SENTENZA N. 81
ANNO 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Giorgio LATTANZI; Giudici : Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale della legge della Regione Veneto 13 dicembre 2016, n. 28 (Applicazione della convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali), intero testo, e dell’art. 4 della medesima legge, promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, spedito per la notificazione il 13 febbraio 2017, depositato in cancelleria il 20 febbraio 2017, iscritto al n. 16 del registro ricorsi 2017 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell’anno 2017.
Visti l’atto di costituzione della Regione Veneto nonché l’atto di intervento dell’associazione “Aggregazione Veneta – Aggregazione delle associazioni maggiormente rappresentative degli enti ed associazioni di tutela della identità, cultura e lingua venete” e di L. P.;
udito nell’udienza pubblica del 20 marzo 2018 il Giudice relatore Marta Cartabia;
uditi l’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri, gli avvocati Mario Bertolissi e Andrea Manzi per la Regione Veneto, e Marco Della Luna per l’associazione “Aggregazione Veneta – Aggregazione delle associazioni maggiormente rappresentative degli enti ed associazioni di tutela della identità, cultura e lingua venete” e L. P.
Ritenuto in fatto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato la legge della Regione Veneto 13 dicembre 2016, n. 28 (Applicazione della convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali), per intero e con riguardo all’art. 4.
Pur riconoscendo che le censure relative al vizio di competenza del legislatore regionale rivestono carattere preliminare e assorbente, il ricorrente illustra innanzitutto le violazioni di ordine sostanziale riferibili all’intero testo della legge regionale impugnata.
1.1.– Il primo motivo di impugnazione concerne la violazione degli artt. 5, 6 e 114 della Costituzione.
La legge regionale impugnata qualifica il «popolo veneto» – e cioè l’intera popolazione vivente nel territorio delle province e della città metropolitana elencate nell’art. 1, commi 2 e 3, della legge regionale statutaria 12 aprile 2012, n. 1 (Statuto del Veneto) – come “minoranza nazionale” ai sensi della Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali, fatta a Strasburgo il 1° febbraio 1995, ratificata e resa esecutiva con la legge 28 agosto 1997, n. 302. Ciò contrasterebbe con l’art. 114, primo comma, della Costituzione perché tale norma costituzionale, nel prevedere che Comuni, Province, Regioni, Città metropolitane e Stato concorrono nelle loro componenti personale e territoriale a formare la Repubblica, andrebbe intesa nel senso che la popolazione riferibile a uno di tali enti esponenziali non possa essere anche identificata per ciò solo come “minoranza nazionale”, staccata e contrapposta rispetto alla maggioranza della popolazione della Repubblica e per questo meritevole di protezione ai sensi della convenzione-quadro. Una tale qualificazione della popolazione del Veneto lederebbe altresì il principio di unità e indivisibilità della Repubblica, di cui all’art. 5 Cost., principio fondamentale dell’ordinamento costituzionale, sottratto persino al potere di revisione costituzionale, come questa Corte avrebbe affermato nella sentenza n. 118 del 2015, resa sempre nei confronti della Regione Veneto. Il ricorrente osserva che l’art. 5 Cost. rappresenta la Repubblica come una comunità nazionale dotata di una propria identità e generatrice di un ordinamento unitario e non come «una somma materiale di minoranze autopostesi come tali, l’una estranea all’altra e coesistenti tra loro su una base giuridicamente non definita ma comunque precaria». Che le minoranze siano realtà che la Repubblica considera come ulteriori rispetto alle proprie componenti costitutive di tipo personale, e proprio per questo meritevoli di una tutela specifica, sarebbe comprovato dall’art. 6 Cost., là dove afferma che «la Repubblica» in tutte le sue articolazioni, comprese quindi le Regioni, tutela le minoranze linguistiche, le quali dunque non possono coincidere con le articolazioni della Repubblica stessa, quali sono le Regioni o, più precisamente, le loro componenti personali. Ciò che la Corte costituzionale ha stabilito a proposito delle minoranze linguistiche, negando che all’articolazione politico-amministrativa degli enti territoriali di cui si compone la Repubblica possa corrispondere automaticamente una ripartizione del popolo in improbabili sue frazioni (si richiama la sentenza n. 170 del 2010), dovrebbe affermarsi a maggior ragione per le minoranze nazionali. D’altra parte, secondo il Presidente del Consiglio dei ministri sarebbe lo stesso contenuto della Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali a confermare che la popolazione di una Regione non possa formare di per sé una “minoranza nazionale”: se è vero che la convenzione-quadro presuppone una situazione di pericolo di lesione di diritti fondamentali degli appartenenti alla “minoranza nazionale”, allora sarebbe contraddittorio dire che la popolazione di una Regione in quanto tale è esposta al rischio di violazione di diritti costituzionali fondamentali da parte della Repubblica, proprio perché anche la Regione è elemento costitutivo della Repubblica e dunque tenuta anch’essa a garantire quei diritti. Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, le censure rivolte all’art. 1 della legge regionale impugnata, che identifica l’aspetto soggettivo della “minoranza nazionale” con la popolazione del Veneto, andrebbero estese all’art. 2, che determina i contenuti oggettivi della tutela che si vorrebbe apprestare tramite un rinvio alla convenzione-quadro, quali ad esempio, la salvaguardia degli «elementi essenziali» dell’identità, come «la religione, la lingua, le tradizioni ed il patrimonio culturale» di cui all’art. 5 della convenzione-quadro. La “minoranza nazionale” a cui si riferisce la convenzione-quadro, tuttavia, è qualcosa di contrapposto alla maggioranza del popolo organizzato nell’ordinamento generale, di cui la minoranza stessa deve rispettare la leggi e i diritti ivi garantiti (art. 20). Anche l’art. 3 della legge regionale impugnata, che prefigura un ente incaricato del compito di raccogliere le dichiarazioni spontanee di appartenenza alla presunta minoranza veneta, incorrerebbe, conseguenzialmente, nella violazione delle medesime norme costituzionali, in quanto consente ai singoli appartenenti alla popolazione di una Regione di decidere individualmente se la loro appartenenza al popolo italiano sia piena oppure mediata dalla collocazione in una entità che si distingue e si contrappone al popolo italiano. Sarebbe poi affetto dai medesimi vizi di costituzionalità anche l’art. 4 della legge che, trattando gli aspetti finanziari, ha funzione secondaria e servente rispetto agli articoli precedenti.
1.2.– Il secondo motivo di censura, sempre relativo alla legge regionale nella sua interezza, riguarda la violazione degli artt. 2 e 3 Cost. Il ricorrente ricorda che secondo la giurisprudenza costituzionale si può riconoscere una minoranza, titolare di uno status particolare, solo quando lo impongano i principi fondamentali di cui agli artt. 2 e 3 Cost. (si richiama la sentenza n. 159 del 2009): quando, cioè il mancato riconoscimento della minoranza comporti la negazione della identità collettiva di un gruppo connotato da marcate particolarità culturali, in violazione dell’art. 2 Cost., nonché l’indebita parificazione giuridica dei suoi componenti alla condizione della generalità del popolo, in violazione dell’art. 3 Cost. Nel caso in esame non ricorrerebbe nessuna di queste condizioni, data l’assenza di ogni evidenza di tipo storico o sociologico che riveli nella popolazione del territorio veneto connotati identitari tali da giustificarne un trattamento giuridico quale minoranza nazionale. Del tutto inconferente, poi, sarebbe il riferimento, contenuto nei lavori preparatori della legge, al principio dell’autogoverno regionale di cui all’art. 2 dello Statuto del Veneto.
1.3.– Il terzo motivo di censura dell’intera legge regionale riguarda la violazione degli artt. 80 e 117, secondo comma, lettera a), Cost. Il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene che la Regione non abbia la competenza ad adottare una normativa come quella in esame, perché l’attuazione della Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali rientrerebbe nella competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di «politica estera e rapporti internazionali dello Stato» (si richiamano la sentenza n. 159 del 2009 e le sentenze n. 238 del 2004, n. 737 del 1988 e n. 179 del 1987). In primo luogo, il distacco di una porzione della popolazione nazionale dalla generalità e la sua qualificazione come “minoranza nazionale” avrebbe immediato riflesso sulla personalità di diritto internazionale dello Stato. In secondo luogo, il riconoscimento di una “minoranza nazionale” renderebbe operanti gli obblighi internazionali dello Stato discendenti dalla convenzione-quadro, sicché spetterebbe solo allo Stato la capacità di bilanciare gli interessi confliggenti e assicurare che il riconoscimento di una “minoranza nazionale” non si traduca in una ragione di privilegio o al contrario di discriminazione per la restante popolazione o per le altre minoranze.
Quanto alla violazione dell’art. 80 Cost., il ricorrente sostiene che con la legge impugnata la Regione Veneto solo formalmente si sarebbe basata sulla legge nazionale di ratifica della convenzione-quadro, ma in realtà avrebbe a tutti gli effetti emanato una propria particolare legge di ratifica, che si sovrappone a quella statale.
1.4.– Pur ritenendo che i tre motivi di censura sopra esposti siano tali da travolgere anche le previsioni serventi, relative al «Finanziamento» della legge stessa, il Presidente del Consiglio dei ministri presenta «per completezza» un quarto motivo di impugnazione, rivolto specificamente contro l’art. 4, per violazione degli artt. 81, terzo e quarto comma, 117, secondo comma, lettere g) ed e), e 118, primo comma, Cost.
La disposizione impugnata prevede che le spese relative all’attuazione della legge in esame «sono a carico e sono deliberate da ciascuna amministrazione centrale o periferica chiamata ad attuarla». Una tale previsione determinerebbe anzitutto una violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera g), che attribuisce alla competenza esclusiva dello Stato la materia «organizzazione amministrativa dello Stato» e in proposito il ricorrente ricorda che per costante giurisprudenza costituzionale (si cita da ultima la sentenza n. 9 del 2016) è vietato alle Regioni porre a carico di organi e amministrazioni dello Stato compiti ulteriori rispetto a quelli individuati con legge statale. In secondo luogo, sussisterebbe una violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), che attribuisce alla competenza esclusiva dello Stato la materia «perequazione delle risorse finanziarie». A tale riguardo, il ricorrente nota che l’impugnato art. 4 pone a carico del bilancio statale le spese necessarie all’attuazione della legge regionale e prevede che tali spese siano finalizzate alla perequazione finanziaria. Per le medesime ragioni sarebbe violato anche l’art. 81, terzo e quarto comma, Cost., dato che solo la legge statale di approvazione del bilancio può autorizzare spese a carico del bilancio statale, mentre la legge regionale impugnata non solo non indica i mezzi di copertura delle spese, ma neanche le quantifica, impedendo così in radice ogni ipotetica previsione di copertura.
2.– Si è costituita in giudizio la Regione Veneto chiedendo che la Corte costituzionale si pronunci nel senso dell’inammissibilità e comunque del rigetto di tutte le questioni sollevate.
