legge di detta Regione 30 gennaio 2008, n. 1 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione Campania - Legge finanziaria 2008), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 23, 41, 117 e 119 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Napoli, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 febbraio 2018.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Augusto Antonio BARBERA, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria l'8 marzo 2018.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA