SENTENZA N. 79
ANNO 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Giorgio LATTANZI; Giudici : Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 3, 4, 5, 6 e 8 del decreto legislativo 28 settembre 2012, n. 178, recante «Riorganizzazione dell’Associazione italiana della Croce Rossa (C.R.I.), a norma dell’articolo 2 della legge 4 novembre 2010, n. 183», promosso dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione terza, nel procedimento vertente tra Pasquale Mancuso e altri e il Ministero della difesa e altri, con ordinanza del 19 luglio 2017, iscritta al n. 137 del registro ordinanze 2017 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell’anno 2017.
Visti l’atto di costituzione di Pasquale Mancuso e altri, l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri, nonché gli atti di intervento ad adiuvandum di Massimo Cipullo e altri (ivi compreso Fabrizio Spagnuolo), di David Ambrosini e altri e di Luigi Siciliano e altri, questi ultimi due fuori termine;
udito nell’udienza pubblica del 5 marzo 2019 il Giudice relatore Augusto Antonio Barbera;
uditi gli avvocati Paolo Leone per Massimo Cipullo e altri, Salvatore Sfrecola per Fabrizio Spagnuolo, Vincenzo Gigante per Luigi Siciliano e altri, Francesco Foggia per Pasquale Mancuso e altri e gli avvocati dello Stato Enrico De Giovanni e Leonello Mariani per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 19 luglio 2017 (reg. ord. n. 137 del 2017), il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione terza, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 3, 4 e 8, nonché, anche autonomamente, degli artt. 5 e 6 del decreto legislativo 28 settembre 2012, n. 178, recante «Riorganizzazione dell’Associazione italiana della Croce Rossa (C.R.I.), a norma dell’articolo 2 della legge 4 novembre 2010, n. 183», per violazione degli artt. 1 e 76 della Costituzione, in relazione all’art. 2 della legge 4 novembre 2010, n. 183 (Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l’impiego, di incentivi all’occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro), nonché per violazione degli artt. 3, 97 e 117 (recte: primo comma), Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmato a Parigi il 20 marzo 1952 e ratificato con legge 4 agosto 1955, n. 848.
2.– Il giudice rimettente premette, in narrativa, che con due ricorsi successivamente riuniti (n. 8540 e n. 8541 del 2016), entrambi notificati il 21 luglio 2016, numerosi appartenenti al Corpo militare della Croce Rossa Italiana (da ora in poi: CRI) hanno impugnato dinanzi al TAR Lazio il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 25 marzo 2016 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, serie generale, n. 155 del 5 luglio 2016), recante «Criteri e modalità di equiparazione fra i livelli di inquadramento del personale già appartenente al corpo militare e quelli previsti dal contratto collettivo relativo al personale civile con contratto a tempo determinato della associazione italiana della Croce Rossa», adottato nell’ambito della trasformazione della CRI da ente pubblico non economico ad associazione dotata di personalità giuridica di diritto privato, la cui entrata in vigore ha rappresentato, ai sensi dell’art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 178 del 2012, il dies a quo del collocamento in congedo del personale in questione. Nel giudizio principale sono stati altresì impugnati «“ogni atto presupposto […] o comunque collegato”, ivi compresi i pareri del Ministero dell’economia (nota n. 7124 del 21 settembre 2015), del Ministero della difesa (nota n. 36224 del 23 settembre 2015) e della Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della funzione pubblica (note n. 54978 del 30 settembre 2015; note DICA 13536 del 23 giugno 2016 e 11614 del 31 maggio 2016)», nonché i conseguenti provvedimenti individuali di congedo, i cui estremi, tuttavia, il rimettente ammette essere «ancora non conosciuti».
3.– I ricorrenti hanno contestato l’ultima fase della trasformazione della CRI, avviata con la legge n. 183 del 2010 e portata a compimento dal d.lgs. n. 178 del 2012 e dai successivi decreti attuativi, tra cui i provvedimenti di determinazione dei criteri di inquadramento del personale militare nel ruolo civile e di congedo del medesimo personale dal Corpo militare. I ricorrenti hanno prospettato, con riferimento a detti provvedimenti, ritenuti direttamente incidenti sul loro trattamento giuridico ed economico, varie censure di violazione di legge ed eccesso di potere, proponendo altresì eccezioni di illegittimità costituzionale del d.lgs. n. 178 del 2012, in accoglimento delle quali il giudice a quo ha sollevato le questioni dianzi indicate.
4.– In punto di rilevanza, il Collegio rimettente ritiene che il d.P.C.m. 25 marzo 2016, così come i provvedimenti presupposti e collegati, impugnati nel giudizio a quo, siano stati adottati in modo conforme all’iter procedurale tracciato dal d.lgs. n. 178 del 2012, con la conseguenza che l’eventuale declaratoria di illegittimità del suddetto decreto legislativo condurrebbe, inevitabilmente, all’accoglimento del ricorso nel giudizio principale, mentre, al rigetto delle medesime questioni non potrebbe che seguire quello delle domande dei ricorrenti.
5.– In punto di non manifesta infondatezza, il rimettente si sofferma anzitutto sulla denunciata violazione dell’art. 76 Cost. da parte del d.lgs. n. 178 del 2012, osservando che l’art. 2, comma 1, della legge n. 183 del 2010 avrebbe delegato il Governo «ad adottare [...] uno o più decreti legislativi, finalizzati alla riorganizzazione degli enti, istituti e società vigilati dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dal Ministero della salute, nonché alla ridefinizione del rapporto di vigilanza dei predetti Ministeri sugli stessi enti, istituti e società, ferme restando [...] le funzioni loro attribuite», secondo principi e criteri direttivi così riassunti dallo stesso rimettente: a) semplificazione e snellimento dell’organizzazione e della struttura amministrativa, in base ai principi di efficacia, efficienza ed economicità dell’attività amministrativa, «ferme restando le specifiche disposizioni vigenti per il […] personale in servizio»; b) razionalizzazione e ottimizzazione delle spese; c) ridefinizione del rapporto di vigilanza, in base a indirizzi e direttive delle amministrazioni vigilanti; d) organizzazione del casellario centrale infortuni; e) obbligo degli enti e istituti vigilati di adeguare i propri statuti alle disposizioni dei decreti legislativi emanati in attuazione della medesima legge delega.
5.1.– Il giudice a quo sottolinea come, pur «a fronte di tali disposizioni – che non sembrano suggerire interventi totalmente innovativi, né certamente soppressivi, degli enti da riorganizzare – il decreto legislativo n. 178 del 2012» operi, invece, «un’integrale rinnovazione strutturale per quanto riguarda la Croce Rossa Italiana».
Tale riorganizzazione comporta, in base all’art. 2 del medesimo d.lgs., che la CRI, dal 1° gennaio, assuma la denominazione di «Ente strumentale alla Croce Rossa italiana», mantenendo una personalità giuridica di diritto pubblico e, in virtù dell’art. 8 del d.lgs. n. 178 del 2012, che, «a far data dal 1° gennaio 2018» detto Ente strumentale sia soppresso e posto in liquidazione, «con subentro in tutti i rapporti attivi e passivi di una neo-istituita “Associazione della Croce Rossa italiana”, promossa dai soci della C.R.I. e dotata di personalità giuridica di diritto privato».
Tale Associazione privata opera come movimento volontario di soccorso, alla stregua di una onlus, ed è destinataria di una peculiare disciplina per quanto riguarda il Corpo militare ausiliario delle Forze armate. L’art. 5 del d.lgs. n. 178 del 2012 riduce, infatti, il Corpo militare della CRI da oltre 800 a 300 unità, distinguendo, da un lato, il Corpo militare volontario e, dall’altro, il preesistente Corpo delle infermiere volontarie della Croce Rossa, caratterizzati entrambi dalla presenza di personale esclusivamente volontario, sottratto ai codici penali militari e alle disposizioni in materia militare, fatta eccezione per la categoria del congedo.
5.2.– In base allo stesso art. 5, comma 5, il personale del pregresso Corpo militare della CRI, costituito da unità già in servizio continuativo per effetto di provvedimenti di assegnazione a tempo indeterminato «transita […] in un ruolo ad esaurimento nell’ambito del personale civile della CRI e successivamente dell’Ente ed è collocato in congedo, nonché iscritto a domanda nel ruolo» del Corpo militare volontario. «Resta ferma la non liquidazione del trattamento di fine servizio, in quanto il transito […] interviene senza soluzione di continuità nel rapporto di lavoro con la CRI ovvero con l’Ente. Al predetto personale continua ad essere corrisposta la differenza tra il trattamento economico in godimento, limitatamente a quello fondamentale ed accessorio avente natura fissa e continuativa, e il trattamento del corrispondente personale della CRI, come assegno ad personam riassorbibile in caso di adeguamenti retributivi […]».
5.3.– Il successivo art. 6 del decreto legislativo censurato prevede, al comma 1, la fissazione di «criteri e […] modalità di equiparazione fra i livelli di inquadramento previsti dal contratto collettivo relativo al personale civile con contratto a tempo indeterminato della CRI e quelli del personale di cui all’art. 5 già appartenente al Corpo militare, nonché tra i livelli delle due predette categorie di personale e quelli previsti dai contratti collettivi dei diversi comparti della Pubblica Amministrazione», previa informativa alle organizzazioni sindacali; al comma 3 prevede, inoltre, per il personale «non impiegato nelle convenzioni ed eccedente l’organico dell’Associazione», l’applicazione delle «disposizioni vigenti sugli strumenti utilizzabili per la gestione di eccedenze di personale nelle pubbliche amministrazioni», tramite ricorso a procedure di mobilità, «anche con riferimento ad amministrazioni con sede in province diverse rispetto a quella di impiego».
5.4.– Secondo il giudice rimettente appare «evidente il profondo mutamento di status e di prospettive del personale militare, costretto ad una scelta obbligata, se impiegato nella precedente attività […], in quanto l’unica possibile permanenza nel ridotto ruolo militare è quella dell’opzione per un’attività volontaria, da svolgere a titolo gratuito». Quanto «all’inevitabile […] passaggio al ruolo civile, non vi è inoltre garanzia di progressione economica commisurata al grado rivestito (essendo previsto solo un assegno “ad personam”, destinato al riassorbimento nell’ambito del successivo sviluppo di carriera nel nuovo ruolo […])» e, ugualmente, mancano garanzie di conservazione delle funzioni in precedenza attribuite.
5.5.– Tali aspetti vengono ritenuti contrari a quanto previsto dall’art. 2, comma 1, lettera a), della legge delega n. 183 del 2010. Non sarebbe infatti riconducibile alla volontà del legislatore delegante, più che la disposta privatizzazione della CRI, l’assenza di concrete garanzie di continuità rispetto all’assolvimento di compiti istituzionali tradizionalmente affidati alla stessa Croce Rossa e fatti espressamente salvi dalla legge di delega, proprio ai sensi del richiamato art. 2, comma 1.
5.6.– Secondo il rimettente, tale previsione, riferendosi ad una mera “riorganizzazione” di determinati enti, non potrebbe estendersi ad interventi di tipo soppressivo come quelli che, nel caso di specie, hanno invece portato alla liquidazione ed estinzione dell’ente pubblico della CRI, nonché all’istituzione di una nuova entità in forma associativa e di natura privata, dai compiti generalmente analoghi, senza, però, alcuna garanzia di effettiva continuità funzionale. La «smobilitazione delle risorse e di gran parte del personale» comprometterebbe – a detta del rimettente – la prosecuzione delle funzioni della CRI.
5.7.– Il TAR Lazio ritiene che il vizio dell’eccesso di delega riguardi l’intero impianto del d.lgs. n. 178 del 2012 (artt. da 1 a 6 e 8), ad eccezione dell’art. 7, poiché è sostanzialmente nella sua interezza che tale atto normativo non appare riconducibile alla volontà del legislatore delegante, i cui obiettivi si limiterebbero al mero riordino del rapporto di vigilanza degli enti sottoposti al controllo dei ministeri sopra menzionati. A dimostrazione di ciò, il rimettente richiama alcune riorganizzazioni avvenute, sempre in forza del medesimo art. 2 della legge n. 183 del 2010, per altri e differenti enti ed istituti (tra cui, gli istituti zooprofilattici sperimentali, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali e la Lega italiana per la lotta contro i tumori), nonché alcuni casi di privatizzazione per legge di Corpi militari (Agenti di custodia e Polizia di Stato), attraverso cui questi hanno sì mutato la propria natura giuridica, ma senza depotenziare o disperdere il personale e le relative strutture.
5.8.– A tale riguardo, il giudice a quo ritiene di non poco rilievo come la legge delega abbia predisposto l’assegnazione delle risorse finanziarie. Queste sono previste a carico del bilancio dello Stato, sulla base di criteri la cui determinazione è demandata ai Ministri della salute, dell’economia e delle finanze, e della difesa, senza il riferimento, però, a precisi parametri che garantiscano, tramite la copertura finanziaria, l’effettivo espletamento delle funzioni riconducibili tanto all’Ente strumentale, quanto alla nuova Associazione privata della CRI. In tale ottica – secondo il rimettente – «appare ravvisabile una sostanziale, benché parziale, sub-delega della funzione normativa affidata al Governo, in quanto risulta che quest’ultimo abbia demandato a scelte ministeriali aspetti essenziali della nuova disciplina» (viene richiamata la sentenza n. 104 del 2017). È comunque ribadito come nessuna delle disposizioni in materia di assegnazione delle risorse sia ritenuta sufficiente e adeguata a far assolvere alla neoistituita Associazione le funzioni e le attività di interesse pubblico, affidatele anche dall’art. 1 del d.lgs. n. 178 del 2012.
5.9.– Considerazioni analoghe vengono rivolte anche autonomamente agli artt. 5 e 6 del d.lgs. n. 178 del 2012, rispetto al trattamento del personale militare, le cui modalità di smilitarizzazione e ridefinizione del trattamento economico risultano stabilite – senza alcuna previsione dettata dal legislatore delegante – in implicita deroga a puntuali disposizioni del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell’ordinamento militare) e, in particolare, agli artt. 622, 1757, 1759, 1760 e 1799. L’istituzione di un contingente militare ridotto e non retribuito, nonché la mobilità del restante personale passato al ruolo civile – senza alcun preciso riferimento alla professionalità acquisita nel settore di appartenenza – appaiono al giudice a quo «apertamente confliggenti con i principi e criteri direttivi, di cui all’art. 2, comma 1, lettera a) della legge delega, che lasciava “ferme [...] le specifiche disposizioni vigenti per il [...] personale, in servizio alla data di entrata in vigore della presente legge”».
5.10.– I citati artt. 5 e 6, così come gli artt. da 1 a 4 e 8 del d.lgs. n. 178 del 2012 sono, da ultimo, denunciati come contrari ad altre disposizioni costituzionali e, precisamente: all’art. 1 Cost., «per adozione, da parte del Governo, di iniziative di rilievo politico, non riconducibili al legislatore delegante»; agli artt. 3 e 97 Cost., «per l’irrazionalità di scelte, destinate ad incidere su servizi di assoluta valenza per la salute, l’incolumità e l’ordine pubblico, senza adeguato bilanciamento fra le esigenze sottostanti a tali servizi e le contrapposte ragioni di contenimento della spesa»; all’art. 117, primo comma, Cost., in riferimento all’art. 1, paragrafo 1, Prot. addiz. CEDU, che garantisce «i beni delle persone fisiche e giuridiche in una accezione, già ricondotta dalla giurisprudenza alla titolarità di qualsiasi diritto, o di mero interesse di valenza patrimoniale, rientrante fra i parametri di costituzionalità riconducibili […] al citato art. 117, anche per quanto attiene alle modalità di tutela dei lavoratori, con riferimento agli aspetti patrimoniali del rapporto di lavoro» (viene citata la sentenza n. 303 del 2011).
6.– Con atto depositato il 30 ottobre 2017, si sono costituiti Pasquale Mancuso e altri diciotto ricorrenti nel giudizio principale.
6.1.– In pari data, è stato depositato atto di intervento ad adiuvandum, dal contenuto pressoché identico, sottoscritto da otto ricorrenti nel giudizio a quo, nonché da Massimo Cipullo e altre ventiquattro persone, estranei ad esso.
Questi ultimi affermano di essere stati dipendenti a tempo indeterminato della CRI, prima, e dell’Ente strumentale alla CRI, poi, e che per effetto delle norme censurate sono cessati dal proprio impiego e transitati in mobilità presso altre amministrazioni dello Stato. Vantano, in quest’accezione, un interesse qualificato per partecipare al giudizio di legittimità instaurato dinanzi al giudice costituzionale.
6.2.– In entrambi questi atti, le parti e gli intervenienti «insistono per la conservazione del proprio status di militari in servizio attivo, nella pienezza dei diritti e delle posizioni sostanziali di carattere giuridico, economico e professionale collegate a tale tipologia di impiego, come disciplinate dal Codice dell’Ordinamento militare» e sostengono il contrasto del d.lgs. n. 178 del 2012 con i principi e le norme costituzionali. Oltre a riproporre le motivazioni già esposte nell’ordinanza di rimessione, aggiungono, poi, diverse e nuove argomentazioni a favore dell’incostituzionalità della norma censurata.
6.3.– Quanto alla violazione dell’art. 76 Cost., con riferimento alla trasformazione dello statuto e della natura giuridica della CRI, i ricorrenti ritengono che dai lavori preparatori della legge delega n. 183 del 2010 si evinca l’assenza della volontà del Parlamento di disporre la cessazione dell’ente pubblico della Croce Rossa; e che l’operazione posta in essere dal Governo non possa ritenersi un «coerente sviluppo ed un completamento delle scelte espresse dal legislatore delegante», né tantomeno che «le scelte del legislatore delegato siano coerenti con gli indirizzi generali della delega e compatibili con la ratio di questa» (sono richiamate le sentenze n. 194 del 2015 e n. 182 del 2014). Le privatizzazioni avvenute sarebbero state «specificamente previste in testi di legge che hanno rubricato il relativo disegno con la chiara operazione di modificazione della natura giuridica degli enti coinvolti» (vengono indicati il caso del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333, recante «Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica», relativo alla trasformazione in società per azioni di IRI, ENI, INA, ENEL, Ferrovie dello Stato; e quello della legge 8 agosto 2002, n. 178, recante «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 8 luglio 2002, n. 138, recante interventi urgenti in materia tributaria, di privatizzazioni, di contenimento della spesa farmaceutica e per il sostegno dell’economia anche nelle aree svantaggiate», attinente alla trasformazione dell’ANAS in spa). In tali casi – affermano i ricorrenti – questa Corte avrebbe «confermato la legittimità della decisione di sopprimere l’ente, proprio in quanto tale obbiettivo era specificamente previsto e fissato dal legislatore delegante» (viene citata la sentenza n. 237 del 2013).
6.4.– Sempre con riferimento alla violazione dell’art. 76 Cost., gli atti di costituzione e di intervento sottolineano, inoltre, come l’art. 7, comma 1, del d.lgs. n. 178 del 2012, prevedendo che «il Ministro delle salute e, per quanto di competenza, il Ministro della difesa, adottano atti di indirizzo ed esercitano la funzione di vigilanza sulla CRI e, successivamente sull’Ente», ometta qualsiasi riferimento ad ogni forma di vigilanza sulla neoistituita Associazione, benché uno degli scopi essenziali della delega fosse proprio quello di rafforzare la sfera di controllo dello Stato sull’organizzazione e sulla gestione degli enti “riformati” ai sensi dell’art. 2, lettera c), della legge n. 183 del 2010. Parimenti, evocano il contrasto del d.lgs. n. 178 del 2012 con le norme del d.lgs. n. 66 del 2010 (d’ora in poi, anche: cod. ordinamento militare) e con le Convenzioni internazionali di Ginevra, ratificate e rese esecutive con legge 27 ottobre 1951, n. 1739, e, segnatamente, con la Convenzione per il miglioramento della sorte dei feriti e dei malati delle Forze armate in campagna.
In particolare, gli artt. 5 e 6 del censurato decreto legislativo, non assoggettando il Corpo militare volontario della neoistituita Associazione della Croce Rossa italiana alle disposizioni del cod. ordinamento militare, derogherebbero agli artt. 24 e 26 della citata Convenzione, i quali prevedono che il personale delle società nazionali della Croce Rossa debba invece essere sottoposto a codici e regolamenti militari per l’espletamento dei peculiari compiti da svolgere in contesti di crisi internazionale.
6.5.– Le parti e gli intervenienti denunciano, poi, con particolare riferimento alla procedura di mobilità che ha interessato il personale militare della CRI, la violazione dei principi di ragionevolezza e di buon andamento della pubblica amministrazione (artt. 3 e 97 Cost.).
Le modifiche disposte dalla norma censurata non rappresenterebbero l’esito del tentativo di trovare, per il personale coinvolto, un impiego effettivamente in linea con la professionalità maturata nel settore delle emergenze, del soccorso e dell’ausilio alle Forze armate.
A riprova di ciò, viene richiamato il contenuto del d.P.C.m. 26 marzo 2016, oggetto del giudizio principale, il quale avrebbe indicato in maniera del tutto tautologica il criterio per disporre l’equiparazione del personale della CRI ai livelli e alle qualifiche proprie della contrattazione collettiva di comparto.
6.6.– Gli atti di costituzione e intervento evocano, infine, la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in riferimento all’art. 1 Prot. addiz. CEDU. La denuncia si concentra sul transito disposto per il personale del Corpo militare in ruoli e funzioni propri del personale civile, senza la previsione di precisi criteri di equipollenza volti ad evitare disparità di trattamento.
Il d.lgs. n. 178 del 2012, e in particolare gli artt. 5 e 6, tramite il collocamento in congedo del personale militare e attraverso il processo di privatizzazione della CRI, avrebbero determinato un’ingerenza nei diritti concernenti il trattamento giuridico ed economico dei lavoratori coinvolti dalla riforma, che ricadrebbero nella nozione di «beni», tutelati dall’art. 1 Prot. addiz. CEDU, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (sono citate, con riguardo ai crediti salariali nel pubblico impiego, Corte EDU, sentenze 7 maggio 2013, Koufaki e Adedy contro Grecia, 8 novembre 2005, Ketchko contro Ucraina; con riguardo a prestazioni previdenziali o assistenziali, Corte EDU, grande camera, sentenza 12 aprile 2006, Stec e altri contro Regno Unito, Corte EDU, decisione 30 settembre 2010, Hasani contro Croazia). In tal senso, la norma sovranazionale viene reputata lesa con riguardo all’ingerenza dello Stato nel godimento da parte del personale militare della CRI dei diritti a carattere patrimoniale e non patrimoniale, comunque di rilievo costituzionale.
7.– In data 12 dicembre 2017 hanno depositato, fuori termine, atto di intervento ad adiunvandum David Ambrosini e altre centoquindici persone.
8.– Con atto depositato il 31 ottobre 2017, è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni vengano dichiarate inammissibili o infondate.
8.1.– In merito all’ipotizzato eccesso di delega, che sarebbe limitata alla riorganizzazione e non alla soppressione degli enti vigilati, l’interveniente sostiene che il legislatore delegato abbia esercitato i propri poteri entro i limiti posti dal Parlamento.
Secondo l’Avvocatura generale dello Stato, per comprendere la riforma attuata dal d.lgs. n. 178 del 2012 occorre muovere da una premessa, non richiamata dalle controparti. La CRI versa da decenni in una situazione di dissesto finanziario, che l’ha costretta ad un lungo periodo di commissariamento. Il legislatore delegato, nel provvedere a una riorganizzazione dell’ente, non poteva non considerare quest’aspetto. Più specificamente, il Governo ha dovuto calare il nuovo assetto associativo della CRI in un contesto normativo e sociale radicalmente mutato rispetto a quello in cui nacque. Ciò, peraltro, non contrasta con la giurisprudenza costituzionale che, in più occasioni, ha invitato ad una lettura sistematica della legge di delegazione, proprio «alla luce del contesto normativo nel quale essa si inserisce, nonché della ratio e delle finalità che la ispirano» (è richiamata la sentenza n. 104 del 2017). Lo scopo perseguito è stato quello di adeguare la struttura della CRI al rispetto dei principi di efficienza e razionalità che sono a presidio dell’azione amministrativa, incaricando il Governo di individuare lo strumento organizzativo migliore per compiere tale riforma. Condivisa anche dal Parlamento l’inadeguatezza della veste giuridica dell’ente pubblico non economico, il legislatore delegato si è quindi orientato verso un modello organizzativo di tipo privatistico, peraltro già largamente utilizzato per l’assolvimento di funzioni pubblicistiche. Funzioni, queste, che – secondo il Presidente del Consiglio dei ministri – non sono messe in discussione dal legislatore delegato, stante il carattere prevalente della CRI, di associazione di volontari.
8.2.– L’Avvocatura generale contesta, altresì, il fatto che il d.lgs. n. 178 del 2012 non offrirebbe garanzie di continuità per l’assolvimento delle funzioni tradizionalmente affidate alla Croce Rossa.
Il trasferimento alla neoistituita Associazione della Croce Rossa italiana di tutti i beni mobili e immobili in proprietà del soppresso ente; così come il subentro di essa in tutti i rapporti attivi e passivi pendenti; o, ancora, i contributi versati alla stessa da parte dello Stato, in conseguenza della avvenuta trasformazione, sono fattori che – secondo l’Avvocatura – dovrebbero consentire alla nuova Associazione, benché privatizzata, di assolvere quelle attribuzioni di rilievo pubblico che, da sempre, caratterizzano la sua attività. Numerosi eventi smentirebbero, peraltro, quanto affermato dal giudice a quo e dai ricorrenti: la nuova Associazione privata, in più occasioni (terremoti del 2016, valanga di Pescara del 2017, terremoto di Ischia del 2017), avrebbe svolto tali funzioni in modo più che adeguato, a riprova «dell’assoluta ragionevolezza delle scelte operate» dal legislatore delegato.
8.3.– L’Avvocatura generale contesta altresì le affermazioni del TAR Lazio e della difesa dei ricorrenti, con riferimento all’ipotizzato eccesso di delega e alla asserita lesione degli artt. 3 e 117 Cost. (in riferimento all’art. 1 Prot. addiz. CEDU), per supposta reformatio in peius del trattamento giuridico ed economico del personale appartenente al Corpo militare della Croce Rossa.
Quanto alla modalità di tutela dei lavoratori, la difesa dello Stato evidenzia il rispetto dei principi e dei criteri direttivi contenuti nella legge n. 183 del 2010. L’art. 2, comma 1, lettere a) e b), di tale legge ha previsto la «riorganizzazione» degli enti e «la razionalizzazione e l’ottimizzazione delle spese e dei costi di funzionamento». Tra questi obiettivi, rientrerebbe necessariamente anche la riorganizzazione del personale, essendo «impensabile che si possa procedere ad una nuova configurazione o assetto di un soggetto, e non importa se pubblico o privato, senza che il personale dipendente sia coinvolto in un simile meccanismo». L’Avvocatura evidenzia comunque che «la Croce Rossa Italiana ha sempre previsto, nella propria compagine associativa, la presenza di due Corpi ausiliari alle Forze armate, denominati, rispettivamente, Corpo delle infermiere volontarie e Corpo militare. […] Sebbene assoggettato al codice militare, il personale del Corpo militare non ha alcun legame di appartenenza con le Forze armate e stante la prevista e delegata riorganizzazione dell’ente, la riduzione dell’organico del personale militare in servizio attivo ben può essere considerato rientrante appieno nell’esercizio di quei poteri che ben potevano essere esercitati anche in mancanza di una specifica previsione della legge di delegazione». In questo senso, viene precisato, inoltre, che la dotazione organica del personale del Corpo militare della CRI viene demandata dal cod. ordinamento militare (art. 1627, comma 4) ad uno strumento amministrativo, un decreto del Ministro della difesa adottato d’intesa con il Ministro dell’economia e delle finanze, sulla base di una relazione fornita dal Presidente dell’Associazione della CRI. Sarebbe perciò evidente come la possibilità di razionalizzare tale categoria di personale, non appartenente alle Forze armate («per il quale invece, ai sensi dell’articolo 792 del Codice dell’ordinamento militare, opera una riserva assoluta di legge»), prescinda da una preventiva disposizione del legislatore delegante.
Nell’ottica di una razionalizzazione delle spese, poi, il Governo ha previsto una sostanziale equiparazione del Corpo militare al Corpo delle infermiere volontarie, denominandolo Corpo militare volontario e disponendo la sopravvivenza degli appartenenti a questo organismo quale categoria in congedo che presta servizio volontariamente e gratuitamente. Ciò non innoverebbe particolarmente la realtà del Corpo militare, considerando che tale categoria di personale già esiste nella posizione del “congedo” e costituisce il bacino da cui la CRI da sempre attinge per i cosiddetti richiami temporanei in servizio (artt. 1668 e seguenti del d.lgs. n. 66 del 2010).
8.4.– Quanto alla pretesa deroga ad alcune norme del cod. ordinamento militare, l’Avvocatura generale ritiene che il giudice a quo abbia ricostruito erroneamente la vicenda relativa alla perdita dello status di militare da parte del personale del Corpo militare volontario in congedo. Con la trasformazione del Corpo militare in Corpo militare volontario, ai sensi degli artt. 5 e 6 del d.lgs. n. 178 del 2012, il personale in congedo, «all’atto del transito nei ruoli del personale civile dell’Associazione o di altra amministrazione», non è stato privato del grado che, per ciascun militare, al di fuori di specifici casi (di cui all’art. 622 del d.lgs. n. 66 del 2010) estranei a quello in esame, ha carattere permanente. Detto personale, nonostante il trasferimento «in altre amministrazioni», conserverebbe la qualità di militare in congedo e, ai sensi dell’art. 1668 cod. ordinamento militare, potrebbe sempre essere richiamato in servizio, conservando il grado rivestito all’atto del collocamento in congedo e la possibilità di avanzamento a gradi superiori. L’unica modifica derivante dalla riforma in esame sarebbe quindi attinente al rapporto di servizio attivo, che perderebbe il connotato “militare”, ma senza alcuna ricaduta sullo status del personale coinvolto. La censura sarebbe immotivata, secondo l’Avvocatura, anche rispetto al trattamento economico. Al personale del Corpo militare dipendente della CRI compete il trattamento di cui all’art. 1757, comma 3, cod. ordinamento militare, «ovvero quello determinato dalla presidenza dell’Associazione in analogia con quanto previsto per il personale militare e delle amministrazioni statali». La disciplina di cui al d.lgs. n. 178 del 2012 non avrebbe disatteso tale disposizione, ma, anzi, l’avrebbe confermata prevedendo, indipendentemente dal trattamento economico dell’amministrazione di destinazione, che il personale militare oggetto delle procedure di mobilità mantenesse il trattamento in godimento mediante un assegno ad personam, riassorbibile solo in caso di adeguamenti retributivi. Contrariamente a quanto affermato nell’ordinanza di rimessione, nessun dipendente militare della CRI, al pari del personale civile, avrebbe subito nocumento sul piano economico o sarebbe costretto a fornire prestazioni professionali da lavoro dipendente a titolo gratuito.
Quanto alla lamentata assenza di «garanzia di progressione economica commisurata al grado», l’Avvocatura precisa che, alla data di adozione del d.lgs. n. 178 del 2012, la progressione economica era bloccata dall’art. 9, commi 1 e 21, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122. In corrispondenza di tale blocco delle classi e degli scatti stipendiali, il legislatore delegato non avrebbe certamente potuto adottare misure maggiormente favorevoli per il personale della CRI, dovendo altresì considerarsi che non esiste, secondo la giurisprudenza amministrativa, un «vero e proprio obbligo in capo alla PA di avviare procedure d’avanzamento, così come non esiste – conseguentemente – un diritto soggettivo del dipendente alla valutazione atteso che “le promozioni dei pubblici dipendenti sono disposte nel prevalente interesse dell’Amministrazione alla migliore utilizzazione del personale e alla più razionale organizzazione dei suoi uffici”».
8.5.– Quanto all’asserita mancanza di garanzie rispetto alle funzioni svolte precedentemente dal personale coinvolto dalla riforma, in riferimento ai criteri di equipollenza di cui all’art. 6 del d.lgs. n. 178 del 2012, l’Avvocatura generale evidenzia che le tabelle di equiparazione tengono conto dei dati oggettivi riferibili a ciascun dipendente militare. Tra questi, la suddivisione in gradi risponde ad un principio immanente ad ogni organizzazione militarmente ordinata, in quanto funzionale alla determinazione dell’ordine gerarchico, pur non individuando ambiti funzionali precisi assimilabili a quelli previsti per il personale civile. Non esisterebbe – secondo l’Avvocatura – una declinazione normativa o regolamentare delle mansioni che competono a ciascun grado o a ciascuna categoria, il che non renderebbe possibile nemmeno astrattamente l’individuazione di ambiti funzionali omogenei per il personale militare e civile dell’Associazione. Inoltre, nel corso dell’adozione del d.P.C.m. 26 marzo 2016 si è accertata l’impossibilità di prendere in considerazione, quale criterio per l’equiparazione, le mansioni precedentemente svolte dal personale oggetto di riorganizzazione, a causa di una estrema diversità e disomogeneità dei servizi ai quali, nell’ambito delle numerose attività riconducibili alla Croce Rossa, vengono adibiti militari di pari grado. Ciò premesso, l’Avvocatura ricorda comunque che nell’ordinamento militare lo svolgimento di mansioni diverse o superiori rispetto a quelle previste per il grado rivestito non comporta né il passaggio, né l’automatica progressione al grado superiore, conseguendone che lo svolgimento di mansioni diverse da quelle astrattamente imposte ad un dato grado non assumerebbe alcuna rilevanza ai fini del collocamento effettuato al momento del transito.
9.– Con memoria depositata il 7 febbraio 2019, i ricorrenti del giudizio principale, riproponendo in parte argomenti già esposti, hanno inteso replicare all’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri, insistendo per la fondatezza delle questioni sollevate.
9.1.– Ad avviso delle parti, la consapevolezza del Parlamento circa la situazione di dissesto economico-finanziario della CRI non giustificherebbe l’intervento disposto dal Governo, bensì avvalorerebbe le ragioni dell’ordinanza di rimessione, sostenute dai ricorrenti. Afferma la difesa dei ricorrenti che, «qualora il Parlamento, conscio della difficile situazione economica dell’Associazione Italiana della Croce Rossa, avesse inteso disporre la privatizzazione dell’ente pubblico, […] lo avrebbe chiaramente disposto con la legge di delega».
9.2.– Viene contestata, altresì, la fondatezza delle argomentazioni utilizzate dall’Avvocatura generale dello Stato per dimostrare la continuità, da parte della neoistituita Associazione di diritto privato, delle funzioni tradizionalmente attribuite alla CRI. I riferimenti ad una adeguata gestione delle calamità che hanno colpito l’Italia negli ultimi anni non sarebbero – secondo la memoria – completi ed esaurienti. Fino all’ottobre del 2018, infatti, tali emergenze sono state gestite dall’Ente strumentale alla CRI (oggi in liquidazione coatta amministrativa), il quale avrebbe beneficiato di un contingente di 300 unità formato dal personale del Corpo militare, che, però, dal 1° ottobre 2018 ha cessato la sua esistenza per effetto del d.lgs. n. 178 del 2012. I componenti del Corpo militare sono quindi cessati dal servizio attivo e collocati in congedo, destinati all’impiego in altre amministrazioni pubbliche e non più a disposizione per future situazioni emergenziali. Queste ultime, se nazionali, potranno comunque beneficiare di mezzi e personale della Protezione civile o dei Vigili del Fuoco; in campo internazionale, al contrario, resteranno del tutto senza ausilio le Forze armate.
10.– In data 12 febbraio 2019, l’Avvocatura generale dello Stato ha depositato una memoria, insistendo per l’inammissibilità o comunque per l’infondatezza delle questioni sollevate.
10.1.– Preliminarmente, la difesa del Presidente del Consiglio dei ministri eccepisce la tardività dell’intervento ad adiuvandum, depositato in data 12 dicembre 2017 da David Ambrosini e altre centoquindici persone. Osserva, inoltre, che l’intervento di Massimo Cipullo e altri, depositato il 30 ottobre 2017, è parimenti inammissibile, considerato che nell’atto non si fa riferimento alla partecipazione di costoro al giudizio principale, né appare sussistere un interesse qualificato che consenta loro di intervenire nel giudizio incidentale.
10.2.– Sempre in via preliminare, l’Avvocatura generale eccepisce la carenza della rilevanza in riferimento alla «questione di costituzionalità dell’intero decreto legislativo» di riorganizzazione della Croce Rossa.
In particolare, osserva come l’ordinanza di rimessione impugni l’intero testo del d.lgs. n. 178 del 2012, tralasciando il contenuto dell’impugnativa del giudizio principale. Quest’ultimo, infatti, ha un oggetto circoscritto alla legittimità dei criteri per l’equiparazione del personale (già) appartenente al Corpo militare a quello civile; a questi fini non assumerebbe quindi rilievo l’intero testo legislativo impugnato, né, specificamente, rileverebbe la norma che dispone la privatizzazione della CRI. Il giudice a quo sarebbe chiamato a dare applicazione alle sole norme concernenti il personale dipendente e queste ultime, «pur essendo contenute nel medesimo testo legislativo, costituiscono […] una componente concettualmente e giuridicamente autonoma e distinta».
In tal senso, l’Avvocatura esclude che il decreto legislativo, oggetto della censura, «presenti quell’omogeneità di contenuto che, sola, consente, secondo la giurisprudenza [costituzionale], di sollevare questione di legittimità costituzionale dell’intero corpus normativo».
10.3.– Un ulteriore profilo di inammissibilità discenderebbe dal carattere perplesso della questione concernente la violazione dell’art. 76 Cost.: da un lato, infatti, il rimettente lamenta l’assenza di non meglio definite garanzie di continuità per l’assolvimento dei compiti istituzionali; dall’altro lato, si duole della circostanza che la delega non potesse estendersi ad interventi di tipo soppressivo dell’Ente e all’istituzione di una nuova entità, in forma associativa e di natura privata.
10.4.– Nel merito delle questioni, l’Avvocatura generale dello Stato si sofferma, dapprima, sulle censure rivolte all’«intero» d.lgs. n. 178 del 2012 (ad eccezione dell’art. 7), per affrontare, poi, le eccezioni di incostituzionalità degli artt. 5 e 6 della medesima norma.
10.5.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene innanzitutto infondata la tesi – prospettata dal Tribunale rimettente – secondo cui il d.lgs. nella sua interezza avrebbe violato l’art. 76 Cost., in ragione dell’intervento soppressivo dell’ente pubblico. Analogamente al passato, la riforma in esame non avrebbe previsto alcuna soppressione dell’Associazione italiana della Croce Rossa, operante sin dal 1864: «ben diversamente – e molto più semplicemente, – è stato stabilito il solo venir meno della personalità di diritto pubblico ed il contestuale acquisto di quella di diritto privato». E ciò analogamente a quando, nel 1980, la stessa CRI fu oggetto di una trasformazione da associazione di diritto privato a «ente privato di diritto pubblico, sotto l’alto patrocinio del Presidente della Repubblica». In quell’occasione, «benché i criteri direttivi della legge di delegazione 23 dicembre 1978, n. 833 […] nulla specificassero al riguardo, il legislatore delegato si è […] ritenuto autorizzato […] a ritirare la personalità di diritto pubblico e a riconoscere contestualmente l’ente come ente di diritto privato (art. 1 d.P.R. n. 613 del 1980)». Lo stesso sarebbe avvenuto anche in altri casi (su tutti, si richiama il «trasferimento alle Regioni delle funzioni esercitate da enti pubblici nazionali e interregionali, disposto dalla legge di delegazione legislativa 22 luglio 1975, n. 382»).
10.6.– L’infondatezza della questione di legittimità in riferimento all’art. 76 Cost. emergerebbe anche sotto un altro profilo, tramite cui si dimostrerebbe come l’intervento governativo abbia trovato in realtà «legittimazione e copertura, anche costituzionale, nelle leggi successive».
Il decreto legislativo censurato dal TAR Lazio sarebbe – secondo l’Avvocatura – il frutto di una serie di novelle disposte dal legislatore ordinario (intervenuto, in materia, con il decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, recante «Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni», convertito, con modificazioni, nella legge 30 ottobre 2013, n. 125, e con il decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192, recante «Proroga di termini previsti da disposizioni legislative», convertito, con modificazioni, nella legge 27 febbraio 2015, n. 11). Tali atti hanno differito il termine entro il quale sarebbe dovuto avvenire il trasferimento delle funzioni dell’associazione della CRI – persona giuridica di diritto pubblico – alla costituenda persona giuridica di diritto privato (dapprima disposto al 1° gennaio 2015 e, poi, al 1° gennaio 2016). In tal modo, il Parlamento avrebbe così manifestato «una volontà che non può essere logicamente limitata al solo differimento del termine entro il quale avrebbe dovuto aver luogo il trasferimento […], ma che deve logicamente intendersi estesa al fatto, in sé e per sé considerato, del trasferimento delle funzioni dal precedente ente pubblico alla associazione privata».
10.7.– Parimenti prive di fondamento vengono ritenute anche le censure che l’ordinanza di rinvio muove all’intero testo del decreto legislativo (ad eccezione dell’art. 7), sotto il profilo dell’insufficienza dei mezzi apprestati per l’esercizio delle funzioni trasferite all’associazione di diritto privato. In primo luogo l’Avvocatura denuncia la possibile inammissibilità di una simile censura, considerando che l’ordinanza, rivolgendosi all’intero testo dell’atto e dolendosi per l’omissione di un contenuto normativo costituzionalmente necessario, non indicherebbe i termini dell’addizione richiesta. Inoltre, si chiederebbe così a questa Corte di compiere scelte ritenute tipicamente riservate alla discrezionalità del legislatore.
Ad avviso dell’Avvocatura, il giudice a quo, quando afferma che il d.lgs. n. 178 del 2012 non contiene alcuna specifica disposizione a tutela dell’assegnazione a regime di risorse sufficienti all’Associazione Croce Rossa Italiana, non spiega la ragione di tale inadeguatezza ai fini dell’assolvimento delle funzioni attribuite alla stessa, né viene formalmente contestato come la smobilitazione delle risorse di gran parte del personale abbia compromesso la prosecuzione della CRI. Fermo restando che, secondo l’Avvocatura, non vi sarebbero insufficienti risorse per la CRI, la totale infondatezza della censura sarebbe dimostrata dalle molteplici attività di interesse pubblico poste in essere dalla neoistituita Associazione, riepilogate in un documento che viene allegato alla memoria, denominato «Appunto relativo alle attività svolte dall’Associazione Croce Rossa italiana a seguito dell’attuazione del d.lgs. 28 settembre 2018, n. 28». Da questo emergerebbe «in modo assolutamente evidente ed inconfutabile il fatto che dopo la sua privatizzazione, l’Associazione della Croce Rossa italiana ha aumentato il numero complessivo dei servizi garantiti, a fronte di una riduzione dei costi e di un incremento dell’efficienza delle attività di pubblico interesse svolte per legge, senza alcuna soluzione di continuità rispetto al pregresso».
10.8.– L’Avvocatura contesta, infine, la fondatezza delle autonome censure rivolte agli artt. 5 e 6 del d.lgs. n. 178 del 2012.
10.9.– Quanto al processo di smilitarizzazione e di ridefinizione del trattamento economico del personale militare in servizio, attuato asseritamente in deroga al cod. ordinamento militare, la difesa dell’interveniente contesta la ricostruzione data dall’ordinanza di rimessione.
Sin dal regio decreto 10 febbraio 1936, n. 484 (Norme per disciplinare lo stato giuridico, il reclutamento, l’avanzamento ed il trattamento economico ed amministrativo del personale della Croce Rossa Italiana), era stabilito (art. 1) che «[p]er il funzionamento dei suoi servizi del tempo di pace e del tempo di guerra la Croce rossa italiana» arruolasse un proprio personale direttivo (ufficiali) e di assistenza (sottufficiali e truppa), che costituisse «un corpo speciale volontario, ausiliario delle forze armate dello Stato». In virtù di tale disciplina (ora ricalcata dal cod. ordinamento militare) si prevedevano appositi ruoli di anzianità nei quali il personale volontario della Croce Rossa veniva iscritto e dai quali erano tratti i nominativi di coloro che venivano chiamati in servizio per lo svolgimento delle funzioni dell’associazione. Le chiamate, secondo la disciplina del 1936, rimasta in vigore sino all’entrata in vigore del d.lgs. n. 66 del 2010, erano disposte con precetto autorizzato dal «presidente Generale» (art. 29 del r.d. n. 484 del 1936, oggi ricalcato dall’art. 1668 del d.lgs. n. 66 del 2010).
L’Avvocatura generale dello Stato illustra come, nella logica del personale ausiliario, alla chiamata in servizio corrispondesse, al venire meno delle esigenze che l’avevano giustificata, il collocamento in congedo con corresponsione della retribuzione limitata al tempo dell’effettivo servizio.
È però avvenuto che, a fronte di casi di servizio prolungato, si siano succedute una serie di leggi che hanno condotto «ad una consistenza del Corpo militare della Croce Rossa di più di 800 unità in servizio continuativo». Si spiegherebbe allora il motivo dell’intervento del legislatore delegato, che ha voluto ripristinare il carattere originario dell’apporto del Corpo militare fondato sul principio della chiamata in servizio in dipendenza e in funzione delle contingenti esigenze di soccorso e di aiuto umanitario. Tale processo non comporterebbe un “allontanamento” o una “esclusione” dalle Forze armate di personale militare di carriera, che in queste è entrato in seguito ad ordinarie procedure concorsuali di reclutamento, bensì la perdita di uno status giuridico solo assimilato a quello militare ai fini dell’adeguamento a specifiche previsioni delle Convenzioni di Ginevra. Quest’ultima, infatti, impone al personale delle società nazionali della Croce Rossa di essere sottoposto a leggi e regolamenti militari. In forza di tale vincolo, l’Italia, da tempo risalente, prevede che gli iscritti nei ruoli dell’Associazione, una volta “chiamati in servizio”, diventino “militari”; e da qui deriva anche la scelta del legislatore nazionale di considerare il personale in questione parte di un apposito Corpo militare. Ciò premesso, il personale della Croce Rossa che fa parte di tale corpo «non è dunque “militare” perché appartiene alle Forze armate, ma perché fa parte di un corpo speciale volontario ausiliario delle Forze armate, costituito dalla Croce rossa italiana». È dunque a tutti gli effetti appartenente a quest’ultima e, conformemente a ciò, il d.lgs. n. 178 del 2012 mantiene il «Corpo militare volontario» costituito esclusivamente da personale in congedo il cui servizio è reso gratuitamente.
10.10.– L’Avvocatura generale dello Stato nega, da ultimo, che vi sia un contrasto tra la riforma oggetto di censura e la protezione della proprietà apprestata dall’art. 1 Prot. addiz. CEDU. Sarebbe pacifico che le ingerenze nei «beni» tutelati da detta disposizione sono consentite a condizione che siano legali e proporzionate rispetto ai fini che si pone l’intervento pubblico. Nel caso di specie, queste condizioni sarebbero «pienamente soddisfatte dal momento che l’intervento del quale si discute è stabilito sulla base della legge, nell’ottica del migliore bilanciamento delle esigenze di riorganizzazione e di risparmio della pubblica amministrazione con la tutela della posizione del personale già in servizio presso l’Ente oggetto di riforma». Prova ne è – continua l’Avvocatura – che, pur incidendo sullo stato giuridico dei lavoratori, la riforma ne salvaguarda la posizione economica, attraverso un assegno ad personam riassorbibile solo in caso di adeguamenti retributivi.
11.– In prossimità dell’udienza pubblica, in data 25 febbraio 2019, hanno depositato, fuori termine, atto di intervento ad adiuvandum Luigi Siciliano e altre due persone.
Considerato in diritto
1.– Con ordinanza del 19 luglio 2017 (reg. ord. n. 137 del 2017), il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione terza, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 3, 4 e 8, nonché, anche autonomamente, degli artt. 5 e 6 del decreto legislativo 28 settembre 2012, n. 178, recante «Riorganizzazione dell’Associazione italiana della Croce Rossa (C.R.I.) a norma dell’articolo 2 della legge 4 novembre 2010, n. 183», per violazione degli artt. 1 e 76 della Costituzione, in relazione all’art. 2 della legge 4 novembre 2010, n. 183 (Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l’impiego, di incentivi all’occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro), nonché per violazione degli articoli 3, 97 e 117 (recte: primo comma) della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmato a Parigi il 20 marzo 1952 e ratificato con legge 4 agosto 1955, n. 848.
2.– Il rimettente censura, in sostanza, sia l’impianto complessivo del d.lgs. n. 178 del 2012 (e, quindi, il decreto legislativo nella sua interezza, ad eccezione dell’art. 7), sia le specifiche disposizioni che attengono alla riorganizzazione del corpo militare della Croce Rossa italiana. A suo avviso, l’art. 2 della legge n. 183 del 2010 avrebbe conferito al Governo una delega di riordino, che non avrebbe consentito in alcun modo interventi innovativi o soppressivi degli enti da riorganizzare. Il d.lgs. n. 178 del 2012 avrebbe invece operato «un’integrale rinnovazione strutturale per quanto riguarda la Croce rossa Italiana», con soppressione e liquidazione dell’ente pubblico e contestuale istituzione di una persona giuridica di diritto privato, che ha preso il nome di Associazione della Croce Rossa italiana. A tal riguardo, e con particolare riferimento alle modalità di finanziamento della neoistituita Associazione, definite sulla base di criteri adottati dal Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro della difesa, in assenza di precisi parametri che garantiscano, tramite la copertura finanziaria, l’effettivo espletamento delle funzioni, il citato decreto legislativo sarebbe illegittimo anche per aver realizzato una parziale sub-delega della funzione normativa affidata al Governo, demandando ad atti ministeriali aspetti essenziali della nuova disciplina.
2.1.– In senso analogo, gli artt. 5 e 6 del d.lgs. censurato, che sanciscono la smilitarizzazione e la ridefinizione del trattamento economico del personale del Corpo militare della CRI, in implicita deroga ad alcune disposizioni del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell’ordinamento militare), si porrebbero in irrimediabile contrasto «con i principi e criteri direttivi, di cui all’art. 2, comma 1, lettera a) della legge delega, che lascia “ferme [...] le specifiche disposizioni vigenti per il [...] personale, in servizio alla data di entrata in vigore della presente legge”».
Inoltre, il processo di riorganizzazione della Croce Rossa italiana nel suo complesso avrebbe leso gli artt. 3 e 97 Cost., a causa della notevole riduzione di risorse, che impedirebbe all’Ente strumentale (e, poi, all’Associazione della Croce Rossa italiana), di svolgere le attività di interesse pubblico indicate dall’art. 1, comma 4, del d.lgs. n. 178 del 2012. Con riguardo alla riorganizzazione del personale militare (e, dunque, agli artt. 5 e 6 del decreto legislativo censurato), il trasferimento al ruolo civile del personale militare sarebbe causa di illegittimità costituzionale per l’assenza di «progressione economica commisurata al grado rivestito», e di «garanzie di conservazioni delle funzioni in precedenza attribuite». Inoltre, sarebbe costituzionalmente illegittima la sua destinazione ad altra amministrazione, in caso di mancata inclusione nel personale della nuova Associazione, a seguito delle procedure di mobilità, «senza alcun richiamo a comparti o settori dell’amministrazione stessa, in cui si svolgano attività comparabili con quelle del personale di cui trattasi, in possesso di specifica professionalità per situazioni di emergenza».
2.2.– In chiusura, il rimettente evoca l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 1, paragrafo 1, Prot. addiz. CEDU, il quale garantirebbe «i beni delle persone fisiche e giuridiche in una accezione, già ricondotta dalla giurisprudenza alla titolarità di qualsiasi diritto, o di mero interesse di valenza patrimoniale […], anche per quanto attiene alle modalità di tutela dei lavoratori, con riferimento agli aspetti patrimoniali del rapporto di lavoro».