La difesa regionale afferma innanzitutto che la Regione non contesta la circostanza che sia lo Stato l’ente chiamato ad attuare la Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali, sui cui contenuti poi si sofferma. Secondo la difesa della Regione Veneto, la legge regionale impugnata in concreto esprimerebbe soltanto l’«aspirazione banalissima di non perdersi nel mare magnum dell’indistinto globalizzato». La Regione Veneto non avrebbe fatto altro «che ricordare allo Stato di aver ratificato, con la legge n. 302/1997, la Convenzione-quadro sulle minoranze nazionali, che essa ritiene dotata di contenuti rilevanti per la comunità insediata nel proprio territorio». E ciò, secondo la Regione, non determinerebbe «affatto né collisioni né rotture, ma semplicemente una attesa»: l’attesa che venga realizzata anche per le minoranze nazionali quella tutela di cui la stessa giurisprudenza costituzionale si è fatta carico quando ha affermato che la previsione della tutela delle minoranze linguistiche appare destinata, più che alla salvaguardia delle lingue minoritarie in quanto oggetto di memoria, alla consapevole custodia e valorizzazione di patrimoni di sensibilità vivi e vitali nell’esperienza dei parlanti (si richiama la sentenza n. 170 del 2010, oltre che la sentenza n. 42 del 2017, là dove si dà atto del valore pregnante sia della lingua italiana sia delle lingue minoritarie e si evoca l’erosione dei confini nazionali determinata dalla globalizzazione). Di conseguenza, la lettura offerta dal ricorso statale al contenuto complessivo della legge regionale impugnata, «pur letteralmente consentita», non sarebbe condivisibile. La stessa circostanza che il dettato della legge regionale impugnata sia, «per ora, concretamente inoffensivo», dato che la legge regionale non prevede oneri per la sua attuazione, testimonierebbe che la Regione Veneto ritiene che sia lo Stato l’ente competente ad attuare la convenzione-quadro e ad accollarsene gli oneri nella sua veste di soggetto di diritto internazionale. In ogni caso, poi, non ci sarebbe alcuna violazione degli artt. 5, 6 e 114 Cost., dato che la futura acquisizione da parte del «popolo veneto» dello status di “minoranza nazionale” non determinerebbe alcun contrasto con la Costituzione e con la legislazione che la attua, «poiché rimane saldo il principio che entrambe vanno rigorosamente rispettate». Non sarebbero violati neppure gli artt. 2 e 3 Cost., perché essere “minoranza nazionale” non equivarrebbe affatto a essere titolari di prerogative ingiustificate; né sarebbero violati gli artt. 81 e 117, secondo comma, lettera a), Cost., perché la Regione Veneto non avrebbe deliberato, legislativamente, di operare sostituendosi allo Stato, ma al contrario si sarebbe inibita questa facoltà proprio nel momento in cui ha stabilito che la legge regionale fosse «a costo zero». Inoltre, data la «non rilevanza giuridica dell’art. 4 della legge regionale», non sarebbero stati violati neppure gli artt. 81, terzo e quarto comma; 117, secondo comma, lettere a) ed e), e 118, primo comma, Cost., in quanto «disporre delle proprie risorse è prerogativa dello Stato, cui la Regione chiede l’attuazione, in proprio favore» della legge statale di ratifica ed esecuzione della convenzione-quadro sulle minoranze nazionali.
In definitiva, la difesa regionale conclude in primo luogo per l’inammissibilità delle censure prospettate dall’Avvocatura generale dello Stato, «atteso il carattere non lesivo dell’atto impugnato»; e, in secondo luogo, per la non fondatezza delle questioni sia «in sé e per sé, nel merito», sia «soprattutto e in ogni caso, se si accoglie l’opinione formulata dalla difesa della Regione Veneto, secondo cui la normatività della legge impugnata è condizionata da iniziative, che lo Stato deciderà di assumere ai sensi della legge n. 302/1997». In particolare, questa Corte costituzionale, secondo la difesa regionale «potrà, se del caso, pronunciare una sentenza interpretativa di rigetto di quanto sostenuto dalla Avvocatura generale dello Stato» e «lo Stato potrà, in ogni momento, sollevare conflitto di attribuzioni nei confronti di eventuali atti e provvedimenti che la Regione Veneto intendesse adottare in attuazione della legge regionale n. 28/2016; atti e provvedimenti da valutare nella loro lesività non ora in astratto, ma un domani in concreto, al momento della loro adozione».
3.– Hanno depositato un atto di intervento nel giudizio davanti a questa Corte l’associazione non riconosciuta “Aggregazione Veneta – Aggregazione delle associazioni maggiormente rappresentative degli enti ed associazioni di tutela della identità, cultura e lingua venete”, che si definisce «organizzazione esponenziale della nazione veneta», in persona del suo legale rappresentante L. P., unitamente allo stesso L. P. in proprio, eccependo la tardività del ricorso e chiedendo che, nel merito, ne venga dichiarata l’infondatezza.
4.– In vista dell’udienza pubblica, ha depositato memoria soltanto la difesa della Regione Veneto, insistendo sulle proprie conclusioni e svolgendo alcune considerazioni di sintesi. La difesa regionale ricorda, in particolare, che è attualmente in atto un “negoziato” tra la Regione Veneto e lo Stato per l’attribuzione di maggiori competenze ai sensi dell’art. 116, terzo comma, Cost., giunto ora, a fine legislatura, a «una positiva pre-intesa, destinata a completarsi, una volta insediate le nuove Camere». Questa circostanza assegnerebbe alla legge regionale impugnata «altri significati, di certo non eversivi». La legge regionale, ribadisce la Regione, non avrebbe inteso invadere le competenze spettanti allo Stato in tema di minoranze nazionali, né ledere i parametri costituzionali invocati, ma avrebbe piuttosto attuato «una sorta di ricognizione, che ha lo scopo evidente di ridare vigore alla memoria e, con essa, a un sistema di valori, la cui nobiltà è innegabile».
5.– All’udienza del 20 marzo 2018, previa discussione sul punto, è stato dichiarato inammissibile l’intervento per i motivi indicati nell’ordinanza dibattimentale allegata alla presente sentenza.
Considerato in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questioni di legittimità costituzionale della legge della Regione Veneto 13 dicembre 2016, n. 28 (Applicazione della convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali), impugnandola nella sua interezza per contrasto con gli artt. 2, 3, 5, 6, 80, 114 e 117, secondo comma, lettera a), della Costituzione Ha inoltre censurato specificamente l’art. 4 della medesima legge regionale per violazione degli artt. 81, terzo e quarto comma, 117, secondo comma, lettere g) ed e), e 118, primo comma, Cost.
1.1.– In via preliminare va confermata l’ordinanza dibattimentale allegata alla presente sentenza che ha dichiarato inammissibile l’intervento.
1.2.– La legge regionale impugnata è composta da cinque articoli.
L’art. 1, rubricato «Minoranza Nazionale», prevede che al «popolo veneto» – individuato tramite il rinvio agli artt. 1 e 2 della legge regionale statutaria 12 aprile 2012, n. 1 (Statuto del Veneto) e comprensivo delle comunità etnico-linguistiche cimbre e ladine e delle «comunità legate storicamente e culturalmente o linguisticamente al popolo veneto anche al di fuori del territorio regionale» – «spettano i diritti» di cui alla Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali, fatta a Strasburgo il 1° febbraio 1995, ratificata e resa esecutiva con la legge 28 agosto 1997, n. 302.
L’art. 2 stabilisce che la «legge si attua a tutti gli ambiti» previsti dalla medesima convenzione-quadro secondo i criteri e le modalità determinati dalla Giunta regionale e «senza oneri a carico della Regione».
L’art. 3 individua «l’Aggregazione delle associazioni maggiormente rappresentative degli enti ed associazioni di tutela della identità, cultura e lingua venete, da costituirsi presso la Giunta regionale» quale soggetto incaricato «della raccolta e valutazione delle dichiarazioni spontanee» di appartenenza alla minoranza nazionale veneta. Alla Giunta regionale spetta il compito di monitorare le attività svolte dal nuovo ente.
L’art. 4 si occupa degli aspetti finanziari, prevedendo che tutte le spese relative alla attuazione della legge impugnata nel territorio regionale «sono a carico e deliberate da ciascuna amministrazione centrale o periferica chiamata ad attuarla […] eventualmente con perequazione dell’amministrazione centrale».
L’art. 5, infine, ne stabilisce l’entrata in vigore, a partire dal giorno successivo alla sua pubblicazione.
1.3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri formula tre ordini di censure in relazione all’intero testo della legge regionale n. 28 del 2016.
In primo luogo, il ricorrente ritiene violati gli artt. 5, 6 e 114 Cost., in quanto la popolazione riferibile a uno degli enti esponenziali della Repubblica non potrebbe per ciò solo essere qualificata come “minoranza nazionale”, distinta e contrapposta rispetto alla maggioranza del popolo italiano. Il principio di unità e indivisibilità sancito dagli artt. 5 e 114 Cost. impedirebbe di rappresentare la Repubblica come «una somma materiale di minoranze» e, in ogni caso, le minoranze nazionali non potrebbero coincidere con le componenti personali delle articolazioni della Repubblica stessa, quali sono le Regioni.
In secondo luogo, il ricorrente denuncia il contrasto con gli artt. 2 e 3 Cost. perché riconoscere una minoranza sarebbe possibile e necessario solo quando in mancanza di tale riconoscimento si negherebbe l’identità collettiva del gruppo, parificando giuridicamente una situazione collettiva connotata da marcate particolarità culturali alla condizione della generalità del popolo. Nel caso di specie, tuttavia, non ricorrerebbero le circostanze che sole giustificano e richiedono il riconoscimento di una minoranza veneta.
In terzo luogo, il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene che il legislatore regionale non sia competente ad adottare la legge impugnata, in quanto l’attuazione della Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali rientrerebbe nella competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di «politica estera e rapporti internazionali dello Stato» di cui all’art. 117, secondo comma, lettera a), Cost. Inoltre, la Regione Veneto solo formalmente si sarebbe basata sulla legge nazionale di ratifica della convenzione-quadro, ma in realtà avrebbe a tutti gli effetti emanato una propria particolare legge di ratifica, con conseguente violazione dell’art. 80 Cost.
1.4.– In caso di mancato accoglimento delle censure relative alla legge regionale n. 28 del 2016 nella sua interezza, il Presidente del Consiglio dei ministri denuncia distintamente anche il solo art. 4, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost., relativo alla materia «organizzazione amministrativa dello Stato», in quanto le Regioni non potrebbero porre a carico di organi e amministrazioni dello Stato compiti ulteriori rispetto a quelli individuati con legge statale. La medesima disposizione violerebbe inoltre l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., relativo alla materia «perequazione delle risorse finanziarie», perché sarebbe vietato alla legge regionale prevedere «il riequilibrio tra le disponibilità finanziarie dei diversi livelli di governo dotati di differente capacità fiscale». Infine, la disposizione censurata non rispetterebbe i principi contenuti nell’art. 81, terzo e quarto comma, e nell’art. 118, primo comma, Cost., dato che la legge regionale impugnata non quantifica le spese né individua i mezzi con cui farvi fronte, e comunque addossa illegittimamente alle amministrazioni statali nuovi oneri amministrativi e finanziari.
2.– La difesa regionale eccepisce preliminarmente l’inammissibilità del ricorso per carenza di lesività della legge regionale impugnata.
L’eccezione non è fondata.
La legge della Regione Veneto n. 28 del 2016 qualifica il «popolo veneto» come “minoranza nazionale” degna di tutela ai sensi della convenzione-quadro e impegna le amministrazioni centrali e periferiche a rendere effettiva tale tutela; essa prevede, inoltre, l’istituzione di un nuovo ente regionale incaricato di raccogliere e valutare le dichiarazioni individuali di appartenenza a tale minoranza. Diversamente da quanto ritenuto dalla difesa regionale, non si tratta di semplici aspirazioni o di enunciati meramente ottativi, ma di precetti a contenuto normativo, sicché l’eccezione di inammissibilità basata sulla carenza di lesività dell’atto impugnato deve essere respinta (si veda analogamente, da ultima, la sentenza n. 245 del 2017).
Né, d’altra parte, i contenuti della legge regionale impugnata potrebbero mai essere interpretati, secondo quanto prospettato dalla resistente, come semplice espressione di una richiesta, rivolta allo Stato, di dare effettiva attuazione alla Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali nel territorio della Regione Veneto. In proposito, va ricordato anzitutto che lo Stato ha già ratificato e recepito la convenzione-quadro con la legge n. 302 del 1997. In ogni caso, lo strumento di cui ogni Regione dispone per stimolare l’intervento dello Stato negli ambiti di sua competenza non è certo l’approvazione di una legge regionale, ma è piuttosto l’iniziativa legislativa delle leggi statali attribuita a ciascun Consiglio regionale dall’art. 121 Cost. È a tale facoltà che la Regione avrebbe dovuto fare ricorso se l’intendimento effettivamente perseguito fosse stato quello di sollecitare il legislatore statale ad adottare ulteriori atti di sua competenza in materia di tutela delle minoranze, volti alla «custodia e alla valorizzazione di patrimoni di sensibilità collettiva vivi e vitali» nel territorio regionale, come affermato nelle memorie del Veneto, richiamandosi alle parole di questa Corte (sentenza n. 170 del 2010).
3.– Nel merito, le questioni di legittimità costituzionale aventi ad oggetto l’intera legge regionale n. 28 del 2016 sono fondate.
3.1.– Per inquadrare correttamente le questioni sottoposte all’esame della Corte, occorre premettere che la tutela delle minoranze – garantita dall’art. 6 Cost. con specifico riferimento alle minoranze linguistiche – è espressione dei fondamentali principi del pluralismo sociale (art. 2 Cost.) e dell’eguaglianza formale e sostanziale (art. 3 Cost.), che conformano l’intero ordinamento costituzionale e che per questo sono annoverati tra i suoi principi supremi (sentenze n. 88 del 2011, n. 159 del 2009, n. 15 del 1996 e n. 62 del 1992).
L’aspetto linguistico al quale si riferisce l’art. 6 Cost., e su cui questa Corte è stata più frequentemente chiamata a pronunciarsi, è «un elemento […] di importanza basilare» che, insieme a quello nazionale, etnico, religioso e culturale, contribuisce a definire la «identità individuale e collettiva» dei singoli e dei gruppi (sentenze n. 159 del 2009, n. 15 del 1996 e n. 261 del 1995). Tale identità è l’oggetto della tutela approntata, oltre che dai citati principi costituzionali, anche da sempre più numerosi documenti internazionali (si vedano ad esempio gli ampi riferimenti contenuti nelle sentenze n. 159 del 2009, n. 15 del 1996 e n. 62 del 1992). Pertanto, nella giurisprudenza di questa Corte, la tutela delle minoranze linguistiche di cui all’art. 6 Cost. è considerata espressione paradigmatica di una più ampia e articolata garanzia delle identità e del pluralismo culturale, i cui principi debbono ritenersi applicabili a tutte le minoranze, siano esse religiose, etniche o nazionali, oltre che linguistiche.
3.2.– Deve essere condivisa l’osservazione della Regione resistente circa il fatto che la tutela delle minoranze richiede «l’apprestamento sia di norme ulteriori di svolgimento, sia di strutture o istituzioni finalizzate alla loro concreta operatività» (sentenze n. 159 del 2009, n. 15 del 1996, n. 62 del 1992 e n. 28 del 1982), in presenza delle quali soltanto i principi proclamati dall’art. 6 Cost. e dai rilevanti accordi internazionali possono acquisire concreta effettività.
In ordine alla titolarità dei poteri esercitabili a tale scopo, questa Corte in un primo momento ha affermato che solo il legislatore statale fosse abilitato a dettare norme sulla tutela delle minoranze, in ragione di inderogabili esigenze di unità e di eguaglianza (sentenze n. 14 del 1965, n. 128 del 1963, n. 46 e n. 1 del 1961 e n. 32 del 1960). Successivamente, questa Corte ha ritenuto che anche i legislatori regionali e provinciali potessero adottare atti normativi in materia, specialmente al fine di garantire e valorizzare l’identità culturale e il patrimonio storico delle proprie comunità, ma sempre nel pieno rispetto di quanto determinato in materia dal legislatore statale (sentenze n. 261 del 1995, n. 289 del 1987 e n. 312 del 1983).
La giurisprudenza costituzionale più recente è chiara nell’affermare che la tutela delle minoranze è refrattaria a una rigida configurazione in termini di “materia” da collocare in una delle ripartizioni individuate nel Titolo V della seconda parte della Costituzione e che la sua attuazione in via di legislazione ordinaria richiede tanto l’intervento del legislatore statale, quanto l’apporto di quello regionale (sentenza n. 159 del 2009). Infatti, i principi contenuti negli artt. 2, 3, e 6 Cost. si rivolgono sempre alla “Repubblica” nel suo insieme e pertanto impegnano tutte le sue componenti – istituzionali e sociali, centrali e periferiche – nell’opera di promozione del pluralismo, dell’eguaglianza e, specificamente, della tutela delle minoranze; sicché, sul piano legislativo, l’attuazione di tali principi esige il necessario concorso della legislazione regionale con quella statale.
Nondimeno, il compito di determinare gli elementi identificativi di una minoranza da tutelare non può che essere affidato alle cure del legislatore statale, in ragione della loro necessaria uniformità per l’intero territorio nazionale. Inoltre, il legislatore statale si trova nella posizione più favorevole a garantire le differenze proprio in quanto capace di garantire le comunanze e risulta, perciò, in grado di rendere compatibili pluralismo e uniformità (sentenza n. 170 del 2010), anche in attuazione del principio di unità e indivisibilità della Repubblica di cui all’art. 5 Cost.
In questa cornice debbono intendersi le affermazioni contenute nella sentenza n. 170 del 2010 – relative alla tutela delle minoranze linguistiche, ma da estendersi, per le ragioni sopra esposte, alla più generale tutela dei gruppi minoritari – secondo le quali non è consentito al legislatore regionale configurare o rappresentare la “propria” comunità in quanto tale come “minoranza”, «essendo del tutto evidente che, in linea generale, all’articolazione politico-amministrativa dei diversi enti territoriali all’interno di una medesima più vasta, e composita, compagine istituzionale non possa reputarsi automaticamente corrispondente – né, in senso specifico, analogamente rilevante – una ripartizione del “popolo”, inteso nel senso di comunità “generale”, in improbabili sue “frazioni”» (sentenza n. 170 del 2010). Riconoscere un tale potere al legislatore regionale significherebbe, infatti, introdurre un elemento di frammentazione nella comunità nazionale contrario agli artt. 2, 3, 5 e 6 Cost.
Lasciata, dunque, in disparte ogni considerazione circa la compatibilità della legge regionale impugnata con lo specifico contenuto della Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali, a cui essa si richiama – la quale peraltro contiene principalmente un elenco di diritti di natura individuale, ma non configura diritti collettivi dei gruppi minoritari – la legge regionale impugnata, nel qualificare il «popolo veneto» come “minoranza nazionale” ai sensi della citata convenzione-quadro, contrasta con i principi sviluppati nella giurisprudenza di questa Corte in materia.
Ne consegue la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’intero testo della legge regionale n. 28 del 2016, in riferimento agli artt. 2, 3, 5 e 6 Cost.
3.3.– Restano assorbiti gli altri profili di censura.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara inammissibile l’intervento di «Aggregazione Veneta – Aggregazione delle associazioni maggiormente rappresentative degli enti ed associazioni di tutela della identità, cultura e lingue venete» e di L. P.;
2) dichiara l’illegittimità costituzionale della legge della Regione Veneto 13 dicembre 2016, n. 28 (Applicazione della convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 marzo 2018.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Marta CARTABIA, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 20 aprile 2018.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA
Allegato:
ordinanza letta all'udienza del 20 marzo 2018
ORDINANZA
Ritenuto che il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso un giudizio di legittimità costituzionale (r.r. n. 16 del 2017) avverso la legge della Regione Veneto 13 dicembre 2016, n. 28 (Applicazione della convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali), in relazione all'intero testo e all'art. 4;
che in questo giudizio hanno depositato, in data 6 aprile 2017, un atto di intervento l'associazione «Aggregazione Veneta - Aggregazione delle associazioni maggiormente rappresentative degli enti ed associazioni di tutela della identità, cultura e lingua venete», in persona del suo legale rappresentante L.P., unitamente allo stesso L.P. in proprio;
che le parti private intervenienti hanno eccepito la tardività e l'infondatezza del ricorso;
Considerato che il giudizio di legittimità costituzionale in via principale si svolge esclusivamente tra soggetti titolari di potestà legislativa e non ammette l'intervento di soggetti che ne siano privi, fermi restando per costoro, ove ne ricorrano i presupposti, gli altri mezzi di tutela giurisdizionale eventualmente esperibili (si veda, da ultima e per tutte, la sentenza n. 5 del 2018).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile l'intervento di «Aggregazione Veneta - Aggregazione delle associazioni maggiormente rappresentative degli enti ed associazioni di tutela della identità, cultura e lingua venete» e L. P. nel giudizio promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con l'indicato ricorso r.r. n. 16 del 2017.
F.to: Giorgio Lattanzi, Presidente