Corte Costituzionale, Ordinanza n.185 del 30/07/2020

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Ordinamento penitenziario - Detenzione domiciliare o differimento della pena per motivi connessi all'emergenza sanitaria da COVID-19 - Obbligo, per il magistrato o il tribunale di sorveglianza che ha emesso il provvedimento, di valutare la permanenza di tali motivi entro quindici giorni dalla sua adozione e, successivamente, a cadenza mensile - Denunciata disparità di trattamento, violazione del diritto di difesa e del diritto al contraddittorio - Sopravvenuta modifica della normativa censurata - Restituzione degli atti al giudice rimettente

È ordinata la restituzione degli atti al Magistrato di sorveglianza di Spoleto per un nuovo esame, alla luce del mutato quadro normativo, della non manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale - sollevate in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma e 111, secondo comma, Cost. - dell'art. 2 del d.l. n. 29 del 2020, che prevede che il magistrato o il tribunale di sorveglianza, quando abbiano ammesso alla detenzione domiciliare o al differimento della pena per motivi legati all'emergenza sanitaria da COVID-19 i condannati e gli internati per una serie di gravi reati, debbano procedere alla valutazione della permanenza di tali motivi entro il termine di quindici giorni dall'adozione del provvedimento, e successivamente a cadenza mensile. La disposizione censurata è stata abrogata dall'art. 1, comma 3, della legge n. 70 del 2020 ed il suo contenuto è stato trasfuso nell'art. 2-bis del d.l. n. 28 del 2020, come convertito nella medesima legge n. 70 del 2020. Da un lato l'evoluzione del quadro normativo, prodottasi per effetto della legge di conversione, lascia immutata la rilevanza della questione, stante il perdurante obbligo per il giudice a quo di perfezionare il procedimento di "rivalutazione" del provvedimento di concessione della detenzione domiciliare o di differimento della pena per motivi connessi all'emergenza sanitaria da COVID-19 adottato in data successiva al 23 febbraio 2020. Dall'altro, le modifiche introdotte dalla legge n. 70 del 2020 mirano a una più intensa tutela del diritto di difesa del condannato - cui è ora garantita una piena partecipazione al procedimento avanti il tribunale di sorveglianza nel termine perentorio di trenta giorni decorrenti dal provvedimento di revoca - e appaiono orientate nella stessa direzione del rimettente, cui spetta la responsabilità di valutare in concreto la loro incidenza in riferimento alla non manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate. (Precedenti citati: sentenza n. 125 del 2018; ordinanze n. 182 del 2019 e n. 154 del 2018). Non ogni nuova disposizione che modifichi, integri o comunque possa incidere su quella oggetto del giudizio incidentale di costituzionalità richiede una nuova valutazione della perdurante sussistenza dei presupposti di ammissibilità della questione e segnatamente della sua rilevanza e della non manifesta infondatezza, ben potendo la Corte costituzionale ritenere che la nuova disposizione non alteri affatto la norma censurata quanto alla parte oggetto delle censure di legittimità costituzionale, oppure che la modifichi in aspetti marginali o in misura non significativa. Laddove invece la nuova disposizione abbia un impatto maggiore in termini di incidenza sulla portata normativa della disposizione censurata, sì da integrarla, modificarla o finanche abrogarla, in tutto o in parte, si impone la restituzione degli atti al giudice rimettente perché rivaluti i presupposti dell'incidente di costituzionalità. (Precedente citato: sentenza n. 125 del 2018).

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ORDINANZA N. 185

ANNO 2020

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Marta CARTABIA; Giudici : Aldo CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 2 del decreto-legge 10 maggio 2020, n. 29 (Misure urgenti in materia di detenzione domiciliare o differimento dell’esecuzione della pena, nonché in materia di sostituzione della custodia cautelare in carcere con la misura degli arresti domiciliari, per motivi connessi all’emergenza sanitaria da COVID-19, di persone detenute o internate per delitti di criminalità organizzata di tipo terroristico o mafioso, o per delitti di associazione a delinquere legati al traffico di sostanze stupefacenti o per delitti commessi avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare l’associazione mafiosa o con finalità di terrorismo, nonché di detenuti e internati sottoposti al regime previsto dall’articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, nonché, infine, in materia di colloqui con i congiunti o con altre persone cui hanno diritto i condannati, gli internati e gli imputati), promosso dal Magistrato di sorveglianza di Spoleto nel procedimento di sorveglianza nei confronti di M. L.T., con ordinanza del 26 maggio 2020, iscritta al n. 83 del registro ordinanze 2020 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, prima serie speciale, dell’anno 2020.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 22 luglio 2020 il Giudice relatore Francesco Viganò;

deliberato nella camera di consiglio del 22 luglio 2020.

Ritenuto che con ordinanza del 26 maggio 2020 il Magistrato di sorveglianza di Spoleto, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma e 111, secondo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2 del decreto-legge 10 maggio 2020, n. 29 (Misure urgenti in materia di detenzione domiciliare o differimento dell’esecuzione della pena, nonché in materia di sostituzione della custodia cautelare in carcere con la misura degli arresti domiciliari, per motivi connessi all’emergenza sanitaria da COVID-19, di persone detenute o internate per delitti di criminalità organizzata di tipo terroristico o mafioso, o per delitti di associazione a delinquere legati al traffico di sostanze stupefacenti o per delitti commessi avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare l’associazione mafiosa o con finalità di terrorismo, nonché di detenuti e internati sottoposti al regime previsto dall’articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, nonché, infine, in materia di colloqui con i congiunti o con altre persone cui hanno diritto i condannati, gli internati e gli imputati);

che il giudice rimettente riferisce di aver disposto provvisoriamente, il 21 marzo 2020, la detenzione domiciliare di cui all’art. 47-ter, comma 1-ter, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), surrogatoria del rinvio facoltativo dell’esecuzione della pena per grave infermità fisica di cui all’art. 147 del codice penale, in favore di un condannato per il delitto di associazione di tipo mafioso affetto da gravi patologie, che lo avrebbero particolarmente esposto a rischio per la salute in caso di contagio da COVID-19;

che l’11 maggio 2020 è entrata in vigore la disposizione censurata, la quale prevede l’obbligo a carico del magistrato di sorveglianza di valutare entro il termine di quindici giorni dall’adozione del provvedimento, e successivamente con cadenza mensile, «la permanenza dei motivi legati all’emergenza sanitaria» sulla base dei quali è stato concessa la misura della detenzione domiciliare, acquisito il parere del Procuratore distrettuale antimafia del luogo in cui è stato commesso il reato (e del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo per i condannati ed internati già sottoposti al regime di cui all’art. 41-bis ordin. penit.) nonché una serie di informazioni da parte del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e dell’autorità sanitaria regionale;

che, sulla scorta anche dell’art. 5 del predetto decreto-legge (a tenore del quale la disposizione censurata si applica ai provvedimenti già emessi alla data della sua entrata in vigore, purché successivamente al 23 febbraio 2020, il termine di quindici giorni decorrendo in tale ipotesi dalla medesima data di entrata in vigore del decreto-legge), il rimettente espone di avere provveduto a instaurare il predetto procedimento di rivalutazione, mediante l’acquisizione dei pareri e delle informazioni prescritte;

che, tuttavia, il giudice a quo ritiene che la disciplina della rivalutazione periodica della misura alternativa in essere nei confronti del condannato, che egli dovrebbe a questo punto compiere in forza della disposizione censurata, sia incompatibile con gli artt. 3, 24, secondo comma, e 111, secondo comma, Cost.;

che tali questioni sarebbero anzitutto rilevanti, essendo scaduto il giorno dell’ordinanza di rimessione il termine quindicinale fissato dalla legge per la prima rivalutazione;

che la disciplina in parola violerebbe anzitutto gli artt. 24, secondo comma, Cost. e 111, secondo comma, Cost., prevedendo «un procedimento senza spazi di adeguato formale coinvolgimento della difesa tecnica dell’interessato, senza alcuna comunicazione formale dell’apertura del procedimento e con una conseguente carenza assoluta di contraddittorio, rispetto alla parte pubblica, qui rappresentata in modo inedito dal Procuratore Distrettuale antimafia individuato in relazione al luogo del commesso reato, che deve fornire un obbligatorio, seppur non vincolante, parere sulla permanenza dei presupposti di concessione della misura»;

che l’assenza di qualsiasi formale coinvolgimento della difesa nel procedimento apparirebbe irragionevole, anche in considerazione del fatto che dalla decisione del magistrato di sorveglianza può derivare il rientro in carcere di un condannato affetto da rilevanti patologie;

che, più in particolare, la disposizione censurata non contemplerebbe alcuna comunicazione al condannato dell’instaurazione del procedimento, e potrebbe altresì dubitarsi che questi sia legittimato a produrre memorie o documentazioni;

che, anche ove tale quesito sia sciolto in senso affermativo, la difesa resterebbe comunque «all’oscuro degli elementi essenziali, acquisiti mediante l’istruttoria, e sui quali verterà il giudizio», ciò che le renderebbe impossibile confrontarsi con i contenuti delle note pervenute;

che una procedura caratterizzata da una così marcata impossibilità di interlocuzione da parte della difesa del condannato non avrebbe eguali «nel pur variegato panorama di modelli procedimentali, più o meno semplificati, previsti dinanzi alla magistratura di sorveglianza», che il rimettente passa analiticamente in rassegna, sulla scorta della giurisprudenza comune e costituzionale formatasi relativamente ai medesimi;

che il difetto di coinvolgimento della difesa sarebbe problematico specialmente ove si consideri, da un lato, che l’eventuale provvedimento di revoca è espressamente dichiarato immediatamente esecutivo dalla disposizione censurata, e dall’altro che in altri procedimenti in cui il magistrato di sorveglianza è chiamato a una decisione de plano sarebbe comunque previsto – a differenza di quanto avviene in questo caso – «uno stringente termine acceleratorio per la valutazione, nel pieno contraddittorio delle parti, dinnanzi al Tribunale di sorveglianza, il cui mancato rispetto comporta la perdita di efficacia del provvedimento di sospensione emesso», termine in questo caso non previsto dalla disposizione;

che la segnalata criticità sarebbe aggravata dalla considerazione che il procedimento di rivalutazione introdotto dalla disposizione censurata, funzionale alla possibile revoca della misura in precedenza già concessa in via provvisoria dallo stesso magistrato, si innesta «in una sequenza che ha già attraversato una fase interinale del procedimento […] e che avrebbe trovato il suo naturale sbocco nella successiva fase, a contraddittorio pieno, dinanzi al tribunale di sorveglianza», per di più potendo determinare «l’effetto dirompente di ricondurre in vinculis il condannato, che era stato ammesso alla misura extramuraria»;

che, osserva il rimettente, «anche a voler estendere a tale revoca la garanzia di un passaggio obbligatorio dinanzi al Tribunale di sorveglianza, in analogia con quanto previsto per la pronuncia emessa ex articolo 684 cod. proc. pen., ciò avviene in un tempo lungo (sessanta giorni, ove applicabile il termine richiamato dagli articoli 47-ter, comma 1-quater e 47 comma 4 ord. penit.) e senza che il provvedimento che ha inciso la libertà personale subisca alcuna inefficacia, ove tale tempistica non sia rispettata»;

che la disposizione censurata contrasterebbe, inoltre, con l’art. 3 Cost., in quanto «il condannato ammesso alla detenzione domiciliare surrogatoria subisce il procedimento di frequentissima rivalutazione con rito a contraddittorio pieno, oppure senza alcuna possibilità di replica sui contenuti istruttori per sé e per la sua difesa, soltanto in base al dato del tutto casuale che rispetto alla pronuncia interinale del magistrato di sorveglianza sia già intervenuta la decisione in via definitiva dinanzi al tribunale di sorveglianza, oppure la stessa risulti già calendarizzata in tempi successivi, in connessione ad esempio con ruoli di udienza particolarmente gravati»;

che un ulteriore profilo di violazione dell’art. 3 Cost. discenderebbe dalla necessità di una frequente rivalutazione, con le carenze di contraddittorio sin qui evidenziate e sino a che il tribunale di sorveglianza non si sia pronunciato in via definitiva sull’originaria richiesta della misura alternativa, dei soli provvedimenti di concessione della detenzione domiciliare connessi all’emergenza da COVID-19, allorché riferiti ai soli condannati per alcune tipologie di delitti, il cui elenco peraltro non coincide con quello di cui all’art. 4-bis ordin. penit.;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni sollevate siano dichiarate inammissibili e, comunque, infondate;

che, ad avviso dell’interveniente, con l’art. 2 del d.l. n. 29 del 2020 il legislatore ha inteso mitigare gli effetti sul sistema carcerario derivanti dall’emergenza epidemiologica da COVID-19, nell’ottica del contemperamento di contrapposte esigenze, quali quelle del diritto alla salute dei detenuti e della sicurezza pubblica, prevedendo, per determinate categorie di detenuti ed internati, beneficiari di provvedimento di differimento della pena o di detenzione domiciliare per motivi connessi all’emergenza COVID-19, una periodica e frequente rivalutazione della permanenza delle condizioni poste a base di tali provvedimenti;

che non si configurerebbe alcuna violazione del diritto di difesa e del diritto alla parità delle armi, in quanto la procedura resterebbe pur sempre quella del contraddittorio differito prevista dall’art. 47-ter, commi 1-ter e 1-quater, ordin. penit. e dagli artt. 666 e 678 del codice di procedura penale, nel cui ambito si inserisce, per alcune categorie di detenuti ed internati, una rivalutazione più frequente delle condizioni legittimanti l’applicazione alternativa, previa acquisizione di informazioni e pareri delle autorità competenti a fornirli;

che tale rivalutazione si giustificherebbe con l’esigenza di far rientrare i soggetti beneficiari della detenzione domiciliare per ragioni connesse all’emergenza COVID-19 nel circuito detentivo non appena il mutato contesto sanitario lo consenta, ferma restando la successiva verifica, in contraddittorio pieno, da parte del tribunale di sorveglianza;

che, inoltre, quanto al profilo delle categorie soggettive interessate dalla più frequente rivalutazione, ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato, deve ritenersi che si versi nell’ambito di una non irragionevole scelta discrezionale del potere legislativo che, in quanto tale, si sottrae al sindacato di legittimità costituzionale;

che il trattamento differenziato si spiegherebbe, infatti, in ragione della maggiore caratura criminale di soggetti individuati dal legislatore, e che questo profilo giustificherebbe una più frequente rivalutazione in vista del loro possibile rientro in carcere, una volta cessate le ragioni dell’emergenza dovuta al COVID-19;

che, con memoria depositata in data 10 luglio 2020, l’Avvocatura generale dello Stato ha chiesto a questa Corte di valutare altresì la ricorrenza dei presupposti per rimettere la questione di costituzionalità al giudice a quo per un ulteriore sindacato sulla rilevanza e non manifesta infondatezza in relazione allo ius superveniens;

che, deduce l’Avvocatura generale dello Stato, la disposizione censurata è stata abrogata dall’art. 1, comma 3, della legge 25 giugno 2020, n. 70 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28, recante misure urgenti per la funzionalità dei sistemi di intercettazioni di conversazioni e comunicazioni, ulteriori misure urgenti in materia di ordinamento penitenziario, nonché disposizioni integrative e di coordinamento in materia di giustizia civile, amministrativa e contabile e misure urgenti per l’introduzione del sistema di allerta Covid-19), ed il suo contenuto è stato trasfuso nell’art. 2-bis del d.l. n. 28 del 2020, come convertito nella medesima legge n. 70 del 2020;

che il nuovo art. 2-bis del d.l n. 28 del 2020 avrebbe però introdotto rilevanti novità in ordine al procedimento relativo alla periodica rivalutazione delle decisioni di concessione della detenzione domiciliare o al differimento della pena legate all’emergenza COVID-19;

che, in particolare, il legislatore avrebbe ora definito una procedura di raccordo tra il magistrato e il tribunale di sorveglianza, in modo da assicurare un «approfondito controllo successivo delle determinazioni adottate dal primo anche attraverso il pieno coinvolgimento della difesa del soggetto interessato»;

che inoltre, ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato, le questioni sollevate dal rimettente non sarebbero rilevanti, atteso che dall’ordinanza di rimessione non sarebbe dato «cogliere come la eventuale pronuncia di accoglimento della questione potrebbe produrre effetti nel procedimento a quo, tenuto conto che nella predetta ordinanza non si fa riferimento alcuno all’avvenuto [positivo] riscontro delle condizioni per il ripristino della misura detentiva in carcere»;

che, quanto al merito, rileva infine l’Avvocatura generale dello Stato che il dettato costituzionale non impone che il contraddittorio si esplichi con le medesime modalità in ogni tipo di procedimento e, soprattutto, che debba essere sempre collocato nella fase iniziale del procedimento stesso.

Considerato che il Magistrato di sorveglianza di Spoleto, con ordinanza del 26 maggio 2020, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, del decreto-legge 10 maggio 2020, n. 29 (Misure urgenti in materia di detenzione domiciliare o differimento dell’esecuzione della pena, nonché in materia di sostituzione della custodia cautelare in carcere con la misura degli arresti domiciliari, per motivi connessi all’emergenza sanitaria da COVID-19, di persone detenute o internate per delitti di criminalità organizzata di tipo terroristico o mafioso, o per delitti di associazione a delinquere legati al traffico di sostanze stupefacenti o per delitti commessi avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare l’associazione mafiosa o con finalità di terrorismo, nonché di detenuti e internati sottoposti al regime previsto dall’articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, nonché, infine, in materia di colloqui con i congiunti o con altre persone cui hanno diritto i condannati, gli internati e gli imputati);

che la disposizione censurata prevede che il magistrato o il tribunale di sorveglianza, quando abbiano ammesso alla detenzione domiciliare o al differimento della pena per motivi legati all’emergenza sanitaria da COVID-19 i condannati e gli internati per una serie di gravi reati, debbano procedere alla valutazione della permanenza di tali motivi entro il termine di quindici giorni dall’adozione del provvedimento, e successivamente a cadenza mensile, acquisito il parere del Procuratore distrettuale antimafia del luogo in cui è stato commesso il reato (e del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo per i condannati ed internati già sottoposti al regime di cui all’art. 41-bis ordin. penit.) nonché una serie di informazioni da parte del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e dell’autorità sanitaria regionale;

che tale valutazione deve peraltro essere compiuta «immediatamente, anche prima della decorrenza dei termini sopra indicati, nel caso in cui il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria comunica la disponibilità di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta adeguati alle condizioni di salute del detenuto o dell’internato ammesso alla detenzione domiciliare o ad usufruire del differimento della pena»;

che la medesima disposizione prevede altresì, al comma 3, che in esito alla valutazione relativa alla permanenza dei motivi che hanno giustificato l’adozione del provvedimento, e valutata la disponibilità di altre strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetti idonei ad evitare il pregiudizio per la salute del detenuto o dell’internato, il giudice possa revocare la misura già concessa, con provvedimento immediatamente esecutivo;

che l’articolo 1, comma 3, della legge 25 giugno 2020, n. 70 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28, recante misure urgenti per la funzionalità dei sistemi di intercettazioni di conversazioni e comunicazioni, ulteriori misure urgenti in materia di ordinamento penitenziario, nonché disposizioni integrative e di coordinamento in materia di giustizia civile, amministrativa e contabile e misure urgenti per l’introduzione del sistema di allerta Covid-19) ha abrogato l’art. 2 del d.l. n. 29 del 2020, ferma restando la validità degli atti e dei provvedimenti adottati e fatti salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base del medesimo decreto-legge;

che il contenuto della disposizione censurata è stato trasfuso nell’art. 2-bis del d.l. n. 28 del 2020, come convertito nella medesima legge n. 70 del 2020;

che il nuovo art. 2-bis del d.l. n. 28 del 2020 riproduce la disciplina dell’abrogato art. 2 del d.l. n. 29 del 2020, in questa sede censurato, e la integra prevedendo, al comma 4, che «[q]uando il magistrato di sorveglianza procede alla valutazione del provvedimento provvisorio di ammissione alla detenzione domiciliare o di differimento della pena, i pareri e le informazioni acquisiti ai sensi dei commi 1 e 2 e i provvedimenti adottati all’esito della valutazione sono trasmessi immediatamente al tribunale di sorveglianza, per unirli a quelli già inviati ai sensi degli articoli 684, comma 2, del codice di procedura penale e 47-ter, comma 1-quater, della legge 26 luglio 1975, n. 354. Nel caso in cui il magistrato di sorveglianza abbia disposto la revoca della detenzione domiciliare o del differimento della pena adottati in via provvisoria, il tribunale di sorveglianza decide sull’ammissione alla detenzione domiciliare o sul differimento della pena entro trenta giorni dalla ricezione del provvedimento di revoca, anche in deroga al termine previsto dall’articolo 47, comma 4, della legge 26 luglio 1975, n. 354. Se la decisione del tribunale non interviene nel termine prescritto, il provvedimento di revoca perde efficacia»;

che, secondo quando previsto ora dall’art. 2-bis, comma 5, del d.l. 28 del 2020, come convertito nella legge n. 70 del 2020, la predetta disciplina è applicabile a tutti i provvedimenti di revoca della detenzione domiciliare o del differimento della pena già adottati dal magistrato di sorveglianza alla data di entrata in vigore della legge di conversione e a partire dal 23 febbraio 2020;

che pertanto, per effetto della legge di conversione, quando il magistrato di sorveglianza ha disposto in via provvisoria la revoca della detenzione domiciliare o del differimento della pena per motivi connessi all’emergenza sanitaria da COVID-19, il tribunale di sorveglianza è oggi tenuto a pronunciarsi sull’istanza di scarcerazione entro il termine perentorio di trenta giorni dalla ricezione del predetto provvedimento di revoca, all’esito di un procedimento disciplinato nelle forme dell’incidente di esecuzione (art. 666 cod. proc. pen., richiamato dall’art. 678, comma 1, cod. proc. pen.), e dunque di un procedimento in cui la difesa ha pieno accesso agli atti e ha la possibilità di interloquire in condizioni di parità nell’udienza all’uopo fissata;

che, in linea generale, questa Corte ha affermato che «non ogni nuova disposizione che modifichi, integri o comunque possa incidere su quella oggetto del giudizio incidentale di costituzionalità richiede una nuova valutazione della perdurante sussistenza dei presupposti di ammissibilità della questione e segnatamente della sua rilevanza e della non manifesta infondatezza dei dubbi di legittimità costituzionale espressi dal giudice rimettente», ben potendo questa Corte «ritenere essa stessa che la nuova disposizione non alteri affatto la norma censurata quanto alla parte oggetto delle censure di legittimità costituzionale, oppure che la modifichi in aspetti marginali o in misura non significativa, sì che permangono le valutazioni del giudice rimettente in termini di rilevanza e non manifesta infondatezza della questione» (sentenza n. 125 del 2018);

che laddove invece «la nuova disposizione abbia un impatto maggiore in termini di incidenza sulla portata normativa della disposizione censurata, sì da integrarla, modificarla o finanche abrogarla, in tutto o in parte, si impone la restituzione degli atti al giudice rimettente perché rivaluti i presupposti dell’incidente di costituzionalità» (ancora, sentenza n. 125 del 2018);

che, nella specie, l’evoluzione del quadro normativo prodottasi per effetto della legge di conversione lascia invero immutata la rilevanza della questione, stante il perdurante obbligo per il giudice a quo di perfezionare il procedimento di “rivalutazione” del provvedimento di concessione della detenzione domiciliare o di differimento della pena per motivi connessi all’emergenza sanitaria da COVID-19 adottato in data successiva al 23 febbraio 2020;

che, tuttavia, le modifiche alla disposizione censurata introdotte dalla legge n. 70 del 2020 mirano a una più intensa tutela del diritto di difesa del condannato, cui è ora garantita una piena partecipazione al procedimento avanti il tribunale di sorveglianza nel termine perentorio di trenta giorni decorrenti dal provvedimento di revoca;

che tali modifiche appaiono dunque orientate «nella stessa direzione dell’ordinanza di rimessione» (sentenza n. 125 del 2018), con un effetto che potrebbe essere ritenuto suscettibile di ridimensionare, o al limite di emendare, i vizi denunciati dal rimettente;

che non può che spettare al giudice rimettente la responsabilità di valutare in concreto l’incidenza di tali modifiche in riferimento alla non manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate (ex plurimis, ordinanze n. 182 del 2019 e n. 154 del 2018);

che, pertanto, deve essere disposta la restituzione degli atti al giudice a quo per un nuovo esame della non manifesta infondatezza delle questioni, alla luce del mutato quadro normativo determinatosi per effetto dello ius superveniens di cui alla legge n. 70 del 2020.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

ordina la restituzione degli atti al Magistrato di sorveglianza di Spoleto.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 luglio 2020.

F.to:

Marta CARTABIA, Presidente

Francesco VIGANÒ, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 30 luglio 2020.

Il Cancelliere

F.to: Roberto MILANA

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