Corte Costituzionale, Sentenza n.159 del 23/07/2020

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Bilancio e contabilità pubblica - Norme della Regione Lombardia - Rispetto dei vincoli per il contenimento della spesa posti dal legislatore statale - Spese di finanziamento del Comitato regionale per le comunicazioni (CORECOM) - Autorizzazione dirigenziale al pagamento dei debiti regionali fuori bilancio derivanti da sentenze esecutive prima del riconoscimento della loro legittimità - Ricorso del Governo - Successiva rinuncia parziale, accettata dalla controparte costituita - Estinzione dei processi in parte qua

Sono dichiarati estinti - per rinuncia parziale al ricorso accettata dalla Regione costituita in giudizio - i processi relativi alle questioni di legittimità costituzionale, promosse dal Governo in riferimento, complessivamente, agli artt. 3, primo comma, 97, primo comma, e 117, commi secondo, lett. e) e l), e terzo, Cost., degli artt. 4, comma 1, lett. e), e 10, comma 1, lett. d), della legge reg. Lombardia n. 9 del 2019. (Nella specie, la rinuncia è motivata da sopravvenuta abrogazione delle norme impugnate). Ai sensi dell'art. 23 delle Norme integrative per i giudizi dinanzi alla Corte costituzionale, la rinuncia al ricorso, seguita dall'accettazione della controparte costituita, comporta l'estinzione del processo. (Precedenti citati: sentenze n. 192 del 2019 e n. 127 del 2018).

Impiego pubblico - Norme della Regione Lombardia - Società partecipate dalla Regione - Acquisizione di nuove professionalità - Obbligo di attivazione della mobilità volontaria dei dipendenti - Violazione della competenza legislativa esclusiva statale in materia di ordinamento civile - Illegittimità costituzionale in parte qua

È dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell'art. 117, secondo comma, lett. l), Cost., l'art. 2, comma 1, lett. a), della legge reg. Lombardia n. 9 del 2019, nella parte in cui, aggiungendo il comma 5-quaterdecies all'art. 1 della legge reg. Lombardia n. 30 del 2006, impone alle società partecipate dalla Regione che vogliano acquisire nuove professionalità la preventiva attivazione della mobilità e predetermina ex lege il procedimento attraverso il quale quest'ultima deve realizzarsi. Non osta alla riconducibilità della mobilità alla competenza esclusiva statale il fatto che la disposizione sia riferibile anche alle società in house - contraddistinte da un legame con le pubbliche amministrazioni socie tale da configurarle quali "longa manus" delle amministrazioni - dal momento che essa comunque incide su profili eminentemente privatistici, in quanto connessi ai rapporti di lavoro di natura puramente privata. Oltretutto, con riguardo alle società a controllo pubblico, la norma regionale impugnata dal Governo si pone anche in contrasto con la specifica disciplina statale della gestione delle eventuali eccedenze di personale (art. 25, comma 4, del d.lgs. n. 175 del 2016, anche come sostituito dall'art. 1, comma 10-novies, del d.l. n. 162 del 2019, come conv.). Né è sufficiente a escludere la suddetta invasione di competenza la previsione secondo cui, in caso di candidature con esito positivo, il trasferimento avviene nel rispetto delle disposizioni statali e dei contratti collettivi, attenendo quest'ultima al solo momento conclusivo della mobilità, la quale per il resto rimane disciplinata dalla disposizione regionale impugnata, con indebita compressione del potere di autodeterminazione della società cessionaria. Né, infine, può ritenersi che la citata disposizione regionale costituisca attuazione dell'art. 19, comma 5, del d.lgs. n. 175 del 2016, avendo il legislatore regionale stabilito un obbligo non temporalmente circoscritto che prescinde da qualsiasi considerazione delle peculiarità dei settori in cui operano le singole realtà societarie. (Precedenti citati: sentenze n. 283 del 2016, n. 97 del 2014, n. 229 del 2013, n. 167 del 2013 e n. 295 del 2009). La mobilità volontaria è una fattispecie di cessione del contratto, negozio tipico disciplinato dal codice civile (artt. 1406-1410): essa attiene pertanto ai rapporti di diritto privato, ascrivibili alla materia dell'ordinamento civile, sia con riferimento a fattispecie inerenti all'impiego pubblico privatizzato sia, a maggior ragione, con riguardo ai rapporti di lavoro privato, quali sono, pur con profili di specialità, quelli intercorrenti con le società a partecipazione pubblica. (Precedenti citati: sentenze n. 17 del 2014, n. 68 del 2011 e n. 324 del 2010). L'attrazione della disciplina del rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni nell'alveo dell'ordinamento civile trova fondamento proprio nella sua privatizzazione, in conseguenza della quale tale rapporto è retto dalla disciplina generale dei rapporti di lavoro tra privati ed è, perciò, soggetto alle regole che ne garantiscono l'uniformità. (Precedente citato: sentenza n. 186 del 2016).

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SENTENZA N. 159

ANNO 2020

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Marta CARTABIA; Giudici : Aldo CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 2, comma 1, lettera a), 4, comma 1, lettera e), e 10 comma 1, lettera d), della legge della Regione Lombardia 6 giugno 2019, n. 9 (Legge di revisione normativa e di semplificazione 2019), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 6-9 agosto 2019, depositato in cancelleria il 12 agosto 2019, iscritto al n. 88 del registro ricorsi 2019 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell’anno 2019.

Visto l’atto di costituzione della Regione Lombardia;

udito il Giudice relatore Luca Antonini ai sensi del decreto della Presidente della Corte del 20 aprile 2020, punto 1), lettere a) e c), in collegamento da remoto, senza discussione orale, in data 23 giugno 2020;

deliberato nella camera di consiglio del 24 giugno 2020.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato il 6-9 agosto 2019 e depositato il 12 agosto 2019, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso – in riferimento, nel complesso, agli artt. 3, primo comma, 97, primo comma, e 117, commi secondo, lettere e) ed l), e terzo, della Costituzione – questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2, comma 1, lettera a), 4, comma 1, lettera e), e 10 comma 1, lettera d), della legge della Regione Lombardia 6 giugno 2019, n. 9 (Legge di revisione normativa e di semplificazione 2019).

2.– L’art. 2, comma 1, lettera a), è impugnato nella parte in cui aggiunge all’art. 1 della legge della Regione Lombardia 27 dicembre 2006, n. 30, recante «Disposizioni legislative per l’attuazione del documento di programmazione economico-finanziaria regionale, ai sensi dell’articolo 9-ter della legge regionale 31 marzo 1978, n. 34 (Norme sulle procedure della programmazione, sul bilancio e sulla contabilità della Regione) – collegato 2007», il comma 5-quaterdecies.

Questa disposizione lederebbe l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in relazione alla materia «ordinamento civile», in quanto disciplina la mobilità volontaria dei dipendenti delle società partecipate dalla Regione, incidendo dunque sui rapporti di lavoro.

Del resto, prosegue l’Avvocatura generale, la disciplina della mobilità in precedenza dettata per le società controllate dall’art. 1, commi 563 e seguenti, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014)», è stata abrogata dal decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175 (Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica), il cui art. 19, comma 1, ha contestualmente previsto che ai rapporti di lavoro del personale di tali società si applichino le disposizioni del codice civile e, quindi, anche l’art. 2112 cod. civ., salvo che nell’ipotesi della reinternalizzazione regolata dal comma 8 del medesimo art. 19.

2.1.– L’art. 4, comma 1, lettera e), della legge reg. Lombardia n. 9 del 2019 aggiunge all’art. 59 della legge della Regione Lombardia 31 marzo 1978, n. 34 (Norme sulle procedure della programmazione, sul bilancio e sulla contabilità della regione), i commi 8-sexies e 8-septies.

Il comma 8-sexies consente al dirigente competente per materia, in presenza di debiti fuori bilancio derivanti da sentenze esecutive, di autorizzare il pagamento contestualmente alla presentazione dell’iniziativa legislativa per il riconoscimento della loro legittimità. Tale norma è applicabile, a mente del comma successivo, anche ai debiti derivanti da sentenze già divenute esecutive alla data di entrata in vigore della legge reg. Lombardia n. 9 del 2019.

Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, queste disposizioni sarebbero ascrivibili alla materia «armonizzazione dei bilanci pubblici» di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. e si porrebbero, in particolare, in contrasto con la disciplina di cui all’art. 73, comma 4, del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118 (Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42): questa norma, infatti, richiede comunque, per il pagamento dei debiti in parola, il preventivo riconoscimento della loro legittimità da parte del Consiglio regionale o della Giunta regionale, pur assegnando tale significato anche all’inutile decorso del termine di trenta giorni dalla ricezione della proposta per il riconoscimento medesimo.

2.2.– È, infine, impugnato – in riferimento all’art. 117, commi secondo, lettera l), in relazione alla materia «ordinamento civile», e terzo, in relazione alla materia «coordinamento della finanza pubblica», Cost., nonché agli artt. 3, primo comma, e 97, primo comma, Cost. – l’art. 10, comma 1, lettera d), della legge reg. Lombardia n. 9 del 2019, nella parte in cui aggiunge all’art. 15 della legge della Regione Lombardia 28 ottobre 2003, n. 20, recante «Istituzione del Comitato regionale per le comunicazioni (CORECOM)», i commi da 2-bis a 2-quater.

Il ricorrente premette che l’art. 15 appena citato ha a oggetto il finanziamento delle funzioni svolte dal CORECOM della Regione Lombardia e sostiene che le norme recate dalle disposizioni censurate prevedrebbero: a) che gli oneri derivanti dalla stipulazione, da parte del suddetto Comitato, di contratti di lavoro «nelle diverse forme a tempo determinato» non siano computabili, se interamente finanziati da risorse «ottenute da terzi, iscritte nel bilancio regionale», agli effetti del rispetto dei limiti di spesa per il personale stabiliti dall’art. 1, commi 557 e seguenti, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)» (comma 2-bis); b) che le spese sostenute dal CORECOM per l’esercizio delle funzioni delegategli da terzi siano escluse, se coperte dai contributi a tal fine attribuitigli da tali soggetti, dai vincoli di contenimento delle risorse destinate al trattamento economico accessorio del personale imposti dall’art. 23, comma 2, del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75 (Modifiche e integrazioni al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi degli articoli 16, commi 1, lettera a, e 2, lettere b, c, d ed e, e 17, comma 1, lettere a, c, e, f, g, h, l, m, n, o, q, r, s e z, della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche) (comma 2-ter); c) che le risorse acquisite per lo svolgimento delle funzioni delegate possano essere impiegate per incrementare il trattamento economico accessorio del personale adibito esclusivamente a tali funzioni (comma 2-quater).

Tali norme regionali derogherebbero alle disposizioni statali dianzi menzionate, nonché a quelle di cui al decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, le quali pongono principi di coordinamento della finanza pubblica: risulterebbe, pertanto, violato l’art. 117, terzo comma, Cost.

Poiché i suddetti vincoli di spesa costituirebbero anche una regolamentazione uniforme dei rapporti di lavoro, il loro mancato rispetto si risolverebbe altresì nella invasione della competenza statale esclusiva nella materia «ordinamento civile» (art. 117, secondo comma, lettera l, Cost.) e nella violazione dell’art. 3, primo comma, Cost., determinando una disparità di trattamento rispetto alle altre pubbliche amministrazioni.

Sarebbe, inoltre, compromesso il precetto dettato dall’art. 97, primo comma, Cost.

3.– Si è costituita in giudizio la Regione Lombardia, nella persona del Presidente della Giunta regionale, chiedendo il rigetto del ricorso.

3.1.– A suo avviso, l’art. 2, comma 1, lettera a), della legge reg. Lombardia n. 9 del 2019, nella parte in cui aggiunge il comma 5-quaterdecies all’art. 1 della legge reg. Lombardia n. 30 del 2006, si sarebbe limitato a regolare – nell’ambito della competenza residuale nella materia della organizzazione amministrativa regionale – una «modalità di ricognizione preventiva tra le società del sistema regionale in ordine alle risorse umane ivi presenti», in tal modo perseguendo obiettivi di efficienza nella ripartizione delle competenze professionali.

Tanto troverebbe conferma, per un verso, nel disposto dell’art. 19, comma 5, del d.lgs. n. 175 del 2016, il quale prevede che le amministrazioni pubbliche socie fissino, con propri provvedimenti, obiettivi specifici sul complesso delle spese di funzionamento, ivi comprese quelle per il personale, delle società controllate; per l’altro, nella stessa norma censurata, secondo cui l’eventuale trasferimento del personale da una società all’altra deve avvenire «nel pieno rispetto delle disposizioni statali sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa nonché delle previsioni della contrattazione collettiva».

Del resto, prosegue la resistente, la norma in discorso non è applicabile a qualsiasi società partecipata, ma soltanto a quelle indicate negli Allegati A1 e A2 alla legge stessa, ovvero a quelle società che, ai sensi dell’art. 1, comma 1, della legge reg. Lombardia n. 30 del 2006, fanno parte del «sistema regionale». In particolare, tra tali società rientrerebbero anche quelle in house, le quali costituirebbero una «longa manus» dell’ente pubblico socio, sicché anche sotto tale profilo troverebbe conferma la riconducibilità della disposizione impugnata alla materia di competenza residuale dell’organizzazione amministrativa regionale.

3.2.– Anche la censura afferente all’art. 4, comma 1, lettera e), della legge reg. Lombardia n. 9 del 2019, che aggiunge i commi 8-sexies e 8-septies all’art. 59 della legge reg. Lombardia n. 34 del 1978, sarebbe priva di fondamento.

Al riguardo, la Regione evidenzia, segnatamente, da un lato, che il comma 8-sexies consente al dirigente competente di autorizzare il pagamento dei debiti fuori bilancio derivanti da sentenze esecutive solo a condizione che sia stata contestualmente presentata l’iniziativa legislativa per il riconoscimento della loro legittimità; dall’altro, che tale riconoscimento, come affermato dalla Corte dei conti, avrebbe natura meramente ricognitiva, con la conseguenza che il pagamento ben potrebbe intervenire nelle more della relativa delibera consiliare.

Le considerazioni appena esposte varrebbero ad escludere la dedotta lesione dell’evocato titolo di competenza statale anche con riferimento alla disposizione transitoria di cui al comma 8-septies.

3.3.– Sarebbero parimenti infondate le censure prospettate in merito all’art. 10, comma 1, lettera d), della legge reg. Lombardia n. 9 del 2019, nella parte in cui aggiunge i commi da 2-bis a 2-quater all’art. 15 della legge reg. Lombardia n. 20 del 2003.

Secondo la difesa regionale, le norme interposte evocate dal ricorrente non sarebbero state, infatti, derogate dal legislatore regionale, alla luce di quanto chiarito – con riguardo alle funzioni delegate al CORECOM dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM) – dalla Corte dei conti, sezione delle autonomie, nella deliberazione 26 settembre 2017, n. 23 (recte: 28 settembre 2017, n. 23). In questa occasione, il giudice contabile avrebbe affermato che agli oneri sostenuti per l’espletamento da parte del CORECOM delle funzioni delegate, in quanto etero-finanziati mediante l’erogazione di specifici contributi, non sarebbero applicabili i limiti di spesa imposti dal legislatore statale per il personale: poiché le disposizioni impugnate sarebbero sostanzialmente conformi a questo principio, non sarebbe ravvisabile il dedotto vulnus all’art. 117, terzo comma, Cost.

3.4.– Il 30 aprile 2020 la Regione ha depositato una memoria nella quale, da un lato, ha insistito, sulla scorta di argomentazioni sostanzialmente riproduttive di quelle addotte nell’atto di costituzione, sull’infondatezza della questione avente ad oggetto il comma 5-quaterdecies dell’art. 1 della legge reg. Lombardia n. 30 del 2006, introdotto dall’impugnato art. 2, comma 1, lettera a), delle legge reg. Lombardia n. 9 del 2019.

Dall’altro, ha chiesto la declaratoria di cessazione della materia del contendere con riguardo alle questioni afferenti alle altre norme impugnate. Con gli artt. 3, comma 1, lettera a), e 4, comma 1, lettera a), della legge della Regione Lombardia 30 dicembre 2019, n. 23, recante «Disposizioni per l’attuazione della programmazione economico-finanziaria regionale, ai sensi dell’art. 9-ter della l.r. 31 marzo 1978, n. 34 (Norme sulle procedure della programmazione, sul bilancio e sulla contabilità della Regione) – Collegato 2020)», sono stati infatti abrogati, rispettivamente, i commi 8-sexies e 8-septies dell’art. 59 della legge reg. Lombardia n. 34 del 1978 e, per quanto qui interessa, i commi da 2-bis a 2-quater dell’art. 15 della legge reg. Lombardia n. 20 del 2003, introdotti dagli impugnati artt. 4, comma 1, lettera e), e 10, comma 1, lettera d), della legge reg. Lombardia n. 9 del 2019; norme, queste, che d’altra parte non avrebbero nemmeno avuto applicazione medio tempore.

