SENTENZA N. 94
ANNO 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Giorgio LATTANZI; Giudici : Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 6, comma 1, lettera a), numero 2), della legge della Regione Molise 30 gennaio 2018, n. 2 (Legge di stabilità regionale 2018), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il 30 marzo-4 aprile 2018, depositato in cancelleria il 3 aprile 2018, iscritto al n. 29 del registro ricorsi 2018 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 20, prima serie speciale, dell’anno 2018.
Visto l’atto di costituzione della Regione Molise;
udito nella udienza pubblica del 5 marzo 2019 il Giudice relatore Daria de Pretis;
uditi l’avvocato dello Stato Enrico De Giovanni per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Antonio Galasso per la Regione Molise.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato il 30 marzo-4 aprile 2018 e depositato il 3 aprile 2018, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 6, comma 1, lettera a), numero 2), della legge della Regione Molise 30 gennaio 2018, n. 2 (Legge di stabilità regionale 2018), in riferimento, rispettivamente, all’art. 117, terzo comma, e all’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione.
1.1.– In merito alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge reg. Molise n. 2 del 2018, il ricorrente premette che la Regione – a fronte di una situazione di disavanzo nel settore sanitario suscettibile di compromettere l’erogazione dei livelli essenziali di assistenza (LEA) – ha stipulato, in data 30 marzo 2007, un accordo con il Ministro della salute e con il Ministro dell’economia e delle finanze (comprensivo di un piano di rientro dal disavanzo sanitario), il quale, ai sensi dell’art. 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005)», individua una serie di interventi volti a ristabilire l’equilibrio economico e finanziario della Regione nel rispetto dei LEA e degli adempimenti previsti dall’accordo Stato-Regioni di cui al comma 173 dello stesso art. 1 della legge n. 311 del 2004.
La mancata realizzazione degli obiettivi individuati dal piano di rientro, nelle dimensioni e nei tempi stabiliti dalla normativa statale sopra richiamata, ha portato il Consiglio dei ministri, nella seduta del 21 marzo 2013, alla nomina di un commissario ad acta per la realizzazione del piano e per l’attuazione del programma operativo 2015-2018. Questo commissario è stato individuato nella persona del Presidente pro tempore della Regione, al quale è stato poi affiancato un sub-commissario, nominato il 18 maggio 2015.
Fatta questa premessa, la difesa statale richiama la giurisprudenza costituzionale che, in relazione alle leggi regionali approvate in costanza di mandato commissariale per l’attuazione del piano di rientro dal disavanzo nel settore sanitario, ha affermato che la disciplina di questi piani di rientro è riconducibile a due ambiti di competenza legislativa concorrente: «tutela della salute» e «coordinamento della finanza pubblica» (art. 117, terzo comma, Cost.). In particolare, questa Corte ha ritenuto che quanto stabilito dall’art. 2, commi 80 e 95, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2010)», costituisce un principio fondamentale del coordinamento della finanza pubblica (è citata la sentenza n. 106 del 2017).
Il ricorrente sottolinea, altresì, che gli accordi stipulati a tal fine «assicurano, da un lato, la partecipazione delle Regioni alla definizione dei percorsi di risanamento dei disavanzi nel settore sanitario e, dall’altro, escludono che le Regioni possano poi adottare unilateralmente misure – amministrative o normative – con essi incompatibili» (è richiamata la sentenza n. 51 del 2013).
Nel caso di specie la norma regionale impugnata, rifinanziando la legge della Regione Molise 25 maggio 1990, n. 24 (Provvidenze in favore delle Associazioni di tutela degli invalidi), che prevede la concessione di contributi a favore di associazioni di mutilati e invalidi, non rispetterebbe «i vincoli imposti dall’esigenza di rientro dal deficit sanitario» e pregiudicherebbe «il conseguimento degli obiettivi di risparmio ivi previsti». Di qui il contrasto con i principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica in campo sanitario, stabiliti dalle norme sopra indicate.
