Corte Costituzionale, Sentenza n.57 del 20/03/2019

Pubblicato il
Contraddittorio davanti alla Corte costituzionale - Rappresentanza dello Stato nel conflitto di attribuzione tra enti - Legittimazione spettante esclusivamente al Presidente del Consiglio dei ministri - Ammissibilità

Nei giudizi per conflitto di attribuzione proposti dalle Regioni o dalle Province autonome, unico legittimato a rappresentare lo Stato è il Presidente del Consiglio dei ministri. (Precedente citato: sentenza n. 198 del 2017).

Ricorso per conflitto di attribuzione tra enti - Impugnazione di condotte omissive - Ammissibilità

Nel conflitto di attribuzione tra enti è ammissibile l'impugnazione di condotte omissive, laddove queste ultime siano realmente idonee a produrre un'immediata violazione o menomazione di attribuzioni costituzionali (Precedenti citati: sentenze n. 230 del 2017, n. 276 del 2007, n. 187 del 1984 e, nello stesso senso, n. 111 del 1976).

Ricorso per conflitto di attribuzione tra enti - Pendenza di un giudizio dinanzi all'autorità giurisdizionale avente ad oggetto lo stesso comportamento causa del conflitto - Ammissibilità del conflitto - Rigetto di eccezione preliminare

Nel conflitto di attribuzione tra enti proposto dalla Regione Umbria avverso il silenzio serbato dai soggetti a cui era indirizzata la nota del 13 febbraio 2017, non è accolta l'eccezione di inammissibilità per la pendenza di un giudizio dinanzi all'autorità giurisdizionale avente ad oggetto lo stesso silenzio dell'Amministrazione. A prescindere dalla natura dell'atto necessario a soddisfare le pretese regionali e della competenza al riguardo del giudice comune - ricorre nella specie il tono costituzionale, venendo in questione una presunta lesione delle competenze regionali. (Precedente citato: sentenza n. 260 del 2016)

Thema decidendum - Ordine di esame delle questioni - Dedotta violazione del giudicato costituzionale - Rilevanza in sede di conflitto di attribuzione tra enti e priorità logico-giuridica rispetto alle altre censure

Nel conflitto di attribuzione tra enti promosso dalla Regione Umbria avverso il silenzio serbato dai soggetti a cui era indirizzata la nota del 13 febbraio 2017, la questione promossa in riferimento all'art. 136 Cost. (per violazione del "giudicato costituzionale" della sentenza n. 13 del 2017) assume priorità logico-giuridica rispetto alle restanti censure. Il giudicato costituzionale e la relativa violazione dell'art. 136 Cost. rilevano anche in sede di conflitto di attribuzione tra enti.

Bilancio e contabilità pubblica - Ricorso per conflitto di attribuzione tra enti - Silenzio dello Stato - Violazione del giudicato costituzionale e del principio di leale collaborazione - Accoglimento del ricorso

È dichiarato che non spettava allo Stato, e per esso all'Agenzia per la coesione territoriale, al Ministero dell'economia e delle finanze - Ragioneria generale dello Stato - Ispettorato generale per i rapporti finanziari con l'Unione europea (IGRUE), e al Dipartimento per le politiche di coesione, serbare il silenzio sulla nota della Regione Umbria del 13 febbraio 2017, prot. n. 33358-2017, omettendo così di avviare e concludere in tempi ragionevoli, e in accordo con la controparte, il procedimento mirante a quantificare le spettanze regionali e le modalità della loro soddisfazione, relative alla riprogrammazione delle risorse nazionali già destinate agli interventi del Piano di Azione Coesione. La dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 7, comma 9-sexies, del d.l. n. 78 del 2015, contenuta nella sentenza n. 13 del 2017, ha fatto venir meno il fondamento legislativo del silenzio serbato dallo Stato sulla domanda regionale di restituzione delle risorse, con conseguente violazione del giudicato costituzionale ai sensi dell'art. 136 Cost. Non risponde inoltre al principio di leale collaborazione, di cui agli artt. 5 e 117 Cost., il comportamento tenuto dallo Stato, che, pur consapevole degli effetti della sentenza citata, serba il silenzio sulla nota, non dando seguito ad alcuna concreta iniziativa per venir incontro alle esigenze regionali. Secondo la giurisprudenza costituzionale, è fondato il conflitto di attribuzione tra enti anche quando il fondamento legislativo dell'atto impugnato sia venuto meno a seguito di pronuncia di illegittimità costituzionale. (Precedente citato: sentenza n. 103 del 2016). Sulla norma contenuta nell'art. 136 Cost. poggia il contenuto pratico di tutto il sistema delle garanzie costituzionali, in quanto essa toglie immediatamente ogni efficacia alla norma illegittima, senza possibilità di compressioni od incrinature nella sua rigida applicazione (Precedente citato: sentenze n. 169 del 2015 e n. 73 del 1963).L'efficacia preclusiva del giudicato opera nei confronti del legislatore e riguarda ogni disposizione che intenda mantenere in piedi o ripristinare, sia pure indirettamente, gli effetti di quella struttura normativa che aveva formato oggetto della pronuncia di illegittimità costituzionale, ovvero che ripristini o preservi l'efficacia di una norma già dichiarata incostituzionale. (Precedente citato: sentenze n. 5 del 2017, n. 72 del 2013 e n. 350 del 2010). Il giudicato costituzionale è violato non solo quando il legislatore emana una norma che costituisce una mera riproduzione di quella già ritenuta lesiva della Costituzione, ma anche se la nuova disciplina mira a perseguire e raggiungere, anche se indirettamente, esiti corrispondenti. (Precedenti citati: sentenze n. 5 del 2017, n. 73 del 2013, n. 245 del 2012, n. 922 del 1988, n. 223 del 1983 e n. 88 del 1966).

Thema decidendum - Accoglimento del ricorso per conflitto di attribuzione tra enti in riferimento ad alcuni dei parametri evocati - Assorbimento delle restanti censure

Accolto, per violazione degli artt. 5, 117 e 136 Cost., il conflitto di attribuzione tra enti promosso dalla Regione Umbria contro il silenzio serbato dallo Stato sulla nota regionale del 13 febbraio 2017, sono assorbite le restanti censure riferite agli artt. 3, 11, 97, 117, 118, 119 Cost., anche in riferimento agli artt. 175 e 176 TFUE, alla decisione della Commissione europea 28 agosto 2014, C(6163), all'accordo Stato-Regioni 3 novembre 2011, nonché agli artt. 6 e 13 della CEDU e al principio del legittimo affidamento.

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

SENTENZA N. 57

ANNO 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Giorgio LATTANZI; Giudici : Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra enti sorto a seguito del silenzio dell’Agenzia per la coesione territoriale, del Ministero dell’economia e delle finanze - Ragioneria generale dello Stato - Ispettorato generale per i rapporti finanziari con l’Unione europea (IGRUE), e del Dipartimento per le politiche di coesione, sulla nota della Regione Umbria 13 febbraio 2017, prot. n. 33358-2017, promosso dalla Regione Umbria, con ricorso notificato il 28 aprile-3 maggio 2017, depositato in cancelleria il 5 maggio 2017, iscritto al n. 2 del registro conflitti tra enti 2017 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell’anno 2017.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 22 gennaio 2019 il Giudice relatore Giancarlo Coraggio;

uditi l’avvocato Massimo Luciani per la Regione Umbria e l’avvocato dello Stato Gianni De Bellis per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.- Con ricorso notificato il 28 aprile-3 maggio 2017 e depositato il successivo 5 maggio, la Regione Umbria ha proposto conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, per sentir dichiarare che non spettava «allo Stato, e per esso al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Ministro per la Coesione territoriale e il Mezzogiorno, all’Agenzia per la Coesione Territoriale, al Dipartimento per le politiche di coesione e al Ministero dell’Economia e delle Finanze, serbare il silenzio e conseguentemente non accogliere l’istanza trasmessa dalla Regione Umbria con Nota 13 febbraio 2017, prot. n. 33358-2017, per l’esecuzione della sent. Corte cost. n. 13 del 2017», prospettando la «Violazione degli artt. 3, 5, 11, 97, 117 [primo e terzo comma], 118, 119 [primo, secondo, terzo e quinto comma] e 136 Cost., anche in riferimento agli artt. 175 e 176 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, alla decisione della Commissione europea 28 agosto 2014, C(6163), all’accordo Stato - Regioni 3 novembre 2011, nonché agli artt. 6 e 13 della Convenzione EDU. Violazione del principio di leale collaborazione. Violazione del principio del legittimo affidamento, anche in relazione all’art. 4 del decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76».

La ricorrente chiede che vengano dichiarati «illegittimi le omissioni e i comportamenti censurati, accertando l’obbligo dello Stato di accogliere l’istanza proposta dalla Regione Umbria con la citata nota 13 febbraio 2017, prot., n. 33358-2017».

