SENTENZA N. 253
ANNO 2020
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Mario Rosario MORELLI; Giudici : Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 702-ter, comma 2, del codice di procedura civile, promosso dal Tribunale ordinario di Termini Imerese, nel procedimento vertente tra A. C. e altro e C. C., con ordinanza del 19 ottobre 2019, iscritta al n. 37 del registro ordinanze 2020 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11, prima serie speciale, dell’anno 2020.
Visto l’atto di costituzione di C. C., nonchè l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 4 novembre 2020 il Giudice relatore Giovanni Amoroso;
uditi l’avvocato Luigi La Placa per C. C. e l’avvocato dello Stato Antonio Grumetto per il Presidente del Consiglio dei ministri, in collegamento da remoto, ai sensi del punto 1) del decreto del Presidente della Corte del 30 ottobre 2020;
deliberato nella camera di consiglio del 4 novembre 2020.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 19 ottobre 2019, il Tribunale ordinario di Termini Imerese ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 702-ter, secondo comma, ultimo periodo, del codice di procedura civile, per violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione.
Il giudice rimettente riferisce che, con ricorso per procedimento sommario di cognizione ex art. 702-bis cod. proc. civ., gli eredi nominati in un testamento olografo avevano agito nei confronti del proprio genitore che possedeva i beni devoluti in successione agli stessi, chiedendone la restituzione.
Il convenuto, nel costituirsi in giudizio, domandava in via riconvenzionale l’accertamento della nullità del predetto testamento, rivendicando la propria qualità di erede in ragione di un precedente testamento pubblico.
Il giudice a quo evidenzia, in punto di rilevanza, che la domanda riconvenzionale proposta dal convenuto, essendo demandata alla decisione del tribunale in composizione collegiale, dovrebbe, in mancanza di una pronuncia di illegittimità costituzionale, essere dichiarata inammissibile in virtù di quanto espressamente disposto dall’art. 702-ter, secondo comma, ultimo periodo, cod. proc. civ., poiché l’art. 702-bis, primo comma, del medesimo codice delimita l’ambito di applicazione del procedimento sommario alle cause attribuite alla cognizione del tribunale in composizione monocratica.
Quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice rimettente, premesso che la causa introdotta dal convenuto nel procedimento sommario ha carattere pregiudiziale rispetto a quella formulata dai ricorrenti, ritiene che la norma censurata, laddove prevede in ogni caso – e dunque anche in questa ipotesi – la declaratoria di inammissibilità della domanda riconvenzionale di competenza collegiale, potrebbe porsi in contrasto, in primo luogo, con il principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost., atteso che la decisione separata delle due cause potrebbe determinare un contrasto di giudicati. La norma sarebbe irragionevole, in quanto, ai sensi dell’art. 34 cod. proc. civ., qualora le due cause rientrassero invece nella competenza, per materia o valore, di un altro giudice, la proposizione con domanda riconvenzionale della causa pregiudiziale determinerebbe lo spostamento di entrambe le controversie al giudice superiore, mentre un’analoga trattazione congiunta non sarebbe assicurata, stante la previsione censurata, nel caso in cui la questione pregiudiziale potesse essere trattata dal medesimo ufficio giudiziario, anche se in diversa composizione.
Il secondo comma dell’art. 702-ter cod. proc. civ., nella parte in cui impone la declaratoria di inammissibilità della domanda riconvenzionale demandata alla decisione del tribunale in composizione collegiale, si porrebbe, inoltre, in contrasto con l’art. 24 Cost., nella misura in cui consentirebbe al ricorrente di abusare dei propri poteri processuali ottenendo celermente una decisione sulla domanda principale dipendente, in virtù della maggiore celerità del procedimento sommario rispetto a quello ordinario di cognizione che il convenuto dovrebbe incardinare, a fronte della declaratoria di inammissibilità della domanda riconvenzionale.
Né, ad avviso del Tribunale rimettente, sarebbe possibile, a fronte della chiara formulazione letterale della norma censurata, un’interpretazione costituzionalmente orientata, pure suggerita dalla dottrina, nel senso di evitare la declaratoria di inammissibilità della domanda riconvenzionale in una ipotesi, come quella sottoposta al proprio esame, in cui ricorra un rapporto di connessione “forte” per pregiudizialità-dipendenza tra cause, ritenendo possibile che, in alternativa, il giudice possa disporre per entrambe le controversie, avvinte dal nesso di pregiudizialità per subordinazione, il mutamento del rito in quello ordinario.
2.– In data 26 marzo 2020, si è costituito in giudizio il convenuto C. C. deducendo che, ove non fosse percorribile un’interpretazione costituzionalmente orientata del sistema normativo, nel senso di ritenere che il giudice adito con ricorso ex art. 702-bis cod. proc. civ. possa mutare il rito nell’ipotesi in cui venga proposta una domanda riconvenzionale pregiudiziale demandata alla cognizione del tribunale in composizione collegiale, le questioni sollevate dal Tribunale di Termini Imerese dovrebbero ritenersi fondate. Aggiunge, al riguardo, che il diritto di difesa della parte convenuta a fronte della declaratoria di inammissibilità della domanda sarebbe tanto più compromesso dalla non impugnabilità del relativo provvedimento.
3.– Con atto depositato il 25 marzo 2020, è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo il rigetto delle questioni sollevate dall’ordinanza di rimessione.
Ad avviso di quest’ultimo, il Tribunale rimettente potrebbe già disporre, nella fattispecie considerata, il mutamento nel rito, tenendo conto della giurisprudenza di legittimità, che l’ha ritenuto necessario in luogo della sospensione della causa pregiudicata ex art. 295 cod. proc. civ., ove quella pregiudicante penda dinanzi ad altro ufficio giudiziario (Corte di cassazione, sezione sesta civile, sottosezione terza, ordinanza 2 gennaio 2012, n. 3) e finanche qualora le due cause siano incardinate di fronte allo stesso ufficio (Corte di cassazione, sezione sesta civile, sottosezione terza, ordinanza 7 dicembre 2018, n. 31801). La questione sarebbe stata quindi già risolta, nella prospettazione della difesa statale, da tale orientamento giurisprudenziale, che si pone nel senso auspicato dal giudice a quo.
4.– Con memoria illustrativa pervenuta l’8 ottobre 2020, il convenuto ha ribadito le proprie deduzioni.
Considerato in diritto
1.– Con ordinanza del 19 ottobre 2019, il Tribunale ordinario di Termini Imerese ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 702-ter, secondo comma, ultimo periodo, del codice di procedura civile, per violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione.
La disposizione è stata censurata, in riferimento ai parametri evocati, in quanto impone al giudice adito con ricorso sommario di cognizione di dichiarare inammissibile la domanda riconvenzionale proposta dal convenuto, non rientrante nell’ambito applicativo del relativo rito speciale, laddove devoluta alla decisione del tribunale in composizione collegiale, e ciò anche qualora mediante la domanda riconvenzionale sia stata introdotta una causa pregiudicante rispetto a quella proposta in via principale.
Secondo la prospettazione del giudice rimettente, in questa ipotesi la declaratoria di inammissibilità della domanda riconvenzionale demandata alla cognizione del collegio, imposta dalla norma censurata, si porrebbe in contrasto, innanzi tutto, con il principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost., atteso che la decisione separata delle due cause potrebbe determinare un contrasto di giudicati. La disposizione sarebbe irragionevole poiché, ai sensi dell’art. 34 cod. proc. civ., qualora le due cause rientrassero invece nella competenza, per materia o valore, di un altro giudice, la proposizione con domanda riconvenzionale della causa pregiudiziale determinerebbe lo spostamento di entrambe le controversie al giudice superiore, mentre un’analoga trattazione congiunta non sarebbe assicurata, stante la previsione censurata, nel caso in cui la questione pregiudiziale potesse essere trattata dal medesimo ufficio giudiziario, anche se in diversa composizione.
Inoltre, sarebbe violato l’art. 24 Cost., in quanto la disposizione censurata consentirebbe al ricorrente, in violazione del diritto di difesa del convenuto, di abusare dei propri poteri processuali, ottenendo celermente una decisione sulla domanda principale dipendente, in ragione della sommarietà del procedimento rispetto a quello ordinario di cognizione, che il convenuto dovrebbe incardinare a fronte della declaratoria di inammissibilità della domanda riconvenzionale.
Né ad avviso del Tribunale rimettente potrebbe essere effettuata, a fronte della chiara formulazione letterale della norma censurata, un’interpretazione costituzionalmente orientata, nel senso di evitare la declaratoria di inammissibilità della domanda riconvenzionale in un’ipotesi, come quella sottoposta al proprio esame, in cui ricorra un rapporto di connessione “forte” per pregiudizialità-dipendenza tra cause consentendo all’autorità giudiziaria adita di mutare il rito in quello ordinario.
2.– Va preliminarmente affermato che sussistono le condizioni di ammissibilità delle questioni di costituzionalità.
In particolare, sul piano della rilevanza, deve infatti considerarsi che nel giudizio a quo i ricorrenti hanno, in forza della propria qualità di eredi testamentari, proposto nelle forme del procedimento sommario di cognizione domanda di rilascio dell’immobile, già di proprietà del de cuius, detenuto dal proprio genitore.
Quest’ultimo, a sua volta, proponeva domanda volta ad accertare l’invalidità del testamento olografo sul quale i figli avevano fondato la loro azione, accertamento dal quale sarebbe conseguita la legittimità della detenzione dell’immobile in virtù di un precedente testamento pubblico in suo favore.
Tale domanda riconvenzionale del convenuto ha carattere pregiudiziale sul piano tecnico-giuridico rispetto a quella formulata dai ricorrenti poiché l’effetto giuridico richiesto dagli stessi ha tra i suoi presupposti la validità del testamento che li ha istituiti eredi. Infatti, ricorre un’ipotesi di pregiudizialità-dipendenza, allorché tra le stesse parti si verta in un processo in ordine alla nullità del titolo che in un altro è posto a fondamento della domanda, poiché al giudicato d’accertamento della nullità – la quale impedisce all’atto di produrre sin dall’origine qualunque effetto, sia pure interinale – si potrebbe contrapporre un distinto giudicato, d’accoglimento della pretesa basata su quel medesimo titolo, contrastante con il primo in quanto presupponente un antecedente logico giuridico opposto (Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 24 gennaio 2006, n. 1285; Corte di cassazione, sezione seconda civile, ordinanza 5 dicembre 2002, n. 17317).
Le domande finalizzate all’accertamento della nullità dei testamenti sono devolute, ex art. 50-bis, primo comma, numero 6), cod. proc. civ., alla decisione del tribunale in composizione collegiale perché rientranti «nelle cause di impugnazione dei testamenti e di riduzione per lesione di legittima».
Di qui, la rilevanza delle questioni sollevate dal Tribunale di Termini Imerese poiché l’art. 702-ter, secondo comma, ultimo periodo, cod. proc. civ. stabilisce che le domande riconvenzionali non rientranti tra quelle assoggettabili al procedimento sommario, ossia quelle che introducono cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica, devono essere dichiarate inammissibili.
3.– È opportuno premettere una sintetica ricostruzione del quadro normativo di riferimento nel quale si colloca la disposizione censurata.
L’art. 51, comma 1, della legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile) ha inserito, nel Libro IV, Titolo I, del codice di procedura civile, il Capo III-bis intitolato «Del procedimento sommario di cognizione», introducendo un rito di carattere alternativo al processo ordinario di cognizione, disciplinato dal secondo libro del medesimo codice, per le controversie demandate alla decisione del tribunale in composizione monocratica.
Con la previsione del procedimento sommario di cognizione, il legislatore ha perseguito l’obiettivo di ridurre la durata dei giudizi di primo grado, consentendo all’attore di scegliere un rito più celere di quello ordinario di cognizione per la decisione di controversie semplici, specie dal punto di vista istruttorio. Si tratta di una finalità coerente, come evidenziato anche da questa Corte, con il principio di ragionevole durata del processo, di rilevanza costituzionale ex art. 111 Cost. (sentenza n. 172 del 2019).
Il procedimento sommario di cognizione si caratterizza per una destrutturazione formale rispetto a quello ordinario di cognizione poiché è prevista un’udienza tendenzialmente unica e l’eventuale istruttoria non ha le cadenze predeterminate dal secondo libro del codice di rito, atteso che «il giudice, sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione rilevanti in relazione all’oggetto del provvedimento richiesto e provvede con ordinanza all’accoglimento o al rigetto delle domande» (art. 702-ter, quinto comma, cod. proc. civ.).
