Corte Costituzionale, Ordinanza n.63 del 27/03/2018

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Elezioni - Elettorato attivo - Cittadini italiani residenti all'estero - Modalità di esercizio del diritto di voto per corrispondenza - Denunciata violazione dei principi di personalità, segretezza e libertà del voto - Difetto di motivazione sull'interesse ad agire in accertamento davanti al giudice ordinario e risolvibilità in altra sede dell'incertezza sulla pienezza del diritto al voto nelle operazioni referendarie - Manifesta inammissibilità della questione

È dichiarata manifestamente inammissibile - per difetto di motivazione sull'interesse ad agire in accertamento davanti al giudice ordinario; e per risolvibilità in altra sede dell'incertezza sulla pienezza del diritto al voto nelle operazioni referendarie - la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 2, 2, 4-bis, 12 e 14 della legge n. 459 del 2001, censurati dal Tribunale di Venezia, in riferimento agli artt. 1, secondo comma, e 48, primo, secondo e terzo comma, Cost., nella parte in cui disciplinano le modalità di esercizio del voto per corrispondenza dei cittadini italiani residenti all'estero. Pur essendo evidenziate oggettive criticità della normativa denunciata quanto al bilanciamento della "effettività" del diritto di voto dei cittadini residenti all'estero con gli imprescindibili requisiti di personalità, libertà e segretezza del voto stesso, il mero riferimento all'interesse all'accertamento giudiziale della concreta volontà della legge, sulla pienezza del diritto di voto del residente all'estero, con riguardo alla (allora) futura consultazione referendaria, senza alcun'altra indicazione, nemmeno sintetica o per relationem (della situazione soggettiva e/o oggettiva che risulterebbe, nel caso concreto, potenzialmente impeditiva della segretezza del voto), non può essere considerato motivazione sufficiente e non implausibile dell'esistenza dell'interesse ad agire, idonea, in quanto tale, a escludere un riesame da parte della Corte costituzionale dell'apprezzamento compiuto dal giudice a quo ai fini dell'ammissibilità dell'azione. Inoltre - diversamente dalle ipotesi di elezione del Parlamento nazionale (i cui risultati sono esclusivamente rimessi al controllo delle Camere di appartenenza ex art. 66 Cost.) e analogamente all'ipotesi di elezione dei membri italiani del Parlamento europeo - l'incertezza sulla pienezza del diritto di voto nella procedura referendaria non può essere considerata costituzionalmente insuperabile nel senso di non poter essere risolta, sul piano costituzionale, se non ammettendo un'azione del tipo di quella proposta nel giudizio a quo, atteso che nella procedura referendaria sono espressamente previste la reclamabilità delle operazioni di voto all'Ufficio centrale per la circoscrizione Estero (artt. 23 della legge n. 352 del 1970 e 20, comma 3, del d.P.R. n. 104 del 2003) e la loro successiva sottoponibilità all'esame dell'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione, il quale è legittimato a sollevare incidente di costituzionalità. (Precedenti citati: sentenze n. 35 del 2017 e n. 1 del 2014, e sentenza n. 110 del 2015, sulle diverse possibilità di accertamento della pienezza del diritto di voto nelle elezioni del Parlamento nazionale e del Parlamento europeo). L'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione è legittimato a sollevare questioni incidentali di legittimità costituzionale. (Precedenti citati: ordinanze n. 14 del 2009 e n. 1 del 2009).

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ORDINANZA N. 63

ANNO 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Giorgio LATTANZI; Giudici : Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 2, 2, 4-bis, 12 e 14 della legge 27 dicembre 2001, n. 459 (Norme per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all’estero), promosso dal Tribunale ordinario di Venezia nel procedimento vertente tra Pier Michele Cellini e la Presidenza del Consiglio dei ministri e altri, con ordinanza del 5 gennaio 2018, iscritta al n. 11 del registro ordinanze 2018 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 3, prima serie speciale, dell’anno 2018.

Visti l’atto di costituzione per Pier Michele Cellini, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 21 febbraio 2018 il Giudice relatore Mario Rosario Morelli;

uditi l’avvocato Mario Bertolissi per Pier Michele Cellini e l’avvocato dello Stato Vincenzo Nunziata per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto che nel corso di un procedimento ex art. 702-bis del codice di procedura civile – promosso da un cittadino italiano residente all’estero, il quale, previa sospensione dei provvedimenti di avvio delle operazioni referendarie (indette per il successivo dicembre 2016), chiedeva, nel merito, dichiararsi che, «tramite il c.d. “voto per corrispondenza”, il [suo] diritto di voto […] non può essere stato esercitato (nel passato) e non potrà nemmeno essere esercitato (anche nell’immediato futuro) in modo libero e diretto, con pieno e completo rispetto delle garanzie di segretezza e personalità […]» e, a tal fine, chiedeva sollevarsi questione di legittimità costituzionale della vigente disciplina del voto all’estero – l’adito giudice monocratico del Tribunale ordinario di Venezia ha sollevato questione incidentale di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 2, 2, 4-bis, 12 e 14 della legge 27 dicembre 2001, n. 459 (Norme per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all’estero), nella parte, appunto, in cui disciplinano le modalità di esercizio del voto per corrispondenza dei cittadini italiani residenti all’estero, per contrasto con gli artt. 1, secondo comma, e 48, primo, secondo e terzo comma, della Costituzione;

che, secondo il rimettente, la denunciata disciplina del voto per corrispondenza contrasterebbe con gli evocati parametri costituzionali, presentando «tali e tante ombre da far perfino dubitare che possa definirsi “voto”»;

che, in particolare, violato sarebbe il «principio di segretezza», poiché l’art. 12 della legge n. 459 del 2001 prevede che «i cittadini italiani residenti all’estero, dopo avere votato ubiquiter, utilizzando la scheda elettorale inviata loro dall’ufficio consolare a mezzo posta raccomandata “o con altro mezzo di analoga affidabilità”, la spediscano – parimenti per posta, ma senza necessario ricorso alla “raccomandata o altro mezzo di analoga affidabilità” – agli uffici consolari competenti per l’invio con valigia diplomatica all’Ufficio centrale per la circoscrizione Estero». Ciò che, appunto, «non assicur[erebbe] la segretezza, la personalità e la libertà del voto», sia nella fase della sua manifestazione che in quella successiva della sua comunicazione;

che si è costituito davanti a questa Corte il ricorrente nel giudizio principale, che, in adesione alla prospettazione del giudice a quo, ha evidenziato il pericolo (ed enumerato episodi e testimonianze portati alla luce dai mezzi di informazione) di «brogli», che le modalità di esercizio del voto per corrispondenza (hanno consentito e) consentirebbero. Ed ha sostenuto che, comunque, i requisiti (di personalità, libertà e segretezza) del diritto di voto, in quanto posti a presidio della stessa democrazia del Paese, non sarebbero bilanciabili con altri valori costituzionali;

che è altresì intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità della questione sollevata dal rimettente (per l’assoluta carenza di sua motivazione, sia sulle «ragioni che dimostrino il potenziale pregiudizio per il requisito della segretezza del voto» nel caso di specie, sia sulla sussistenza dell’interesse del ricorrente ad agire in via preventiva rispetto alla consultazione referendaria, «così sfuggendo all’attività probatoria che un reclamo ex post sulle operazioni di voto, all’Ufficio centrale per la circoscrizione Estero, avrebbe comportato»). E, in subordine, ha sostenuto, nel merito, che quella del voto per corrispondenza «è stata, in realtà, una scelta “obbligata” dato che il voto per procura è oggettivamente contrario al principio di personalità, mentre il voto in loco, mediante la predisposizione di sezioni elettorali sul territorio degli Stati ospitanti, avrebbe creato problemi irrisolvibili di organizzazione e, in molti casi, sarebbe stato vietato dagli Stati stessi per il rischio di veder lesa la propria sovranità», dal che la non fondatezza, comunque, delle censure formulate dal Tribunale a quo;