3.– In via preliminare, in accoglimento delle eccezioni sollevate dalla Avvocatura generale dello Stato, va ribadita, per le ragioni esposte nell’ordinanza letta nel corso dell’udienza pubblica del 5 marzo 2019 e allegata alla presente sentenza, la dichiarazione di inammissibilità dell’intervento ad adiuvandum di David Ambrosini e altri centoquindici soggetti privati, spiegato il 12 dicembre 2017, oltre il termine previsto dall’art. 4, comma 4, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, nonché, limitatamente a Massimo Cipullo e altri ventiquattro soggetti che non risultano parti del giudizio principale, dell’intervento depositato il 30 ottobre 2017.
4.– Deve essere segnalato che, successivamente al deposito dell’ordinanza di rimessione, il censurato d.lgs. n. 178 del 2012 è stato modificato dall’art. 16, comma 1, del decreto-legge 16 ottobre 2017, n. 148 (Disposizioni urgenti in materia finanziaria e per esigenze indifferibili), convertito, con modificazioni, nella legge 4 dicembre 2017, n. 172. Le modifiche hanno riguardato il procedimento di liquidazione dell’Ente strumentale, i soggetti incaricati della gestione liquidatoria, l’estinzione dei residui attivi e passivi dei comitati territoriali, il passaggio di proprietà dei beni dall’Ente strumentale all’Associazione, mentre è rimasta inalterata l’indicazione della sua liquidazione con relativo dies a quo (1° gennaio 2018).
Inoltre, i commi 1-bis e 1-ter del menzionato art. 16, pur non modificando direttamente l’atto impugnato, hanno aggiunto ulteriori possibili destinazioni per il personale eccedente soggetto a procedure di mobilità, consentendo agli appartenenti all’area professionale e medica di essere collocato, a domanda, «nel rispetto della disponibilità in organico e delle facoltà assunzionali previste a legislazione vigente, nell’ambito della dirigenza delle professionalità sanitarie del Ministero della salute e dell’Agenzia italiana del farmaco, nell’ambito della dirigenza medica dell’Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni Migranti e per il contrasto delle malattie della Povertà limitatamente al personale appartenente all’area medica di seconda fascia di cui al contratto collettivo nazionale di lavoro relativo al personale dirigente dell’area VI per il quadriennio 2002-2005, nonché nell’ambito della dirigenza medica e della professione infermieristica dell’Istituto superiore di sanità-Centro nazionale per i trapianti (CNT) e Centro nazionale sangue (CNS), e delle qualifiche di ricercatore e tecnologo degli enti di ricerca» (comma 1-bis). È stato altresì specificato che «[i]l personale della CRI, di cui al comma 1-bis, che abbia svolto compiti e funzioni nell’ambito della sanità pubblica può essere inquadrato nelle amministrazioni di destinazione anche se è in possesso di specializzazione in disciplina diversa da quella ordinariamente richiesta per il predetto inquadramento» (comma 1-ter).
4.1.– Come si evince dal tenore delle citate modifiche, il menzionato ius superveniens non incide sulla sostanza delle questioni prospettate, né giustifica una pronuncia di restituzione atti al rimettente. Come questa Corte ha già affermato, «non ogni nuova disposizione che modifichi, integri o comunque possa incidere su quella oggetto del giudizio incidentale di costituzionalità richiede una nuova valutazione della perdurante sussistenza dei presupposti di ammissibilità della questione e segnatamente della sua rilevanza e della non manifesta infondatezza dei dubbi di legittimità costituzionale espressi dal giudice rimettente» (sentenza n. 125 del 2018).
Ciò che rileva, infatti, è che «permang[a]no le valutazioni del giudice rimettente in termini di rilevanza e non manifesta infondatezza della questione», in misura tale da non «mutare i termini della questione così come è stata posta dal giudice a quo» (sentenza n. 125 del 2018; nello stesso senso le sentenze n. 194 e n. 33 del 2018). Le censure promosse dal rimettente, avanzate per eccesso di delega e violazione del buon andamento della pubblica amministrazione, non sono interessate dalle modifiche intervenute, le quali lasciano intatto il significato delle disposizioni impugnate rispetto agli evidenziati profili di illegittimità costituzionale.
5.– Prima di entrare nel merito delle questioni sollevate dal rimettente, occorre soffermarsi sulle eccezioni di inammissibilità proposte dal Presidente del Consiglio dei ministri.
5.1.– In primo luogo, la difesa dell’interveniente sostiene, nella sua memoria illustrativa, che le questioni promosse sull’intero testo del d.lgs. n. 178 del 2012 (ad eccezione dell’art. 7) sarebbero inammissibili per difetto di rilevanza. Il giudice a quo sarebbe chiamato ad applicare solo la normativa relativa al personale del corpo militare, che rappresenta una parte settoriale e piuttosto specifica del decreto legislativo volto alla trasformazione della CRI.
5.1.1.– L’eccezione non è fondata.
Non vi è dubbio che, nel giudizio principale, il rimettente debba pronunciarsi sulla legittimità del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 25 marzo 2016 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, serie generale n. 155 del 2016), recante «Criteri e modalità di equiparazione fra i livelli di inquadramento del personale già appartenente al Corpo militare e quelli previsti dal contratto collettivo relativo al personale civile con contratto a tempo determinato della associazione italiana della Croce Rossa», adottato nell’ambito della trasformazione della CRI da ente pubblico non economico ad associazione dotata di personalità giuridica di diritto privato, la cui entrata in vigore ha rappresentato, ai sensi dell’art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 178 del 2012, il dies a quo del collocamento in congedo e del trasferimento nel ruolo civile del personale appartenente al Corpo militare della CRI, previsti dagli artt. 5 e 6 del medesimo d.lgs.
Ciò nonostante, il trasferimento al ruolo civile del personale militare si trova in connessione teleologica rispetto al processo di trasformazione disposto dal d.lgs. n. 178 del 2018. Le disposizioni del censurato decreto sono tutte avvinte dalla finalità complessiva di rivedere e razionalizzare la struttura pubblicistica dell’ente, per cui anche le disposizioni censurate che non attengono alla riorganizzazione del Corpo militare influenzano la definizione dello status dei ricorrenti, oggetto di contestazione nel giudizio principale. Non può contestarsi, dunque, che l’eventuale accoglimento delle questioni di legittimità costituzionale prospettate dal rimettente abbia l’effetto di ripercuotersi sulla sfera giuridica delle parti del processo a quo (sentenze n. 337 del 2008 e n. 303 del 2007).
5.2.– Il Presidente del Consiglio ha proposto una ulteriore eccezione di inammissibilità, ritenendo che la questione sollevata sull’intero decreto legislativo per violazione dell’art. 76 Cost. sia perplessa. Ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato, il rimettente lamenterebbe, da un lato, l’intervenuta privatizzazione, dall’altro l’assenza di non meglio definite «garanzie di continuità per l’assolvimento dei compiti istituzionali».
5.2.1.– L’eccezione non è fondata.
L’asserita violazione dell’art. 76 Cost. è argomentata univocamente dal giudice a quo, il quale insiste a più riprese sul sospetto eccesso di delega realizzato dal complessivo intervento di riforma della CRI rispetto all’art. 2 della legge n. 183 del 2010. Il rimettente ritiene chiaramente che la decisione di trasformare l’ente in una persona giuridica di diritto privato si ponga al di fuori del novero delle scelte consentite dal Parlamento.
Di qui la non fondatezza della prospettata eccezione di inammissibilità.
6.– Questa Corte non può invece esimersi dal rilevare, d’ufficio, l’inammissibilità delle censure rivolte dal rimettente all’«intero» d.lgs. n. 178 del 2012, nonché agli artt. 5 e 6 del medesimo decreto, in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 1 Prot. addiz. CEDU, per genericità e insufficiente motivazione circa l’asserito contrasto con il parametro interposto.
Tali censure, riportate in chiusura dell’ordinanza di rimessione, sono prive di un adeguato supporto argomentativo. Il principio di diritto, che il rimettente trae dall’art. 1 Prot. addiz. CEDU, è riportato in via assertiva, senza alcun riferimento alle plurime accezioni che il termine «beni» è suscettibile di assumere nel sistema convenzionale e alle modalità lesive che le disposizioni impugnate avrebbero portato alla garanzia convenzionale. Non risulta motivata, dunque, la non manifesta infondatezza delle questioni prospettate (ex multis, sentenze n. 160 e n. 27 del 2018 e ordinanza n. 191 del 2018).
7.– Nel merito, è opportuno sintetizzare i tratti salienti della evoluzione normativa che ha interessato la CRI, nonché il contenuto della riforma operata dal d.lgs. n. 178 del 2012.
7.1.– Organizzazione dai notevoli trascorsi storici, la CRI fu fondata nel 1864 (e denominata Associazione italiana della Croce Rossa) nell’ambito di un movimento di opinione che aveva portato, appena un anno prima, alla fondazione a Ginevra di una associazione di diritto privato, regolata dal diritto civile svizzero, che prese il nome di Comitato internazionale per il soccorso dei feriti e dei malati (ribattezzato, a partire dal 1876, Comitato internazionale della Croce Rossa, soggetto che oggi concorre a formare, insieme alle società nazionali della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa e alla Federazione internazionale, ente di coordinamento delle società nazionali, il Movimento internazionale della Croce Rossa).
La Croce Rossa fu eretta in ente morale con il regio decreto 7 febbraio 1884, n. 1243 (che erige in Corpo morale l’Associazione italiana della Croce Rossa), e posta sotto la sorveglianza dei «ministri della guerra e della marina» (art. 1). Poteva così mantenere la natura di persona giuridica di diritto privato e sottrarsi alla trasformazione delle opere pie in istituzioni pubbliche di beneficienza, e quindi in enti pubblici, effettuata qualche anno dopo dalla legge 17 luglio 1890, n. 6972 (Sulle Opere Pie), più volte riformata negli anni successivi.
Durante il regime fascista, furono adottate normative che ne misero sempre più in ombra la vocazione associativa fino a favorirne la collocazione tra gli enti pubblici parastatali: in tale direzione si mossero il regio decreto-legge 10 agosto 1928, n. 2034 (Provvedimenti necessari per assicurare il funzionamento della Croce Rossa Italiana), cui seguirà il regio decreto 21 gennaio 1929, n. 111 (Approvazione dello statuto organico dell’Associazione italiana della Croce Rossa); ma già prima il regio decreto-legge 6 maggio 1926, n. 870 (Provvedimenti relativi agli atti di alcuni istituti parastatali e di altri Enti), nel disciplinare in via generale l’efficacia degli atti di alcuni enti pubblici, annoverava, tra questi, anche la CRI.
Nel dopoguerra, in un contesto fortemente segnato dagli eventi bellici del secondo conflitto mondiale, il decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 13 novembre 1947, n. 1256 (Compiti dell’Associazione italiana della Croce Rossa in tempo di pace), si limitava a ridefinire i compiti dell’ente in tempo di pace, ma in una prospettiva che ne valorizzava la funzione sussidiaria di assistenza.
Le quattro Convenzioni di Ginevra del 1949, le quali hanno contribuito a delineare l’intelaiatura fondamentale del diritto internazionale umanitario, ratificate e rese esecutive dalla legge 27 ottobre 1951, n. 1739, firmate a Ginevra l’8 dicembre 1949 (Convenzione relativa al trattamento dei prigionieri di guerra; Convenzione per il miglioramento della sorte dei feriti e dei malati delle Forze armate in campagna; Convenzione per il miglioramento della sorte dei feriti, dei malati e dei naufraghi delle Forze armate di mare; Convenzione relativa alla protezione delle persone civili in tempo di guerra), facevano riacquistare alla CRI una spiccata dimensione internazionale. In tempo di guerra, infatti, quale società nazionale della Croce Rossa, riconosciuta e autorizzata dallo Stato di appartenenza, essa è chiamata a svolgere attività umanitaria in favore dei militari feriti, ammalati o nei confronti dei naufraghi, porta legittimamente l’emblema del Movimento internazionale e beneficia, di conseguenza, di tutte le immunità riconosciute alle formazioni sanitarie degli eserciti belligeranti (art. 26 della Convenzione per il miglioramento della sorte dei feriti e dei malati delle Forze armate in campagna; art. 64 della Convenzione relativa alla protezione delle persone civili in tempo di guerra).
La CRI, originariamente composta da un comitato centrale, dai comitati provinciali e dai sottocomitati, veniva posta nel 1962 sotto l’alto patronato del Presidente della Repubblica. In particolare, la legge 13 ottobre 1962, n. 1496 (Modifiche all’ordinamento dell’Associazione italiana della Croce Rossa) ne riformava il vertice, consistente in un consiglio direttivo composto dal presidente generale (che la stessa legge si premurava di equiparare, come rango, al grado di generale di corpo d’armata) e da dodici consiglieri, nominati, per la metà, su proposta del Ministro della sanità di concerto con il Ministro della difesa.
Solo nel 1978, con la legge 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del servizio sanitario nazionale), il legislatore tentava di superare l’assetto ancipite dell’ente pubblico, ma a base associativa, delegando al Governo il compito di ristrutturare l’associazione italiana della Croce Rossa, in conformità con il principio volontaristico dell’associazione stessa e in «relazione alle finalità statutarie e agli adempimenti commessi dalle vigenti convenzioni e risoluzioni internazionali e dagli organi della Croce Rossa internazionale alle società di Croce Rossa nazionali» (art. 70, terzo comma). La stessa legge poneva altresì le basi per una articolazione regionale dell’ente, disponendo la gratuità e l’elettività delle cariche.
In conseguenza della citata legge delega n. 833 del 1978, il d.P.R. 31 luglio 1980, n. 613, recante «Riordinamento della Croce Rossa italiana (art. 70 della legge n. 833 del 1978)», che ha disciplinato l’ente fino al decreto legislativo oggetto dell’odierno giudizio di costituzionalità, pur accentuando i compiti di direzione e vigilanza sull’ente in capo al Ministro della sanità, definiva la Croce Rossa, nell’ottica di una valorizzazione della componente volontaristica e associativa, quale «ente privato di interesse pubblico», stabilendo altresì che la rinnovata trasformazione privatistica sarebbe intervenuta «a seguito dell’approvazione del nuovo statuto» (art. 1). Tale statuto, che avrebbe dovuto essere approvato entro il 30 giugno 1981 (art. 3), tuttavia non è mai stato approvato e nel 1995 la CRI è tornata ad essere un «ente dotato di personalità giuridica di diritto pubblico» (per effetto della modifica apportata all’art. 1 del d.P.R. n. 613 del 1980 dall’art. 7 del decreto-legge 20 settembre 1995, n. 390, recante «Provvedimenti urgenti in materia di prezzi di specialità medicinali, nonché in materia sanitaria», convertito, con modificazioni, nella legge 20 novembre 1995, n. 490).
7.2.– Le vicende che hanno segnato l’organizzazione della CRI interessano anche la disciplina dei rapporti di impiego instaurati nell’ambito dell’ente e, in particolare, l’assetto del personale militare ausiliario. Tradizionalmente, all’interno della CRI, il personale era organizzato in due sotto-ordinamenti particolari e derivati.
Il primo di questi, non modificato dal censurato d.lgs. n. 178 del 2012, ricomprende il Corpo delle infermiere volontarie (in origine regolato dall’art. 8 del r.d.l. n. 2034 del 1928), che presta servizio non retribuito; in aggiunta ad esse, l’ente si è avvalso di infermiere professionali, assunte mediante contratto di lavoro di diritto privato e perciò retribuite.
Il secondo sotto-ordinamento ricomprendeva il personale mobilitato per servizio della Croce Rossa in tempo di guerra o in occasione di pubbliche calamità (in origine disciplinato dall’art. 7 del r.d.l. n. 2034 del 1928 e dal regio decreto 10 febbraio 1936, n. 484, recante «Norme per disciplinare lo stato giuridico, il reclutamento, l’avanzamento ed il trattamento economico ed amministrativo del personale della Croce Rossa Italiana»). In dette circostanze straordinarie, la CRI disponeva di un «potere di arruolamento» per i necessari servizi sanitari e assistenziali, chiamando a sé un apposito personale volontario formato essenzialmente da cittadini esenti da obblighi di leva o di chiamata per i servizi di guerra.
Gli arruolati della CRI costituivano un corpo speciale volontario, ausiliario delle forze sanitarie militari dello Stato, i cui componenti rivestivano i gradi secondo l’importanza delle loro funzioni, risultavano sottoposti alla disciplina militare e al codice penale militare di guerra e si distinguevano in «ufficiali» (personale direttivo) e in «sottufficiali e truppa» (personale sanitario). Le chiamate in servizio venivano effettuate con precetto del «presidente generale» della CRI (art. 29 del r.d. n. 484 del 1936), e il servizio prestato in tempo di guerra o di calamità nella CRI veniva equiparato, ai fini civili e amministrativi, al servizio prestato nelle Forze armate dello Stato, dando luogo alle corrispondenti qualifiche degli appartenenti all’esercito combattente.
7.2.1.– Tale assetto, basato sia su apporti volontari sia su personale delle Forze armate temporaneamente assegnato (spesso proveniente dai ranghi della “Sanità militare” delle tre Armi), ha subito negli anni Ottanta del secolo scorso un progressivo mutamento quando, a fronte di casi di servizio prolungato, vennero approvate numerose norme che provvedevano a incardinare, ope legis, il personale (militare e civile) che aveva prestato servizio temporaneo nella CRI nell’organico del medesimo ente. Tra esse, l’art. 6, comma 17, della legge 28 febbraio 1986, n. 41, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 1986)»; l’art. 12 della legge 28 ottobre 1986, n. 730, recante «Disposizioni in materia di calamità naturali»; l’art. 24, comma 8, della legge 11 marzo 1988, n. 67, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 1988)»; il decreto del Ministro della sanità del 12 febbraio 1988, recante «Affidamento all’Associazione italiana della Croce Rossa del servizio di pronto soccorso sanitario negli aeroporti civili ed in quelli aperti al traffico civile direttamente gestiti dallo Stato».
I beneficiari di tali misure sono stati così progressivamente incardinati nella CRI, tanto che questa Corte, sotto la vigenza del d.P.R. n. 613 del 1980, adita nell’ambito di un procedimento attivato da alcuni sottoufficiali dell’ente per ottenere la «perfetta equiparazione giuridica ed economica» al personale delle Forze armate, ha affermato che «il personale militare della Croce rossa italiana non appartiene alle Forze armate o alle Forze di polizia dello Stato […], essendo […] personale non dello Stato, ma di un ente» (ordinanza n. 273 del 1999). Infatti, il «corpo militare della CRI, corpo speciale volontario, ausiliario delle Forze armate, […] non facente parte integrante delle stesse Forze armate ancorché sottoposto alle norme del regolamento di disciplina militare ed a quelle sostanziali del codice penale militare ed obbligato al giuramento, ha mantenuto – in forza del disposto degli artt. 10 e 11 del d.P.R. n. 613 del 1980 – la sua […] collocazione», confermata dalla «dipendenza dell’autorità di vertice del corpo direttamente dal presidente nazionale dell’Associazione, salvo che nei periodi di mobilitazione» (ordinanza n. 273 del 1999).
7.2.2.– La normativa relativa al Corpo militare ausiliario della CRI è stata poi riordinata dal d.lgs. n. 66 del 2010 (d’ora in poi anche: cod. ordinamento militare), che ha riguardato anche l’Associazione dei cavalieri italiani del sovrano militare Ordine di Malta, entrambi corpi ausiliari delle Forze armate ma non inquadrati nelle stesse. Tale codice, come si vedrà, continua ad applicarsi al Corpo militare volontario, per quanto non diversamente disposto dal decreto legislativo censurato (art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 178 del 2012).
Il cod. ordinamento militare ha previsto un duplice ruolo (normale e speciale) per il Corpo militare ausiliario, distinguendo, in coerenza con la previgente normativa, il personale stabilmente assunto dalla CRI dal personale richiamato in servizio dall’ente per specifiche esigenze. Sino all’entrata in vigore del d.lgs. n. 178 del 2012, oggetto del presente giudizio, quindi, solo il primo poteva dirsi collocato stabilmente alle dipendenze dell’ente e incardinato nella relativa pianta organica.
7.3.– Tale evoluzione normativa – non sempre lineare – ha di certo contribuito alle disfunzioni mostrate dalla CRI negli ultimi decenni.
7.3.1.– Come emerso dall’indagine conoscitiva disposta dalla Commissione Igiene e Sanità del Senato nel corso della XVI Legislatura, e come sostenuto anche dal Presidente del Consiglio dei ministri nel suo intervento, la CRI ha realizzato, negli anni, pesanti diseconomie che l’hanno condotta a un commissariamento di durata ventennale. Oltre alla perenne situazione di precarietà contabile, dovuta alla mancata approvazione dei bilanci degli enti decentrati (solo nel 2011 la CRI ha approvato il consuntivo nei termini previsti dal d.P.R. n. 613 del 1980) e alla poco accorta gestione dell’importante patrimonio immobiliare, la CRI si è trovata a stipulare convenzioni con soggetti pubblici (relative sia ai servizi di trasporto infermi – con atti sottoscritti tra le aziende sanitarie locali e le unità territoriali della CRI – sia ai servizi sociali ed assistenziali, da ultimo quelli afferenti alla gestione dei centri di accoglienza con atti sottoscritti tra dette unità territoriali e le prefetture), impegnandosi a prestare un’elevata offerta di servizi dietro corrispettivi economici irrisori e difficilmente esigibili.
Inoltre, forti problemi sono sorti rispetto ai costi del personale: la CRI, prima del processo di riforma innescato dal decreto legislativo in esame, nel suo complesso impiegava, nel servizio civile, risorse umane pari a 4.049 unità, di cui 1.281 unità a tempo indeterminato, 1.574 unità a tempo determinato; nel Corpo militare ausiliario, 848 unità in servizio continuativo e 346 unità di personale delle Forze armate, assegnate in servizio temporaneo e per esigenze straordinarie.
L’indagine conoscitiva ha messo in luce come tale organico abbia portato ad aggravare le dispendiose inefficienze organizzative e finanziarie.
7.4.– Il d.lgs. n. 178 del 2012, oggetto del presente giudizio, è quindi intervenuto in tale contesto, sulla scorta dell’art. 2 della legge n. 183 del 2010, così tentando di rimediare alle citate disfunzioni. Esso ha disposto la graduale trasformazione della CRI da ente pubblico, sia pure a base associativa, in persona giuridica di diritto privato, ancorché di interesse pubblico ed ausiliaria dei pubblici poteri nel settore umanitario. Detta persona giuridica, denominata «Associazione della Croce Rossa italiana», è iscritta nel registro nazionale del “Terzo settore”, posta sotto l’alto patronato del Presidente della Repubblica (art. 1, comma 1) e abilitata ad operare nell’ambito della Federazione internazionale delle società di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa (art. 1, comma 2). Nel contempo sono individuate le attività svolte dalla Croce Rossa, anch’esse qualificate di «interesse pubblico» (art. 1, commi 4, 5 e 6).
Al fine di realizzare la trasformazione della natura giuridica dell’ente, il decreto legislativo censurato ha disposto un percorso graduale e transitorio, che passa per l’istituzione di un Ente strumentale (art. 2), soggetto-ponte volto a favorire il subentro della neoistituita Associazione al preesistente ente pubblico (art. 3), del quale sono disciplinati contestualmente la liquidazione e i relativi rapporti giuridico-patrimoniali, il trasferimento dei beni e del personale (rispettivamente, artt. 4, 5, 6 e 8) con le modalità di finanziamento della nuova associazione (artt. 1, comma 6, 2, comma 5, e 8, comma 2). Ha disposto, infine, un mutamento del rapporto di impiego del personale militare della CRI.
7.4.1.– In particolare, le disposizioni che riguardano detto personale sono contenute negli artt. 5 e 6 del menzionato decreto legislativo, il quale si muove lungo due direttrici fondamentali: volontarietà e gratuità del servizio prestato nel Corpo militare volontario e trasferimento del personale militare a ruoli civili, con mantenimento delle principali voci retributive.
Ai sensi dell’art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 178 del 2012, a decorrere dall’entrata in vigore del d.P.C.m. (previsto dal successivo art. 6, comma 1), che fissa i criteri di equiparazione tra il personale militare e quello civile della CRI, il personale del Corpo militare transita in un ruolo ad esaurimento nell’ambito del personale civile della CRI, è collocato in congedo ed è iscritto, a domanda, nel Corpo militare volontario.
Lo stesso art. 5, comma 5, si preoccupa poi di salvaguardate le due voci principali del trattamento retributivo del personale militare privatizzato, riconoscendo la differenza tra il trattamento economico in godimento, limitatamente a quello fondamentale ed accessorio, e il trattamento del corrispondente personale civile.
Il successivo art. 6 consente al personale una duplice opzione: rimanere nei ruoli della nuova Associazione della Croce Rossa italiana nei limiti dell’organico definito dal Presidente di essa (comma 2); oppure essere collocato in mobilità, in conformità agli «strumenti utilizzabili per la gestione di eccedenze di personale nelle pubbliche amministrazioni» (art. 6, comma 3), con conseguente applicazione delle procedure di mobilità volte a favorire il riassorbimento del personale delle Province (art. 7, comma 2-bis, del decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192, recante «Proroga di termini previsti da disposizioni legislative», convertito, con modificazioni, nella legge 27 febbraio 2015, n. 11, che rinvia all’art. 1, commi da 424 a 428, della legge n. 190 del 2014).
7.4.2.– Quanto al Corpo militare della CRI, l’art. 5, comma 1, del decreto legislativo in esame, stabilisce che assuma la denominazione di Corpo militare volontario e, insieme al Corpo delle infermiere volontarie, costituisca un Corpo ausiliario delle Forze armate, chiamato a prestare servizio gratuito. I suoi appartenenti sono individuati tra il «personale volontario in congedo, iscritto in un ruolo unico […]».
7.4.3.– In sintesi, il d.lgs. n. 178 del 2012 ha provveduto a congedare e a trasferire al ruolo civile tutto il personale militare della CRI, con salvaguardia del relativo trattamento retributivo (fondamentale ed accessorio). Parte di esso può scegliere, purché rientrante nei citati limiti di organico stabiliti dal Presidente della CRI, di rimanere alle dipendenze dell’Associazione; coloro che non optano per tale soluzione, o non rientrino nei limiti di organico, sono messi in mobilità con destinazione ad altre amministrazioni, con applicazione, come dianzi detto, della normativa prevista per i trasferimenti dei dipendenti delle amministrazioni provinciali.
I componenti del personale militare, così privatizzato, possono chiedere di entrare a fare parte del Corpo militare volontario, ove però svolgono servizio gratuito in un ruolo unico. A tali soggetti non si applicano i codici penali militari, mentre continua ad applicarsi il cod. ordinamento militare, ad eccezione delle disposizioni in materia di disciplina militare (art. 5, commi 2 e 3, del d.lgs. n. 178 del 2012).
8.– Ciò premesso, è possibile affrontare le questioni di legittimità costituzionale aventi ad oggetto l’intero d.lgs. n. 178 del 2012 (ad eccezione dell’art. 7), sollevate in riferimento agli artt. 1 e 76 Cost. e all’art. 2 della legge n. 183 del 2010.
Non essendo diversamente motivato, il riferimento all’art. 1 Cost. – peraltro inusuale – non ha alcuna significativa autonomia, ma appare come rafforzativo della censura riferita alla disposizione di cui all’art. 76 Cost., volta a garantire al Parlamento, in quanto espressione della rappresentanza popolare, un nucleo incomprimibile di esercizio dell’attività legislativa.
Muovendo dal presupposto secondo il quale questa disposizione avrebbe conferito al Governo una delega di mero riordino degli enti vigilati dal Ministero della salute, secondo il ricorrente l’esercizio della funzione legislativa delegata non avrebbe potuto spingersi, quindi, verso una così integrale rinnovazione dell’assetto della CRI.
8.1. – Le questioni di legittimità costituzionale non sono fondate.
Non v’è dubbio che la Costituzione, all’art. 76, ponga una duplice direttiva normativa nei confronti di Parlamento e Governo, protagonisti del procedimento bifasico ivi disciplinato.
8.1.1.– Per un verso, il Parlamento è tenuto a circoscrivere i margini di azione dell’esecutivo; come questa Corte ha già affermato, l’individuazione dei principi e criteri direttivi, la delimitazione dell’oggetto e la fissazione del termine mirano a «circoscrivere il campo della delega» al fine di «evitare che essa venga esercitata in modo divergente dalle finalità che l’hanno determinata» (sentenza n. 198 del 1998; nello stesso senso, sentenza n. 3 del 1957). La limitazione rigorosa dei poteri del legislatore delegato e la conseguente inammissibilità di “deleghe in bianco” si giustificano alla luce dell’assetto generale delle attribuzioni disegnato dalla Costituzione, la quale assegna la funzione legislativa alle Camere (art. 70 Cost.). Il ruolo centrale del Parlamento, nei processi di produzione normativa, impone allo stesso di non delegare l’esercizio della funzione legislativa se non con limiti precisi (sentenza n. 106 del 1962), che non si riducano a clausole di stile prive di adeguata efficacia precettiva.
8.1.2.– Per altro verso, le condizioni fissate dal delegante, ai sensi dell’art. 76 Cost., rappresentano un confine invalicabile per il Governo, che proprio nel contenuto della delega trova la misura della propria azione. Non a caso, questa Corte ha più volte sancito che, soprattutto nel caso di deleghe destinate al riordino normativo, «al legislatore delegato spetta un limitato margine di discrezionalità per l’introduzione di soluzioni innovative, le quali devono attenersi strettamente ai principi e ai criteri direttivi enunciati dal legislatore delegante» (sentenza n. 250 del 2016; nello stesso senso, sentenze n. 94, n. 73, n. 50 e n. 5 del 2014, n. 162 e n. 80 del 2012).
In queste ipotesi, si impone una verifica rigorosa sui contenuti della decretazione legislativa, richiesta dall’essere la legislazione su delega una legislazione vincolata dai principi e criteri direttivi posti dal Parlamento.
8.2.– Questa Corte è tuttavia consapevole che il procedimento delineato dall’art. 76 Cost. attiene pur sempre alla produzione di atti legislativi. Per tale ragione, il delegante non è onerato di fornire una descrizione tassativa delle norme suscettibile di guidare il delegato, risultando anzi consentito «il ricorso a clausole generali, ferma la necessità che queste siano accompagnate dall’indicazione di precisi principi» (sentenza n. 250 del 2016; nello stesso senso, sentenza n. 159 del 2001); né il Governo è tenuto a una attività di mera esecuzione o automatico riempimento dei disposti cristallizzati nella delega. Per costante giurisprudenza di questa Corte, infatti, i confini del potere legislativo delegato risultano complessivamente dalla determinazione dell’oggetto e dei principi e criteri direttivi, unitariamente considerati.
Entro questa cornice – emergente da un’interpretazione anche sistematica e teleologica della delega – «deve essere inquadrata la discrezionalità del legislatore delegato, il quale è chiamato a sviluppare, e non solo ad eseguire, le previsioni della legge di delega» (sentenza n. 104 del 2017). Se, dunque, la «legge delega, fondamento e limite del potere legislativo delegato, non deve contenere enunciazioni troppo generali o comunque inidonee a indirizzare l’attività normativa del legislatore delegato», essa può essere «abbastanza ampia da preservare un margine di discrezionalità, e un corrispondente spazio, entro il quale il Governo possa agevolmente svolgere la propria attività di “riempimento” normativo, la quale è pur sempre esercizio delegato di una funzione “legislativa”» (sentenze n. 198 del 2018 e n. 104 del 2017).
9.– Tenute presenti tali coordinate ermeneutiche, possono risolversi le questioni poste dal rimettente. In particolare, si tratta di verificare se, alla luce di una interpretazione sistematica e teleologica dell’art. 2 della legge n. 183 del 2010, il Parlamento abbia conferito al Governo un mero compito di riordino normativo e se, di conseguenza, il delegato abbia oltrepassato i limiti imposti dalla delega.
9.1.– Questa Corte ritiene di dare risposta negativa a tale quesito.
L’art. 2 della legge n. 183 del 2010 identifica l’oggetto della delega nella «riorganizzazione degli enti, istituti e società vigilati dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dal Ministero della salute nonché alla ridefinizione del rapporto di vigilanza dei predetti Ministeri sugli stessi enti, istituti e società rispettivamente vigilati». Posto che è espressamente menzionata la Croce Rossa italiana nel comma 2 di detto articolo, dai lavori preparatori si trae ulteriore conferma dell’intenzione di intervenire sull’ente pubblico attraverso una complessiva revisione della sua struttura organizzativa. Infatti, l’originario disegno di legge (art. 24 del d.d.l. Atto Camera 1441, poi stralciato nel d.d.l. Atto Camera 1441-quater, XVI Legislatura) indicava la Croce Rossa tra gli organismi da riorganizzare, e, solo durante l’esame al Senato, la 1ª e la 11ª Commissione riunite allargarono l’oggetto della delega, al fine di estendere il processo di riforma a tutti gli enti o società vigilati dal Ministero del lavoro fra cui l’Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori (ISFOL) e la società Italia lavoro spa.
9.2.– Non è fondata la censura di eccesso di delega se si guarda ai principi e criteri direttivi della stessa. Le lettere a) e b) dell’art. 2, comma 1, della legge n. 183 del 2010 fanno riferimento alle esigenze di «semplificazione e snellimento dell’organizzazione della struttura amministrativa degli enti […]», e alla «razionalizzazione e ottimizzazione delle spese e dei costi di funzionamento, previa riorganizzazione dei relativi centri di spesa». Attraverso tali direttive, il delegante ha lasciato aperta una pluralità di soluzioni, tutte egualmente rimesse alla discrezionalità del Governo nell’attuazione della legge di delega, secondo un disegno procedurale coerente con l’art. 76 Cost.
Può ritenersi, dunque, che il legislatore delegato, attraverso la riorganizzazione della CRI, non abbia valicato l’oggetto, gli obiettivi e le finalità posti dalla legge delega, in quanto, muovendosi all’interno della pluralità di opzioni consentitegli, ha inteso perseguire il fine della «semplificazione e snellimento […] della struttura degli enti» indicato dal delegante. In tal senso, il complessivo intervento di riforma, lungi dal realizzare una mera soppressione della CRI, come pure adombrato dal rimettente, interviene sulla sua struttura confermando le rilevanti attività, di interesse pubblico, che essa ha storicamente svolto nel contesto interno e internazionale (art. 1, commi 4, 5 e 6, del d.lgs. n. 178 del 2012), disponendo il subentro della nuova Associazione in tutte le convenzioni stipulate dalla CRI (art. 3, comma 4), assicurando la prevalenza di finanziamenti pubblici per il suo sostentamento e riconoscendo l’Associazione della CRI quale «unica Società nazionale di Croce Rossa» autorizzata a far parte della Federazione internazionale delle società di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa (art. 1, comma 2). In tal senso, il mutamento della natura giuridica dell’organismo altro non è se non lo strumento individuato dal delegato per raggiungere e soddisfare la finalità indicata dal delegante.
9.2.1.– La scelta del Governo di tornare alla originaria struttura associativa della Croce Rossa non può, quindi, dirsi estranea agli obiettivi di riorganizzazione perseguiti dalla delega.
Rinsaldano questa conclusione, sia l’indagine circa l’intenzione originaria del Parlamento nel procedimento che ha portato all’approvazione della legge delega, sia l’iter parlamentare che ha accompagnato il varo del decreto legislativo censurato e, in particolare, il parere espresso dalle competenti commissioni parlamentari. Nella stessa direzione si muovono la complessa evoluzione normativa della Croce Rossa dalla fondazione alla legge di riforma sanitaria e i vincoli internazionali in favore di una struttura “non governativa” delle Croci rosse e delle Mezzelune rosse. Del resto, come più volte affermato da questa Corte, il contenuto di una delega legislativa deve essere identificato tenendo conto, oltre che del dato testuale, della lettura sistematica delle disposizioni che la prevedono, anche alla luce del contesto normativo nel quale essa si inserisce, nonché della ratio e delle finalità che la ispirano (ex plurimis, sentenze n. 104 del 2017; nello stesso senso, sentenze n. 250 del 2016, n. 210 del 2015 e n. 229 del 2014).
Già in passato il Parlamento aveva indicato la strada della ristrutturazione della CRI «in conformità del principio volontaristico della Associazione stessa», come sancito dal criterio direttivo di cui all’art. 70, terzo comma, della legge n. 833 del 1978, cui fece seguito il d.P.R. n. 613 del 1980, la cui applicazione si arenò – come prima sottolineato – per la mancata adozione dello statuto della costituenda associazione. Ed è in questa medesima direzione che si colloca la volontà del legislatore delegante espressa nel 2010 con la legge n. 183, come confermato dalle commissioni parlamentari permanenti chiamate a rendere parere sullo schema di decreto legislativo, le quali hanno avallato la scelta della persona giuridica di diritto privato compiuta dal Governo.
9.2.2.– A tale riguardo, meritano di essere segnalati i pareri resi dalla 12ª Commissione (Igiene e sanità) del Senato della Repubblica, la quale, di fronte a un primo schema di decreto legislativo (XVI Legislatura, atto del Governo, n. 424) che qualificava la Croce Rossa «ente pubblico non economico su base associativa» e confermava gran parte della precedente struttura dell’ente, aveva espresso parere contrario, ritenendo che lo schema non risolvesse i problemi e non rispondesse alle esigenze emersi durante la menzionata indagine conoscitiva precedentemente disposta dalla medesima Commissione. Essa invitava perciò il Governo a presentare un nuovo progetto di riforma che recepisse le linee d’intervento indicate nel documento conclusivo della citata indagine (XVI Legislatura, parere della Commissione Igiene e sanità del Senato della Repubblica sull’atto del Governo n. 424).
9.2.3.– A seguito del nuovo schema di decreto legislativo (XVI Legislatura, atto del Governo n. 491) che ha previsto la natura associativa dell’Ente, la Commissione Igiene e sanità del Senato della Repubblica ha espresso parere favorevole, seppur enunciando una serie di osservazioni. Eguale parere favorevole è stato espresso dalle altre commissioni permanenti della Camera e del Senato (Difesa, Bilancio, Affari costituzionali, Affari sociali), a testimonianza del fatto che il processo di riforma, realizzato dal Governo, è stato complessivamente condiviso dagli organi parlamentari.
10.– Il rimettente indica, nel prosieguo argomentativo dell’ordinanza, un profilo di illegittimità costituzionale relativo alla presunta sub-delega che il delegato avrebbe attuato con riguardo alle modalità di finanziamento della Associazione della Croce Rossa italiana.
In particolare, l’art. 2, comma 5, del censurato d.lgs. n. 178 del 2012, nell’assegnare le risorse finanziarie secondo criteri rimessi alla determinazione dei Ministri della salute, dell’economia e delle finanze e della difesa, avrebbe «demandato a scelte ministeriali aspetti essenziali della nuova disciplina».
L’art. 2, comma 5, del d.lgs. n. 178 del 2012, prevedendo che «[l] e risorse finanziarie a carico del bilancio dello Stato […] sono attribuite […] con decreti del Ministro della salute, del Ministro dell’economia e delle finanze e del Ministro della difesa, ciascuno in relazione alle proprie competenze, senza determinare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica […]», evidentemente si limita a disciplinare le modalità di erogazione, affidando all’atto fonte secondario solo il compito esecutivo di assegnazione materiale delle risorse.
La censura non è fondata.
La soluzione adottata nell’art. 2 non si pone in contrasto con la giurisprudenza di questa Corte, la quale consente al decreto delegato il conferimento agli organi dell’esecutivo della funzione «di emanare normative di tipo regolamentare (sentenza n. 79 del 1966), disposizioni di carattere tecnico (sentenza n. 106 del 1967) o atti amministrativi di esecuzione (ordinanza n. 176 del 1998; per ulteriori esemplificazioni, sentenze n. 66 del 1965 e n. 103 del 1957)» (sentenza n. 104 del 2017).
11.– Alla luce delle considerazioni che precedono, anche le censure rivolte agli artt. 5 e 6 del d.lgs. n. 178 del 2012 devono essere dichiarate non fondate.
11.1.– Gli artt. 5 e 6 del d.lgs. n. 178 del 2012 si collocano, come visto, all’interno della riorganizzazione del Corpo militare della CRI. Non è manifestamente incoerente con la finalità complessiva della riforma, in un’ottica di razionalizzazione delle spese, stabilire un diverso inquadramento del personale ausiliario, a maggior ragione laddove, come nel caso di specie, il delegato opti, quale strumento di attuazione del compito affidatogli dal delegante, per la trasformazione dell’ente pubblico in persona giuridica di diritto privato. D’altronde, è la stessa legge di delega ad aver indicato al Governo la necessità di garantire la razionalizzazione e l’ottimizzazione delle spese e dei costi di funzionamento, obiettivi coerentemente perseguiti dal legislatore delegato tramite il trasferimento del personale militare ausiliario al ruolo civile.
Il giudice a quo deduce l’eccesso di delega delle norme sul personale ausiliario anche per contrasto «con i principi e criteri direttivi, di cui all’art. 2, comma 1, lettera a) della legge delega», che lascerebbe ferme «le specifiche disposizioni vigenti per il [...] personale, in servizio alla data di entrata in vigore della [medesima] legge».
Il presupposto interpretativo da cui muove il rimettente è palesemente errato, non trovando riscontro nel tenore letterale della richiamata disposizione. La necessità di mantenere «le specifiche disposizioni vigenti per il relativo personale in servizio alla data di entrata in vigore della […] legge» n. 183 del 2010 è, infatti, espressamente riferita al processo di riordino dell’ISFOL e della società Italia Lavoro spa e ai rapporti di impiego instaurati con detti istituti e non riguarda, invece, la CRI.
12.– Il rimettente lamenta, altresì, che il d.lgs. n. 178 del 2012 violerebbe gli artt. 3 e 97 Cost perché, avendo operato «una integrale rinnovazione strutturale per quanto riguarda la Croce Rossa Italiana», con soppressione e liquidazione dell’ente pubblico e istituzione di una persona giuridica di diritto privato, avrebbe contestualmente determinato una notevole riduzione di risorse, che impedirebbe all’Ente strumentale (e, poi, all’Associazione), di svolgere le «delicate ed importanti funzioni di interesse pubblico», elencate dall’art. 1, comma 4, del d.lgs. n. 178 del 2012.
12.1.– Dette questioni di legittimità dell’«intero decreto» legislativo (ad eccezione dell’art. 7), promosse con riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., non sono fondate.
L’attribuzione della personalità giuridica di diritto privato è senz’altro coerente con la vocazione solidaristica della neoistituita Associazione della Croce Rossa italiana, associazione di volontariato chiamata a svolgere rilevanti funzioni di interesse generale, a livello nazionale e internazionale. Il decreto legislativo censurato trova anzi una diretta copertura costituzionale nell’art. 118, quarto comma, Cost., che in una ottica di sussidiarietà orizzontale impegna la Repubblica a favorire «l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale».
12.2.– Peraltro è da tenere presente, come sottolineato dall’Avvocatura dello Stato in udienza pubblica, che il nuovo modulo organizzativo della Croce Rossa italiana allinea il nostro ordinamento ad altre esperienze, in particolare (ma non solo) europee, le quali disegnano le rispettive società nazionali di Croce Rossa quali associazioni di diritto privato di interesse pubblico, formate da volontari e da personale civile in regime di impiego privatistico; osservazione non priva di significato per una organizzazione destinata ad aderire ad una federazione transnazionale di «società non governative» (come recita il preambolo dello statuto della Federazione internazionale delle società di Croce Rossa e Mezzaluna rossa).
Tale constatazione vale non solo per il Regno Unito (la British Red Cross, ricevuto il riconoscimento regio nel 1908, è una voluntary aid society, ausiliaria rispetto alle autorità pubbliche), ma anche per i sistemi giuridici continentali. Si pensi alla Croix-Rouge française, associazione senza scopo di lucro, riconosciuta di utilità pubblica; al Bundesverband des Roten Kreuzes tedesco, associazione registrata ai sensi degli artt. 21 e seguenti del codice civile tedesco; alla Cruz Roja spagnola, associazione civile di rilievo pubblico composta solo da volontari civili (e non più, come in passato, anche da militari di carriera).
12.3.– Infine, quanto alle risorse messe a disposizione dell’Associazione della Croce Rossa italiana, l’ordinanza si limita ad affermarne solo genericamente la strutturale inadeguatezza, rendendo per quest’aspetto la censura inammissibile.
12.4.– Il giudice a quo solleva specifiche questioni di legittimità costituzionale degli artt. 5 e 6 del d.lgs. n. 178 del 2012, sempre in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost.
Ad avviso del rimettente, il trasferimento al ruolo civile del personale militare, previsto da detti articoli, sarebbe causa di illegittimità costituzionale per l’assenza di «progressione economica commisurata al grado rivestito», e di «garanzie di conservazione delle funzioni in precedenza attribuite». Inoltre, sarebbe costituzionalmente illegittima la scelta di ricorrere alle procedure di mobilità e la destinazione ad altra amministrazione «senza alcun richiamo a comparti o settori dell’amministrazione stessa, in cui si svolgano attività comparabili con quelle del personale di cui trattasi, in possesso di specifica professionalità per situazioni di emergenza».
12.4.1.– Le questioni di legittimità costituzionale sollevate nei termini sopra prospettati non sono fondate.
Il d.lgs. n. 178 del 2012, agli artt. 5 e 6, non realizza la soppressione del Corpo militare ausiliare, ma ne revisiona la struttura in coerenza con la generale riorganizzazione della CRI e con la rinnovata struttura associativa della stessa.
Il decreto delegato ha infatti disposto la sopravvivenza degli appartenenti al citato organismo quale categoria in congedo che presta servizio volontariamente e gratuitamente (non diversamente da quanto accade, oltre che per il Corpo delle infermiere volontarie, per la prima citata Associazione dei cavalieri italiani del sovrano militare Ordine di Malta, disciplinata dagli artt. 1761 e seguenti del cod. ordinamento militare). Peraltro, come sottolineato dalla difesa statale, il pregresso Corpo militare già da tempo utilizzava personale con tali caratteristiche come bacino da cui la CRI poteva attingere per i richiami temporanei in servizio (artt. 1668 e 1669 cod. ordinamento militare).
Del resto, anche il personale trasferito in altre amministrazioni, pur perdendo la qualifica di militare in servizio attivo, mantiene la qualifica di militare in congedo e, ai sensi dell’art. 1668 cod. ordinamento militare, potrebbe sempre essere richiamato in servizio, conservando il grado rivestito all’atto del collocamento in congedo.
In tale quadro, il trasferimento al ruolo civile del personale del Corpo militare della CRI non si pone in contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost.
Il trasferimento al ruolo civile del personale militare risulta anzi coerente con la trasformazione del regime giuridico della CRI, posto che il nuovo inquadramento nel rapporto di impiego accede alla diversa configurazione del datore di lavoro, che da soggetto pubblico muta in associazione di diritto privato regolata dal Libro I, Titolo II, Capo II, del codice civile.
Tali scelte di fondo comportano inevitabilmente modifiche delle modalità di sviluppo delle carriere, che perciò stesso si sottraggono alle dedotte censure.
12.4.2.– Quanto alle procedure di mobilità, adottate nell’ambito dei processi di riforma che hanno interessato le amministrazioni provinciali, ma che, come detto, trovano applicazione nella vicenda oggetto dell’attuale giudizio, si è recentemente pronunciata questa Corte, sottolineando come esse consentano di garantire un equilibrato contemperamento di due esigenze costituzionalmente rilevanti: per un verso, il mantenimento dei rapporti di lavoro, rendendo così «effettivo il diritto al lavoro di cui all’art. 4 Cost.» (sentenze n. 202 del 2016 e n. 388 del 2004); per un altro, la discrezionalità legislativa connessa al processo di riordino dello Stato e degli enti pubblici. In contesti simili, è sicuramente auspicabile che ad un «rilevante riassetto organizzativo-funzionale segua un’adeguata riqualificazione del personale» (sentenza n. 159 del 2016). Non può essere escluso che in sede di applicazione di detta normativa possano verificarsi vizi nei conseguenti atti amministrativi, che spetterà eventualmente sindacare solo agli organi giurisdizionali competenti.
Di qui la non fondatezza, anche sotto tali profili, delle questioni prospettate.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 3, 4, 5, 6 e 8 del decreto legislativo 28 settembre 2012, n. 178, recante «Riorganizzazione dell’Associazione italiana della Croce Rossa (C.R.I.) a norma dell’art. 2 della legge 4 novembre 2010, n. 183», sollevate, in riferimento all’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmato a Parigi il 20 marzo 1952 e ratificato con legge 4 agosto 1955, n. 848, dal Tribunale amministrativo del Lazio, sezione terza, con l’ordinanza indicata in epigrafe;
2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 3, 4, 5, 6 e 8 del d.lgs. n. 178 del 2012, sollevate, in riferimento agli artt. 1 e 76 Cost., in relazione all’art. 2 della legge 4 novembre 2010, n. 183 (Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l’impiego, di incentivi all’occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro), dal TAR Lazio, con l’ordinanza indicata in epigrafe;
3) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 3, 4, 5, 6 e 8 del d.lgs. n. 178 del 2012, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., dal TAR Lazio, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 marzo 2019.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Augusto Antonio BARBERA, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 9 aprile 2019.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA
Allegato:
Ordinanza letta all'udienza del 5 marzo 2019
ORDINANZA
Rilevato che, nel giudizio di legittimità costituzionale promosso dal Tribunale amministrativo per il Lazio (reg. ord. n. 137 del 2017), sono intervenuti Cipullo Massimo con altre trentadue persone;
che, tra i trentatre intervenienti, solo De Paola Giacomo, Stallone Giuseppe, Colasuonno Francesco, Liantonio Vito, Del Giudice Alessandro, Rella Giuseppe, Balestrieri Ferdinando e Stallone Michele risultano parti del giudizio principale;
che, nel medesimo giudizio, hanno depositato atti di intervento Ambrosini David, insieme con altre centoquindici persone, e Siciliano Luigi, insieme con altre due persone, oltre il termine di 20 giorni previsto dall'art. 4, comma 4, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale e decorrente dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell'atto introduttivo del giudizio.
Considerato che Cipullo Massimo e gli altri ventiquattro intervenienti non sono parti del giudizio principale;
che, per costante giurisprudenza di questa Corte, sono ammesse a intervenire nel giudizio incidentale di legittimità costituzionale (art. 3 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale) le parti del giudizio a quo, oltre che, a norma dell'art. 4 delle Norme integrative, il Presidente del Consiglio dei ministri e, nel caso di legge regionale, il Presidente della Giunta regionale (sentenza n. 248 del 2018, nello stesso senso sentenze n. 217, n. 194 del 2018, con allegate ordinanze dibattimentali);
che non è ammissibile l'intervento, nei giudizi davanti a questa Corte, dei titolari di interessi soltanto analoghi a quelli dedotti nel giudizio principale, dato il carattere incidentale del giudizio di legittimità costituzionale, in quanto l'accesso di tali soggetti al detto giudizio avverrebbe senza la previa verifica della rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione da parte del giudice a quo (sentenze n. 35 del 2017, n. 71 del 2015, con allegate ordinanze dibattimentali, nonché sentenza n. 119 del 2012);
che l'intervento di Ambrosini David e degli altri centoquindici intervenienti è tardivo;
che parimenti tardivo è l'intervento di Siciliano Luigi e degli altri due intervenienti;
che, secondo il costante orientamento di questa Corte, il termine previsto dall'art. 4, comma 4, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, è ritenuto perentorio, con la conseguenza che l'intervento spiegato dopo la sua scadenza è inammissibile (ex plurimis, sentenze n. 99 del 2018, n. 250 del 2017, con allegate ordinanze dibattimentali).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile l'intervento spiegato, nel presente giudizio di legittimità costituzionale, da Cipullo Massimo e dagli altri ventiquattro intervenienti che non sono parti del giudizio principale;
dichiara inammissibili gli interventi spiegati, nel presente giudizio di legittimità costituzionale, da Ambrosini David e dagli altri centoquindici intervenienti, nonché da Siciliano Luigi e dagli altri due intervenienti, depositati oltre il termine previsto dall'art. 4, comma 4, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
F.to: Giorgio Lattanzi, Presidente