Come hanno chiarito le Sezioni unite della Corte di cassazione, dalla denominazione come «sommario» del procedimento disciplinato dagli artt. 702-bis e seguenti cod. proc. civ. non deve trarsi tuttavia un’indicazione, come potrebbe pure apparire, circa la sommarietà della cognizione, che resta piena, dovendo riferirsi tale denominazione, piuttosto, alla descritta «destrutturazione» formale del procedimento. Si tratta, pertanto, di un rito speciale a cognizione piena, che si conclude con un provvedimento che, sebbene rivesta la forma dell’ordinanza, è idoneo al giudicato sostanziale (Corte di cassazione, sezioni unite civili, ordinanza 10 luglio 2012, n. 11512).
Peraltro, poiché un binario processuale più agile è riservato alle controversie connotate da maggiore semplicità, l’art. 702-ter, terzo comma, cod. proc. civ. consente al giudice, laddove ritenga che le difese svolte dalle parti richiedano un’istruzione non sommaria, di mutare il rito in quello ordinario di cognizione, fissando l’udienza di trattazione di cui all’art. 183 cod. proc. civ.
A tale facoltà discrezionale corrisponde, per la medesima finalità ed in via speculare, a seguito dell’introduzione dell’art. 183-bis cod. proc. civ. ad opera dell’art. 14 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132 (Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile), convertito, con modificazioni, in legge 10 novembre 2014, n. 162, quella del giudice del processo ordinario di cognizione, di disporre, alla prima udienza di trattazione, valutata la complessità della lite e dell’istruzione probatoria, previo contraddittorio anche scritto con le parti, che si proceda a norma dell’art. 702-ter cod. proc. civ.
In definitiva, rientra nel potere discrezionale dell’autorità giudiziaria adita indirizzare il giudizio di primo grado, incardinato dall’attore nelle forme ordinarie del secondo libro del codice di procedura civile ovvero in quelle sommarie di cui agli artt. 702-bis e seguenti cod. proc. civ., verso il rito più adeguato, tenuto conto delle esigenze derivanti dall’istruttoria e dalla complessità, in fatto e in diritto, della controversia.
4.– In questo più ampio quadro normativo, deve dunque essere collocata la disposizione censurata che, con riferimento alle domande riconvenzionali, stabilisce che se le stesse non rientrano nell’ambito di applicazione del rito sommario di cognizione – limitato a propria volta dall’art. 702-bis, primo comma, cod. proc. civ. alle controversie demandate alla decisione del tribunale in composizione monocratica – il giudice adito è tenuto a dichiararle inammissibili.
A questo riguardo occorre considerare che la pregiudizialità “tecnica” è il collegamento esistente sul piano del diritto sostanziale tra rapporti giuridici diversi, caratterizzato dalla circostanza che alla fattispecie dell’uno appartiene uno degli effetti dell’altro, nel senso che è pregiudiziale il rapporto il cui effetto rappresenta un elemento della fattispecie costitutiva di un altro rapporto, definito dipendente o condizionato.
La connessione tra cause per subordinazione, dovuta ad un rapporto di pregiudizialità-dipendenza, reclama la trattazione e la decisione congiunta dei diversi rapporti sostanziali in un solo processo per realizzare il coordinamento del contenuto della loro disciplina.
Nella stessa giurisprudenza della Corte di cassazione è consolidato il principio per il quale sussiste un rapporto di pregiudizialità-dipendenza tra cause quando una situazione sostanziale rappresenti fatto costitutivo o comunque elemento della fattispecie di un’altra situazione sostanziale, situazione nella quale, anche mediante la sospensione del processo pregiudicato ex art. 295 cod. proc. civ., è necessario garantire uniformità di giudicati, perché la decisione del processo principale è idonea a definire in tutto o in parte il tema dibattuto (ex multis, Corte di cassazione, sezione sesta civile, sottosezione terza, ordinanza 24 ottobre 2014, n. 22605; Corte di cassazione, sezione prima civile, ordinanza 26 maggio 2006, n. 12621).
Quando sussiste un nesso di pregiudizialità-dipendenza tra cause, allo scopo di prevenire un conflitto pratico di giudicati, il codice di procedura civile individua una serie di meccanismi volti a evitare la loro trattazione separata, assicurando il cosiddetto simultaneus processus.
In particolare, se la causa pregiudicata e quella pregiudicante pendono dinanzi a giudici diversi all’interno dello stesso ufficio giudiziario, il coordinamento si realizza con la riunione ai sensi dell’art. 274 cod. proc. civ., che viene disposta – con provvedimento discrezionale e quindi insindacabile in sede di legittimità (Corte di cassazione, sezione sesta civile, sottosezione terza, ordinanza 17 maggio 2017, n. 12441) – da parte del giudice dinanzi al quale sono entrambe fissate, a seguito di decreto del Presidente della sezione o del tribunale (a seconda della pendenza delle cause nella stessa o in diverse sezioni).
Ancora più significativo è il disposto dell’art. 34 cod. proc. civ. secondo cui «[i]l giudice, se per legge o per esplicita domanda di una delle parti è necessario decidere con efficacia di giudicato una questione pregiudiziale che appartiene per materia o valore alla competenza di un giudice superiore, rimette tutta la causa a quest’ultimo, assegnando alle parti un termine perentorio per la riassunzione della causa davanti a lui».
Se il meccanismo di coordinamento prefigurato dall’art. 34 cod. proc. civ. non si realizza, lo stesso è “recuperato” con la sospensione necessaria della causa pregiudicata ove la causa pregiudiziale non sia stata ancora decisa in primo grado (art. 295 cod. proc. civ.) e con la sospensione facoltativa consentita nell’ipotesi in cui la causa pregiudiziale sia in fase di impugnazione (art. 337, secondo comma, cod. proc. civ.); in tal senso ex multis, Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 19 giugno 2012, n. 10027.
Laddove, poi, nessun coordinamento risulti possibile o si realizzi in concreto tra le cause avvinte da un nesso di pregiudizialità-dipendenza, potrebbe verificarsi un vero e proprio conflitto di giudicati nell’ipotesi di pronunce contrastanti, che comporterebbe la “prevalenza” di quella successiva, sempreché non sia stata sottoposta a revocazione; impugnazione questa che è consentita soltanto ove tale seconda sentenza non abbia pronunciato sulla relativa eccezione di giudicato (ex plurimis, Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 8 maggio 2009, n. 10623; Corte di cassazione, sezione sesta civile, sottosezione T, ordinanza 31 maggio 2018, n. 13804).
5.– Ciò premesso, le questioni di legittimità costituzionale sono fondate in riferimento ad entrambi i parametri evocati.
6.– La disposizione censurata, nel contesto della sopra richiamata disciplina del procedimento sommario, stabilisce, al secondo comma: «Se rileva che la domanda non rientra tra quelle indicate nell’articolo 702-bis, il giudice, con ordinanza non impugnabile, la dichiara inammissibile. Nello stesso modo provvede sulla domanda riconvenzionale».
Quindi il giudice è tenuto a dichiarare in ogni caso inammissibile la domanda riconvenzionale che, introducendo una causa in cui il tribunale decide in composizione collegiale e non già monocratica (e tale è l’impugnativa del testamento ai sensi dell’art. 50-bis, primo comma, numero 6, cod. proc. civ.), non può essere proposta con il rito del procedimento sommario di cui all’art. 702-bis cod. proc. civ.
La formulazione letterale di tale previsione non consente di enucleare – in via interpretativa, come deduce l’Avvocatura generale dello Stato – alcuna distinzione o eccezione, essendo unica la “sorte” di ogni domanda riconvenzionale che introduca una causa riservata alla cognizione dello stesso tribunale in composizione collegiale; ciò ove anche sussista – come nella fattispecie all’esame del giudice a quo – un rapporto di connessione forte per pregiudizialità-dipendenza tra causa principale e causa riconvenzionale. L’interpretazione adeguatrice, orientata a rendere conforme il dettato normativo a Costituzione, ha pur sempre un insuperabile limite nel dato letterale della disposizione. Questa Corte ha più volte affermato che «l’univoco tenore della norma segna il confine in presenza del quale il tentativo interpretativo deve cedere il passo al sindacato di legittimità costituzionale» (sentenza n. 232 del 2013; in senso conforme, sentenze n. 174 del 2019, n. 82 del 2017 e n. 36 del 2016).
