SENTENZA N. 74
ANNO 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Giorgio LATTANZI; Giudici : Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 140, della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019), promosso dalla Regione Veneto, con ricorso notificato il 16 febbraio 2017, depositato in cancelleria il 23 febbraio 2017 e iscritto al n. 19 del registro ricorsi 2017.
Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 7 marzo 2018 il Giudice relatore Daria de Pretis;
uditi gli avvocati Luca Antonini e Andrea Manzi per la Regione Veneto e l’avvocato dello Stato Vincenzo Nunziata per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato il 16 febbraio 2017, depositato il 23 febbraio 2017 e iscritto al n. 19 del registro ricorsi del 2017, la Regione Veneto ha impugnato diverse disposizioni della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019), fra le quali l’art. 1, comma 140.
Tale disposizione stabilisce quanto segue: «Nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze è istituito un apposito fondo da ripartire, con una dotazione di 1.900 milioni di euro per l’anno 2017, di 3.150 milioni di euro per l’anno 2018, di 3.500 milioni di euro per l’anno 2019 e di 3.000 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2020 al 2032, per assicurare il finanziamento degli investimenti e lo sviluppo infrastrutturale del Paese, anche al fine di pervenire alla soluzione delle questioni oggetto di procedure di infrazione da parte dell’Unione europea, nei settori di spesa relativi a: a) trasporti, viabilità, mobilità sostenibile, sicurezza stradale, riqualificazione e accessibilità delle stazioni ferroviarie; b) infrastrutture, anche relative alla rete idrica e alle opere di collettamento, fognatura e depurazione; c) ricerca; d) difesa del suolo, dissesto idrogeologico, risanamento ambientale e bonifiche; e) edilizia pubblica, compresa quella scolastica; f) attività industriali ad alta tecnologia e sostegno alle esportazioni; g) informatizzazione dell’amministrazione giudiziaria; h) prevenzione del rischio sismico; i) investimenti per la riqualificazione urbana e per la sicurezza delle periferie delle città metropolitane e dei comuni capoluogo di provincia; l) eliminazione delle barriere architettoniche. L’utilizzo del fondo di cui al primo periodo è disposto con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con i Ministri interessati, in relazione ai programmi presentati dalle amministrazioni centrali dello Stato. Gli schemi dei decreti sono trasmessi alle Commissioni parlamentari competenti per materia, le quali esprimono il proprio parere entro trenta giorni dalla data dell’assegnazione; decorso tale termine, i decreti possono essere adottati anche in mancanza del predetto parere. Con i medesimi decreti sono individuati gli interventi da finanziare e i relativi importi, indicando, ove necessario, le modalità di utilizzo dei contributi, sulla base di criteri di economicità e di contenimento della spesa […]».
Secondo la Regione, «il Fondo è destinato a finanziare programmi presentati dalle amministrazioni centrali dello Stato, ma che intervengono anche in settori che investono direttamente le competenze concorrenti delle Regioni, senza però prevedere alcun coinvolgimento delle Regioni interessate». In particolare, gli interventi finanziabili interferirebbero, «salvo quello inerente alla informatizzazione dell’amministrazione giudiziaria, su materie sicuramente di competenza concorrente come la “ricerca scientifica e tecnologica”, “grandi reti di trasporto e di navigazione”, “governo del territorio”, “protezione civile”, “edilizia scolastica”». Per la Regione sarebbe dunque «evidente […] che l’intervento normativo statale struttura, abilitando le amministrazioni centrali a presentare i relativi progetti, un’avocazione in sussidiarietà della funzione amministrativa e delle modalità di finanziamento relative a materie rimesse alla competenza concorrente delle Regioni».
La Regione ritiene che la norma impugnata «disattend[a] completamente i presupposti che soli, secondo la consolidata giurisprudenza […] costituzionale, rendono legittima la suddetta chiamata in sussidiarietà» (si cita la sent. n. 92 del 2011): infatti, «dal momento che in relazione ai decreti del Presidente del Consiglio dei ministri con cui sono individuati gli interventi da finanziare, i relativi importi e, se necessario, le modalità di utilizzo dei contributi, non è previsto alcun coinvolgimento delle Regioni», si determinerebbe «la violazione degli articoli 117, III comma, 118 e 119 Cost. nonché del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 Cost.».
2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, si è costituito in giudizio con memoria depositata il 28 marzo 2017. In essa, però, la difesa erariale non argomenta in relazione al terzo motivo del ricorso in questione.
3.– La Regione Veneto ha depositato una memoria integrativa il 12 febbraio 2018.
