Corte Costituzionale, Sentenza n.72 del 05/04/2018

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Imposte e tasse - Regime fiscale degli immobili di interesse storico o artistico - Determinazione del reddito imponibile - Sostituzione del regime fiscale speciale con uno meramente agevolato - Denunciata irragionevolezza e discriminatorietà dell'agevolazione fiscale, nonché violazione del principio di tutela del patrimonio storico e artistico nazionale e del principio di capacità contributiva - Insussistenza - Non fondatezza delle questioni

Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 4, commi 5-quater e 5-sexies, lett. a), del d.l. n. 16 del 2012, conv., con modif., nella legge n. 44 del 2012, che sostituisce il regime fiscale speciale dettato per gli immobili riconosciuti di interesse storico o artistico con uno meramente agevolato. Le norme censurate - in riferimento agli artt. 3, 9, secondo comma, e 53 Cost. - dalla Commissione tributaria provinciale di Novara, non hanno determinato l'omologazione giuridica degli immobili vincolati a quelli che non lo sono, atteso che alla permanenza della diversità di trattamento legale, correlata al pregio storico o artistico del bene, continua a corrispondere quella del regime tributario. Il nuovo regime fiscale, anche in virtù di una valutazione sistematica, è altresì conforme al principio di ragionevolezza e di non discriminatorietà, in quanto non è affatto implausibile che - anziché prescindersi completamente dal reddito locativo - venga applicato allo stesso una riduzione forfettariamente quantificata, in tal modo armonizzandone la disciplina con quella delle ulteriori agevolazioni, che nel loro insieme tengono adeguatamente conto di vincoli e oneri correlati agli immobili di interesse storico-artistico. Deve infine escludersi la violazione del principio di capacità contributiva, in ragione dell'obiettiva difficoltà di ricavare per gli immobili vincolati il reddito effettivo da quello locativo, per la forte incidenza dei costi di manutenzione e conservazione di tali beni (Precedenti citati: sentenze n. 145 del 2015, n. 111 del 2016 e n. 346 del 2003). Rientra nel potere discrezionale del legislatore decidere non solo in ordine all'an, ma anche in ordine al quantum e ad ogni altra modalità e condizione afferente alla determinazione di agevolazioni e benefici fiscali. Nell'esercizio di tale potere egli non è obbligato a mantenere il regime derogatorio, qualora siano diversamente valutate le condizioni per le quali detto regime era stato disposto, purché ciò avvenga nei limiti della non arbitrarietà e della ragionevolezza e nel rispetto dei principi costituzionali in materia. (Precedenti citati: sentenza n. 108 del 1983; ordinanza n. 174 del 2001).

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SENTENZA N. 72

ANNO 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Giorgio LATTANZI; Giudici : Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 4, commi 5-quater e 5-sexies, lettera a), del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento), convertito, con modificazioni, nella legge 26 aprile 2012, n. 44, promosso dalla Commissione tributaria provinciale di Novara nel procedimento vertente tra F.V. e l’Agenzia delle entrate - Direzione provinciale di Novara, con ordinanza del 1° dicembre 2015, iscritta al n. 29 del registro ordinanze 2016 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, prima serie speciale, dell’anno 2016.

Visti l’atto di costituzione di F.V., nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 6 febbraio 2018 il Giudice relatore Aldo Carosi;

uditi l’avvocato Marco Cuniberti per F.V. e l’avvocato dello Stato Gianni De Bellis per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– Con l’ordinanza indicata in epigrafe la Commissione tributaria provinciale (CTP) di Novara ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, commi 5-quater e 5-sexies, lettera a), del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento), convertito, con modificazioni, nella legge 26 aprile 2012, n. 44, in riferimento agli artt. 3, 9, secondo comma, e 53 della Costituzione.

Il giudice a quo riferisce di essere stato adito da F.V., il quale – dopo essersi vanamente rivolto all’Agenzia delle entrate - Direzione provinciale di Novara per ottenere il rimborso delle somme, asseritamente non dovute, versate per l’anno d’imposta 2013 a titolo di imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) e di addizionale, tutte relative al reddito derivante dalla locazione di un immobile di interesse storico-artistico di sua proprietà ubicato a Verona – ha impugnato il silenzio rifiuto formatosi su detta istanza. In particolare, il ricorrente lamentava l’illegittimità costituzionale delle norme censurate, che avrebbero ricondotto al regime impositivo ordinario anche gli immobili appartenenti alla menzionata categoria.

Il rimettente – dopo aver dato atto del fatto che la stessa CTP di Novara, su analogo ricorso del medesimo contribuente relativo all’annualità 2012, aveva sollevato questione di legittimità costituzionale della stessa normativa in riferimento all’art. 77, secondo comma, Cost., questione dichiarata non fondata dalla sentenza n. 145 del 2015 di questa Corte – evidenzia come i commi censurati modifichino profondamente, e in senso deteriore per il contribuente, il precedente regime fiscale dettato per gli immobili di interesse storico o artistico dall’art. 11, comma 2, della legge 30 dicembre 1991, n. 413 (Disposizioni per ampliare le basi imponibili, per razionalizzare, facilitare e potenziare l’attività di accertamento; disposizioni per la rivalutazione obbligatoria dei beni immobili delle imprese, nonché per riformare il contenzioso e per la definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti; delega al Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia per reati tributari; istituzioni dei centri di assistenza fiscale e del conto fiscale), secondo cui «[i]n ogni caso, il reddito degli immobili riconosciuti di interesse storico o artistico, ai sensi dell’articolo 3 della legge 1° giugno 1939, n. 1089, e successive modificazioni e integrazioni, è determinato mediante l’applicazione della minore tra le tariffe d’estimo previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale è collocato il fabbricato». Tale regime, abrogato dall’art. 4, comma 5-quater, del d.l. n. 16 del 2012, è stato sostituito da quello dettato dal successivo comma 5-sexies, lettera a), secondo cui, ai fini del calcolo del reddito imponibile degli immobili di interesse storico o artistico, il canone di locazione da prendere in considerazione subisce una riduzione forfettaria del trentacinque per cento a fronte di quella ordinaria del cinque per cento.

Ad avviso del rimettente, la sostituzione del precedente regime speciale con uno meramente agevolato, dettata dalla sola finalità di aumentare il gettito tributario, eliminerebbe la distinzione sostanziale tra gli immobili di interesse storico o artistico e quelli che non lo sono, violando l’art. 9, secondo comma, Cost., espressivo del principio di tutela del patrimonio storico e artistico nazionale.

Inoltre, l’agevolazione fiscale violerebbe l’art. 3 Cost. in quanto, omettendo di prevedere adeguate misure compensative a fronte della forte incidenza dei costi di conservazione e dei vincoli limitanti la libera disponibilità di tali beni, sarebbe irragionevole e discriminatoria.

Infine, la tassazione del sessantacinque per cento del reddito non troverebbe giustificazione in indici reddituali effettivi, con conseguente violazione del principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost.

2.– Con atto depositato il 15 marzo 2016 è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sollevata sia dichiarata manifestamente infondata.

Ad avviso dell’intervenuto, le disposizioni censurate, sostituendo il precedente regime fiscale speciale per gli immobili di interesse storico o artistico con uno omogeneo a quello generale, avrebbero dato luogo a una semplificazione e razionalizzazione della tassazione, al contempo tenendo conto, da un lato, della particolare natura degli immobili e, dall’altro, delle esigenze di bilancio, il tutto nell’esercizio della discrezionalità del legislatore, ora maggiormente ancorata alla capacità contributiva rispetto alla normativa precedente, che prescindeva dal reddito locativo.

3.– Si è costituito il ricorrente nel giudizio a quo, chiedendo che la questione sollevata sia dichiarata fondata. Successivamente, con memoria depositata il 16 gennaio 2018, il medesimo ha diffusamente argomentato in ordine alla rilevanza e alla fondatezza delle questioni sollevate.

Considerato in diritto

1.– Con l’ordinanza indicata in epigrafe la Commissione tributaria provinciale di Novara ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4, commi 5-quater e 5-sexies, lettera a), del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento), convertito, con modificazioni, nella legge 26 aprile 2012, n. 44, in riferimento agli artt. 3, 9, secondo comma, e 53 della Costituzione.

Il giudice a quo è stato adito da un contribuente, il quale – dopo essersi vanamente rivolto all’Agenzia delle entrate per ottenere il rimborso delle somme, asseritamente non dovute, versate per l’anno d’imposta 2013 a titolo di imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) e di addizionale, tutte relative al reddito derivante dalla locazione di un immobile di interesse storico-artistico di sua proprietà – ha impugnato il silenzio rifiuto formatosi su detta istanza, lamentando l’illegittimità costituzionale delle norme censurate, che avrebbero ricondotto al regime impositivo ordinario anche gli immobili appartenenti alla menzionata categoria.

Il rimettente evidenzia come la normativa denunciata modifichi profondamente, e in senso deteriore per il contribuente, il precedente regime fiscale dettato per gli immobili vincolati dall’art. 11, comma 2, della legge 30 dicembre 1991, n. 413 (Disposizioni per ampliare le basi imponibili, per razionalizzare, facilitare e potenziare l’attività di accertamento; disposizioni per la rivalutazione obbligatoria dei beni immobili delle imprese, nonché per riformare il contenzioso e per la definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti; delega al Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia per reati tributari; istituzioni dei centri di assistenza fiscale e del conto fiscale), secondo cui «[i]n ogni caso, il reddito degli immobili riconosciuti di interesse storico o artistico […] è determinato mediante l’applicazione della minore tra le tariffe d’estimo previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale è collocato il fabbricato». Tale regime, abrogato dall’art. 4, comma 5-quater, del d.l. n. 16 del 2012, è stato sostituito da quello dettato dal successivo comma 5-sexies, lettera a), del medesimo articolo, secondo cui, ai fini del calcolo del reddito imponibile degli immobili di interesse storico o artistico, il canone di locazione da prendere in considerazione subisce una riduzione forfettaria del trentacinque per cento a fronte di quella ordinaria del cinque per cento.

Ad avviso del rimettente, la sostituzione del precedente regime speciale con uno meramente agevolato eliminerebbe la distinzione sostanziale tra gli immobili vincolati e quelli che non lo sono, violando l’art. 9, secondo comma, Cost., espressivo del principio di tutela del patrimonio storico e artistico nazionale.

Inoltre, l’agevolazione fiscale violerebbe l’art. 3 Cost., in quanto, omettendo di prevedere adeguate misure compensative a fronte della forte incidenza dei costi di conservazione e dei vincoli limitanti la libera disponibilità di tali beni, sarebbe irragionevole e discriminatoria.

Infine, la tassazione del sessantacinque per cento del reddito locativo non troverebbe giustificazione in indici reddituali effettivi, con conseguente violazione del principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost.

2.– Prima di affrontare il merito delle questioni sollevate, occorre rammentare che, come già evidenziato da questa Corte (sentenza n. 145 del 2015), sino al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2011, per tutti gli immobili di interesse storico o artistico ai sensi dell’art. 10 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137) – senza distinzione di destinazione o di classificazione catastale e indipendentemente dal loro concreto utilizzo (locati o meno) e con l’eccezione di quelli che costituiscono beni strumentali per l’esercizio dell’attività d’impresa o di produzione o scambio finalizzati a tale attività – il regime d’imposizione fiscale risultava completamente scollegato dal valore locativo o fondiario dell’immobile, in quanto il reddito derivante dal suo possesso veniva determinato sulla base della minore tra le tariffe d’estimo previste per le abitazioni della zona censuaria di appartenenza (art. 11, comma 2, del d.lgs. n. 413 del 1991), in relazione alla cosiddetta rendita figurativa.

L’art. 4 del d.l. n. 16 del 2012 – come integrato in sede di conversione – ha ridisegnato il peculiare regime fiscale degli immobili vincolati. Tale disposizione, abrogando l’art. 11, comma 2, del d.lgs. n. 413 del 1991 (art. 4, comma 5-quater), ha eliminato la possibilità di determinare il reddito imponibile secondo il criterio della rendita figurativa, in cui era irrilevante il canone di locazione, e ha al contempo statuito, con riferimento agli immobili di interesse storico o artistico non posseduti in regime di impresa e locati (art. 4, comma 5-sexies, lettera a), che il reddito imponibile ai fini IRPEF sia rappresentato dal maggiore fra il canone di locazione ridotto del trentacinque per cento e la rendita catastale rivalutata del cinque per cento calcolata applicando la tariffa d’estimo propria dell’immobile, ridotta della metà (secondo le indicazioni fornite dall’Agenzia delle entrate nella risoluzione del 31 dicembre 2012, n. 114/E).

Alla luce della ricostruzione normativa che precede, si evince come le norme censurate abbiano sostituito il regime fiscale speciale antecedentemente previsto per gli immobili riconosciuti di interesse storico o artistico con uno meramente agevolato, ridimensionando tendenzialmente sotto il profilo quantitativo il beneficio accordato.

3.– Tanto premesso, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, commi 5-quater e 5-sexies, lettera a), del d.l. n. 16 del 2012, in riferimento all’art. 9, secondo comma, Cost., non è fondata.

La sostituzione del regime fiscale speciale con uno meramente agevolato non ha sottratto il trattamento tributario degli immobili di interesse storico-artistico alla peculiare finalità reclamata dal rimettente, continuando a giustificarsi «in considerazione del complesso di vincoli ed obblighi gravanti per legge sulla proprietà di siffatti beni quale riflesso della tutela costituzionale loro garantita dall’art. 9, secondo comma, della Costituzione» (sentenze n. 111 del 2016 e n. 346 del 2003).

Alla permanenza della diversità di trattamento legale, correlata al pregio storico o artistico del bene, continua a corrispondere quella del regime tributario – proprio come ritenuto da questa Corte a proposito del precedente criterio di tassazione fondato sulla rendita figurativa (sentenza n. 346 del 2003) – seppure in un diverso rapporto sistematico con la disciplina complessiva del tributo interessato, prevedendosi una maggior riduzione del reddito locativo da prendere in considerazione rispetto agli altri beni.

Risulta così smentito l’assunto del rimettente secondo cui la normativa censurata avrebbe determinato l’omologazione giuridica degli immobili di interesse storico-artistico a quelli che non lo sono, atteso che, in ragione della tutela da accordare ai primi in virtù dell’art. 9, secondo comma, Cost., la distinzione tra di essi permane integra.

4.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, commi 5-quater e 5-sexies, lettera a), del d.l. n. 16 del 2012, in riferimento all’art. 3 Cost., non è fondata.

Anche a prescindere dalla considerazione che tutte le agevolazioni fiscali afferenti alla categoria dei beni culturali – il cui novero non si esaurisce in quella in esame – rispondono essenzialmente alla finalità di compensare obblighi e vincoli a essi inerenti, va rilevato, con specifico riferimento alla loro redditività, come la riduzione forfettaria (del trentacinque per cento a fronte di quella ordinaria del cinque per cento) del canone locativo ai fini della determinazione dell’imponibile risulti ulteriormente incrementabile del trenta per cento, ai sensi dell’art. 8, comma 1, della legge 9 dicembre 1998, n. 431 (Disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo). Tale possibilità dipende dal fatto che, in virtù delle modifiche intervenute, le modalità di determinazione del reddito locativo degli immobili vincolati sono divenute analoghe a quelle previste per gli altri e soddisfa così l’esigenza di armonizzazione evidenziata da questa Corte in occasione dello scrutinio del regime precedente (sentenza n. 346 del 2003).

Inoltre, ai fini IRPEF, l’art. 15, comma 1, lettera g), del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), prevede una detrazione del diciannove per cento delle spese «sostenute dai soggetti obbligati alla manutenzione, protezione o restauro» dei beni vincolati, agevolazione cumulabile – seppur in ragione della metà – con quelle previste per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio (art. 16-bis, comma 6, del d.P.R. n. 917 del 1986).

Tali agevolazioni, peraltro, coesistono con la previsione, contenuta nel d.lgs. n. 42 del 2004, che lo Stato possa concorrere alle spese di restauro e conservazione dei beni vincolati fino alla metà dell’importo o, in caso di interventi di particolare rilevanza, per l’intero (art. 35) e possa concedere contributi in conto interessi su mutui o altre forme di finanziamento accordati a proprietari, possessori o detentori da istituti di credito per la realizzazione degli interventi conservativi (art. 37).

Alla stregua dei rilievi che precedono, si deve dunque escludere, anche in virtù di una valutazione sistematica, che il nuovo regime fiscale non tenga adeguatamente conto di vincoli e oneri correlati agli immobili di interesse storico-artistico, riservando invece a essi un trattamento significativamente diverso rispetto a quello dettato per gli immobili che non appartengono a detta categoria.

Il fatto che la nuova disciplina si discosti da quella precedente – considerata più favorevole – e che quest’ultima sia stata ritenuta costituzionalmente conforme (sentenza n. 346 del 2003) non comporta di per sé che il nuovo regime sia in contrasto con il principio di ragionevolezza. Non è affatto implausibile che le disposizioni impugnate – anziché prescindere completamente dal reddito locativo – applichino allo stesso una riduzione forfettariamente quantificata, in tal modo armonizzandone la disciplina con quella delle ulteriori agevolazioni.

Peraltro, ai fini del positivo scrutinio delle disposizioni impugnate in termini sistematici e di proporzionalità, non è indifferente che il nuovo regime dettato per i beni di interesse storico-artistico si accompagni alla quasi coeva introduzione dell’imposta municipale propria (IMU). Quest’ultima ha sostituito, «per la componente immobiliare, l’imposta sul reddito delle persone fisiche e le relative addizionali dovute in relazione ai redditi fondiari relativi ai beni non locati» (art. 8, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, recante «Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale»). Ciò comporta che coerentemente, per effetto del sopravvenuto assetto tributario, i beni vincolati subiscano un’imposizione patrimoniale essenzialmente sulla base dei parametri catastali (ai sensi dell’art. 13, comma 3, lettera a, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, recante «Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici», convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214), mentre l’imposizione sul reddito da essi eventualmente ritratto avvenga in base a parametri analitici (il canone locativo forfettariamente diminuito, di regola superiore alla rendita catastale rivalutata ridotta della metà).

5.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, commi 5-quater e 5-sexies, lettera a), del d.l. n. 16 del 2012, in riferimento all’art. 53 Cost., non è fondata.

Nel giudizio inerente al precedente regime speciale questa Corte ha già avuto modo di escludere la violazione del citato parametro, in ragione dell’obiettiva difficoltà di ricavare per gli immobili vincolati il reddito effettivo da quello locativo, per la forte incidenza dei costi di manutenzione e conservazione di tali beni (sentenza n. 346 del 2003).

Tale considerazione vale anche per la normativa censurata che, senza prescinderne completamente, determina – a fini impositivi – una riduzione forfettaria di circa un terzo del reddito locativo rispetto a quella ordinaria prevista per gli altri immobili.

6.– Alla luce delle considerazioni che precedono, si deve concludere che l’introduzione del regime tributario in questione rientra nel potere discrezionale del legislatore «di decidere non solo in ordine all’an, ma anche in ordine al quantum e ad ogni altra modalità e condizione» afferente alla determinazione di agevolazioni e benefici fiscali (sentenza n. 108 del 1983). Nell’esercizio di tale potere egli «non è obbligato a mantenere il regime derogatorio, qualora […] siano diversamente valutate le condizioni per le quali il detto regime era stato disposto, purché ciò avvenga nei limiti della non arbitrarietà e della ragionevolezza e nel rispetto dei principi costituzionali in materia» (ordinanza n. 174 del 2001), così come accaduto nella fattispecie in esame.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4, commi 5-quater e 5-sexies, lettera a), del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento), convertito, con modificazioni, nella legge 26 aprile 2012, n. 44, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 9, secondo comma, e 53 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Novara con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 febbraio 2018.

F.to:

Giorgio LATTANZI, Presidente

Aldo CAROSI, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 5 aprile 2018.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto MILANA

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