4.– In considerazione dell’intervenuta abrogazione, il Presidente del Consiglio dei ministri, con atto depositato per mezzo posta elettronica certificata (PEC) il 12 giugno 2020, ha dichiarato di rinunciare al ricorso, su conforme delibera assunta dal Consiglio dei ministri nella seduta del 5 giugno 2020, limitatamente agli artt. 4, comma 1, lettera e), e 10, comma 1, lettera d), della legge reg. Lombardia n. 9 del 2019.

La Regione, con atto depositato a mezzo PEC il successivo 18 giugno, ha accettato tale rinuncia parziale, giusta delibera della Giunta regionale adottata il 16 giugno 2020.

Considerato in diritto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso – in riferimento, nel complesso, agli artt. 3, primo comma, 97, primo comma, e 117, commi secondo, lettere e) ed l), e terzo, della Costituzione – questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2, comma 1, lettera a), 4, comma 1, lettera e), e 10 comma 1, lettera d), della legge della Regione Lombardia 6 giugno 2019, n. 9 (Legge di revisione normativa e di semplificazione 2019).

2.– L’art. 2, comma 1, lettera a), è impugnato nella parte in cui aggiunge all’art. 1 della legge della Regione Lombardia 27 dicembre 2006, n. 30, recante «Disposizioni legislative per l’attuazione del documento di programmazione economico-finanziaria regionale, ai sensi dell’articolo 9-ter della legge regionale 31 marzo 1978, n. 34 (Norme sulle procedure della programmazione, sul bilancio e sulla contabilità della Regione) – collegato 2007», il comma 5-quaterdecies.

Secondo il ricorrente, questa norma lederebbe l’art. 117, comma 2, lettera l), Cost., in relazione alla materia «ordinamento civile»: regolando la mobilità volontaria dei dipendenti delle società partecipate dalla Regione, essa difatti inciderebbe sui relativi rapporti di lavoro, la cui disciplina sarebbe ascrivibile all’evocato ambito di competenza statale.

L’art. 4, comma 1, lettera e), della legge reg. Lombardia n. 9 del 2019 aggiunge all’art. 59 della legge della Regione Lombardia 31 marzo 1978, n. 34 (Norme sulle procedure della programmazione, sul bilancio e sulla contabilità della Regione), i commi 8-sexies e 8-septies.

Queste disposizioni, ad avviso del ricorrente, nel consentire al dirigente competente per materia di autorizzare i pagamenti dei debiti fuori bilancio della Regione derivanti da sentenze esecutive anche prima del riconoscimento della loro legittimità, violerebbero l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., invadendo la competenza legislativa esclusiva statale nella materia «armonizzazione dei bilanci pubblici», e, in particolare, si porrebbero in contrasto con il parametro interposto di cui all’art. 73, comma 4, del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118 (Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42).

Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna, infine, l’art. 10, comma 1, lettera d), della legge reg. Lombardia n. 9 del 2019, nella parte in cui aggiunge all’art. 15 della legge della Regione Lombardia 28 ottobre 2003, n. 20, recante «Istituzione del Comitato regionale per le comunicazioni (CORECOM)», i commi da 2-bis a 2-quater.

Tali disposizioni in sostanza escludono dal calcolo rilevante ai fini del rispetto dei vincoli di contenimento della spesa stabiliti dal legislatore statale gli oneri sostenuti dal CORECOM della Regione Lombardia per le assunzioni e per il trattamento economico accessorio del personale impiegato nell’esercizio delle funzioni delegate al CORECOM stesso.

Esse recherebbero un vulnus, in primo luogo, all’art. 117, terzo comma, Cost., ponendosi in contrasto con i principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica evincibili dalle norme interposte di cui all’art. 1, commi 557 e seguenti, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)», al decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), e all’art. 23, comma 2, del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75 (Modifiche e integrazioni al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi degli articoli 16, commi 1, lettera a, e 2, lettere b, c, d ed e, e 17, comma 1, lettere a, c, e, f, g, h, l, m, n, o, q, r, s e z, della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche).

Sarebbe, inoltre, leso, a parere del ricorrente, l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in relazione alla materia «ordinamento civile», in quanto i vincoli di spesa derivanti dalle menzionate norme interposte costituirebbero anche una regolamentazione uniforme dei rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni.

Risulterebbero, infine, violati sia l’art. 3, primo comma, Cost., dal momento che l’introduzione di una disciplina regionale derogatoria rispetto a quella statale determinerebbe una disparità di trattamento rispetto alle altre amministrazioni pubbliche, sia l’art. 97, primo comma, Cost.

3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri nel corso del giudizio ha rinunciato all’impugnazione degli artt. 4, comma 1, lettera e), e 10, comma 1, lettera d), della legge reg. Lombardia n. 9 del 2019, a seguito della sopravvenuta abrogazione delle norme da questi introdotte ad opera della legge della Regione Lombardia 30 dicembre 2019, n. 23, recante «Disposizioni per l’attuazione della programmazione economico-finanziaria regionale, ai sensi dell’art. 9-ter della l.r. 31 marzo 1978, n. 34 (Norme sulle procedure della programmazione, sul bilancio e sulla contabilità della Regione) – Collegato 2020)».

Poiché la resistente ha accettato tale rinuncia parziale, va dichiarata, limitatamente alle questioni di legittimità costituzionale delle suddette disposizioni, l’estinzione del processo, ai sensi dell’art. 23 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale (sentenze n. 192 del 2019 e n. 127 del 2018).

4.– La questione avente ad oggetto l’art. 2, comma 1, lettera a), della legge reg. Lombardia n. 9 del 2019 è fondata.

4.1.– Questa disposizione è censurata nella parte in cui aggiunge il comma 5-quaterdecies all’art. 1 della legge reg. Lombardia n. 30 del 2006, così disponendo: «[n]ell’ambito dei processi di acquisizione di nuove professionalità con rapporto di lavoro subordinato, le società partecipate in modo totalitario di cui alla Sezione I dell’Allegato A1 e le società a partecipazione regionale, con esclusione di quelle quotate, di cui all’Allegato A2, effettuano preventivamente la ricerca tra il personale dipendente delle altre società di cui al presente comma. A tal fine, la società interessata invia apposita comunicazione scritta alle altre società che sono tenute a pubblicare sulla propria rete intranet la posizione vacante per favorire l’attivazione di eventuali mobilità volontarie. In caso di candidature con esito positivo, il trasferimento del personale avviene nel rispetto delle disposizioni statali e dei contratti collettivi».

Secondo la Regione, tale disposizione si limiterebbe a disciplinare, nell’esercizio della competenza residuale in materia di organizzazione amministrativa regionale e con riferimento alle sole società sulle quali la Regione stessa esercita funzioni di indirizzo, coordinamento e controllo, tra cui in particolare quelle in house, una «mera modalità di ricognizione preventiva» in ordine «alle risorse umane ivi presenti».

L’assunto non può essere condiviso.

L’art. 1, comma 5-quaterdecies, della legge reg. Lombardia n. 30 del 2006 impone che sia le società partecipate in modo totalitario – e quindi controllate –, sia le altre società a partecipazione regionale (di cui al menzionato Allegato A2) – e dunque non necessariamente soggette a controllo pubblico –, prima di procedere ad assumere dipendenti con rapporto di lavoro subordinato, debbano ricercare le nuove professionalità tra il personale delle altre società parimenti partecipate dalla Regione. Allo scopo di attivare le eventuali mobilità volontarie, le società interessate all’acquisizione sono tenute a pubblicare le posizioni vacanti, mentre quelle interessate alla cessione devono inviare apposita comunicazione alle prime.

Risulta evidente che tale disposizione: a) concerne l’istituto della mobilità, b) ne impone l’attuazione alle società partecipate prima di effettuare nuove assunzioni e c) detta altresì le modalità procedimentali con cui questo deve realizzarsi.

La norma regionale impugnata attiene quindi a un istituto, quale è la mobilità, che afferisce alla sfera di competenza legislativa che l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. riserva esclusivamente allo Stato, senza che venga in considerazione l’ambito dell’organizzazione amministrativa regionale di cui all’art. 117, quarto comma, Cost.

La mobilità volontaria, infatti, «altro non è che una fattispecie di cessione del contratto» che, «a sua volta, […] è un negozio tipico disciplinato dal codice civile (artt. 1406-1410). Si è pertanto in materia di rapporti di diritto privato», ascrivibili alla materia dell’ordinamento civile (sentenza n. 324 del 2010).

Tale conclusione, ribadita in più occasioni da questa Corte con riferimento a fattispecie inerenti all’impiego pubblico privatizzato (sentenza n. 17 del 2014; nello stesso senso, sentenza n. 68 del 2011), vale, a maggior ragione, con riguardo ai rapporti di lavoro privato, quali sono, pur con profili di specialità, quelli intercorrenti con le società a partecipazione pubblica, come oggi confermato dal combinato disposto degli artt. 1, comma 3, e 19, comma 1, del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175 (Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica).

L’attrazione della disciplina del rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni nell’alveo dell’ordinamento civile trova del resto fondamento proprio nella sua privatizzazione, in conseguenza della quale esso «è retto dalla disciplina generale dei rapporti di lavoro tra privati ed è, perciò, soggetto alle regole che garantiscono l’uniformità di tale tipo di rapporti» (ex plurimis, sentenza n. 186 del 2016).

4.1.1.– Non osta alla riconducibilità della disposizione impugnata all’ordinamento civile la circostanza, dedotta dalla Regione, della sua riferibilità ad alcune società in house, contraddistinte da un legame con le pubbliche amministrazioni socie «tale da configurarle quali “longa manus delle amministrazioni [stesse]”» (sentenza n. 229 del 2013).

Va, infatti, innanzitutto ribadito che essa si applica anche alle altre società a partecipazione regionale, dunque non necessariamente soggette a controllo pubblico, e si deve altresì precisare che il comma 1, secondo periodo, dell’art. 1 della legge reg. Lombardia n. 30 del 2006 attribuisce alla Giunta regionale il potere di aggiornare gli allegati che identificano le società tenute a osservare la disposizione censurata, rendendone quindi “mobile” e potenzialmente aperto l’ambito applicativo.

In ogni caso, anche con specifico riferimento alle società in house resta fermo che la norma impugnata comunque incide su profili eminentemente privatistici, in quanto connessi ai rapporti di lavoro – di «natura puramente privata» (sentenza n. 167 del 2013) – con esse intercorrenti: le norme che disciplinano aspetti inerenti a tali rapporti sono, infatti, riconducibili alla materia dell’ordinamento civile (sentenza n. 229 del 2013).

Oltretutto va considerato che, proprio con riguardo alle società a controllo pubblico, la norma censurata si pone anche in contrasto con la specifica disciplina statale della gestione delle eventuali eccedenze di personale.

La norma regionale in parola, infatti, da un lato, sostanzialmente reintroduce, sine die, un obbligo analogo a quello (di procedere a nuove assunzioni a tempo indeterminato esclusivamente attingendo, salvi casi particolari, agli elenchi dei lavori eccedentari delle altre controllate e gestiti dalla Regione tramite processi di mobilità) che l’art. 25, comma 4, del d.lgs. n. 175 del 2016 aveva originariamente previsto solo fino al 30 giugno 2018; dall’altro, stabilisce una disciplina che risulta incompatibile anche con quella (che prevede, fra l’altro, l’emanazione di un decreto ministeriale, la formazione di elenchi regionali e previ accordi con le organizzazioni sindacali) dei menzionati processi di mobilità dettata, «per ciascuno degli anni 2020, 2021 e 2022», dal medesimo art. 25, così come sostituito dall’art. 1, comma 10-novies, del decreto-legge 30 dicembre 2019, n. 162 (Disposizioni urgenti in materia di proroga di termini legislativi, di organizzazione delle pubbliche amministrazioni, nonché di innovazione tecnologica), convertito, con modificazioni, nella legge 28 febbraio 2020, n. 8.

4.1.2.– Nemmeno sufficiente a escludere l’invasione della sfera della suddetta competenza legislativa statale è la previsione, contenuta nell’ultimo periodo della norma censurata, secondo cui, in caso di candidature con esito positivo, il trasferimento «avviene nel rispetto delle disposizioni statali e dei contratti collettivi».

È dirimente, infatti, considerare che tale previsione attiene soltanto al momento conclusivo della mobilità, la quale resta nondimeno disciplinata, nei presupposti e nelle modalità di attuazione, dalla disposizione regionale impugnata.

Questa impone la preventiva attivazione della mobilità alle società che vogliano acquisire nuove professionalità e predetermina ex lege il procedimento attraverso il quale essa deve realizzarsi: dal che deriva una indebita compressione del potere di autodeterminazione, in particolare, della società cessionaria e, per tal via, il contrasto con l’evocato parametro.

Questa Corte, infatti, ha ascritto alla materia dell’ordinamento civile, censurandole, norme regionali che incidevano sulla autonomia negoziale (sentenze n. 283 del 2016, n. 97 del 2014 e n. 295 del 2009).

4.1.3.– Non è, infine, condivisibile l’ulteriore argomento addotto dalla Regione facendo leva sull’art. 19, comma 5, del d.lgs. n. 175 del 2016.

Questa norma dispone infatti che «[l]e amministrazioni pubbliche socie fissano, con propri provvedimenti, obiettivi specifici, annuali e pluriennali, sul complesso delle spese di funzionamento, ivi comprese quelle per il personale, delle società controllate, anche attraverso il contenimento degli oneri contrattuali e delle assunzioni di personale e tenuto conto di quanto stabilito all’articolo 25, ovvero delle eventuali disposizioni che stabiliscono, a loro carico, divieti o limitazioni alle assunzioni di personale, tenendo conto del settore in cui ciascun soggetto opera».

La disposizione regionale impugnata, stabilendo un obbligo non temporalmente circoscritto e prescindendo da qualsiasi considerazione delle peculiarità dei settori in cui operano le singole realtà societarie, non può ritenersi attuativa della suddetta previsione statale.

D’altra parte, occorre altresì osservare che il legislatore regionale non si è limitato a porre un obiettivo, come previsto dal citato art. 19, comma 5, del d.lgs. n. 175 del 2016, ma, introducendo l’obbligo di ricorrere alla mobilità per l’acquisizione di nuove professionalità con rapporto di lavoro subordinato, ha in realtà direttamente determinato le concrete modalità per realizzarlo: modalità rimesse invece dal legislatore statale alle singole società, dal momento che il successivo comma 6 del medesimo art. 19 prevede che queste siano tenute a garantire, tramite propri provvedimenti, il «concreto perseguimento» degli obiettivi prefissati dalle amministrazioni socie.

Anche sotto tale profilo emerge quindi come non possa ritenersi che la disposizione impugnata costituisca attuazione dell’art. 19, comma 5, del d.lgs. n. 175 del 2016.

4.2.– Alla luce delle considerazioni svolte, deve dichiararsi l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, lettera a), della legge reg. Lombardia n. 9 del 2019, nella parte in cui aggiunge il comma 5-quaterdecies all’art. 1 della legge reg. Lombardia n. 30 del 2006.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, lettera a), della legge della Regione Lombardia 6 giugno 2019, n. 9 (Legge di revisione normativa e di semplificazione 2019), nella parte in cui aggiunge il comma 5-quaterdecies all’art. 1 della legge della Regione Lombardia 27 dicembre 2006, n. 30, recante «Disposizioni legislative per l’attuazione del documento di programmazione economico-finanziaria regionale, ai sensi dell’articolo 9-ter della legge regionale 31 marzo 1978, n. 34 (Norme sulle procedure della programmazione, sul bilancio e sulla contabilità della Regione) – collegato 2007»;

2) dichiara estinto il processo relativamente alle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 4, comma 1, lettera e) – che aggiunge all’art. 59 della legge della Regione Lombardia 31 marzo 1978, n. 34 (Norme sulle procedure della programmazione, sul bilancio e sulla contabilità della Regione), i commi 8-sexies e 8-septies –, e 10, comma 1, lettera d) – nella parte in cui aggiunge all’art. 15 della legge della Regione Lombardia 28 ottobre 2003, n. 20, recante «Istituzione del Comitato regionale per le comunicazioni (CORECOM)», i commi da 2-bis a 2-quater –, della legge reg. Lombardia n. 9 del 2019, promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento, nel complesso, agli artt. 3, primo comma, 97, primo comma, e 117, commi secondo, lettere e) ed l), e terzo, della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 giugno 2020.

F.to:

Marta CARTABIA, Presidente

Luca ANTONINI, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 23 luglio 2020.

Il Cancelliere

F.to: Roberto MILANA

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