La finalità perseguita dal legislatore mediante tale disciplina – che è quella di consentire in ogni caso che la domanda principale sia definita celermente nelle forme del procedimento sommario di cognizione – è sì legittima in quanto funzionale al principio di ragionevole durata del processo. Tuttavia la norma censurata, nel prevedere in ogni caso, ossia a prescindere dal tipo di connessione sussistente tra la causa riconvenzionale e quella principale, la declaratoria di inammissibilità della prima, ove demandata alla cognizione del tribunale in composizione collegiale, pone una conseguenza sproporzionata e, quindi, irragionevole ex art. 3 Cost., rispetto al pur legittimo scopo perseguito dal legislatore.
È invero costante l’orientamento di questa Corte nel senso che – sebbene in materia di conformazione degli istituti processuali il legislatore goda di ampia discrezionalità e il controllo di costituzionalità debba limitarsi a riscontrare se sia stato, o no, superato il limite della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà delle scelte compiute – deve comunque essere verificato, in tale valutazione, che il bilanciamento degli interessi costituzionalmente rilevanti non sia stato realizzato con modalità tali da determinare il sacrificio o la compressione di uno di essi in misura eccessiva e pertanto incompatibile con il dettato costituzionale. Tale giudizio deve svolgersi proprio attraverso ponderazioni relative alla proporzionalità dei mezzi scelti dal legislatore nella sua discrezionalità rispetto alle esigenze obiettive da soddisfare o alle finalità perseguite, tenuto conto delle circostanze e delle limitazioni concretamente sussistenti (ex plurimis, sentenze n. 71 del 2015, n. 17 del 2011, n. 229 e n. 50 del 2010, n. 221 del 2008 e n. 1130 del 1988; ordinanza n. 141 del 2011).
Questa Corte, in altra fattispecie di inammissibilità dell’atto introduttivo del giudizio, ha operato tale valutazione proprio ponendo in comparazione le opposte esigenze e, conclusivamente, ha ritenuto che «le conseguenze sfavorevoli derivanti dall’inammissibilità non sono adeguatamente bilanciate dall’interesse ad evitare l’abuso» (sentenza n. 241 del 2017).
Nella fattispecie ora in esame il nesso di pregiudizialità comporta che la sorte della causa pregiudicata è condizionata – logicamente e processualmente – da quella della causa pregiudicante e, ciò non di meno, la disposizione censurata impone al giudice adito con ricorso ex art. 702-bis cod. proc. civ. di dichiarare inammissibile, in ogni caso, la domanda riconvenzionale in limine, prima ancora e a prescindere dalla valutazione che lo stesso giudice sarà chiamato ad effettuare sulla domanda principale ex art. 702-ter, quinto comma, cod. proc. civ.
In tal modo risultano ineluttabili gli inconvenienti della trattazione separata della causa pregiudicata, con procedimento sommario, e della causa pregiudicante, con procedimento ordinario, fino, talora, all’estremo del conflitto di giudicati. E, anche se vari istituti, sopra ricordati, ne consentono il raccordo fino alla possibilità di revocazione per contrasto di giudicati, resta fermo che gli inconvenienti della trattazione separata possono non compensare – e di norma non compensano – la pur presumibile maggiore rapidità della loro trattazione distinta.
7.– Le conseguenze eccessive e, dunque, irragionevoli della regola, senza eccezioni, di inammissibilità della domanda riconvenzionale soggetta a riserva di collegialità, posta dall’art. 702-ter, secondo comma, cod. proc. civ., risaltano anche da considerazioni di comparazione e di sistema.
Da una parte, può osservarsi che, se la domanda principale introdotta con il rito del procedimento sommario e quella riconvenzionale pregiudicante, soggetta a riserva di collegialità, sono proposte davanti a due giudici diversi, si ha che – secondo la giurisprudenza di legittimità (Corte di cassazione, sezione sesta civile, sottosezione terza, ordinanza 2 gennaio 2012, n. 3) – il giudice del procedimento sommario non può sospendere il corso della prima causa ai sensi dell’art. 295 cod. proc. civ., ma deve mutare il rito fissando l’udienza di cui all’art. 183 cod. proc. civ. e aprendo così all’ordinaria disciplina della connessione delle cause. Analoga soluzione interpretativa ha accolto la giurisprudenza di legittimità ove le due cause siano state proposte, entrambe in via principale, innanzi allo stesso giudice, rispettivamente con il rito del procedimento sommario e con quello del procedimento ordinario (Corte di cassazione, sezione sesta civile, sottosezione terza, ordinanza 7 dicembre 2018, n. 31801).
Quindi nell’una e nell’altra ipotesi di cause proposte in processi distinti, legate dal nesso di pregiudizialità necessaria, è stata affermata l’illegittimità della sospensione, impugnata con regolamento di competenza, del procedimento sommario avente ad oggetto la causa pregiudicata, riconoscendosi invece la necessità del mutamento del rito per assicurare il simultaneus processus. Sicché stride che ciò non sia invece possibile, in ragione della perentorietà testuale della disposizione censurata, quando le due cause siano proposte fin dall’inizio in uno stesso processo, seppur con il rito del procedimento sommario, allorché la domanda riconvenzionale risulti essere soggetta a riserva di collegialità.
Parimenti, ove la domanda riconvenzionale possa essere decisa dal giudice monocratico perché non soggetta a riserva di collegialità e quindi non ricorra la ragione di inammissibilità di cui alla disposizione censurata, il giudice del procedimento sommario può valutare la complessità risultante dall’ampliamento del thema disputatum e dalle difese svolte dalle parti. In tale evenienza il giudice, ove ritenga che ciò richieda, nel complesso, un’istruzione non sommaria, muta il rito fissando l’udienza di cui all’art. 183 cod. proc. civ. (art. 702-ter, terzo comma, cod. proc. civ.).
Dall’altra parte, può considerarsi la progressiva accentuazione del controllo dell’autorità giudiziaria nella scelta del rito più adatto per la definizione della controversia in primo grado.
Come si è evidenziato, infatti, l’art. 183-bis cod. proc. civ., introdotto dal d.l. n. 132 del 2014, convertito nella legge n. 162 del 2014, nell’attribuire anche al giudice del procedimento ordinario di cognizione il potere discrezionale di disporre la conversione del relativo rito in quello sommario, ha finito con il demandare all’autorità giudiziaria la scelta finale sul procedimento “più adatto”, a seconda delle esigenze istruttorie e delle difficoltà in fatto ed in diritto della controversia, per la decisione della causa, posto che l’art. 702-ter, quinto comma, cod. proc. civ. già consentiva al giudice adito con ricorso per procedimento sommario di cognizione di mutare il rito in quello ordinario, con la fissazione dell’udienza ex art. 183 cod. proc. civ., ove ritenesse necessaria un’istruzione non sommaria.
È dunque distonica, specie nell’assetto normativo successivo all’emanazione dell’art. 183-bis cod. proc. civ., nel quale è demandata al giudice adito la valutazione ultima circa il rito – ordinario o sommario – più adeguato per la trattazione della causa, una disposizione come quella censurata che, di contro, tale facoltà esclude, imponendo la declaratoria di inammissibilità della domanda riconvenzionale che veicoli una causa attribuita al tribunale in composizione collegiale senza consentire al giudice stesso di valutare l’opportunità, in alternativa, di disporre il mutamento del rito.
8.– La disposizione censurata viola, inoltre, il diritto di difesa del convenuto garantito dall’art. 24 Cost.
È vero – e va ribadito – che non sussiste un diritto costituzionalmente tutelato della parte al processo simultaneo, in quanto, nell’ambito della discrezionalità conformativa del legislatore, esso è la risultante di regole processuali finalizzate, laddove possibile, a realizzare un’economia dei giudizi e a prevenire il conflitto tra giudicati, ma la sua inattuabilità non lede, in linea di principio, il diritto di azione, né quello di difesa, se la pretesa sostanziale dell’interessato può essere fatta valere nella competente, pur se distinta, sede giudiziaria con pienezza di contraddittorio e difesa. In tal senso è la costante giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis, sentenze n. 58 del 2020, n. 451 del 1997 e n. 295 del 1995; ordinanze n. 215 e n. 124 del 2005, n. 251 del 2003, n. 398 del 2000, n. 18 del 1999 e n. 308 del 1991).
Però, al contempo, la preclusione assoluta, anche se solo iniziale, del simultaneus processus non è compatibile con la garanzia costituzionale della tutela giurisdizionale (art. 24 Cost.) ove non risulti sorretta da idonee ragioni giustificative.
Nel bilanciamento tra le opposte esigenze – quella della rapidità del processo introdotto dall’attore e quella del simultaneus processus in riferimento alla domanda riconvenzionale del convenuto – siffatta preclusione risulta lesiva della tutela giurisdizionale di quest’ultimo allorché si tratti di connessione “forte”, quella per pregiudizialità necessaria rispetto al titolo fatto valere dall’attore.
Per una scelta rimessa al solo attore – la cui causa, dipendente sul piano del diritto sostanziale da quella riconvenzionale, è demandata alla cognizione del tribunale in composizione monocratica – il convenuto vede inesorabilmente dichiarata inammissibile la propria domanda.
In tal modo è significativamente leso il diritto di difesa dello stesso, costretto a proporre separatamente, dinanzi al medesimo tribunale, la propria domanda, pur pregiudiziale a quella proposta dal ricorrente nelle forme del procedimento sommario di cognizione, e a confidare nel funzionamento di meccanismi di raccordo eventuali e successivi. Diversamente il ricorrente, che abbia optato per il più celere procedimento sommario di cui agli artt. 702-bis e seguenti cod. proc. civ., può ottenere, per tale via, una pronuncia, connotata da efficacia esecutiva, finanche prima dell’introduzione, nel processo ordinario di cognizione, della causa pregiudicante, oggetto della domanda riconvenzionale dichiarata inammissibile e che, invece, ove trattata congiuntamente nel simultaneus processus, avrebbe potuto determinare un esito differente della lite.
Va ricordato al riguardo che questa Corte – che ha da lungo tempo affermato che la connessione è uno dei criteri fondamentali di ripartizione del potere giurisdizionale, e provvede all’esigenza di evitare incoerenze o incompletezze nell’esercizio del potere stesso (sentenze n. 142 del 1970, n. 130 del 1963 e n. 29 del 1958) – ha anche sottolineato, in generale, che «[a]l principio per cui le disposizioni processuali non sono fine a sé stesse, ma funzionali alla miglior qualità della decisione di merito, si ispira pressoché costantemente – nel regolare questioni di rito – il vigente codice di procedura civile, ed in particolare vi si ispira la disciplina che all’individuazione del giudice competente […] non sacrifica il diritto delle parti ad ottenere una risposta, affermativa o negativa, in ordine al “bene della vita” oggetto della loro contesa» (sentenza n. 77 del 2007).
9.– In conclusione, anche se la parte convenuta nel procedimento sommario, la quale proponga una domanda riconvenzionale soggetta a riserva di collegialità, legata a quella principale da un nesso di pregiudizialità, non ha diritto al simultaneus processus, neppure quest’ultimo le può essere precluso dalla prevista pronuncia di inammissibilità, dovendo poter il giudice valutare le ragioni del convenuto a fronte di quelle dell’attore e, all’esito, mutare il rito indirizzando la cognizione delle due domande congiuntamente nello stesso processo secondo il rito ordinario, piuttosto che tenerle distinte dichiarando inammissibile la domanda riconvenzionale.
La reductio ad legitimitatem comporta quindi che, in caso di connessione per pregiudizialità necessaria, il giudice deve poter valutare la domanda riconvenzionale e mutare il rito fissando l’udienza di cui all’art. 183 cod. proc. civ., come nell’ipotesi, prevista dal terzo comma dell’art. 702-ter cod. proc. civ., in cui le difese svolte dalle parti richiedano un’istruzione non sommaria.
In tal senso va, pertanto, dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 702-ter, secondo comma, ultimo periodo, cod. proc. civ.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 702-ter, secondo comma, ultimo periodo, del codice di procedura civile, nella parte in cui non prevede che, qualora con la domanda riconvenzionale sia proposta una causa pregiudiziale a quella oggetto del ricorso principale e la stessa rientri tra quelle in cui il tribunale giudica in composizione collegiale, il giudice adito possa disporre il mutamento del rito fissando l’udienza di cui all’art. 183 cod. proc. civ.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 novembre 2020.
F.to:
Mario Rosario MORELLI, Presidente
Giovanni AMOROSO, Redattore
Filomena PERRONE, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 26 novembre 2020.
Il Cancelliere
F.to: Filomena PERRONE