che, nel ribadire, con successiva memoria, le proprie conclusioni, l’Avvocatura dello Stato ha ulteriormente, tra l’altro, argomentato che la “deroga” alla segretezza del voto, senza la quale gli italiani all’estero non avrebbero potuto «scegliere se esercitare il diritto di voto in Italia o all’estero», opererebbe sullo stesso piano delle deroghe, resesi parimenti necessarie, per consentire ai cittadini affetti da gravi infermità il cosiddetto “voto assistito” e il “voto a domicilio”, ed ha ricordato ancora come il sistema prescelto dal legislatore del 2001 sia stato «adottato, in diversi periodi, anche da altri ordinamenti giuridici (tra l’altro, Francia, Svizzera, Germania, alcuni stati degli USA, Spagna)».

Considerato che la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 2, 2, 4-bis, 12 e 14 della legge 27 dicembre 2001, n. 459 (Norme per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all’estero), sollevata dal Tribunale di Venezia – pur evidenziando oggettive criticità della normativa denunciata quanto al bilanciamento della «effettività» del diritto di voto dei cittadini residenti all’estero con gli imprescindibili requisiti di personalità, libertà e segretezza del voto stesso, con riferimento ai parametri di cui, rispettivamente, ai commi terzo e secondo dell’art. 48 della Costituzione – è, però, sotto un duplice profilo, manifestamente inammissibile;

che in primo luogo, infatti, il mero riferimento all’interesse all’«accertamento giudiziale […] della concreta volontà della legge», sulla pienezza del diritto di voto del residente all’estero, con riguardo alla (allora) futura consultazione referendaria, senza alcun’altra indicazione, nemmeno sintetica o per relationem (della situazione soggettiva e/o oggettiva che risulterebbe, nel caso concreto, potenzialmente impeditiva della segretezza del voto), «non può essere considerato motivazione sufficiente e non implausibile dell’esistenza dell’interesse ad agire, idonea, in quanto tale, a escludere un riesame ad opera di questa Corte dell’apprezzamento compiuto dal giudice a quo ai fini dell’ammissibilità dell’azione» (sentenza n. 110 del 2015);

che inoltre – diversamente dalle ipotesi prese in esame dalle sentenze n. 1 del 2014 e n. 35 del 2017 (in tema di elezione del Parlamento nazionale, i cui risultati, in quanto esclusivamente rimessi al controllo delle Camere di appartenenza ex art. 66 Cost., sono sottratti a quello del giudice comune) ed analogamente, invece, a quella relativa alla elezione dei membri italiani del Parlamento europeo, di cui alla sentenza n. 110 del 2015 – l’incertezza sulla pienezza sul diritto di voto nella procedura referendaria, come nella specie prospettata, «non può essere considerata costituzionalmente insuperabile […] nel senso di non poter essere risolta, sul piano costituzionale, se non ammettendo un’azione del tipo di quella proposta nel giudizio a quo» (sentenza n. 110 del 2015);

che, infatti, nella procedura in esame sono espressamente previste la reclamabilità delle operazioni di voto all’Ufficio centrale per la circoscrizione Estero – ex art. 23 della legge 25 maggio 1970, n. 352 (Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo) e art. 20, comma 3, del Decreto del Presidente della Repubblica 2 aprile 2003, n. 104 (Regolamento di attuazione della L. 27 dicembre 2001, n. 459, recante disciplina per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all’estero) – e la loro successiva sottoponibilità all’esame dell’Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione, legittimato – esso – a sollevare incidente di costituzionalità (ordinanze n. 14 e n. 1 del 2009);

che, in ragione appunto di tali non superabili profili di inammissibilità, resta precluso, in limine, l’esame nel merito della questione sollevata.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 2, 2, 4-bis, 12 e 14 della legge 27 dicembre 2001, n. 459 (Norme per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all’estero), sollevata, in riferimento agli artt. 1, secondo comma, e 48, primo, secondo e terzo comma, della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Venezia, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 febbraio 2018.

F.to:

Giorgio LATTANZI, Presidente

Mario Rosario MORELLI, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 27 marzo 2018.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto MILANA

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