2.- La Regione Umbria premette che elemento centrale della questione oggetto della sentenza n. 13 del 2017 è l’istituto del «PAC - Piano di azione e coesione», previsto per accelerare l’attuazione dei programmi cofinanziati dal Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) per il settennato 2007-2013, e ripercorre, quindi le vicende del suddetto istituto.

Il PAC, cui aderiva anche la Regione Umbria, veniva istituito per investire sul territorio le risorse liberate dagli obiettivi del FESR, a seguito della diversa percentuale della quota di cofinanziamento comunitario posta a carico dello Stato.

Nel 2014 lo Stato italiano chiedeva la revisione del programma FESR 2007-2013 anche per la Regione Umbria, e tale proposta veniva accolta dalla Commissione UE con decisione 28 agosto 2014, C(2014) 6163.

La Giunta della Regione Umbria, con deliberazione 31 ottobre 2014, n. 1340, adottava il «programma parallelo» al Piano operativo regionale POR-FESR 2007-2013, cui seguiva l’adesione al PAC.

Il decreto del Ministero dell’economia e delle finanze 22 dicembre 2014, n. 61, recante «Integrazione del finanziamento a carico del Fondo di rotazione di cui alla legge n. 183/1987 per l’attuazione degli interventi previsti dal Piano di azione coesione delle regioni Umbria, Abruzzo e del Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti nonché rimodulazione del quadro finanziario del Piano di azione coesione della regione Siciliana (Decreto n. 61 del 2014)», destinava le risorse derivanti dalla riduzione della quota di cofinanziamento statale per i programmi FESR 2007-2013 al PAC, per interventi in favore (tra l’altro) della Regione Umbria.

3.- In tale contesto, il legislatore statale distraeva alcuni fondi del Fondo di rotazione già destinati al PAC, per sostenere interventi di incentivazione fiscale e contributiva.

In ragione dell’art. 7, comma 9-sexies, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78 (Disposizioni urgenti in materia di enti territoriali. Disposizioni per garantire la continuità dei dispositivi di sicurezza e di controllo del territorio. Razionalizzazione delle spese del Servizio sanitario nazionale nonché norme in materia di rifiuti e di emissioni industriali), convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2015, n. 125, il meccanismo di distrazione dei fondi inizialmente destinati a finanziare il PAC operava anche nei confronti della Regione Umbria, che impugnava tale disposizione.

4.- Con la sentenza di questa Corte n. 13 del 2017 veniva dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 7, comma 9-sexies, del d.l. n. 78 del 2015, come convertito «nei sensi e nei limiti di cui in motivazione, con specifico riferimento alla Regione Umbria».

5.- La Regione ripercorre la suddetta sentenza che dichiara fondata la questione per violazione del principio di ragionevolezza.

6.- Tanto premesso, la Regione espone che con la nota del 13 febbraio 2017, avente ad oggetto «Programma Parallelo della Regione Umbria - Sentenza della Corte Costituzionale n. 13 del 2017, (GU n. 4 del 25-1-2017). Azioni conseguenti», aveva chiesto che si procedesse, entro il termine di 15 giorni, all’immediato ripristino delle disponibilità economico-finanziarie per il programma parallelo della Regione Umbria per l’importo di euro 18.148.556,00.

7.- Tale termine spirava senza che lo Stato avesse ripristinato la menzionata provvista a favore della Regione Umbria e, addirittura, senza che fosse stata formulata alcuna risposta, nemmeno interlocutoria, da parte degli uffici competenti.

8.- La Regione Umbria ha esposto i seguenti motivi di censura.

8.1.- Sarebbero violati gli artt. 117, terzo comma, e 119, primo e secondo comma, della Costituzione, perché lo Stato sottrae delle risorse economiche alla Regione Umbria senza alcuna base normativa, con conseguente lesione della competenza legislativa concorrente della Regione nella materia «coordinamento della finanza pubblica» e dell’autonomia economico-finanziaria regionale.

Per costante giurisprudenza costituzionale, infatti, le attribuzioni delle Regioni nella materia del «coordinamento della finanza pubblica» comportano la potestà di disciplinare e amministrare le risorse economico-finanziarie regionali, ovverosia il «potere di utilizzazione dei propri mezzi finanziari, che fa parte integrante di detta autonomia finanziaria, funzionale all’assolvimento dei compiti istituzionali che gli enti territoriali sono chiamati a svolgere» (è citata la sentenza n. 189 del 2015).

Tali attribuzioni possono essere compresse solo nella misura in cui lo Stato eserciti le proprie competenze nella fissazione dei principi fondamentali nella materia del «coordinamento della finanza pubblica».

Nel caso di specie, però, a seguito della dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 7, comma 9-sexies, del d.l. n. 78 del 2015, era venuto meno l’unico titolo giustificativo che lo Stato poteva vantare per disporre delle risorse già attribuite al PAC della Regione Umbria.

Ne consegue che il mancato accoglimento dell’istanza formulata dalla Regione determinerebbe «indebita appropriazione da parte dello Stato di risorse appartenenti agli enti territoriali [...] con conseguente violazione degli articoli 117, terzo comma, e 119 Cost.» (è citata la sentenza n. 63 del 2013).

8.2.- Sarebbero, altresì, lesi gli artt. 3, 117, terzo comma, 119, primo e secondo comma, e 136 Cost.

Il mancato accoglimento della richiesta della Regione Umbria di ripristinare le disponibilità economico-finanziarie per il programma parallelo comprimerebbe e lederebbe l’autonomia economico-finanziaria regionale, così disconoscendo gli effetti della sentenza n. 13 del 2017, violando il giudicato costituzionale, e prorogando di fatto l’efficacia di una disposizione di legge statale dichiarata incostituzionale.

8.3.- La ricorrente assume anche la violazione del principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 117 Cost., in particolare, in riferimento all’art. 4 del decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76, recante «Primi interventi urgenti per la promozione dell’occupazione, in particolare giovanile, della coesione sociale, nonché in materia di Imposta sul valore aggiunto (IVA) e altre misure finanziarie urgenti», convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 99, che stabilisce la possibilità di rimodulazioni del PAC da parte del Gruppo di azione in partenariato con le amministrazioni interessate.

8.4.- Ravvisa, inoltre, altre ragioni della violazione del principio di leale collaborazione.

Lo Stato si sarebbe sottratto senza alcuna ragione giustificatrice agli obblighi contratti nei confronti delle Regioni che hanno sottoscritto il PAC, relativi allo stanziamento delle risorse derivanti dalla riduzione della quota di cofinanziamento statale per i programmi FESR 2007-2013 secondo il cosiddetto «principio di territorialità».

Nella vicenda qui in esame, infatti, lo Stato non avrebbe dato corso al dialogo con la Regione, e si sarebbe, dunque, rifiutato di adottare i provvedimenti idonei a ricomporre l’armonica collaborazione tra Stato e Regioni, nonostante le statuizioni della sentenza n. 13 del 2017.

Inoltre, non accogliendo l’istanza regionale si sarebbe sostanzialmente opposto al perseguimento degli obiettivi e delle finalità del PAC e del programma parallelo.

Quello in esame costituirebbe un tipico esempio di procedimento nel quale vengono in rilievo tanto le attribuzioni costituzionali dello Stato, quanto quelle delle Regioni.

In assenza del coinvolgimento delle amministrazioni regionali, il PAC e, per la Regione Umbria, il programma parallelo, si tramuterebbero in uno strumento indiretto ma pervasivo di ingerenza dello Stato nell’esercizio delle funzioni degli enti locali (è richiamata la sentenza n. 189 del 2015).

Nondimeno, lo Stato si sarebbe evidentemente sottratto all’interlocuzione con la Regione, comportamento che contraddice il principio di leale collaborazione, atteso che lo Stato si rifiuterebbe di prestare la dovuta collaborazione nell’impiego delle risorse già stanziate a favore della stessa con il d.m. n. 61 del 2014, e le distrarrebbe dalla destinazione già prestabilita, senza coinvolgere la Regione nell’individuazione delle nuove modalità del loro impiego, secondo il necessario strumento dell’intesa.

8.5.- Il principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 117, primo comma, Cost., risulterebbe leso, in relazione agli artt. 175 e 176 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130, e alla decisione della Commissione europea 28 agosto 2014, C(2014) 6163, anche perché lo Stato continuerebbe a sottrarsi senza alcuna base normativa agli obblighi assunti nei confronti dell’Unione europea, con la quale aveva negoziato la diversa quota di compartecipazione ai programmi FESR, impegnandosi alla concertazione con le Regioni.

8.6.- Il silenzio, con conseguente mancato accoglimento dell’istanza della Regione Umbria di procedere all’immediato ripristino delle disponibilità economico-finanziarie per il suo programma parallelo, violerebbe anche i commi terzo e quinto dell’art. 119 Cost.

Dette disposizioni, infatti, consentono allo Stato di assegnare ulteriori risorse «per i territori con minore capacità fiscale per abitante» oppure «[p]er promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle […] funzioni» degli enti territoriali.

Entrambi i tipi di intervento, però, possono essere disposti solo da parte del legislatore o, almeno, secondo criteri d’intervento espressamente previsti dal legislatore.

8.7.- Sussisterebbe anche la violazione degli artt. 3 e 97 Cost. «in riferimento» agli artt. 117, terzo comma, 118, 119, primo e secondo comma, e 136 Cost. Lo Stato, sottraendosi agli effetti della sentenza n. 13 del 2017, distrae notevoli risorse dalla destinazione già predeterminata a favore del programma parallelo della Regione Umbria.

In questo modo, dunque, alla segnalata compressione dell’autonomia economico-finanziaria regionale si legherebbe l’inevitabile compromissione dell’efficacia degli interventi di coesione già approvati per il territorio regionale, con irragionevole pregiudizio per il buon andamento delle funzioni pubbliche di sviluppo economico, coesione e solidarietà sociale attribuite alla Regione e allo Stato.

In altri termini, il mancato accoglimento dell’istanza della Regione pregiudicherebbe irragionevolmente la realizzazione dei progetti contenuti nel programma parallelo di cui alla menzionata deliberazione della Giunta regionale n. 1340 del 2014.

8.8.- Infine, gli artt. 3, 117, primo comma, e 136 Cost. risulterebbero violati anche per un ulteriore profilo, in relazione agli artt. 6 e 13 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, nonché al principio del legittimo affidamento.

Il principio della tutela del legittimo affidamento è riconosciuto e tutelato sia dalla Costituzione italiana (come espressione del principio di ragionevolezza e certezza del diritto, ex art. 3 Cost.), che dalla CEDU, con la conseguenza che la sua lesione comporta la violazione non solamente dell’art. 3 Cost., ma anche dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli 6 e 13 CEDU.

Il procedimento di approvazione del programma parallelo della Regione Umbria al POR-FESR 2007-2013 è transitato per numerosi passaggi, con conseguente legittimo affidamento circa la disponibilità delle risorse allora stanziate.

A ciò va aggiunto che, per costante giurisprudenza della Corte EDU, uno degli elementi sintomatici della lesione del legittimo affidamento è la «rottura» di una pronuncia giurisdizionale avente forza di giudicato.

Nel caso di specie, pur considerata la specificità del giudicato costituzionale, sarebbe evidente che la sentenza n. 13 del 2017, nello «statuire sull’illegittimità costituzionale dell’art. 7, comma 9-sexies, del decreto-legge n. 78 del 2015, ha deliberato anche sul concreto atteggiarsi dei rapporti economico-finanziari tra lo Stato e la Regione, affermando l’irragionevolezza di una forma di prelievo finanziario che interviene in un arco di tempo immediatamente prossimo alla stessa dazione del fondo poi decurtato».

9.- Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso per conflitto di attribuzione sia dichiarato inammissibile e riservandosi ulteriori deduzioni.

10.- Dopo aver ripercorso le vicende normative e giurisprudenziali che hanno preceduto il conflitto, la difesa dello Stato osserva che il silenzio serbato non costituisce violazione di competenze costituzionali della Regione.

Non a caso, deduce l’Avvocatura generale dello Stato, la Regione Umbria ha impugnato dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per l’Umbria il silenzio oggetto del conflitto.

Il conflitto proposto, pertanto, si configura come «un anomalo e irrituale “giudizio di ottemperanza” rispetto ad una precedente decisione della Corte» costituzionale.

11.- In data 21 dicembre 2018, la Regione Umbria ha depositato la nota prot. n. 590 del 16 giugno 2017, con la quale il Ministro per la coesione territoriale e il mezzogiorno, rilevato che la Regione, in conformità al principio di leale collaborazione tra Stato e Regione, aveva manifestato la disponibilità ad addivenire ad una composizione bonaria del contenzioso, proponendo a tal fine la costituzione di un apposito tavolo tecnico, condivideva la proposta e confermava che sarebbe stata propria cura la convocazione al più presto di una riunione per valutare la possibilità di definire celermente la questione.

12.- In data 28 dicembre 2018 la Regione ha depositato memoria con la quale insiste sulla fondatezza del ricorso.

Considerato in diritto

1.- La Regione Umbria ha proposto conflitto di attribuzione tra enti per far dichiarare che «non spettava allo Stato, e per esso al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Ministro per la Coesione territoriale e il Mezzogiorno, all’Agenzia per la Coesione Territoriale, al Dipartimento per le politiche di coesione e al Ministero dell’Economia e delle Finanze, serbare il silenzio e conseguentemente non accogliere» le richieste di cui alla “istanza” contenuta nella nota 13 febbraio 2017, prot. n. 33358-2017, per l’esecuzione della sentenza di questa Corte n. 13 del 2017.

2.- La nota ha ad oggetto «Programma Parallelo della Regione Umbria - Sentenza della Corte costituzionale n. 13 del 2017 (GU n. 4 del 25.1.2017). Azioni conseguenti». Con essa viene rappresentato che, a seguito della sentenza, era venuta meno «la riprogrammazione delle risorse nazionali (Fondo di rotazione per il cofinanziamento nazionale della programmazione europea, L. 183/1987), già destinate agli interventi del Piano di Azione Coesione (Programma Parallelo al POR-FESR 2007-2013) non ancora impegnate alla data del 1/1/2015» e che pertanto alla Regione Umbria spettava l’intera somma già assegnata con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze 22 dicembre 2014, n. 98884/2014, per l’attuazione del «Programma Parallelo», senza la decurtazione di euro 18.148.556,00, somma di cui pertanto si chiedeva il «ripristino finanziario».

3.- Il silenzio dello Stato è ad avviso della Regione illegittimo per «Violazione degli artt. 3, 5, 11, 97, 117 [primo e terzo comma], 118, 119 [primo, secondo, terzo e quinto comma] e 136 Cost., anche in riferimento agli artt. 175 e 176 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), alla decisione della Commissione europea 28 agosto 2014, C(6163), all’accordo Stato - Regioni 3 novembre 2011, nonché agli artt. 6 e 13 della Convenzione EDU. Violazione del principio di leale collaborazione. Violazione del principio del legittimo affidamento, anche in relazione all’art. 4 del decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76».

4.- Sotto il profilo soggettivo, il conflitto è ammissibile solo nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri.

Secondo la giurisprudenza costituzionale, questi è l’unico legittimato a rappresentare lo Stato nei giudizi per conflitto di attribuzione proposti dalle Regioni o dalle Province autonome (ex plurimis, sentenza n. 198 del 2017).

Il conflitto verte sul silenzio serbato dai soggetti a cui era indirizzata la nota del 13 febbraio 2017: Agenzia per la coesione territoriale, Ministero dell’economia e delle finanze - Ragioneria generale dello Stato - Ispettorato generale per i rapporti finanziari con l’Unione europea (IGRUE), e Dipartimento per le politiche di coesione.

5.- Sotto il profilo oggettivo, la giurisprudenza costituzionale ha affermato l’ammissibilità del ricorso per conflitto di attribuzione tra enti che riguardi condotte omissive, laddove queste ultime siano realmente idonee a produrre un’immediata violazione o menomazione di attribuzioni costituzionali (ex multis, sentenze n. 230 del 2017, n. 276 del 2007 e n. 187 del 1984; nello stesso senso, sentenza n. 111 del 1976).

6.- La difesa dello Stato ha sollevato eccezione di inammissibilità del conflitto, per la pendenza di un giudizio dinanzi all’autorità giurisdizionale avente ad oggetto lo stesso silenzio dell’Amministrazione.

6.1.- L’eccezione è infondata: secondo questa Corte ciò non comporta l’inammissibilità del conflitto, ove sussista il tono costituzionale (sentenza n. 260 del 2016); e tale circostanza - a prescindere dalla natura dell’atto necessario a soddisfare le pretese regionali e della competenza al riguardo del giudice comune - ricorre nella specie, venendo in questione una presunta lesione delle competenze regionali.

7.- Nel merito le censure sono fondate nei sensi e nei limiti di cui in motivazione.

8.- Ha priorità logico-giuridica la censura relativa all’art. 136 della Costituzione, per violazione del giudicato costituzionale della sentenza n. 13 del 2017.

9.- Con la sentenza citata è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 7, comma 9-sexies, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78 (Disposizioni urgenti in materia di enti territoriali. Disposizioni per garantire la continuità dei dispositivi di sicurezza e di controllo del territorio. Razionalizzazione delle spese del Servizio sanitario nazionale nonché norme in materia di rifiuti e di emissioni industriali), convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2015, n. 125, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione, con specifico riferimento alla Regione Umbria.

9.1.- La norma prevedeva: «All’articolo 1, comma 122, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 [Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)], le parole: «alla data del 30 settembre 2014» sono sostituite dalle seguenti: «alla data di entrata in vigore della presente legge».

L’art. 1, comma 122, nel testo originario, a sua volta, stabiliva: «Al finanziamento degli incentivi di cui ai commi 118 e 121 si provvede, quanto a 1 miliardo di euro per ciascuno degli anni 2015, 2016 e 2017 e a 500 milioni di euro per l’anno 2018, a valere sulla corrispondente riprogrammazione delle risorse del Fondo di rotazione di cui all’articolo 5 della legge 16 aprile 1987, n. 183, già destinate agli interventi del Piano di azione coesione, ai sensi dell’articolo 23, comma 4, della legge 12 novembre 2011, n. 183, che, dal sistema di monitoraggio del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato del Ministero dell’economia e delle finanze, risultano non ancora impegnate alla data del 30 settembre 2014».

9.2.- In particolare, si legge nella sentenza che la vicenda normativa «evidenzia la fondatezza della censura prospettata con riguardo alla violazione del principio di ragionevolezza […]». Tale irragionevolezza è stata riscontrata in particolare quanto alla tempistica delineata dalla disposizione impugnata, che ha di fatto reso impossibile alla Regione di evitare la perdita del finanziamento mediante l’impegno delle risorse stesse, assegnate per il suo programma parallelo, ai sensi del citato art. 23, comma 4, della legge 12 novembre 2011, n. 183, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. (Legge di stabilità 2012)», essendo intervenuta l’adesione al PAC della Regione Umbria solo il 22 dicembre 2014, mentre il termine per l’impegno veniva fissato al vicinissimo 1° gennaio 2015.

10.- Va premesso che il giudicato costituzionale e la relativa violazione dell’art. 136 Cost. rilevano anche in sede di conflitto di attribuzione tra enti. Peraltro, questa Corte ha dichiarato fondato il conflitto di attribuzione tra enti anche quando il fondamento legislativo dell’atto impugnato sia venuto meno a seguito di pronuncia di illegittimità costituzionale (sentenza n. 103 del 2016).

10.1.- Sin da epoca ormai risalente, la giurisprudenza costituzionale non ha mancato di sottolineare il rigoroso significato della norma contenuta nell’art. 136 Cost.: su di essa – si è detto – «poggia il contenuto pratico di tutto il sistema delle garanzie costituzionali, in quanto essa toglie immediatamente ogni efficacia alla norma illegittima», senza possibilità di «compressioni od incrinature nella sua rigida applicazione» (sentenza n. 73 del 1963, richiamata dalla sentenza n. 169 del 2015).

Quanto all’efficacia preclusiva del giudicato, la giurisprudenza costituzionale ha affermato che essa opera nei confronti del legislatore e «riguarda ogni disposizione che intenda “mantenere in piedi o […] ripristinare, sia pure indirettamente, […] gli effetti di quella struttura normativa che aveva formato oggetto della […] pronuncia di illegittimità costituzionale” (sentenza n. 72 del 2013), ovvero che “ripristini o preservi l’efficacia di una norma già dichiarata incostituzionale” (sentenza n. 350 del 2010)» (sentenza n. 5 del 2017). Si è anche precisato che il giudicato costituzionale è «violato non solo quando il legislatore emana una norma che costituisce una “mera riproduzione” (sentenze n. 73 del 2013 e n. 245 del 2012) di quella già ritenuta lesiva della Costituzione, ma anche se la nuova disciplina mira a “perseguire e raggiungere, ‘anche se indirettamente’, esiti corrispondenti” (sentenze n. 73 del 2013, n. 245 del 2012, n. 922 del 1988, n. 223 del 1983, n. 88 del 1966)» (sentenza n. 5 del 2017).

11.- Ebbene ciò è quanto, attraverso il comportamento omissivo dello Stato, si è verificato nel caso in esame, atteso che la dichiarazione di illegittimità costituzionale contenuta nella sentenza n. 13 del 2017 ha fatto venir meno il fondamento legislativo del silenzio serbato dallo Stato.

Difatti, la riconosciuta incostituzionalità del termine del 1° gennaio 2015, entro cui avrebbe dovuto essere effettuato l’impegno dei fondi relativi agli interventi previsti dal programma parallelo della Regione Umbria, comporta il venir meno delle condizioni che giustificano l’automatico incameramento delle risorse da parte dello Stato, a seguito appunto della mancanza di tale adempimento.

11.1.- Ne consegue che il silenzio serbato dall’Amministrazione statale sulla domanda di restituzione di tali risorse, ripristinando di fatto l’efficacia della norma censurata, è privo di giustificazione e quindi illegittimo per violazione del giudicato costituzionale ai sensi dell’art. 136 Cost.

12.- È anche fondata l’ulteriore censura di lesione del principio di leale collaborazione, in riferimento agli artt. 5 e 117 Cost.

Il principio, cui deve essere sempre improntato il comportamento di Stato e Regioni, è particolarmente significativo nella materia in questione, la cui complessità finanziaria e gestionale non può prescindere dal reciproco e costante impegno per un fattivo dialogo.

12.1.- Non risponde a tali caratteri il comportamento tenuto dallo Stato, che, pur consapevole degli effetti della sentenza n. 13 del 2017 - come dimostra la nota del Ministro per la coesione territoriale e il Mezzogiorno 16 marzo 2017, prot. n. 590 - non dà seguito ad alcuna concreta iniziativa per venir incontro alle esigenze prospettate dalla Regione.

13.- Tutto ciò ridonda, sul piano sostanziale, anche sulla potestà legislativa concorrente in materia di coordinamento della finanza pubblica e sull’autonomia finanziaria della Regione Umbria, così violando gli artt. 117, terzo comma, e 119, primo e secondo comma, Cost. Il comportamento omissivo dello Stato e la mancata ridefinizione dei rapporti finanziari in questione si sono tradotti in una riduzione delle disponibilità finanziarie della Regione Umbria e quindi in un danno per le sue finanze.

14.- L’esame dell’ulteriore profilo, relativo all’immediato ripristino dell’importo di euro 18.148.556,00, richiede l’adeguamento del quadro normativo, anche alla luce della situazione di fatto venutasi a creare a seguito della sentenza n. 13 del 2017.

14.1.- Quanto alla Regione, se è vero che il mancato impegno non le è più addebitabile, è anche vero che comunque tale adempimento rimane condizione ineliminabile dell’assegnazione del finanziamento, cosicché non può prescindersi da una nuova disciplina che, nel confermare la partecipazione della Regione Umbria ai programmi paralleli, con la conseguente assegnazione delle disponibilità finanziarie, fissi nuovi termini per i relativi atti di impegno.

Quanto allo Stato, è da presumere che le somme incamerate siano state destinate a copertura di altri interventi, ai sensi del citato art. 1, comma 122, della legge n. 190 del 2014, con la conseguenza che occorre assicurare con le modalità di legge adeguate disponibilità finanziarie nel Fondo di rotazione, ed eventualmente integrarle per garantire il finanziamento del programma parallelo della Regione Umbria, nella misura originariamente stabilita.

14.2.- Ne risulta pertanto la necessità di disegnare ex novo il quadro normativo, procedere quindi alla sua concreta attuazione e effettuare le dovute verifiche circa il concorso di tutte le condizioni di legge.

15.- La soluzione fin qui delineata non costituisce, peraltro, l’unica strada perseguibile per soddisfare le giuste pretese regionali.

Come la stessa Regione ha ipotizzato (documentazione depositata il 21 dicembre 2018), non può escludersi che le parti possano convenire su un accordo transattivo, in considerazione della complessità del recupero del programma parallelo, anche a causa del tempo trascorso.

16.- Tutto ciò considerato, si deve ritenere, in merito al ripristino delle disponibilità finanziarie recuperate dallo Stato, come - ribadito che la sentenza n. 13 del 2017 ha efficacia di certezza in ordine all’an debeatur - rimangano da porre in essere i rispettivi adempimenti, salva la possibilità di un accordo transattivo.

17.- In conclusione, va dichiarato che non spettava allo Stato, e per esso all’Agenzia per la coesione territoriale, al Ministero dell’economia e delle finanze - Ragioneria generale dello Stato - Ispettorato generale per i rapporti finanziari con l’Unione europea (IGRUE), e al Dipartimento per le politiche di coesione, serbare il silenzio sulla nota della Regione Umbria 13 febbraio 2017, prot. n. 33358-2017, omettendo così di avviare e concludere in tempi ragionevoli, e in accordo con la controparte, il procedimento mirante a quantificare le spettanze regionali e le modalità della loro soddisfazione.

18.- Restano assorbite le ulteriori censure.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara che non spettava allo Stato, e per esso all’Agenzia per la coesione territoriale, al Ministero dell’economia e delle finanze - Ragioneria generale dello Stato - Ispettorato generale per i rapporti finanziari con l’Unione europea (IGRUE), e al Dipartimento per le politiche di coesione, serbare il silenzio sulla nota della Regione Umbria del 13 febbraio 2017, prot. n. 33358-2017.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 gennaio 2019.

F.to:

Giorgio LATTANZI, Presidente

Giancarlo CORAGGIO, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 20 marzo 2019.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto MILANA

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472