In particolare, dalla lettura della Tabella A allegata alla legge reg. Molise n. 2 del 2018 il ricorrente deduce che il rifinanziamento dei contributi in parola grava su «fondi di natura sanitaria»; pertanto, l’impugnato art. 1 della stessa legge regionale introdurrebbe «un livello ulteriore di assistenza, non essenziale, non previsto dal D.P.C.M. 12 gennaio 2017 recante “Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza di cui all’articolo 1, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502” che la Regione Molise, in quanto sottoposta al Programma Operativo Straordinario 2015-2018, non può garantire, neppure con risorse di natura sociale», ai sensi dell’art. 1, comma 174, della legge n. 311 del 2004.
Il ricorrente conclude sul punto, richiamando la giurisprudenza costituzionale secondo cui l’autonomia legislativa concorrente delle Regioni nella materia della tutela della salute e in particolare nell’ambito della gestione del servizio sanitario può incontrare limiti alla luce degli obiettivi della finanza pubblica e del contenimento della spesa (sono citate le sentenze n. 104 del 2013, n. 91 del 2012 e n. 193 del 2007).
L’art. 1 impugnato, «laddove […] dispone l’assunzione a carico del bilancio regionale di oneri aggiuntivi per garantire un livello di assistenza supplementare», violerebbe, quindi, il principio di contenimento della spesa pubblica sanitaria, che costituisce un principio fondamentale in materia di coordinamento della finanza pubblica (art. 117, terzo comma, Cost.).
1.2.– Quanto alla seconda questione, il ricorrente precisa che l’art. 6 della legge reg. Molise n. 2 del 2018 ha apportato una serie di modifiche alla legge della Regione Molise 5 maggio 2006, n. 5 (Disciplina delle funzioni amministrative in materia di demanio marittimo e di zone di mare territoriale), e, fra queste, ha introdotto la lettera o-bis) al suo art. 4, comma 1. A essere impugnato è quindi l’art. 6, comma 1, lettera a), numero 2), della legge reg. Molise n. 2 del 2018, il quale aggiunge alle funzioni spettanti alla Regione anche quella di esprimere «parere regionale preventivo da richiedersi nei procedimenti di rilascio di concessioni demaniali marittime ex articolo 36 del Codice della Navigazione, variazioni al contenuto delle stesse ex articolo 24 del Regolamento al Codice della Navigazione rilasciati dai Comuni e consegne ex articolo 34 del Codice della Navigazione».
1.2.1.– Preliminarmente il ricorrente ricostruisce il quadro costituzionale delle competenze legislative e amministrative in materia di demanio marittimo, precisando che, dopo la riforma del Titolo V della Parte seconda della Costituzione, la disciplina dell’uso dei beni del demanio marittimo afferisce alla materia «governo del territorio» (art. 117, terzo comma, Cost.) e a quella residuale del turismo (art. 117, quarto comma, Cost.). La disciplina degli aspetti dominicali del demanio statale rientrerebbe, invece, nell’ambito dell’«ordinamento civile», di competenza esclusiva dello Stato.
Quanto alle funzioni amministrative, la difesa statale sottolinea come, a fronte delle prime deleghe concernenti le sole funzioni preordinate al rilascio di concessioni con finalità turistico-ricreative, solo con l’art. 105 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59) la delega sia stata estesa anche alle funzioni relative al «rilascio di concessioni di beni del demanio della navigazione interna, del demanio marittimo e di zone del mare territoriale per finalità diverse da quelle di approvvigionamento di fonti di energia».
Da questa ricostruzione il ricorrente deduce l’esistenza di una «separazione tra le funzioni amministrative delegate alle Regioni e quelle che permangono in capo allo Stato in quanto relative all’aspetto dominicale dei beni (cd. funzioni dominicali)». In particolare, la disciplina relativa alla funzione di consegna dei beni demaniali marittimi alle amministrazioni che ne facciano richiesta per destinarli «ad altri usi pubblici» rientrerebbe nella competenza legislativa statale (art. 34 del regio decreto 30 marzo 1942, n. 327, recante «Codice della navigazione»).
Inoltre, ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. 15 febbraio 1952, n. 328, recante «Approvazione del regolamento per l’esecuzione del codice della navigazione (Navigazione marittima)», «[l]a destinazione temporanea ad altri usi pubblici nell’interesse di altre amministrazioni dello Stato di determinate parti del demanio marittimo, di cui all’art. 34 del codice, è autorizzata dal ministro per la marina mercantile e consta da processo verbale di consegna redatto dal capo del compartimento. Essa, salvo per i porti di cui all’art. 19 del codice, non importa corresponsione di canone».
Il terzo comma del medesimo art. 36 stabilisce, infine, che «[l]’eventuale utilizzazione da parte di terzi di beni demaniali compresi nelle zone consegnate ad altre amministrazioni in dipendenza del presente articolo, è disciplinata a norma dell’articolo 36 del codice dall’autorità marittima mercantile, sentita l’amministrazione consegnataria. L’autorità marittima mercantile in ogni caso esercita sui beni stessi i poteri di polizia ai sensi dell’articolo 30 del codice».
In base a queste disposizioni il ricorrente afferma che sussiste una competenza legislativa esclusiva statale in merito all’istituto della consegna di cui all’art. 34 cod. nav., con la conseguenza che sarebbe escluso l’intervento di organi non statali e, in particolare, regionali.
1.2.2.– Alla luce delle considerazioni preliminari di cui sopra, il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene che l’art. 6, comma 1, lettera a), numero 2), della legge reg. Molise n. 2 del 2018 – il quale prevede la necessità di un parere regionale non solo nei procedimenti di rilascio di concessioni demaniali marittime ex art. 36 cod. nav. e in quelli di variazione del contenuto delle stesse, «ma anche nei procedimenti di cui all’art. 34 cod. nav.» – violi l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., che riserva alla competenza legislativa statale la materia «ordinamento civile».
La disposizione impugnata interverrebbe, infatti, «su funzioni proprie esclusive dello Stato arrecando un vulnus alle prerogative dominicali di questo sui beni che fanno parte del demanio marittimo». Il ricorrente aggiunge che «l’istituto della consegna costituisce manifestazione del potere di disposizione e godimento naturalmente spettante allo Stato proprietario dei propri beni e, come tale, non può incontrare i limiti altrimenti derivanti dalle competenze riconosciute alle Regioni». Dunque, le competenze delle Regioni non potrebbero incidere sulle facoltà spettanti allo Stato «in quanto proprietario» (è citata la sentenza n. 370 del 2008).
Da ciò deriverebbe il contrasto della norma regionale impugnata con l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in quanto il legislatore regionale «pretende di intervenire nella disciplina di un procedimento che, riguardando una particolare modalità di uso diretto da parte dello Stato dei beni del demanio marittimo, involge profili dominicali estranei alle competenze regionali legislative e amministrative relative all’utilizzazione dei beni demaniali marittimi».
Peraltro, la norma regionale impugnata si porrebbe anche in contrasto con «le esigenze funzionali e logistiche essenzialmente proprie degli organi dello Stato preposti alla tutela di interessi pubblici primari statali quali la difesa, la sicurezza, il soccorso».
La difesa statale aggiunge che, nel caso di specie, non sussisterebbe «alcuna necessità di un coinvolgimento diretto della Regione, neppure a livello meramente consultivo», venendo in rilievo vicende che afferiscono «all’esercizio delle facoltà, di disposizione e godimento, inerenti al diritto di proprietà» dello Stato sui beni demaniali, riconducibili alla competenza legislativa di quest’ultimo in materia di «ordinamento civile». Né sarebbe in gioco la competenza regionale nell’ambito del «governo del territorio», che è comunque adeguatamente garantita dal fatto che, qualora la consegna preveda la realizzazione di opere (che non siano di preminente interesse statale), queste devono essere conformi agli strumenti di pianificazione.
