ORDINANZA N. 229
ANNO 2020
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Mario Rosario MORELLI; Giudici : Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA,
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 165, comma secondo, del codice penale, come modificato dall’art. 2, comma 1, lettera b), della legge 11 giugno 2004, n. 145 (Modifiche al codice penale e alle relative disposizioni di coordinamento e transitorie in materia di sospensione condizionale della pena e di termini per la riabilitazione del condannato), promosso dal Tribunale ordinario di Lecce, in composizione monocratica, nel procedimento penale a carico di M. S., con ordinanza del 13 dicembre 2018, iscritta al n. 23 del registro ordinanze 2020 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell’anno 2020.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 7 ottobre 2020 il Giudice relatore Stefano Petitti;
deliberato nella camera di consiglio del 7 ottobre 2020.
Ritenuto che, con ordinanza del 13 dicembre 2018 (reg. ord. n. 23 del 2020), il Tribunale ordinario di Lecce, in composizione monocratica, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 165, comma secondo, del codice penale, come modificato dall’art. 2, comma 1, lettera b), della legge 11 giugno 2004, n. 145 (Modifiche al codice penale e alle relative disposizioni di coordinamento e transitorie in materia di sospensione condizionale della pena e di termini per la riabilitazione del condannato), nella parte in cui subordina la possibilità di concedere il beneficio della sospensione condizionale della pena a chi già ne abbia goduto una volta, alla condizione che egli necessariamente risarcisca il danno o provveda alle restituzioni, senza assegnare alcuna rilevanza al caso in cui ciò non sia possibile;
che il rimettente premette di procedere ai sensi dell’art. 550 del codice di procedura penale nei confronti di M. S., imputato di essersi indebitamente appropriato della somma di euro 4.568 a lui consegnata perché ne operasse il versamento all’Istituto nazionale per la previdenza sociale (INPS) per conto di S. Q., quale pagamento trimestrale dei contributi da questi dovuti come datore di lavoro di G. G.;
che l’imputato, dopo aver inizialmente manifestato l’intenzione di richiedere l’ammissione alla messa alla prova, ha successivamente abbandonato tale intendimento in ragione della difficoltà di trovare un accordo con la parte offesa, tenuto conto delle sue esigue disponibilità economiche e della conseguente impossibilità di risarcire il danno, sia pure in forma rateale, entro il termine massimo di sospendibilità del processo;
che l’imputato ha quindi presentato richiesta di applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., in termini ritenuti congrui dal rimettente, subordinatamente alla concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena;
che, secondo il rimettente, ad ostare all’accoglimento della richiesta sarebbe tuttavia il disposto del censurato art. 165, comma secondo, cod. pen., secondo il quale «[l]a sospensione condizionale della pena, quando è concessa a persona che ne ha già usufruito, deve essere subordinata all’adempimento di uno degli obblighi previsti nel comma precedente»;
che l’imputato risulta infatti aver goduto in precedenza del beneficio della sospensione condizionale, in relazione a una sentenza di condanna i cui effetti penali perdurano al momento del giudizio, non essendo medio tempore intervenuta la riabilitazione;
che, alla luce di ciò, l’ordinanza di rimessione ritiene che il beneficio della sospensione condizionale potrebbe essere concesso a chi, come l’imputato nel giudizio a quo, ne ha già usufruito, «solo subordinandolo all’adempimento dell’obbligo delle restituzioni o del risarcimento» e senza che si possa dare rilievo alle ragioni per cui un tale obbligo non possa essere adempiuto, tenuto conto che l’art. 2, comma 1, lettera b), della legge n. 145 del 2004 ha eliminato dalla disposizione censurata l’inciso per cui l’obbligo al quale è subordinata la concessione del beneficio deve essere sempre imposto «salvo che ciò sia impossibile»;
che, ad avviso del rimettente, con tale sopravvenienza normativa il legislatore avrebbe manifestato la volontà di escludere la possibilità di concedere il beneficio della sospensione condizionale della pena, per la seconda volta, a «chi non sia in grado, anche senza sua colpa e oltre la sua volontà, di risarcire il danno o di assolvere all’obbligo di procedere alle restituzioni»;
che ciò porrebbe la norma in contrasto con l’art. 3 Cost., perché essa introdurrebbe una presunzione assoluta di immeritevolezza del beneficio della sospensione condizionale ove non accompagnato dalla condotta tipizzata del risarcimento del danno, con l’effetto di determinare una disparità di trattamento, «essendo possibile immaginare forme diverse di comportamento, ben maggiormente significative di ravvedimento (si pensi ad es. alla scelta di dedicare la propria vita all’assistenza [a]i bisognosi, o[d] alle vittime dei reati, o all’educazione dei giovani per recuperarli dalla devianza, ecc.) che invece vengono irragionevolmente escluse dal novero dei fatti e comportamenti valutabili dal giudice al fine delle sue valutazioni circa la regolarità del futuro comportamento del reo»;
che il medesimo parametro costituzionale sarebbe altresì violato per il fatto che la norma censurata determinerebbe una disparità di trattamento tra gli imputati, in quanto, in tal modo, l’accesso al beneficio in questione finirebbe col dipendere, in casi come quello di cui al giudizio a quo, dalle loro condizioni economiche (è richiamata la sentenza di questa Corte n. 49 del 1975);
che, infine, la ritenuta irrilevanza della difficoltà del condannato ad adempiere all’obbligo risarcitorio o restitutorio, secondo il significato attribuito dal rimettente all’art. 165, comma secondo, cod. pen., conduce quest’ultimo a ritenere conseguentemente irrilevante anche l’accertamento in ordine alle effettive capacità economiche dell’imputato;
che, con atto depositato il 16 marzo 2020, è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato;
che, ad avviso dell’Avvocatura generale, la questione sarebbe innanzi tutto inammissibile, non avendo il rimettente dato conto del fatto che la persona offesa o, comunque, il danneggiato si siano costituiti parte civile nel giudizio principale;
che, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, l’obbligo risarcitorio e quello restitutorio costituirebbero la conseguenza che discende dal danno civile e non dal danno di natura pubblicistica scaturente dalla violazione della norma penale, con la conseguenza che l’imposizione di essi non potrebbe prescindere dall’esercizio dell’azione civile (è richiamata, tra le altre, Corte di cassazione, sezione seconda penale, sentenza 18 dicembre 2013-29 gennaio 2014, n. 3958);
che la mancanza di indicazioni, nell’ordinanza di rimessione, in ordine alla costituzione delle parti civili impedirebbe pertanto di verificare che il risarcimento o l’obbligo di restituzioni siano effettivamente richiedibili al condannato, rendendo così irrilevante la questione per come formulata;
che la questione dovrebbe comunque ritenersi infondata perché il giudice rimettente, facendo esclusivo riferimento all’obbligo costituito dal risarcimento del danno, non avrebbe tenuto conto del fatto che il secondo comma dell’art. 165 cod. pen., rinviando agli obblighi previsti dal primo comma dello stesso articolo, include tra quelli che debbono essere imposti a chi abbia già beneficiato della sospensione condizionale anche quello della prestazione di attività non retribuita in favore della collettività;
che, in ogni caso, la questione sarebbe infondata alla luce di quanto questa Corte ha affermato, sebbene in relazione ad una fattispecie diversa da quella oggetto di giudizio, nella sentenza n. 95 del 2015, e cioè che una norma processuale che imponga oneri patrimoniali per il raggiungimento di determinati fini è illegittima «esclusivamente in due ipotesi: da un lato, quando ne risulti compromesso l’esercizio di un diritto che la Costituzione garantisce a tutti paritariamente […]; dall’altro, quando gli oneri imposti non risultino giustificati da ragioni connesse a circostanze obiettive, così da determinare irragionevoli situazioni di vantaggio o svantaggio»;
che, rispetto alla norma censurata, non ricorrerebbe ad avviso dell’interveniente né la prima, né la seconda condizione: sia perché l’onere patrimoniale imposto al condannato a pena condizionalmente sospesa che ne abbia già usufruito è reso non necessario dalla possibilità di imporgli forme diverse di riparazione del danno criminale, sia perché è evidente l’interesse pubblico all’eliminazione delle conseguenze dannose del reato, anche per il suo valore sintomatico del processo di ravvedimento del reo.
Considerato che il Tribunale ordinario di Lecce, in composizione monocratica, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 165, comma secondo, del codice penale, nella parte in cui subordina la possibilità di concedere il beneficio della sospensione condizionale della pena a chi già ne abbia goduto una volta, alla condizione che egli necessariamente risarcisca il danno o provveda alle restituzioni, senza assegnare alcuna rilevanza al caso in cui ciò non sia possibile;
che, secondo il rimettente, la norma censurata, per il fatto di prevedere che l’unica condotta riparatoria imponibile al condannato a pena condizionalmente sospesa che abbia già usufruito di tale beneficio in passato consista nel risarcimento del danno o nell’obbligo delle restituzioni, determinerebbe una disparità di trattamento, sia perché escluderebbe dal novero delle misure imponibili condotte non economicamente onerose ma espressive di una medesima esigenza di ravvedimento, sia perché gli imputati subirebbero in tal modo un trattamento processuale diverso a seconda del loro censo;
che la questione è manifestamente inammissibile;
che il censurato art. 165, comma secondo, cod. pen., nel testo modificato dall’art. 2, comma 1, lettera b), della legge 11 giugno 2004, n. 145 (Modifiche al codice penale e alle relative disposizioni di coordinamento e transitorie in materia di sospensione condizionale della pena e di termini per la riabilitazione del condannato), prevede che «[l]a sospensione condizionale della pena, quando è concessa a persona che ne ha già usufruito, deve essere subordinata all’adempimento di uno degli obblighi previsti nel comma precedente»;
che il comma primo dell’art. 165, anch’esso modificato dalla legge n. 145 del 2004 (art. 2, comma 1, lettera a) dispone che «[l]a sospensione condizionale della pena può essere subordinata all’adempimento dell’obbligo delle restituzioni, al pagamento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno o provvisoriamente assegnata sull’ammontare di esso e alla pubblicazione della sentenza a titolo di riparazione del danno; può altresì essere subordinata, salvo che la legge disponga altrimenti, all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, ovvero, se il condannato non si oppone, alla prestazione di attività non retribuita a favore della collettività per un tempo determinato comunque non superiore alla durata della pena sospesa, secondo le modalità indicate dal giudice nella sentenza di condanna»;
che, per effetto delle modifiche apportate dalla legge n. 145 del 2004, dall’originario testo del comma secondo dell’art. 165 cod. pen., è stato eliminato l’inciso per cui l’imposizione di uno degli obblighi di cui all’art. 165, comma primo, cod. pen. al condannato a pena condizionalmente sospesa, che abbia già usufruito del beneficio in passato, è obbligatoria «salvo che ciò sia impossibile»;
che l’eliminazione di tale riserva valutativa per il giudice non può che essere funzionalmente e sistematicamente correlata alla modifica contemporaneamente disposta dall’art. 2, comma 1, lettera a), della legge n. 145 del 2004, che, come visto, ha introdotto all’art. 165, comma primo, cod. pen., accanto a quelle già previste, la condotta riparatoria consistente nella «prestazione di attività non retribuita a favore della collettività per un tempo determinato comunque non superiore alla durata della pena sospesa»;
che pertanto, alla luce di tali modifiche normative, al giudice che si trovi a concedere il beneficio della sospensione condizionale della pena a chi ne abbia già usufruito residua sempre la facoltà di imporre al condannato, ove per le più diverse ragioni non possa porre a suo carico l’obbligo al risarcimento del danno o alle restituzioni e sempre che il condannato stesso non si opponga, la prestazione di attività non retribuita in favore della collettività;
che, peraltro, l’esercizio di tale facoltà per il giudice appare reso ulteriormente agevole dall’orientamento giurisprudenziale consolidato del giudice di legittimità, secondo il quale la richiesta del beneficio della sospensione condizionale della pena da parte di chi ne abbia già usufruito, tanto più se (come nel caso che ha dato origine al presente giudizio) formulata nel procedimento di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’art. 444 del codice di procedura penale, implica la non opposizione del condannato alla subordinazione del beneficio all’adempimento di uno degli obblighi di cui all’art. 165, comma primo, cod. pen., ivi compresa la prestazione di attività non retribuita in favore della collettività (Corte di cassazione, sezione sesta penale, sentenze 24 aprile-7 maggio 2018, n. 19882 e 20 febbraio-14 aprile 2020, n. 12079);
che, alla luce di ciò, per il fatto di non aver considerato la possibilità di subordinare la concessione della sospensione condizionale della pena, a chi ne abbia già usufruito in passato, all’obbligo consistente nella prestazione di attività non retribuita in favore della collettività, il giudice rimettente muove da un presupposto interpretativo palesemente erroneo, che, in ragione dell’incompleta ricostruzione del quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, pregiudica alla radice l’iter logico che lo conduce a ritenere la questione non manifestamente infondata, determinandone così la manifesta inammissibilità (tra le molte, ordinanze n. 42 del 2020, n. 59 del 2019, n. 202 del 2018, n. 88 e n. 79 del 2017);
che restano assorbiti gli ulteriori profili di inammissibilità.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 165, comma secondo, del codice penale, come modificato dall’art. 2, comma 1, lettera b), della legge 11 giugno 2004, n. 145 (Modifiche al codice penale e alle relative disposizioni di coordinamento e transitorie in materia di sospensione condizionale della pena e di termini per la riabilitazione del condannato), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Lecce, in composizione monocratica, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 ottobre 2020.
F.to:
Mario Rosario MORELLI, Presidente
Stefano PETITTI, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 30 ottobre 2020.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA