Corte Costituzionale, Ordinanza n.54 del 08/03/2018

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Sanzioni amministrative - Sanzioni amministrative pecuniarie in materia di aiuti comunitari nel settore agricolo - Pronuncia penale irrevocabile per il medesimo fatto storico - Denunciata violazione del principio di intangibilità del giudicato penale previsto dal Protocollo addizionale alla CEDU, come interpretato dalla Corte EDU - Carente e incerta motivazione dell'ordinanza di rimessione - Manifesta inammissibilità delle questioni

Sono dichiarate manifestamente inammissibili, per carente e incerta motivazione dell'ordinanza di rimessione, le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dal Tribunale di Lecce in riferimento all'art. 117, primo comma, Cost. e in relazione all'art. 4 del Protocollo addizionale n. 7 alla CEDU - degli artt. 3, comma 1, della legge n. 898 del 1996 e 649 cod. proc. pen. che prevedono, rispettivamente, il pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria [in caso di operazioni commerciali fittizie a danno dei fondi agricoli europei] e il divieto di sottoporre lo stesso imputato, condannato o prosciolto con sentenza irrevocabile, a un secondo procedimento penale per il medesimo fatto, solo in caso di giudizi formalmente qualificati come penali. Il rimettente, nel denunciare che le due norme censurate violerebbero il principio convenzionale nell'accezione precisata dalla Corte EDU, secondo cui il divieto di bis in idem impedirebbe che la stessa persona sia sottoposta ad un secondo giudizio in relazione al medesimo fatto inteso come dato fenomenico, indipendentemente dalla qualificazione dello stesso come reato o come illecito amministrativo, oblitera del tutto la differenza tra la tutela del divieto suddetto nell'ambito della CEDU e nell'ambito dell'Unione europea, trascurando di esaminare i principi di diritto UE applicabili al caso di specie (peraltro, non del tutto coincidenti con quelli sviluppati dalla Corte EDU); in tal modo, omette passaggi motivazionali indispensabili per un'adeguata prospettazione delle questioni di legittimità costituzionale. Risulta, inoltre, omessa qualsiasi motivazione sui presupposti per cui la Corte EDU riconosce la natura sostanzialmente penale alla sanzione amministrativa prevista dalla norma censurata, ed è insufficiente la stessa descrizione della fattispecie in esame; né, infine, è presa in alcuna considerazione la circostanza che il procedimento penale concluso, per lo stesso fatto storico, con la dichiarata prescrizione del reato, ha riguardato una persona fisica, mentre quello di cui è investito - opposizione alla sanzione ammnistrativa pecuniaria - riguarda la società di cui la medesima persona fisica è legale rappresentante. Secondo la giurisprudenza costituzionale, la motivazione carente, insufficiente e confusa dell'ordinanza di rimessione determina la manifesta inammissibilità delle questioni sollevate, quando i vizi siano particolarmente gravi. (Precedente citato: ordinanza n. 373 del 2004).

Thema decidendum - Affermata inammissibilità, per carente motivazione dell'ordinanza di rimessione, della questione incidentale - Assorbimento di ulteriori eccezioni

Affermata la manifesta inammissibilità - per carente e incerta motivazione dell'ordinanza di rimessione - delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 1, della legge n. 898 del 1996 e dell'art. 649 cod. proc. pen., sono assorbite le ulteriori eccezioni di inammissibilità delle questioni sollevate [circa l'irrilevanza delle medesime questioni e la mancata sussistenza del presupposto per l'applicazione del parametro convenzionale evocato].

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ORDINANZA N. 54

ANNO 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Giorgio LATTANZI; Giudici : Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 649 del codice di procedura penale e dell’art. 3, comma 1, della legge 23 dicembre 1986, n. 898 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 27 ottobre 1986, n. 701, recante misure urgenti in materia di controlli degli aiuti comunitari alla produzione dell’olio di oliva. Sanzioni amministrative e penali in materia di aiuti comunitari nel settore agricolo), promosso dal Tribunale ordinario di Lecce nel procedimento civile tra AGRI.TUR società cooperativa a responsabilità limitata e il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e altri, con ordinanza del 5 maggio 2016, iscritta al n. 216 del registro ordinanze 2016 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, prima serie speciale, dell’anno 2016.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 24 gennaio 2018 il Giudice relatore Marta Cartabia.

Ritenuto che, con ordinanza del 5 maggio 2016 (r.o. n. 216 del 2016), il Tribunale ordinario di Lecce ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 649 del codice di procedura penale e dell’art. 3, comma 1, della legge 23 dicembre 1986, n. 898 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 27 ottobre 1986, n. 701, recante misure urgenti in materia di controlli degli aiuti comunitari alla produzione dell’olio di oliva. Sanzioni amministrative e penali in materia di aiuti comunitari nel settore agricolo), per violazione dell’art. 117, primo comma, della Costituzione in riferimento all’art. 4 del Protocollo addizionale n. 7 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, adottato a Strasburgo il 22 novembre 1984, ratificato e reso esecutivo con la legge 9 aprile 1990, n. 98 (d’ora innanzi: Protocollo addizionale n. 7 alla CEDU);

che il rimettente ha precisato di essere investito del giudizio di opposizione alla sanzione amministrativa pecuniaria inflitta dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali – ai sensi degli artt. 2 e 3 della legge n. 898 del 1986 – a F. C., nella sua qualità di legale rappresentante della AGRI.TUR società cooperativa a responsabilità limitata, in riferimento ad operazioni commerciali ritenute fittizie e consistite nella cessione di una partita di olio da parte di S. N. alla citata società;

che, come riferito dal giudice a quo, per lo stesso fatto storico F. C. era già stato sottoposto a procedimento penale conclusosi con sentenza n. 1460 del 2014 emessa dal medesimo Tribunale di Lecce, che ha accertato e dichiarato la prescrizione del reato;

che, secondo il rimettente, la norma speciale di cui al censurato art. 3 – nella parte in cui impone il pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria «[i]ndipendentemente dalla sanzione penale» – e l’art. 649 cod. proc. pen., che vieta un secondo giudizio solo se questo sia formalmente qualificato come penale, violerebbero l’art. 4 del Protocollo addizionale n. 7 alla CEDU, nell’accezione precisata dalla «sentenza CEDU Grande Stevens contro Italia», secondo cui esso impedirebbe che la stessa persona sia sottoposta ad un secondo giudizio in relazione al medesimo fatto inteso come dato fenomenico, indipendentemente dalla qualificazione dello stesso come reato o come illecito amministrativo, ciò che invece sarebbe avvenuto nella specie in forza delle due disposizioni censurate;

che, ad avviso del giudice a quo, il principio stabilito dalla citata sentenza della Corte di Strasburgo si applicherebbe anche quando, come nella specie, sia intervenuta una sentenza di proscioglimento per prescrizione, né vi potrebbe essere alcun dubbio sul fatto che il procedimento penale e quello civile di opposizione alla sanzione amministrativa vertano su un fatto storico che è il medesimo nei suoi aspetti strutturali, oggettivi e soggettivi, come risulta dagli accertamenti della Guardia di Finanza, dai quali traggono origine sia il procedimento penale, concluso con la sentenza dichiarativa dell’estinzione per prescrizione, sia la procedura «amministrativa-sanzionatoria» oggetto del procedimento ancora sub iudice;

che da ciò il Tribunale ordinario di Lecce deriva la violazione del citato Protocollo e, quindi, dell’art. 117, primo comma, Cost. che vieterebbe «la legiferazione di norme in contrasto con l’ordinamento comunitario e l’avvio di un nuovo procedimento giudiziario in relazione a fatti precedentemente giudicati con pronuncia irrevocabile»;

che il rimettente ha considerato le questioni rilevanti, in quanto il loro eventuale accoglimento priverebbe il giudice della potestas iudicandi;

che, con atto depositato il 15 novembre 2016, è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili;

che, ad avviso dell’interveniente, in primo luogo le questioni sarebbero irrilevanti, in quanto non sarebbe applicabile nel giudizio a quo l’art. 649 cod. proc. pen., trattandosi di un giudizio civile relativo all’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria;

che, in secondo luogo, il rimettente avrebbe omesso di argomentare sul passaggio in giudicato della sentenza penale, presupposto indispensabile per l’operatività della garanzia di cui all’art. 4 del Protocollo addizionale n. 7 alla CEDU;

che mancherebbe altresì un’adeguata motivazione circa l’asserita identità dei fatti oggetto di imputazione e di sanzione amministrativa;

che tali carenze motivazionali impedirebbero alla Corte di svolgere un idoneo controllo sulla rilevanza delle questioni, così da determinare l’inammissibilità delle stesse;

che un ulteriore profilo di inammissibilità viene infine ravvisato nella circostanza che spetterebbe in via esclusiva al legislatore porre rimedio alla denunciata frizione con le disposizioni convenzionali, come già affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 102 del 2016, avente per oggetto un’analoga ipotesi di doppio binario sanzionatorio.

Considerato che il Tribunale ordinario di Lecce ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 649 del codice di procedura penale e dell’art. 3, comma 1, della legge 23 dicembre 1986, n. 898 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 27 ottobre 1986, n. 701, recante misure urgenti in materia di controlli degli aiuti comunitari alla produzione dell’olio di oliva. Sanzioni amministrative e penali in materia di aiuti comunitari nel settore agricolo), per violazione dell’art. 117, primo comma, della Costituzione in riferimento all’art. 4 del Protocollo addizionale n. 7 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, adottato a Strasburgo il 22 novembre 1984, ratificato e reso esecutivo con la legge 9 aprile 1990, n. 98 (d’ora innanzi: Protocollo addizionale n. 7 alla CEDU);

che, a parere del rimettente, l’art. 3, comma 1, della legge n. 898 del 1986 – il quale impone il pagamento di sanzioni amministrative pecuniarie «[i]ndipendentemente dalla sanzione penale», violerebbe l’art. 4 del Protocollo addizionale n. 7 alla CEDU, nell’applicazione datane dalla Corte europea dei diritti dell’uomo con la sentenza 4 marzo 2014, Grande Stevens e altri contro Italia, secondo cui sarebbe vietato sottoporre la stessa persona a un secondo giudizio in relazione al medesimo fatto, inteso come dato fenomenico, indipendentemente dalla qualificazione dello stesso come reato o come illecito amministrativo, se di natura sostanzialmente penale;

che analoga violazione sarebbe ravvisabile con riferimento all’art. 649 cod. proc. pen., che vieta di sottoporre lo stesso imputato, condannato o prosciolto con sentenza irrevocabile, a un secondo procedimento penale per il medesimo fatto, solo in caso di giudizi formalmente qualificati come penali;

che le questioni sono manifestamente inammissibili per la carente ed incerta motivazione dell’ordinanza di rimessione;

che il rimettente, infatti, oblitera del tutto la differenza tra la tutela del divieto di bis in idem nell’ambito della CEDU e nell’ambito dell’Unione europea, tanto da considerare l’art. 4 del Protocollo addizionale n. 7 alla CEDU come «norma comunitaria» e ritenere che la citata disposizione convenzionale vieterebbe «la legiferazione di norme interne in contrasto con l’ordinamento comunitario»;

che tale confusione è tanto più rilevante in quanto la disciplina di cui alla legge n. 898 del 1986 è attuativa di una specifica normativa comunitaria;

che, in particolare, il regolamento (CE) n. 1848/2006 della Commissione del 14 dicembre 2006, relativo alle irregolarità e al recupero delle somme indebitamente pagate nell’ambito del finanziamento della politica agricola comune nonché all’instaurazione di un sistema d’informazione in questo settore e che abroga il regolamento (CEE) n. 595/91 del Consiglio, prevedeva l’obbligo per gli Stati membri di adottare un sistema di comunicazioni delle irregolarità e delle frodi perpetrate ai danni dei citati fondi europei di finanziamento della politica agricola comune;

che, successivamente, l’art. 58 del regolamento (UE) n. 1306/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 dicembre 2013, sul finanziamento, sulla gestione e sul monitoraggio della politica agricola comune e che abroga i regolamenti del Consiglio (CEE) n. 352/78, (CE) n. 165/94, (CE) n. 2799/98, (CE) n. 814/2000, (CE) n. 1290/2005 e (CE) n. 485/2008, prevede tra l’altro l’obbligo per gli Stati membri dell’Unione di prevedere sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive in relazione alle frodi compiute in violazione delle suddette normative;

che l’ordinanza di rimessione trascura di esaminare i principi di diritto dell’Unione europea applicabili al caso di specie, i quali, peraltro, non sono del tutto coincidenti con quelli sviluppati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo in riferimento al richiamato art. 4 del Protocollo addizionale n. 7 alla CEDU;

che, quindi, il rimettente omette passaggi motivazionali indispensabili per un’adeguata prospettazione delle questioni di legittimità costituzionale;

che, anche in riferimento alla tutela convenzionale citata dal rimettente, egli omette qualsiasi motivazione sui presupposti individuati dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo per riconoscere natura sostanzialmente penale alla sanzione amministrativa prevista dal censurato art. 3 della legge n. 898 del 1986, ai fini dell’applicabilità del divieto convenzionale di bis in idem, come tutelato dall’art. 4 del Protocollo addizionale n. 7 alla CEDU;

che a questo proposito risulta insufficiente la stessa descrizione della fattispecie in esame, non essendo chiaro se si tratti di frodi per il conseguimento di erogazioni dal fondo europeo agricolo di garanzia o dal fondo europeo agricolo di sviluppo rurale, per i quali sono previste dal medesimo art. 3 della legge n. 898 del 1986 diverse entità e modalità di commisurazione della sanzione amministrativa;

che, considerata la differenza tra le due ipotesi, sarebbe stato necessario motivare adeguatamente in ordine alla ritenuta natura sostanzialmente penale di ciascuno dei due illeciti amministrativi, separatamente previsti per le frodi ai due fondi citati;

che, infine, il rimettente non prende in alcuna considerazione la circostanza che il procedimento penale riguarda la persona fisica, mentre il procedimento civile di opposizione alla sanzione amministrativa riguarda la società di cui la persona fisica è legale rappresentante;

che, in base alla giurisprudenza costituzionale (ex multis, ordinanza n. 373 del 2004), la motivazione carente, insufficiente e confusa dell’ordinanza di rimessione determina la manifesta inammissibilità delle questioni sollevate, quando i vizi siano così gravi come avviene nel caso in esame;

che i rilievi sopra esposti risultano avere valore assorbente rispetto alle ulteriori eccezioni di inammissibilità delle questioni sollevate.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 649 del codice di procedura penale e dell’art. 3, comma 1, della legge 23 dicembre 1986, n. 898 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 27 ottobre 1986, n. 701, recante misure urgenti in materia di controlli degli aiuti comunitari alla produzione dell’olio di oliva. Sanzioni amministrative e penali in materia di aiuti comunitari nel settore agricolo), sollevate, per violazione dell’art. 117, primo comma, della Costituzione in riferimento all’art. 4 del Protocollo addizionale n. 7 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, adottato a Strasburgo il 22 novembre 1984, ratificato e reso esecutivo con la legge 9 aprile 1990, n. 98, dal Tribunale ordinario di Lecce, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 gennaio 2018.

F.to:

Giorgio LATTANZI, Presidente

Marta CARTABIA, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria l'8 marzo 2018.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto MILANA

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