In definitiva, l’art. 6, comma 1, lettera a), numero 2), della legge reg. Molise n. 2 del 2018 violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., poiché vincolerebbe indebitamene ad un parere regionale la consegna, ex art. 34 cod. nav., di beni facenti parte del demanio marittimo statale «la cui utilizzazione e destinazione […] si determina in esito ad un procedimento amministrativo gestito esclusivamente da organi dello Stato ai quali è rimessa ogni opportuna valutazione in merito ai diversi usi pubblici (difesa, sicurezza, soccorso, etc.) cui adibire i beni».
2.– La Regione Molise si è costituita in giudizio chiedendo che la questione relativa all’art. 1 della legge reg. Molise n. 2 del 2018 sia rigettata e che l’eventuale pronuncia di incostituzionalità dell’art. 6, comma 1, lettera a), numero 2), della stessa legge regionale sia limitata alla parte in cui prevede un parere regionale preventivo nei procedimenti di consegna ex art. 34 cod. nav.
2.1.– In particolare, con riferimento alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, la difesa regionale afferma che il rifinanziamento della legge reg. Molise n. 24 del 1990 «nulla ha a che fare con i livelli di assistenza, né con la spesa sanitaria in genere». Al contrario, dalla lettura della legge rifinanziata emergerebbe in modo chiaro che «il finanziamento è teso a favorire attività istituzionali ed indistinte delle associazioni considerate».
La resistente aggiunge che dal ricorso non sarebbero deducibili le ragioni per le quali il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene che le somme destinate siano attribuibili al servizio sanitario, né sarebbe dato sapere «quale assistenza supplementare sia fornita da tali associazioni». La difesa regionale sottolinea altresì l’«irrisorietà» del finanziamento previsto (50.000 euro in tutto), volto alla sopravvivenza delle associazioni previste nella legge reg. Molise n. 24 del 1990, piuttosto che all’effettuazione di prestazioni a terzi.
Il finanziamento in parola non graverebbe, inoltre, sul fondo sanitario regionale ma su altre risorse del bilancio della Regione; l’indicazione nella Tabella A della «Direzione generale per la salute» come «Settore di intervento» sarebbe solo il frutto di una «semplice scelta di organizzazione dell’apparato burocratico regionale» e non consentirebbe di considerare questo contributo alla stregua di una spesa sanitaria. Al contrario, il finanziamento di cui si discute costituirebbe un intervento «di natura extra Gestione Sanitaria Accentrata di parte Corrente, così come risulta dal pertinente capitolo di spesa 39300, rubricato “Contrib. a consiglio reg. unione italiana ciechi mutilati e invalidi lavoro, unione sordo-muti, associazione invalidi e mutilati civili”».
In definitiva, il contributo finanziario in oggetto non interferirebbe con le previsioni del piano di rientro dal disavanzo sanitario cui è sottoposta la Regione Molise e sarebbe estraneo al programma operativo sanitario e ai LEA ivi contenuti e finanziati. Pertanto, l’art. 1 della legge reg. Molise n. 2 del 2018 non sarebbe affetto da alcun vizio di incostituzionalità.
2.2.– Sulla questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 1, lettera a), numero 2), della stessa legge regionale, la resistente precisa come l’impugnazione sia limitata alla sola lettera o-bis), aggiunta all’art. 4, comma 1, della legge reg. Molise n. 5 del 2006. Al riguardo, la difesa regionale chiede che l’eventuale pronuncia di incostituzionalità riguardi solo la parte della lettera o-bis) in cui è previsto un parere regionale preventivo nei procedimenti di consegna ex art. 34 cod. nav.
Considerato in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 6, comma 1, lettera a), numero 2), della legge della Regione Molise 30 gennaio 2018, n. 2 (Legge di stabilità regionale 2018), in riferimento, rispettivamente, all’art. 117, terzo comma, e all’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione.
2.– L’art. 1 è impugnato nella parte in cui, disponendo il rifinanziamento, per gli esercizi finanziari 2018-2020, di alcune «leggi regionali di spesa relative a diversi settori di intervento», individua, tra queste, nell’allegata Tabella A (cui fa rinvio lo stesso art. 1), la legge della Regione Molise 25 maggio 1990, n. 24 (Provvidenze in favore delle Associazioni di tutela degli invalidi) e la rifinanzia limitatamente all’anno 2018 e per un importo di € 50.000,00.
La legge reg. Molise n. 24 del 1990 disciplina la concessione annuale di contributi, da parte della Giunta regionale, su conforme parere della commissione consiliare competente, «alle Sezioni regionali delle seguenti Associazioni che svolgono sul territorio regionale attività di alto valore sociale, allo scopo di favorire lo svolgimento dei compiti istituzionali, escluse le Associazioni combattentistiche e d’Arma: - Associazione nazionale mutilati ed invalidi del lavoro (A.N.M.I.L.), riconosciuta con decreto del Presidente della Repubblica del 31 marzo 1979; - Unione italiana ciechi (U.I.C.), riconosciuta con decreto del Presidente della Repubblica del 23 dicembre 1978; - Ente nazionale sordomuti (E.N.S.), riconosciuto con decreto del Presidente della Repubblica del 31 marzo 1979; - Associazione nazionale Mutilati ed Invalidi civili, riconosciuta con decreto del Presidente della Repubblica del 23 dicembre 1978» (art. 1, primo comma).
È previsto, altresì, che con deliberazione del Consiglio regionale possa essere decisa «l’ammissione di altri Organismi associativi riconosciuti con decreto del Presidente della Repubblica, che presentino i necessari requisiti e finalità sociali» (art. 1, secondo comma).
Il ricorrente deduce la riconducibilità della detta spesa all’ambito sanitario in virtù dell’imputazione dell’intervento al settore della «Direzione generale per la salute», presente nella Tabella A allegata alla legge reg. Molise n. 2 del 2018. L’art. 1 della stessa legge reg. Molise n. 2 del 2018 è quindi impugnato perché introdurrebbe «un livello ulteriore di assistenza, non essenziale», non previsto dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 gennaio 2017 (Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, di cui all’articolo 1, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502), che la Regione Molise non potrebbe assicurare in quanto sottoposta ai vincoli derivanti dal piano di rientro dal disavanzo sanitario.
Di conseguenza, anche alla luce della consolidata giurisprudenza costituzionale, la norma contestata violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost. (in relazione sia al coordinamento della finanza pubblica sia alla tutela della salute), in quanto – prevedendo la concessione di contributi a favore di associazioni di mutilati e invalidi – non rispetterebbe i vincoli imposti dal piano di rientro dal disavanzo sanitario e pregiudicherebbe il conseguimento degli obiettivi di risparmio ivi previsti, con conseguente violazione dei principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica in campo sanitario, posti dall’art. 2, commi 80 e 95, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2010)».
La difesa regionale non contesta l’esistenza dei vincoli derivanti dal piano di rientro ma sottolinea come il rifinanziamento della legge reg. Molise n. 24 del 1990 non riguardi livelli di assistenza, né la spesa sanitaria in generale. Peraltro, il finanziamento in parola non graverebbe sul fondo sanitario regionale ma su altre risorse del bilancio della Regione. Il contributo finanziario in oggetto non interferirebbe quindi con le previsioni del piano di rientro dal disavanzo sanitario cui è sottoposta la Regione Molise e sarebbe estraneo al programma operativo sanitario e ai livelli essenziali di assistenza ivi contenuti e finanziati.
2.1.– Questa Corte ha ripetutamente affermato che la disciplina dei piani di rientro dai deficit di bilancio in materia sanitaria è riconducibile a un duplice ambito di potestà legislativa concorrente, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost.: tutela della salute e coordinamento della finanza pubblica. In particolare, costituisce un principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica quanto stabilito dall’art. 2, commi 80 e 95, della legge n. 191 del 2009, con la conseguenza che sono vincolanti, per le regioni che li abbiano sottoscritti, gli accordi previsti dall’art. 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005)», finalizzati al contenimento della spesa sanitaria e al ripianamento dei debiti.
Infatti «[t]ali accordi assicurano, da un lato, la partecipazione delle Regioni alla definizione dei percorsi di risanamento dei disavanzi nel settore sanitario e, dall’altro, escludono che la Regione possa poi adottare unilateralmente misure – amministrative o normative – con essi incompatibili (sentenza n. 51 del 2013). Qualora poi si verifichi una persistente inerzia della Regione rispetto alle attività richieste dai suddetti accordi e concordate con lo Stato, l’art. 120, secondo comma, Cost. consente l’esercizio del potere sostitutivo straordinario del Governo, al fine di assicurare contemporaneamente l’unità economica della Repubblica e i livelli essenziali delle prestazioni concernenti il diritto fondamentale alla salute (art. 32 Cost.). A tal fine il Governo può nominare un Commissario ad acta, le cui funzioni, come definite nel mandato conferitogli e come specificate dai programmi operativi (ex art. 2, comma 88, della legge n. 191 del 2009), devono restare, fino all’esaurimento dei compiti commissariali, al riparo da ogni interferenza degli organi regionali – anche qualora questi agissero per via legislativa – pena la violazione dell’art. 120, secondo comma, Cost.» (sentenza n. 266 del 2016). Sono state così ritenute illegittime le leggi approvate da regioni sottoposte ai vincoli suddetti, che interferivano con i compiti del Commissario ad acta, anche quando questa interferenza era «meramente potenziale» (tra le più recenti, sentenze n. 247, n. 199 e n. 117 del 2018, n. 190, n. 106 e n. 14 del 2017).
Sulla base di siffatta ricostruzione la Corte ha dichiarato illegittime leggi regionali che, tra l’altro: prevedevano forme di assistenza a persone affette da disturbi dello spettro autistico e disturbi pervasivi dello sviluppo (sentenza n. 247 del 2018); assicuravano forme di assistenza a persone in età evolutiva con disturbi del neurosviluppo e patologie neuropsichiatriche e con disturbi dello spettro autistico (sentenza n. 199 del 2018); erano finalizzate a incrementare i livelli essenziali di assistenza (sentenza n. 117 del 2018); istituivano il Servizio delle professioni sanitarie e quello sociale professionale presso tutte le aziende sanitarie e ospedaliere (sentenza n. 190 del 2017); individuavano le attività odontoiatriche non soggette ad autorizzazione sanitaria o a segnalazione certificata di inizio attività (sentenza n. 106 del 2017); consentivano la proroga del personale precario del Sistema sanitario regionale (sentenza n. 14 del 2017); prevedevano misure di contenimento della spesa sanitaria ma «in modo del tutto disarmonico rispetto alle scelte commissariali» (sentenza n. 266 del 2016); semplificavano le procedure di cessione dell’autorizzazione e dell’accreditamento delle strutture sanitarie e sociosanitarie (sentenza n. 227 del 2015); istituivano fondi straordinari (sentenza n. 141 del 2014); disponevano l’assunzione a carico del bilancio regionale di oneri aggiuntivi per garantire un livello di assistenza supplementare in contrasto con gli obiettivi di risanamento del piano di rientro (sentenza n. 104 del 2013).
Benché dunque la giurisprudenza costituzionale offra un’ampia e variegata gamma di leggi regionali dichiarate illegittime per contrasto con gli anzidetti parametri costituzionali, a causa dell’interferenza, anche solo potenziale, con il piano di rientro dal disavanzo sanitario e con i poteri del commissario, essa presenta anche casi nei quali questa interferenza è stata ritenuta insussistente e si è esclusa, di riflesso, l’illegittimità costituzionale della norma regionale censurata.
