Corte Costituzionale, Sentenza n.75 del 13/04/2018

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Sopravvenienze nel giudizio in via principale - Ius superveniens modificativo della norma impugnata - Trasferimento della questione - Esclusione ove le modifiche abbiano carattere non marginale e determinino, sul piano temporale, una diversa portata precettiva della norma impugnata - Operatività in tale ipotesi dell'onere di impugnazione dell'atto legislativo

Una disposizione sopravvenuta che, apportando modifiche di carattere non marginale, determini, sul piano temporale, una diversa portata precettiva della norma impugnata, non può essere attratta nell'oggetto del giudizio di legittimità costituzionale in via principale pendente, poiché in tal caso il trasferimento della questione sullo ius superveniens supplirebbe impropriamente all'onere di impugnazione dell'atto legislativo. (Nella specie, viene esclusa la possibilità di estendere al sopravvenuto art. 1, comma 37, della legge n. 205 del 2017 il giudizio in via principale promosso dalla Regione Veneto avverso l'art. 1, comma 42, lett. a, della legge n. 232 del 2016, pur essendo entrambe le disposizioni modificative dell'art. 1, comma 26, della legge n. 208 del 2015). (Precedenti citati: sentenze n. 44 del 2018, n. 141 del 2016, n. 40 del 2016, n. 17 del 2015 e n. 138 del 2014).

Ricorso in via principale - Motivazione delle censure - Precisa individuazione e argomentata ridondanza dei parametri nonché enunciazione chiara del motivo dell'impugnazione - Ammissibilità della questione - Rigetto di eccezione preliminare

Non è accolta l'eccezione di inammissibilità - per difetto di svolgimento argomentativo in ordine ai parametri evocati - della questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 42, lett. a), della legge n. 232 del 2016, promossa dalla Regione Veneto in riferimento agli artt. 3, 97 e 119 Cost. Le censure sono articolate con precisa individuazione dei parametri che si assumono violati e con argomentata ridondanza, in particolare, dei precetti di cui agli artt. 3 e 97 Cost. sulla competenza regionale in materia finanziaria; altrettanto chiaramente è enunciato il motivo dell'impugnazione, ravvisato nell'avere il legislatore statale prorogato, per il 2017, il blocco (che tende, quindi, ad assumere carattere permanente) degli aumenti dei tributi e delle addizionali attribuiti alle Regioni e agli enti locali, allo scopo meramente politico di contenere il livello complessivo della pressione tributaria, con ciò violando l'autonomia della politica impositiva regionale.

Imposte e tasse - Tributi regionali derivati - Blocco temporaneo del tributo o del solo aumento delle aliquote disposto dallo Stato - Possibilità - Limite - Non alterazione del rapporto tra complessivi bisogni regionali e mezzi finanziari per farvi fronte

Per pacifica giurisprudenza, lo Stato può disporre della disciplina dei tributi regionali "derivati" - tributi cioè di fonte statale - anche se il correlativo gettito sia di spettanza regionale, e a maggior ragione può farlo nella forma del blocco temporaneo del tributo o del solo aumento delle rispettive aliquote. Ciò, però, con il limite della non alterazione del rapporto tra complessivi bisogni regionali e mezzi finanziari per farvi fronte. (Precedenti citati: sentenze n. 26 del 2014, n. 97 del 2013, n. 241 del 2012, n. 298 del 2009, n. 284 del 2009, n. 381 del 2004 e n. 311 del 2003).

Imposte e tasse - Aumenti, rispetto al 2015, di tributi regionali "derivati" e addizionali ad opera di leggi regionali e delibere degli enti locali - Sospensione della loro efficacia - Estensione all'anno 2017 - Ricorsi della Regione Toscana e della Regione Veneto - Denunciata violazione dell'autonomia finanziaria e delle attribuzioni regionali, nonché dei principi di ragionevolezza e di buon andamento della PA - Carente motivazione in ordine all'alterazione del rapporto tra complessivi bisogni regionali e mezzi finanziari per farvi fronte - Inammissibilità della questione

È dichiarata inammissibile - per carente motivazione in ordine all'alterazione dell'equilibrio tra complessivi bisogni regionali e mezzi finanziari per farvi fronte - la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 42, lett. a), della legge n. 232 del 2016, impugnato dalle Regioni Toscana, in riferimento agli artt. 117, terzo e quarto comma, e 119 Cost., e dalla Regione Veneto, in riferimento agli artt. 3, 97 e 119 Cost., in quanto, nel modificare il comma 26 della legge n. 208 del 2015, estende all'anno 2017 la sospensione della efficacia delle leggi regionali e delle deliberazioni degli enti locali che prevedono aumenti dei tributi e delle addizionali attribuiti alle Regioni e agli enti locali con legge dello Stato rispetto ai livelli di aliquote o tariffe applicabili per l'anno 2015, mantenendo ferme le deroghe e le esclusioni ivi previste. La ricorrente lamenta l'alterazione dell'equilibrio tra bisogni e mezzi per darvi risposta in modo solo assertivo, senza alcuna concreta indicazione in termini di raffronto tra la situazione tributaria regionale, in rapporto agli impegni di spesa, e il pregiudizio che a detti impegni deriverebbe dal sospeso aumento di aliquote o tariffe, per di più, genericamente riferito all'intera platea dei tributi e delle addizionali attribuiti alla Regione, e non ad uno o più specifici tributi, il cui mancato gettito possa avere effettiva negativa incidenza sul finanziamento di servizi erogati ai cittadini e in particolare sul servizio sanitario; con riguardo al quale, peraltro, l'asserito vulnus al fabbisogno finanziario è temperato dalle "deroghe" al blocco, previste dalla stessa norma impugnata (ma delle quali la ricorrente assume di non aver bisogno, fornendo così addirittura prova "contraria" alla lamentata insufficienza di disponibilità finanziarie). (Precedente citato: sentenza n. 135 del 2017).

Thema decidendum - Allegazioni dirette a colmare lacune probatorie implicanti l'inammissibilità del ricorso in via principale - Formulazione nella memoria d'udienza - Tardività

Nel giudizio in via principale avente ad oggetto l'art. 1, comma 42, lett. a), della legge n. 232 del 2016, le lacune probatorie del ricorso della Regione Veneto non sono superate dalle, comunque tardive, allegazioni contenute nella memoria per l'udienza.

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SENTENZA N. 75

ANNO 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Giorgio LATTANZI; Giudici : Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 42, lettera a), della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019), promossi dalla Regione Toscana e dalla Regione Veneto, con ricorsi notificati il 17-22 febbraio e il 16 febbraio 2017, depositati in cancelleria il 21 e il 23 febbraio 2017 e iscritti rispettivamente ai numeri 17 e 19 del registro ricorsi 2017.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 6 marzo 2018 il Giudice relatore Mario Rosario Morelli;

uditi gli avvocati Marcello Cecchetti per la Regione Toscana, Luca Antonini e Andrea Manzi per la Regione Veneto, e l’avvocato dello Stato Gianni De Bellis per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.- La Regione Toscana e la Regione Veneto, con i due rispettivi ricorsi in epigrafe, hanno entrambe proposto questione di legittimità costituzionale del comma 42, lettera a), dell’art. 1 (la Regione Veneto anche di altre numerose disposizioni) della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019), che modifica il comma 26 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)».

La norma denunciata, anche per l’anno 2017, oltre che per l’anno 2016 (come da originaria formulazione del comma 26 anzidetto) e al fine di «contenere il livello complessivo della pressione tributaria, in coerenza con gli equilibri generali di finanza pubblica», stabilisce la sospensione della «efficacia delle leggi regionali e delle deliberazioni degli enti locali nella parte in cui prevedono aumenti dei tributi e delle addizionali attribuiti alle regioni e agli enti locali con legge dello Stato rispetto ai livelli di aliquote o tariffe applicabili per l’anno 2015».

1.1.– Secondo la Regione Toscana, a fronte di un quadro normativo che registra, oltre alla riduzione del Fondo sanitario, anche «un taglio alle risorse finanziarie spettanti alle regioni a statuto ordinario», la sospensione degli aumenti, incidendo, a suo avviso, sia sui «tributi propri c.d. autonomi (o in senso stretto)», sia su quelli «propri derivati» e sulle addizionali, lederebbe l’autonomia finanziaria riconosciuta dall’art. 119 della Costituzione, impedendo «il reperimento delle risorse necessarie per il corretto svolgimento delle funzioni costituzionalmente garantite dall’art. 117, terzo e quarto comma Cost.».

1.2.– Ad avviso della Regione Veneto, il medesimo comma 42, lettera a), dell’art. 1 della legge impugnata contrasterebbe con gli artt. 3, 97 e 119 Cost., in quanto, pur riducendo il finanziamento del Fondo sanitario e rimodulando al ribasso «le basi imponibili dei tributi propri derivati regionali» – in un contesto in cui viene imposto «un pareggio contabile di bilancio», con sanzioni conseguenti al mancato raggiungimento – impedirebbe alla Regione un «autonomo sforzo fiscale» e le consentirebbe «solo la possibilità di ridurre la spesa, in ciò incidendo sui servizi erogati ai cittadini», palesandosi così come misura «irragionevole e mancante di proporzionalità», altresì lesiva del principio di buon andamento della pubblica amministrazione e ridondante anche sull’autonomia finanziaria regionale di cui all’art. 119 Cost., che verrebbe «anche direttamente violata».

2.– In entrambi i giudizi si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato.

Premessa l’inammissibilità, in via preliminare, del ricorso proposto dalla Regione Veneto (per generico e non motivato richiamo dei parametri asseritamente violati), la difesa erariale ha comunque contestato, nel merito, la fondatezza delle (per lo più identiche) censure formulate dalle due ricorrenti.

Ha, infatti, sottolineato come la norma denunciata, adottata nell’ottica del contenimento della pressione fiscale e della salvaguardia del potere di acquisto delle famiglie, limitandosi a sospendere «incrementi di aliquote», così da lasciare inalterati quelli in precedenza adottati, non determini, quindi, alcuna contrazione di entrate finanziarie

Ha aggiunto che, comunque, il legislatore statale, per esigenze di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche da obblighi comunitari, ben può imporre agli enti autonomi vincoli alle politiche fiscali e di bilancio e – come riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale – anche la sospensione della possibilità delle Regioni di deliberare aumenti dei tributi; che, per altro, gli inconvenienti lamentati dalle ricorrenti non deriverebbero, come conseguenza diretta e immediata dalla norma censurata, essendo piuttosto riconducibili a plurime e svariate condizioni fattuali in cui può trovarsi la complessiva situazione finanziaria regionale; che, per di più, le ricorrenti non avrebbero fornito adeguata dimostrazione dell’asserita grave alterazione del rapporto tra bisogni complessivi regionali e insieme dei mezzi finanziari per farvi fronte, a loro avviso derivante dalla disposizione di cui all’impugnato art. 1, comma 42, lettera a), della legge n. 232 del 2016.

3.– In prossimità dell’udienza pubblica, la Regione Veneto ha depositato memoria integrativa, nella quale – oltre a replicare all’eccezione di inammissibilità del proprio ricorso, formulata dall’Avvocatura generale dello Stato – ha ribadito, e ulteriormente argomentato, le censure di violazione degli artt. 3, 97 e 119 Cost., rivolte alla disposizione impugnata.

Ha contestato, inoltre, che siano ad essa riferibili le «deroghe» previste dallo stesso art. 1, comma 26, della legge n. 208 del 2015, come modificato dall’art. 1, comma 42, lettera a), della legge n. 232 del 2016.

4.– Anche la Regione Toscana ha depositato memoria illustrativa in prossimità dell’udienza pubblica, ma fuori termine (in data 16 febbraio 2018).

5.– La memoria depositata dal Presidente del Consiglio dei ministri relativamente al ricorso n. 19 del 2017 della Regione Veneto nulla ha aggiunto in ordine al giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 42, lettera a), della legge n. 232 del 2016.

Considerato in diritto

1.– L’art. 1, comma 26, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», «[a]l fine di contenere il livello complessivo della pressione tributaria, in coerenza con gli equilibri generali di finanza pubblica», disponeva, «per l’anno 2016», il blocco degli aumenti dei tributi e delle addizionali «attribuiti alle regioni e agli enti locali con legge dello Stato» [id est: dei soli tributi “derivati” e non anche di quelli “propri regionali” in senso stretto] «rispetto ai livelli di aliquote o tariffe applicabili per l’anno 2015». Faceva, poi, comunque «salve, per il settore sanitario, le disposizioni di cui all’articolo 1, comma 174, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, e all’articolo 2, commi 79, 80, 83 e 86, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, nonché la possibilità di effettuare manovre fiscali incrementative ai fini dell’accesso alle anticipazioni di liquidità di cui agli articoli 2 e 3 del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 giugno 2013, n. 64, e successivi rifinanziamenti». E stabiliva, infine, che la sospensione degli aumenti «non si applica alla tassa sui rifiuti (TARI), di cui all’articolo 1, comma 639, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, né per gli enti locali che deliberano il predissesto, ai sensi dell’articolo 243-bis del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, o il dissesto, ai sensi degli articoli 246 e seguenti del medesimo testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000».

1.1.– Detta norma è stata, a suo tempo, impugnata dalla sola Regione Veneto, con ricorso poi però dichiarato inammissibile, per carenza di motivazione, con sentenza di questa Corte n. 135 del 2017.

2.– L’art. 1, comma 42, lettera a), della successiva legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019) – che modifica il comma 26 della legge n. 208 del 2015, estendendo all’anno 2017 il blocco dei tributi regionali “derivati” e delle addizionali, mantenendo ferme le deroghe e le esclusioni ivi previste – viene ora impugnato dalla Regione Toscana, per sospetto contrasto con gli articoli 117, terzo e quarto comma, e 119 della Costituzione, e dalla Regione Veneto, in riferimento agli artt. 3, 97 e 119 Cost.

2.1.– I due ricorsi, stante l’identità della disposizione censurata, possono riunirsi per essere unitariamente decisi, mentre resta riservata a separate pronunce la decisione delle questioni relative alle altre disposizioni della legge n. 232 del 2016, impugnate dalla Regione Veneto con il ricorso in epigrafe.

3.– Va preliminarmente escluso che, nell’oggetto del presente giudizio, possa essere attratto l’art. 1, comma 37, della legge (intervenuta in sua pendenza) 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), con il quale l’art. 1, comma 26, della legge n. 208 del 2015 – ossia la disposizione sulla quale ha inciso l’intervento normativo censurato con le due odierne impugnative – è stato ulteriormente modificato, con estensione al 2018 dell’orizzonte temporale della misura finanziaria in esame.

Tale sopravvenuta ulteriore modifica non presenta, infatti, carattere marginale, e determina, invece, sul piano temporale, una diversa portata precettiva della disposizione modificata, che va quindi autonomamente impugnata (sentenza n. 141 del 2016), poiché il trasferimento della questione sullo ius superveniens «supplirebbe impropriamente all’onere di impugnazione» (ex plurimis, sentenze n. 44 del 2018; n. 40 del 2016; n. 17 del 2015 e n. 138 del 2014).

4.– È ancora preliminare l’esame della eccezione formulata dall’Avvocatura generale dello Stato, per cui le questioni sollevate dalla Regione Veneto sarebbero inammissibili, perché la ricorrente «si limita a richiamare i parametri costituzionali che si presumono violati, senza esporre in che modo essi risultino incisi».

4.1.– Nei termini della sua prospettazione, tale eccezione non è fondata.

A differenza della precedente impugnativa, relativa al blocco disposto con la legge del 2015, le censure formulate dalla Regione Veneto con l’odierno ricorso sono articolate con precisa individuazione dei parametri che assume violati e con argomentata ridondanza, sulla sua competenza in materia finanziaria, dei precetti di cui in particolare agli artt. 3 e 97 Cost.; e altrettanto chiaramente è enunciato il motivo dell’impugnazione, ravvisato nell’avere il legislatore statale prorogato, per il 2017, «un blocco (che tende, quindi, ad assumere carattere permanente) già disposto senza un particolare motivo, se non quello, meramente politico (con ciò violando l’autonomia della politica impositiva regionale), di “contenere il livello complessivo della pressione tributaria” […]».

5.– L’impugnativa del Veneto è, sotto diverso profilo, comunque inammissibile.

5.1.– Nella specie vengono, come detto, in rilievo tributi regionali “derivati” – tributi cioè di fonte statale – della cui disciplina, per pacifica giurisprudenza, lo Stato può disporre, anche se il correlativo gettito sia di spettanza regionale (sentenza n. 311 del 2003). E ne può disporre a maggior ragione nella forma del blocco temporaneo: blocco, in questo caso, non del tributo, ma del solo aumento delle rispettive aliquote (sentenze n. 298 e n. 284 del 2009, n. 381 del 2004).

Ciò, però, come pure precisato, con il limite della non alterazione del rapporto tra complessivi bisogni regionali e mezzi finanziari per farvi fronte (ex plurimis, sentenze n. 26 del 2014, n. 97 del 2013 e n. 241 del 2012).

5.2.– Una tale alterazione, dell’equilibrio tra bisogni e mezzi per darvi risposta, è bensì dedotta e lamentata dalla ricorrente, ma in modo solo assertivo, senza alcuna concreta indicazione in termini di raffronto tra la situazione tributaria regionale, in rapporto agli impegni di spesa, e il pregiudizio che a detti impegni deriverebbe dal sospeso aumento di aliquote o tariffe, per di più, genericamente riferito all’intera platea dei tributi e delle addizionali attribuiti alla Regione, e non ad uno o più specifici tributi, il cui mancato gettito possa avere effettiva negativa incidenza sul finanziamento di servizi erogati ai cittadini e in particolare, come si deduce, sul servizio sanitario.

Proprio con riguardo a tale settore, l’asserito vulnus al fabbisogno finanziario, che si ascrive alla disposizione impugnata, è temperato dalle “deroghe” al blocco, previste dalla norma stessa, tra le quali quella di cui al richiamato art. 1, comma 174, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005)», che, a fronte di un eventuale disavanzo regionale, parrebbe consentire in prima battuta alla stessa Regione (e, dunque, in prevenzione rispetto al commissariamento) di adottare le misure necessarie per farvi fronte e, tra queste, gli aumenti tributari; e la deroga di cui all’art. 2 del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35 (Disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonché in materia di versamento di tributi degli enti locali), convertito, con modificazioni, nella legge 6 giugno 2013, n. 64 – anch’essa “fatta salva” dalla norma censurata «per il settore sanitario» – quanto alla manovra incrementativa, che questa consente per far fronte a debiti delle Regioni.

Di tale deroghe la Regione Veneto assume di non avere bisogno perché riferibili a situazioni – di disavanzo di gestione e di mancata disponibilità economica per il pagamento di debiti scaduti – in cui essa ricorrente non è coinvolta.

Ma ciò paradossalmente costituisce prova “contraria” di quella insufficienza delle disponibilità finanziarie della Regione, cui darebbe luogo l’adottata manovra di finanza pubblica, che la ricorrente avrebbe dovuto invece dimostrare per dare fondamento alle censure prospettate.

Tali lacune probatorie non risultano superate dalle, comunque tardive, allegazioni nella memoria della ricorrente.

Da ciò appunto l’inammissibilità anche dell’attuale ricorso della Regione Veneto.

6.– Il ricorso della Regione Toscana presenta identiche carenze argomentative; e in esso è anzi addirittura omesso qualsiasi riferimento alle deroghe al “blocco” ed ai tributi che ne sono esclusi, per previsione della stessa norma impugnata, alla quale la ricorrente si limita, genericamente, ad addebitare di «impedi[re»] un autonomo sforzo fiscale, consentendo alla Regione solo la possibilità di ridurre la spesa, in ciò incidendo sui servizi erogati ai cittadini.

Anche tale ricorso è inammissibile.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riservata a separate pronunce la decisione delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale promosse con il ricorso della Regione Veneto indicato in epigrafe;

riuniti i giudizi,

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 42, lettera a), della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019), promossa dalla Regione Toscana, in riferimento agli artt. 117, terzo e quarto comma, e 119 della Costituzione, e dalla Regione Veneto, in riferimento agli artt. 3, 97 e 119 Cost., con i rispettivi ricorsi indicati in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 marzo 2018.

F.to:

Giorgio LATTANZI, Presidente

Mario Rosario MORELLI, Redattore

Filomena PERRONE, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 13 aprile 2018.

Il Cancelliere

F.to: Filomena PERRONE

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