In primo luogo, la ricorrente dà conto delle novità normative intervenute: il decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50 (Disposizioni urgenti in materia finanziaria, iniziative a favore degli enti territoriali, ulteriori interventi per le zone colpite da eventi sismici e misure per lo sviluppo), che ha introdotto i commi 140-bis e 140-ter dell’art. 1 della legge n. 232 del 2016, e l’art. 1, commi 1072 e 1079, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020). Tali disposizioni dettano norme collegate a quella impugnata ma, secondo la Regione, «non incidono in alcun modo sulla lesione dell’autonomia regionale dedotta nel ricorso».
La ricorrente argomenta poi la riconducibilità della norma impugnata a diverse materie di competenza regionale, prendendo in considerazione i singoli settori di spesa da essa elencati, e ribadisce che l’art. 1, comma 140, della legge n. 232 del 2016 realizza «un’avocazione in sussidiarietà di attribuzioni spettanti alle Regioni». La fattispecie in questione ricalcherebbe quella oggetto della sentenza n. 303 del 2003 e la norma sarebbe illegittima in quanto non prevede «idonee procedure di concertazione», sussistendo l’esigenza «di compensare la sottrazione “a monte” di ambiti di competenza regionale da parte dello Stato con la previsione “a valle” di adeguate forme di raccordo con le Regioni nell’attuazione delle scelte operate dal legislatore statale».
La mancata previsione di un’intesa con le regioni violerebbe, oltre agli artt. 117, terzo comma, e 118 della Costituzione e al principio di leale collaborazione (che la ricorrente ricava dagli artt. 5 e 120 Cost.), l’art. 119 Cost., «dal momento che le disposizioni impugnate strutturano, nella misura in cui attengono a ambiti materiali rimessi alla competenza delle Regioni, forme di finanziamento non riconducibili ad alcuna delle modalità costituzionalmente consentite dal suddetto art. 119 Cost.» (al riguardo la Regione richiama le sentenze n. 211 del 2016 e n. 49 del 2004).
La ricorrente conclude osservando che la mancata previsione di un’intesa con le regioni potrebbe ingenerare «la prassi di assegnazioni di risorse, i) non solo sganciate dalla puntuale rilevazione delle esigenze dei territori in cui le infrastrutture vengono realizzate […] ii) ma anche in difetto della necessaria trasparenza che deve accompagnare le scelte statali di investimento in tali ambiti: una determinata realtà territoriale può infatti risultare favorita e un’altra penalizzata in forza di una discrezionalità politica destinata a rimanere oscura per l’insieme delle Regioni».
4.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria difensiva il 13 febbraio 2018. In essa evidenzia che uno dei settori di spesa interessati dalla norma impugnata è la ricerca. L’Avvocatura richiama la sentenza n. 423 del 2004, che ha dichiarato infondata la questione di costituzionalità dell’art. 4, comma 159, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2004)», la quale prevede «l’erogazione di contributi in conto capitale “per il sostegno e l’ulteriore potenziamento dell’attività di ricerca scientifica e tecnologica”, rinviando la determinazione delle misure dei contributi, della tipologia degli interventi ammessi e dei destinatari ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri». In tale sentenza la Corte costituzionale ha osservato che «[l]a ricerca scientifica deve essere considerata non solo una “materia”, ma anche un “valore” costituzionalmente protetto (artt. 9 e 33 della Costituzione), in quanto tale in grado di rilevare a prescindere da ambiti di competenze rigorosamente delimitati», e che «un intervento “autonomo” statale è ammissibile in relazione alla disciplina delle “istituzioni di alta cultura, università ed accademie”»; l’art. 33, sesto comma, Cost. «ha, infatti, previsto una “riserva di legge” statale […] che ricomprende in sé anche quei profili relativi all’attività di ricerca scientifica che si svolge, in particolare, presso le strutture universitarie».
La Corte ha aggiunto che «[a]l di fuori di questo ambito lo Stato conserva, inoltre, una propria competenza in relazione ad attività di ricerca scientifica strumentale e intimamente connessa a funzioni statali, allo scopo di assicurarne un migliore espletamento, sia organizzando direttamente le attività di ricerca sia promuovendo studi finalizzati (cfr. sentenza n. 569 del 2000)».
Secondo l’Avvocatura, dunque, l’art. 1, comma 140, della legge n. 232 del 2016, nella parte in cui attribuisce «a livello centrale poteri amministrativi relativi alla gestione del Fondo in questione», non violerebbe le competenze regionali, in quanto esso dovrebbe essere interpretato come finalizzato «a finanziare esclusivamente quei progetti di ricerca in relazione ai quali è configurabile, nei limiti indicati, un autonomo titolo di legittimazione del legislatore statale».
Per la difesa erariale, inoltre, le doglianze regionali potrebbero considerarsi superate alla luce dell’intesa sancita in sede di Conferenza Stato-regioni il 23 febbraio 2017, in base alla quale una quota del fondo previsto dalla norma impugnata sarebbe destinata alle regioni ordinarie «per la realizzazione di investimenti nuovi e aggiuntivi negli ambiti di rispettiva competenza»: ciò garantirebbe «un completo coinvolgimento delle Regioni nella realizzazione degli investimenti e nello sviluppo infrastrutturale del Paese».
Considerato in diritto
1.– La Regione Veneto censura, tra gli altri, l’art. 1, comma 140, della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019), con riferimento agli artt. 117, terzo comma, 118 e 119 della Costituzione, nonché al principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost.
La disposizione impugnata stabilisce quanto segue: «Nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze è istituito un apposito fondo da ripartire, con una dotazione di 1.900 milioni di euro per l’anno 2017, di 3.150 milioni di euro per l’anno 2018, di 3.500 milioni di euro per l’anno 2019 e di 3.000 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2020 al 2032, per assicurare il finanziamento degli investimenti e lo sviluppo infrastrutturale del Paese, anche al fine di pervenire alla soluzione delle questioni oggetto di procedure di infrazione da parte dell’Unione europea, nei settori di spesa relativi a: a) trasporti, viabilità, mobilità sostenibile, sicurezza stradale, riqualificazione e accessibilità delle stazioni ferroviarie; b) infrastrutture, anche relative alla rete idrica e alle opere di collettamento, fognatura e depurazione; c) ricerca; d) difesa del suolo, dissesto idrogeologico, risanamento ambientale e bonifiche; e) edilizia pubblica, compresa quella scolastica; f) attività industriali ad alta tecnologia e sostegno alle esportazioni; g) informatizzazione dell’amministrazione giudiziaria; h) prevenzione del rischio sismico; i) investimenti per la riqualificazione urbana e per la sicurezza delle periferie delle città metropolitane e dei comuni capoluogo di provincia; l) eliminazione delle barriere architettoniche. L’utilizzo del fondo di cui al primo periodo è disposto con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con i Ministri interessati, in relazione ai programmi presentati dalle amministrazioni centrali dello Stato. Gli schemi dei decreti sono trasmessi alle Commissioni parlamentari competenti per materia, le quali esprimono il proprio parere entro trenta giorni dalla data dell’assegnazione; decorso tale termine, i decreti possono essere adottati anche in mancanza del predetto parere. Con i medesimi decreti sono individuati gli interventi da finanziare e i relativi importi, indicando, ove necessario, le modalità di utilizzo dei contributi, sulla base di criteri di economicità e di contenimento della spesa […]».
Secondo la Regione, gli interventi finanziabili interferirebbero, «salvo quello inerente alla informatizzazione dell’amministrazione giudiziaria, su materie sicuramente di competenza concorrente come la “ricerca scientifica e tecnologica”, “grandi reti di trasporto e di navigazione”, “governo del territorio”, “protezione civile”, “edilizia scolastica”». Il comma 140 contemplerebbe dunque «un’avocazione in sussidiarietà della funzione amministrativa e delle modalità di finanziamento relative a materie rimesse alla competenza concorrente delle Regioni», disattendendo tuttavia «i presupposti che soli, secondo la consolidata giurisprudenza […] costituzionale, rendono legittima la suddetta chiamata in sussidiarietà», dal momento che «in relazione ai decreti del Presidente del Consiglio dei ministri con cui sono individuati gli interventi da finanziare, i relativi importi e, se necessario, le modalità di utilizzo dei contributi, non è previsto alcun coinvolgimento delle Regioni».
2.– Va riservata a separate pronunce la decisione delle questioni vertenti sulle altre disposizioni contenute nella legge n. 232 del 2016, impugnate dalla Regione Veneto con il medesimo ricorso.
3.– La questione è fondata.
La disposizione impugnata prevede un fondo plurisettoriale destinato a essere ripartito tra i ministeri in base ai programmi da essi presentati. Il fondo istituito è unico, ma è destinato in realtà a finanziare distintamente plurimi settori di spesa, tanto è vero che lo stesso comma 140 ipotizza l’adozione di più decreti ai fini della sua attuazione. Si tratta dunque di un caso diverso da quello in cui una norma prevede uno specifico finanziamento che coinvolge contemporaneamente interessi diversi, facenti capo a materie statali e regionali (sentenze n. 168 e n. 50 del 2008). Si deve quindi ritenere corretta l’impostazione del ricorso regionale, che isola all’interno della disposizione i settori di spesa corrispondenti a materie di competenza regionale e afferma l’avvenuta “chiamata in sussidiarietà” della funzione di presentazione dei programmi e di gestione del fondo, contestando il mancato coinvolgimento regionale con riferimento ai decreti del Presidente del Consiglio dei ministri con cui sono individuati gli interventi da finanziare, i relativi importi e, se necessario, le modalità di utilizzo dei contributi.
È corretta anche l’affermazione della competenza regionale in vari settori di spesa menzionati nel comma 140. In effetti, quanto meno i settori indicati nelle lettere a), c), e), f), h), i) rientrano nella competenza regionale concorrente (in materia di governo del territorio, protezione civile, grandi reti di trasporto, ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi) o residuale (trasporti pubblici locali).
Questa Corte giustifica la previsione con legge statale di fondi settoriali in materie regionali in applicazione del meccanismo della “chiamata in sussidiarietà”, richiedendo tuttavia che la stessa legge preveda contestualmente il coinvolgimento degli enti territoriali nell’adozione dell’atto che regola l’utilizzo del fondo (sentenze n. 71 del 2018, n. 79 del 2011, n. 168 del 2008, n. 222 del 2005 e n. 255 del 2004). Secondo la costante giurisprudenza costituzionale, infatti, lo Stato può attribuire al livello centrale una funzione amministrativa e allo stesso tempo regolarne l’esercizio con propria legge, anche in materie regionali, a condizione che sia assicurato il coinvolgimento del livello di governo territoriale interessato (singola regione, Conferenza Stato-regioni, Conferenza Stato-città o Conferenza unificata) tramite un’intesa (ex multis, sentenze n. 170 e n. 114 del 2017, n. 142, n. 110 e n. 7 del 2016, n. 262 del 2015, n. 278 del 2010, n. 6 del 2004 e n. 303 del 2003). È così garantito il rispetto del «principio di leale cooperazione quale sistema di composizione dialettica tra esigenze di interventi unitari ed esigenze di garanzia per l’autonomia e la responsabilità politica delle Regioni in una prospettiva di funzionalità istituzionale» (sentenza n. 61 del 2018).
Alla luce di questa giurisprudenza, l’impugnato comma 140, che disciplina finanziamenti gestiti unilateralmente dallo Stato, è illegittimo nella parte in cui non richiede un’intesa con gli enti territoriali in relazione ai decreti del Presidente del Consiglio dei ministri riguardanti settori di spesa rientranti nelle materie di competenza regionale, per violazione degli artt. 117, terzo e quarto comma, 118 e 119 Cost. e del principio di leale collaborazione.
Il carattere plurisettoriale del fondo e l’eterogeneità degli investimenti da finanziare non consentono a questa Corte di precisare qui se l’intesa debba essere conclusa con la singola regione interessata o con una delle conferenze menzionate. L’intervento additivo così disposto deve quindi essere limitato alla previsione dell’intesa, mentre l’individuazione in concreto del livello di governo territoriale interessato – e conseguentemente della sede dell’intesa – dovrà essere compiuta in relazione al contenuto del decreto o dei decreti attuativi della norma impugnata.
Lo stesso carattere plurisettoriale del fondo e il contenuto sostanzialmente indeterminato del comma 140 rendono altresì difficile valutare l’impatto che la pronuncia di accoglimento può avere sui diritti costituzionali delle persone, come è confermato dal decreto attuativo della disposizione in questione (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21 luglio 2017, recante «Riparto del fondo per il finanziamento degli investimenti e lo sviluppo infrastrutturale del Paese, di cui all’articolo 1, comma 140, della legge 11 dicembre 2016, n. 232»), che si limita a ripartire le risorse per settori e per ministeri, senza individuare gli specifici interventi da finanziare. Nel censurare previsioni istitutive di fondi statali settoriali, questa Corte ha fatto talora salvi i procedimenti di spesa in corso, per evitare il pregiudizio di diritti costituzionali (sentenze n. 50 del 2008, n. 423 del 2004 e n. 370 del 2003), oppure ha precisato che «la caducazione di tale norma […] non comporta diretto e immediato pregiudizio per i diritti delle persone» (sentenza n. 16 del 2004; nello stesso senso, sentenza n. 49 del 2004). Poiché anche il comma 140 interviene in diversi settori e su diversi tipi di investimenti che possono variamente incidere su diritti costituzionali delle persone (si pensi per esempio agli interventi antisismici nelle scuole o all’eliminazione delle barriere architettoniche), si precisa che la dichiarazione di illegittimità costituzionale, nei termini indicati, della previsione in esso contenuta non produce effetti sui procedimenti in corso, qualora questi riguardino detti diritti.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riservata a separate pronunce la decisione delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale promosse con il ricorso indicato in epigrafe,
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 140, della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019), nella parte in cui non prevede un’intesa con gli enti territoriali in relazione ai decreti del Presidente del Consiglio dei ministri riguardanti settori di spesa rientranti nelle materie di competenza regionale.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 marzo 2018.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Daria de PRETIS, Redattore
Filomena PERRONE, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 13 aprile 2018.
Il Cancelliere
F.to: Filomena PERRONE