Corte Costituzionale, Ordinanza n.195 del 13/08/2020

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Referendum - Referendum confermativo del testo di legge costituzionale in materia di riduzione del numero dei parlamentari - Indizione del voto per i giorni 20 e 21 settembre 2020 - Abbinamento alle elezioni suppletive, amministrative e regionali dell'anno 2020 (c.d. election day) - Ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri promosso dal Comitato promotore della consultazione referendaria sul testo di legge costituzionale - Lamentata violazione delle prerogative costituzionali del corpo elettorale e delle attribuzioni costituzionali del Comitato promotore - Difetto di legittimazione - Inammissibilità del ricorso

È dichiarato inammissibile, per difetto di legittimazione attiva, il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, promosso dal Comitato promotore del referendum confermativo sul testo di legge costituzionale in materia di riduzione del numero dei parlamentari - approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 240 del 12 ottobre 2019 -, per violazione dagli artt. 1 e 138 Cost., promosso nei confronti della Camera dei deputati, del Senato della Repubblica, del Presidente della Repubblica e del Governo, sorto in relazione all'art. 1-bis, comma 3, del d.l. n. 26 del 2020, conv. con modif. nella legge n. 59 del 2020, nonché al d.P.R. 17 luglio 2020, in ragione dell'abbinamento - in applicazione del principio di concentrazione delle consultazioni elettorali, di cui all'art. 7 del d.l. n. 98 del 2011, come conv. (c.d. election day) -, nelle date del 20 e 21 settembre 2020, della votazione per il referendum indicato a quella per le elezioni suppletive, regionali e amministrative, già rinviate a seguito dell'emergenza epidemiologica da COVID-19. Il ricorrente ha agito al di fuori delle proprie attribuzioni costituzionali in relazione alle modalità di svolgimento del procedimento referendario, perché la Costituzione non attribuisce al Comitato promotore del referendum, che nel giudizio in esame agisce in rappresentanza di una minoranza parlamentare, una funzione di generale tutela del miglior esercizio del diritto di voto da parte dell'intero corpo elettorale. Già in sede di mera delibazione degli argomenti del ricorrente, infatti, emerge che essi - a fronte della situazione eccezionale legata all'epidemia -, non adducono circostanze, che dovrebbero risultare esse stesse eccezionali, in ragione delle quali l'accorpamento impugnato inciderebbe sul diritto all'effettuazione del voto referendario e sul suo esercizio, per cui non appare la possibilità che esso sia influenzato da posizioni politiche diverse, giacché sempre le forze politiche hanno dato indicazioni agli elettori anche sui referendum costituzionali. Del resto, la logica referendaria è intrecciata a quella della democrazia rappresentativa, non separata da essa; né può dirsi che la contestualità tra differenti campagne elettorali comporti, di per sé, una penalizzazione degli spazi d'informazione dedicati alla campagna referendaria; d'altra parte, l'eventuale maggiore affluenza alle urne nelle Regioni e nei Comuni ove si tengono elezioni non pregiudica, in quanto tale, lo svolgimento del voto referendario, per il quale non è previsto, tra l'altro, un quorum strutturale. (Precedenti citati: sentenza n. 118 del 2015 e ordinanza n. 169 del 2011).Sotto il profilo della legittimazione attiva a proporre conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, la giurisprudenza costituzionale è costante nel riconoscere la legittimazione del Comitato promotore del referendum, in quanto titolare, nell'ambito della procedura referendaria, di una funzione costituzionalmente rilevante e garantita, in rappresentanza dei soggetti legittimati ad avanzare la richiesta di referendum. (Precedenti citati: ordinanze n. 169 del 2011, n. 172 del 2009, n. 38 del 2008, n. 198 del 2005, n. 195 del 2003, n. 137 del 2000, n. 49 del 1998, n. 172 del 1997, n. 171 del 1997, n. 131 del 1997, n. 9 del 1997, n. 226 del 1995, n. 118 del 1995, n. 69 del 1978 e n. 17 del 1978).Rientra nella sfera delle attribuzioni del comitato promotore del referendum la pretesa allo svolgimento delle operazioni di voto referendario, una volta compiuta la procedura di verifica della legittimità e della costituzionalità delle relative domande; ma non anche - in assenza di situazioni eccezionali - la pretesa di interferire sulla scelta governativa, tra le molteplici, legittime opzioni, della data all'interno del periodo prestabilito. (Precedenti citati: ordinanze n. 169 del 2011, n. 38 del 2008, n. 198 del 2005 e n. 131 del 1997).Il Consiglio dei ministri è titolare di un ampio potere di valutazione sia in ordine al momento di indizione del referendum, sia per quanto attiene alla fissazione della data della consultazione referendaria, purché le operazioni di voto si svolgano nell'intervallo temporale determinato dalla legge e individuato dall'art. 15, primo comma, della legge n. 352 del 1970.

Thema decidendum - Istanza di sospensione cautelare nel conflitto tra poteri dello Stato - Assorbimento per intervenuta dichiarazione di inammissibilità del ricorso

Dichiarato inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promosso dal Comitato promotore della consultazione referendaria sul testo di legge costituzionale in materia di riduzione del numero dei parlamentari, è assorbito l'esame dell'istanza di sospensione cautelare dell'efficacia degli atti dai quali è sorto il conflitto.

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ORDINANZA N. 195

ANNO 2020

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Marta CARTABIA; Giudici : Aldo CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto in relazione all’art. l-bis, comma 3, del decreto-legge 20 aprile 2020, n. 26 (Disposizioni urgenti in materia di consultazioni elettorali per l’anno 2020), convertito, con modificazioni, nella legge 19 giugno 2020, n. 59, nonché al decreto del Presidente della Repubblica 17 luglio 2020 (Indizione del referendum popolare confermativo del testo della legge costituzionale recante «Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari» approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 240 del 12 ottobre 2019) in ragione dell’abbinamento, nelle date del 20 e 21 settembre 2020, della votazione per il referendum sul testo di legge costituzionale a quella per le elezioni suppletive, regionali e amministrative, giudizio promosso dal Comitato promotore del referendum sul testo di legge costituzionale recante «Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari», con ricorso depositato in cancelleria il 23 luglio 2020 e iscritto al n. 7 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2020, fase di ammissibilità.

Visto l’atto d’intervento del Partito Radicale Nonviolento Transnazionale Transpartito;

udito il Giudice relatore Giuliano Amato nella camera di consiglio del 12 agosto 2020, svolta ai sensi del decreto della Presidente della Corte del 23 giugno 2020, punto 4);

deliberato nella camera di consiglio del 12 agosto 2020.

Ritenuto che, con ricorso depositato in cancelleria il 23 luglio 2020, i senatori Andrea Cangini, Nazario Pagano e Tommaso Nannicini, nella qualità di legali rappresentanti del Comitato promotore della consultazione referendaria sul testo di legge costituzionale recante «Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari», hanno promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Camera dei deputati, del Senato della Repubblica, del Presidente della Repubblica e del Governo, in relazione all’art. l-bis, comma 3, del decreto-legge 20 aprile 2020, n. 26 (Disposizioni urgenti in materia di consultazioni elettorali per l’anno 2020), convertito, con modificazioni, nella legge 19 giugno 2020, n. 59, nonché al decreto del Presidente della Repubblica 17 luglio 2020 (Indizione del referendum popolare confermativo del testo della legge costituzionale recante «Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari» approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 240 del 12 ottobre 2019);

che l’art. l-bis, comma 3, del d.l. n. 26 del 2020, introdotto in sede di conversione, prevede, per le consultazioni elettorali di cui all’art. l dello stesso decreto-legge, ossia le elezioni politiche suppletive e le elezioni ammnistrative rinviate a seguito dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, che «resta fermo il principio di concentrazione delle scadenze elettorali di cui all’articolo 7 del decreto­legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n. 111, che si applica, altresì, al referendum confermativo del testo di legge costituzionale recante: “Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 240 del 12 ottobre 2019 […]»;

che con il successivo d.P.R. 17 luglio 2020 è stato disposto l’abbinamento, per le stesse date del 20 e 21 settembre 2020, della votazione per le elezioni suppletive, regionali e amministrative con quella per il referendum relativo al testo di legge costituzionale;

che, in ordine al requisito soggettivo, la parte ricorrente sottolinea che i Comitati promotori di referendum sono stati riconosciuti quali organi competenti a dichiarare la volontà della frazione del corpo elettorale costituita dai firmatari del referendum e, pertanto, titolari di una pubblica funzione costituzionalmente garantita, quale l’iniziativa referendaria, che provoca l’effetto di rendere costituzionalmente dovuta la convocazione alle urne del corpo elettorale (sono citate le ordinanze di questa Corte n. 172 del 2009, n. 198 del 2005, n. 195 del 2003, n. 49 del 1998, n. 131 e n. 9 del 1997, n. 45, n. 44, n. 43 e n. 42 del 1983, n. 30 del 1980, n. 1 e n. 2 del 1979, n. 69 e n. 17 del 1978);

che, in forza dell’art. 138 Cost., il Comitato, ancorché soggetto esterno allo Stato-apparato, sarebbe legittimato ad agire per difendere l’esercizio delle proprie attribuzioni nei confronti degli altri poteri dello Stato, al fine di garantire che sia concretamente e legittimamente effettuata la competizione referendaria;

che il conflitto sarebbe ammissibile anche sotto il profilo oggettivo, ricorrendo i requisiti previsti dall’art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), secondo cui i conflitti tra poteri dello Stato hanno ad oggetto la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali; nel caso di specie, il Comitato promotore rivendica le proprie prerogative derivanti dall’art. 138 Cost., che sarebbero negativamente incise dall’art. l-bis, comma 3, del d.l. n. 26 del 2020, come convertito, e dal conseguente d.P.R. del 17 luglio 2020;

che, in virtù della diversa natura della votazione sul referendum costituzionale rispetto a quella propria delle elezioni politiche, regionali o amministrative, l’accorpamento del voto comporterebbe il rischio di una contaminazione dell’istituto di democrazia diretta con le consultazioni elettorali finalizzate, invece, all’esercizio della democrazia rappresentativa;

che, sebbene la giurisprudenza costituzionale abbia precisato che nella sfera delle attribuzioni del Comitato promotore vi sia solo la pretesa allo svolgimento delle operazioni di voto referendario e non anche, «in assenza di situazioni eccezionali», quella di interferire sulla scelta governativa della data della consultazione all’interno del periodo prestabilito (sono citate le ordinanze n. 38 del 2008, n. 198 del 2005 e n. 131 del 1997), le doglianze alla base del ricorso sarebbero riferite all’illegittimo abbinamento delle consultazioni;

che la lesione delle prerogative costituzionali derivante da tale abbinamento integrerebbe una situazione eccezionale, in quanto sarebbe compromessa la genuinità e la compiutezza del voto popolare, espressione di democrazia diretta, con violazione delle attribuzioni costituzionali di cui il Comitato ricorrente si afferma titolare;

che, d’altra parte, se tale violazione non potesse essere fatta valere in sede di conflitto, essa resterebbe insindacabile, risultando, invero, impraticabile ogni altra forma di tutela degli interessi del ricorrente, attesa sia l’insussistenza di giudizi nel corso dei quali formulare in via incidentale la questione di legittimità costituzionale, sia l’impossibilità di determinarne l’incardinamento se non dopo lo svolgimento del referendum stesso, allorché sarebbe ormai venuto meno ogni interesse alla tutela richiesta;

che, ancorché avente ad oggetto anche un atto legislativo, il conflitto sarebbe ammissibile (è richiamata la sentenza di questa Corte n. 229 del 2018), poiché non vi sarebbero né atti, né provvedimenti consequenziali, attuativi della disciplina legislativa, impugnabili dinanzi all’autorità giudiziaria, prima dello svolgimento delle consultazioni referendarie;

che, di conseguenza, sarebbe dimostrato il carattere residuale del conflitto;

che, nel merito, il ricorrente ritiene che – nell’estendere alla consultazione referendaria confermativa di cui all’art. 138 della Costituzione il principio del cosiddetto election day, introdotto dal legislatore del 2011 per finalità di contenimento della spesa – l’art. l-bis, comma 3, del d.l. n. 26 del 2020 e il d.P.R. 17 luglio 2020 violino le prerogative del corpo elettorale, di cui il Comitato sarebbe rappresentante, determinando una grave compromissione dell’esercizio del voto sul referendum; esso, invece, dovrebbe essere libero da condizionamenti partitici e basarsi su una valutazione in cui rilevano aspetti tecnici e giuridici, consentendo la formazione di schieramenti trasversali alle coalizioni politiche;

che lo stesso art. 138 Cost. prevede che l’approvazione delle leggi di revisione costituzionale e delle altre leggi costituzionali sia votata da una maggioranza parlamentare ampia, assoluta o qualificata, tale da superare le divergenze partitiche e gli schieramenti politici, al fine di adottare un testo costituzionale condiviso anche dalle minoranze parlamentari;

che la sovrapposizione della campagna per le elezioni amministrative e regionali, per sua natura altamente politicizzata, a quella per il referendum costituzionale comporterebbe il pericolo di una valutazione politica anche rispetto a quest’ultimo, specie quando si tratti di una riforma costituzionale compresa nel programma politico di una maggioranza di governo;

che, nel caso di specie, con l’abbinamento delle consultazioni, gli elettori correrebbero il rischio di essere influenzati dalle indicazioni politiche dei candidati in ordine al referendum costituzionale e sarebbe così compromessa la libertà di valutazione tecnica e giuridica, che è propria di quest’ultimo istituto;

che, d’altra parte, la consultazione sul referendum ex art. 138 Cost. richiede una partecipazione del popolo nella sua unità, senza distinzioni territoriali, in un unico collegio di voto; viceversa, la circostanza che in alcune Regioni e Comuni siano contestualmente effettuate elezioni politiche e amministrative influirebbe sulla partecipazione degli elettori e sul relativo orientamento; infatti, il numero dei partecipanti al voto referendario sarebbe inevitabilmente maggiore nelle Regioni chiamate a eleggere il nuovo Presidente e nei Comuni ove si svolgeranno anche le consultazioni locali, con un’insostenibile asimmetria territoriale nell’espressione del voto sulla modifica costituzionale;

che anche le specifiche modalità di svolgimento delle rispettive campagne elettorali sarebbero suscettibili di riflettersi sulla formazione della volontà del corpo elettorale e sulle prerogative fatte valere dal Comitato; al riguardo, la parte ricorrente evidenzia che, nella fase della campagna elettorale, il diritto alla completa e obiettiva informazione del cittadino sarebbe tutelato in via prioritaria e in riferimento a valori costituzionali primari, connessi al corretto svolgimento del confronto politico su cui si fonda il sistema democratico (è richiamata la sentenza di questa Corte n. 155 del 2002);

che, infatti, nel regolare l’accesso ai mezzi di informazione per la comunicazione politica, la legge 22 febbraio 2002, n. 28 (Disposizioni per la parità di accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione politica) stabilisce una disciplina parzialmente differente della campagna elettorale e di quella referendaria;

che per effetto della sovrapposizione della campagna politica a quella referendaria, l’informazione sul referendum costituzionale sarebbe penalizzata rispetto a quella partitica e sarebbe impedito ai cittadini di comprendere pienamente le questioni sottese alla modifica costituzionale oggetto di referendum; ciò pregiudicherebbe la libera formazione della volontà dell’elettore e non garantirebbe l’esercizio di un diritto di voto genuino, libero e segreto;

che del resto, la stessa disciplina legislativa in materia di election day non prevederebbe alcun accorpamento delle consultazioni politiche e amministrative con quelle referendarie, riferendosi esclusivamente all’abbinamento nella medesima data dei referendum abrogativi;

che, infatti, solo in via eccezionale, con la legge 28 aprile 2009, n. 40 (Disciplina transitoria per lo svolgimento dei referendum previsti dall’articolo 75 della Costituzione da tenersi nell’anno 2009) è stata prevista la possibilità del contestuale svolgimento dei referendum abrogativi e del secondo turno di votazione per le elezioni dei Presidenti delle Province e dei Sindaci, senza peraltro disporne l’accorpamento;

che, d’altronde, l’art. 31 della legge 25 maggio 1970, n. 352 (Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo) esclude il voto referendario in periodi di elezioni politiche, mostrando così la volontà di mantenere distinte le consultazioni per le elezioni politiche rappresentative da quelle per l’esercizio della democrazia diretta;

che, in ogni caso, non sarebbe mai stato previsto l’abbinamento di consultazioni politiche a una consultazione referendaria di tipo confermativo ex art. 138 Cost., in considerazione della peculiare natura di questo istituto di democrazia diretta;

che l’abbinamento della consultazione referendaria alle elezioni regionali e amministrative si porrebbe, altresì, in contrasto con l’art. 15, comma 2, della legge n. 352 del 1970, non derogato dalla legislazione successiva, il quale, con specifico riguardo al referendum contemplato dall’art. 138 Cost., prevede che la votazione si svolga in un solo giorno; infatti, in occasione dei tre precedenti referendum costituzionali, la consultazione è stata indetta per un’unica giornata e lo stesso decreto del Presidente della Repubblica 28 gennaio 2020 (Indizione del referendum popolare confermativo della legge costituzionale, recante: «Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari», approvata dal Parlamento) aveva originariamente convocato i comizi elettorali sul referendum in questione per la sola giornata del 29 marzo 2020;

che pertanto, anche sotto questo profilo, l’abbinamento della consultazione referendaria con le elezioni regionali e amministrative si porrebbe in contrasto con la disciplina vigente, determinando l’illegittima contaminazione di istituti di matrice ontologicamente differente;

che la parte ricorrente avanza istanza di tutela cautelare, richiamando la giurisprudenza costituzionale che ha riconosciuto l’applicabilità, in via analogica, dell’art. 40 della legge n. 87 del 1953, dettato in materia di conflitti intersoggettivi, anche ai conflitti tra poteri dello Stato (è citata l’ordinanza di questa Corte n. 225 del 2017);

che, nel caso di specie, sussisterebbero le gravi ragioni cui il citato art. 40 subordina la possibilità di disporre la sospensione dell’atto impugnato; in mancanza dell’invocato intervento cautelare, sarebbe vanificata la stessa iniziativa assunta in sede di conflitto; una volta effettuate le consultazioni, si sarebbe già determinata la denunciata commistione del voto referendario con quello partitico, con grave danno alla rappresentanza popolare e al corpo elettorale nell’espressione del voto;

che, inoltre, l’esigenza della tutela cautelare anticipatoria sarebbe suffragata anche dalla considerazione che, negli Stati ove la diffusione epidemiologica da COVID-19 risulta particolarmente significativa, sarebbe impossibile garantire che il diritto di voto dei cittadini italiani all’estero si svolga in condizioni di eguaglianza e di libertà; l’effettiva partecipazione alla consultazione referendaria potrebbe, infatti, risultare compromessa dalla scelta, indotta dalle precauzioni per evitare ogni forma di contagio, di non prendere parte alla votazione;

che, laddove la camera di consiglio ex art. 37 della legge n. 87 del 1953 dovesse essere fissata in data successiva a quella di svolgimento delle consultazioni elettorali in questione, il ricorrente chiede la concessione di misure cautelari monocratiche ex art. 56 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), applicabili al giudizio per conflitto ai sensi dell’art. 22 della legge n. 87 del 1953, che richiama le norme regolatrici del processo amministrativo (è citata ancora l’ordinanza di questa Corte n. 225 del 2017);

che il Comitato promotore conclude chiedendo, pertanto, che la Corte costituzionale, previa concessione delle più idonee misure cautelari, eventualmente anche monocratiche, dichiari che non spettava al Parlamento, mediante l’art. l-bis, comma 3, del d.l. n. 26 del 2020, come convertito, consentire l’applicazione del principio dell’election day anche allo svolgimento del referendum sul testo di legge costituzionale approvata in data 8 ottobre 2019, recante «Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari» e che non spettava al Governo e al Presidente della Repubblica, mediante il d.P.R. 17 luglio 2020, abbinare la data del referendum costituzionale con quella di elezioni regionali e amministrative, con il conseguente annullamento di ogni atto anche presupposto o consequenziale;

che, nel periodo intercorrente tra il deposito del ricorso e la camera di consiglio, in data 7 agosto 2020 è stato depositato atto di intervento del Partito Radicale Nonviolento Transnazionale Transpartito;

che l’intervento è spiegato al fine di aderire al ricorso per conflitto di attribuzioni tra poteri, proposto «contro l’inserimento dell’art. l-bis, c. 3°, nel testo del decreto-legge 20 aprile 2020, n. 26 recante “Disposizioni urgenti in materia di consultazioni elettorali per l’anno 2020”, operate dal Parlamento con la legge di conversione 19 giugno 2020, n. 59 e contro la emanazione, da parte del Governo e del Presidente della Repubblica, del d.P.R.17 luglio 2020».

Considerato che, con ricorso depositato il 23 luglio 2020, i senatori Andrea Cangini, Nazario Pagano e Tommaso Nannicini, nella qualità di legali rappresentanti del Comitato promotore della consultazione referendaria sul testo di legge costituzionale recante «Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari», hanno promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Camera dei deputati, del Senato della Repubblica, del Presidente della Repubblica e del Governo, in relazione all’art. l-bis, comma 3, del decreto-legge 20 aprile 2020, n. 26 (Disposizioni urgenti in materia di consultazioni elettorali per l’anno 2020), convertito, con modificazioni, nella legge 19 giugno 2020, n. 59, nonché al decreto del Presidente della Repubblica 17 luglio 2020 (Indizione del referendum popolare confermativo del testo della legge costituzionale recante «Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari» approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 240 del 12 ottobre 2019);

che l’art. l-bis, comma 3, del d.l. n. 26 del 2020, come convertito, prevede che alle elezioni politiche suppletive, alle elezioni regionali e amministrative rinviate a seguito dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 e al referendum confermativo sul «Testo di legge costituzionale approvato in seconda votazione a maggioranza assoluta, ma inferiore ai due terzi dei membri di ciascuna Camera, recante: “Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari”» si applichi il principio di concentrazione delle consultazioni elettorali, di cui all’art. 7 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n. 111 (cosiddetto “election day”);

che il d.P.R. 17 luglio 2020 dispone, per le medesime date del 20 e 21 settembre 2020, l’abbinamento della votazione sul referendum relativo al suddetto testo di legge costituzionale con le elezioni suppletive e amministrative;

che, secondo la parte ricorrente, l’applicazione del principio della concentrazione delle consultazioni elettorali anche al referendum confermativo del testo di legge costituzionale violerebbe le prerogative del corpo elettorale di cui il Comitato ricorrente sarebbe rappresentante, determinando, «di riflesso», anche una lesione delle attribuzioni costituzionalmente assegnate e garantite allo stesso Comitato dagli artt. 1 e 138 della Costituzione;

che, la parte ricorrente ha avanzato altresì istanza di tutela cautelare, anche attraverso provvedimenti provvisori monocratici, al fine di ottenere la sospensione dell’efficacia degli atti dai quali è sorto il conflitto;

che, nell’attuale fase del giudizio, questa Corte è chiamata a delibare, in camera di consiglio, senza contraddittorio e senza la possibilità di interventi di terzi, in ordine alla sussistenza dei requisiti soggettivo e oggettivo prescritti dall’art. 37, primo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), ossia a decidere se il conflitto insorga tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono e per la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali, restando impregiudicata ogni ulteriore questione, anche in punto di ammissibilità;

che, sotto il profilo soggettivo, il conflitto risulta proponibile sia nei confronti delle Camere, sia nei confronti del Presidente della Repubblica e del Governo, essendo censurati un decreto-legge e la relativa legge di conversione e venendo altresì in contestazione il decreto presidenziale d’indizione della consultazione referendaria, adottato su deliberazione del Consiglio dei ministri;

che, d’altra parte, sotto il profilo della legittimazione attiva, la giurisprudenza costituzionale è costante nel riconoscere la legittimazione del Comitato promotore del referendum a proporre conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, in quanto titolare, nell’ambito della procedura referendaria, di una funzione costituzionalmente rilevante e garantita, in rappresentanza dei soggetti legittimati ad avanzare la richiesta di referendum (ex plurimis, ordinanze n. 169 del 2011, n. 172 del 2009, n. 38 del 2008, n. 198 del 2005, n. 195 del 2003, n. 137 del 2000, n. 49 del 1998, n. 172, n. 171, n. 131 e n. 9 del 1997, n. 226 e n. 118 del 1995, n. 69 e n. 17 del 1978);

che, a questo riguardo, la giurisprudenza costituzionale ha riconosciuto che rientra nella sfera delle attribuzioni del comitato la pretesa allo svolgimento delle operazioni di voto referendario, una volta compiuta la procedura di verifica della legittimità e della costituzionalità delle relative domande; ma non anche - in assenza di situazioni eccezionali - la pretesa di interferire sulla scelta governativa, tra le molteplici, legittime opzioni, della data all’interno del periodo prestabilito (così le ordinanze n. 169 del 2011, n. 38 del 2008, n. 198 del 2005 e n. 131 del 1997);

che il Consiglio dei ministri, infatti, è titolare di un ampio potere di valutazione sia in ordine al momento di indizione del referendum, sia per quanto attiene alla fissazione della data della consultazione referendaria, purché le operazioni di voto si svolgano nell’intervallo temporale determinato dalla legge e individuato dall’art. 34, primo comma, della legge 25 maggio 1970, n. 352 (Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo);

che nel caso di specie questo intervallo è stato modificato dapprima dall’art. 81 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 24 aprile 2020, n. 27, in seguito dall’art. 1-bis del d.l. n. 26 del 2020, come convertito, alla luce delle esigenze poste dal diffondersi dell’epidemia da COVID-19; esigenze a cui risulta altresì funzionale l’estensione del principio dell’election day, originariamente introdotto per ragioni di contenimento della spesa;

che, nel caso di specie, già in sede di mera delibazione degli argomenti del ricorrente emerge che essi, a fronte della situazione eccezionale legata all’epidemia che ha portato all’accorpamento, non adducono circostanze, che dovrebbero risultare esse stesse eccezionali, in ragione delle quali l’accorpamento inciderebbe sul diritto all’effettuazione del voto referendario e sul suo esercizio (ordinanza n. 169 del 2011);

che tale non appare la possibilità che esso sia influenzato da posizioni politiche diverse, giacché sempre le forze politiche hanno dato indicazioni agli elettori anche sui referendum costituzionali; del resto, come questa Corte ha già evidenziato, la logica referendaria è intrecciata a quella della democrazia rappresentativa, non separata da essa (sentenza n. 118 del 2015); né può dirsi che la contestualità tra differenti campagne elettorali comporti, di per sé, una penalizzazione degli spazi d’informazione dedicati alla campagna referendaria;

che, d’altra parte, l’eventuale maggiore affluenza alle urne nelle Regioni e nei Comuni ove si tengono elezioni non pregiudica, in quanto tale, lo svolgimento del voto referendario, per il quale non è previsto, tra l’altro, un quorum strutturale;

che, in ogni caso, la Costituzione non attribuisce al Comitato promotore, che nel giudizio in esame agisce in rappresentanza di una minoranza parlamentare, una funzione di generale tutela del miglior esercizio del diritto di voto da parte dell’intero corpo elettorale, che sarebbe lesa – asserisce il ricorrente – «di riflesso» dalla violazione di tale diritto;

che, quindi, la parte ricorrente ha agito al di fuori delle proprie attribuzioni costituzionali in relazione alle modalità di svolgimento del procedimento referendario;

che, in conclusione, assorbita ogni altra questione, anche cautelare, deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promosso dal Comitato promotore della consultazione referendaria sul testo di legge costituzionale recante «Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari».

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 agosto 2020.

F.to:

Marta CARTABIA, Presidente

Giuliano AMATO, Redattore

Filomena PERRONE, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 13 agosto 2020.

Il Cancelliere

F.to: Filomena PERRONE

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