Ciò è accaduto quando è stata rinvenuta nella disposizione impugnata una finalità diversa da quella della tutela della salute. Così, ad esempio, è stata ritenuta non fondata la questione relativa a una norma regionale che allargava «la platea dei beneficiari dell’esenzione dal pagamento del ticket sanitario, includendo i minori affidati dall’autorità giudiziaria a famiglie ospitanti e i minori in adozione, per i primi due anni di presa in carico», sull’assunto della natura socio-assistenziale della disposizione (sentenza n. 172 del 2018).
2.2.– Sulla scorta di questa giurisprudenza si deve concludere che la questione promossa nell’odierno giudizio non è fondata. è evidente, infatti, che la finalità della norma impugnata è quella di erogare un contributo economico – peraltro per un solo anno e per importi modesti – ad associazioni di invalidi che perseguono le finalità sociali individuate nei loro atti costitutivi, certamente non di assistenza sanitaria.
L’ambito applicativo della disposizione oggetto dell’impugnativa statale esula, pertanto, da quello oggetto di garanzia dei livelli essenziali di assistenza.
Va precisato che non risulta decisiva, ai fini della riconducibilità della spesa all’ambito sanitario, l’imputazione dell’intervento al settore della «Direzione generale per la salute», presente nella Tabella A allegata alla legge reg. Molise n. 2 del 2018. Siffatta indicazione di un determinato settore organizzativo dell’amministrazione competente, se può costituire un indizio da apprezzare in caso di incertezza, ai fini della valutazione più complessiva sulla finalità di una determinata voce di spesa e di conseguenza sulla sua attinenza a una certa materia, non può essere considerata risolutiva quando, come nel caso di specie, non vi siano dubbi sull’estraneità dell’intervento alla materia sanitaria. Non è casuale del resto che un’identica imputazione, quanto a settore organizzativo di intervento, sia disposta anche per voci di spesa previste in altre leggi della stessa Regione, anch’esse oggetto di rifinanziamento da parte della normativa in esame, e non impugnate dal ricorrente.
Si deve pertanto concludere dichiarando che non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge reg. Molise n. 2 del 2018 in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost.
3.– La seconda questione promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri ha ad oggetto l’art. 6 della legge reg. Molise n. 2 del 2018. In particolare, è impugnato l’art. 6, comma 1, lettera a), numero 2), il quale – introducendo la lettera o-bis) all’art. 4, comma 1, della legge della Regione Molise 5 maggio 2006, n. 5 (Disciplina delle funzioni amministrative in materia di demanio marittimo e di zone di mare territoriale) – ha aggiunto alle funzioni spettanti alla Regione in materia di demanio marittimo anche quella di esprimere «parere regionale preventivo da richiedersi nei procedimenti di rilascio di concessioni demaniali marittime ex articolo 36 del Codice della Navigazione, variazioni al contenuto delle stesse ex articolo 24 del Regolamento al Codice della Navigazione rilasciati dai Comuni e consegne ex articolo 34 del Codice della Navigazione».
Dal ricorso si deduce che il Presidente del Consiglio dei ministri non impugna per intero la disposizione ma solo la parte di essa in cui è prescritto un parere regionale «anche nei procedimenti di cui all’art. 34 cod. nav.», sull’assunto che la norma impugnata intervenga «su funzioni proprie esclusive dello Stato arrecando un vulnus alle prerogative dominicali di questo sui beni che fanno parte del demanio marittimo», con conseguente violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., che riserva alla competenza legislativa statale la materia «ordinamento civile».
La resistente si difende chiedendo che l’eventuale pronuncia di incostituzionalità riguardi solo la parte della lettera o-bis) in cui è previsto il parere regionale preventivo nei procedimenti di consegna ex art. 34 del regio decreto 30 marzo 1942, n. 327, recante «Codice della navigazione».
3.1.– Preliminarmente, occorre definire l’ambito applicativo della norma impugnata, che va circoscritto alla previsione di un «parere regionale preventivo da richiedersi nei procedimenti [relativi alle] consegne ex articolo 34 del Codice della Navigazione».
Il citato art. 34 cod. nav. prevede che «[c]on provvedimento del Ministro per le comunicazioni su richiesta dell’amministrazione statale, regionale o dell’ente locale competente, determinate parti del demanio marittimo possono essere destinate ad altri usi pubblici, cessati i quali riprendono la loro destinazione normale». Esso disciplina dunque l’istituto della consegna in uso gratuito, per la cui applicazione devono ricorrere tre requisiti: 1) l’esistenza di una parte di demanio marittimo e quindi l’assolvimento di funzioni di pubblica utilità da parte di un’amministrazione statale, regionale o dell’ente locale; 2) la temporaneità della destinazione e quindi dell’utilizzo; 3) la destinazione ad altro uso pubblico e quindi l’assenza di uno scopo lucrativo.
L’art. 36, primo comma, del d.P.R. 15 febbraio 1952, n. 328, recante «Approvazione del regolamento per l’esecuzione del codice della navigazione (Navigazione marittima)», stabilisce a sua volta che «[l]a destinazione temporanea ad altri usi pubblici nell’interesse di altre amministrazioni dello Stato di determinate parti del demanio marittimo, di cui all’art. 34 del codice, è autorizzata dal ministro per la marina mercantile e consta da processo verbale di consegna redatto dal capo del compartimento. Essa, salvo per i porti di cui all’art. 19 del codice, non importa corresponsione di canone». Il terzo comma del medesimo art. 36 stabilisce, infine, che «[l]’eventuale utilizzazione da parte di terzi di beni demaniali compresi nelle zone consegnate ad altre amministrazioni in dipendenza del presente articolo, è disciplinata a norma dell’articolo 36 del codice dall’autorità marittima mercantile, sentita l’amministrazione consegnataria. L’autorità marittima mercantile in ogni caso esercita sui beni stessi i poteri di polizia ai sensi dell’articolo 30 del codice».
La descritta disciplina del procedimento di consegna costituisce espressione della potestà legislativa esclusiva dello Stato nella regolazione degli aspetti dominicali del demanio marittimo, in quanto rientranti nella materia dell’«ordinamento civile», come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza costituzionale (tra le più recenti, sentenze n. 22 del 2013, n. 370, n. 102 e n. 94 del 2008, n. 427 e n. 286 del 2004, n. 150 del 2003 e n. 343 del 1995). Ne consegue che la norma regionale impugnata, nella parte in cui introduce nel procedimento di consegna ex art. 34 cod. nav. un parere preventivo della Regione – che, tra l’altro, potrebbe coincidere con l’amministrazione richiedente la consegna –, invade l’ambito riservato al legislatore statale nella definizione degli aspetti dominicali del regime dei beni del demanio marittimo.
È dunque fondata, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 1, lettera a), numero 2), della legge reg. Molise n. 2 del 2018 nella parte in cui aggiunge la lettera o-bis) all’art. 4, comma 1, della legge reg. Molise n. 5 del 2006, limitatamente alle parole «e consegne ex articolo 34 del Codice della Navigazione», contenute nella citata lettera o-bis).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 6, comma 1, lettera a), numero 2), della legge della Regione Molise 30 gennaio 2018, n. 2 (Legge di stabilità regionale 2018), nella parte in cui aggiunge la lettera o-bis) all’art. 4, comma 1, della legge della Regione Molise 5 maggio 2006, n. 5 (Disciplina delle funzioni amministrative in materia di demanio marittimo e di zone di mare territoriale), limitatamente alle parole «e consegne ex articolo 34 del Codice della Navigazione», contenute nella citata lettera o-bis);
2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge reg. Molise n. 2 del 2018, nella parte in cui, rinviando alla Tabella A allegata alla stessa legge regionale, rifinanzia la legge della Regione Molise 25 maggio 1990, n. 24 (Provvidenze in favore delle Associazioni di tutela degli invalidi), promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 marzo 2019.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Daria de PRETIS, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 18 aprile 2019.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA