SENTENZA N. 259
ANNO 2020
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Giancarlo CORAGGIO; Giudici : Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 153, della legge della Regione Campania 6 maggio 2013, n. 5 recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2013 e pluriennale 2013-2015 della Regione Campania (Legge finanziaria regionale 2013)», promosso dal Tribunale amministrativo regionale della Campania nel procedimento vertente tra la Aquilone società cooperativa edilizia e la Regione Campania, con ordinanza del 12 marzo 2019, iscritta al n. 206 del registro ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 47, prima serie speciale, dell’anno 2019.
Visti gli atti di costituzione della Aquilone società cooperativa edilizia e della Regione Campania;
udito nell’udienza pubblica del 17 novembre 2020 il Giudice relatore Franco Modugno;
uditi l’avvocato Vincenzo Scolavino per la Aquilone società cooperativa edilizia e l’avvocato Massimo Consoli per la Regione Campania, in collegamento da remoto, ai sensi del punto 1) del decreto del Presidente della Corte del 30 ottobre 2020;
deliberato nella camera di consiglio del 17 novembre 2020.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 12 marzo 2019 (r.o. n. 206 del 2019), il Tribunale amministrativo regionale della Campania ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 117, terzo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 153, della legge della Regione Campania 6 maggio 2013, n. 5, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2013 e pluriennale 2013-2015 della Regione Campania (Legge finanziaria regionale 2013)».
1.1.– Il giudice a quo premette di essere investito del ricorso proposto da una società cooperativa edilizia avverso i provvedimenti di archiviazione dei progetti di nuova edificazione, da essa presentati ai sensi dell’avviso pubblico per la definizione del programma regionale di edilizia residenziale sociale di cui al decreto n. 376 del 28 luglio 2010 della Direzione generale per il governo del territorio – settore edilizia pubblica abitativa della Regione Campania.
Al riguardo, il rimettente rileva che il decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria) ha previsto, all’art. 11, sotto la rubrica «Piano Casa», la realizzazione di un piano nazionale di edilizia abitativa, con il coinvolgimento di capitali pubblici e privati: piano destinato – secondo quanto si afferma nella relazione al disegno di legge di conversione – «a incrementare il patrimonio immobiliare ad uso abitativo per tutte le categorie sociali per le quali è impossibile accedere al libero mercato della locazione».
Il comma 3 del citato art. 11 (con il quale si prevedeva che «[i]l Piano nazionale ha ad oggetto la realizzazione di misure di recupero del patrimonio abitativo esistente o di costruzione di nuovi alloggi […]») è stato interamente sostituito, in sede di conversione, a opera della legge 6 agosto 2008, n. 133, con l’inversione delle espressioni adoperate e l’eliminazione della particella disgiuntiva, così che la disposizione risultante dalla conversione recita: «[i]l piano nazionale di edilizia abitativa ha ad oggetto la costruzione di nuove abitazioni e la realizzazione di misure di recupero del patrimonio edilizio esistente […]». Risulterebbe quindi evidente – secondo il giudice a quo – come si sia optato per una programmazione nazionale volta a promuovere il soddisfacimento del diritto all’abitazione dei cittadini con minori mezzi economici anche, se non soprattutto, mediante la costruzione di nuove abitazioni.
Il piano veniva approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 16 luglio 2009 (Piano nazionale di edilizia abitativa). Di seguito, con decreto dell’8 marzo 2010, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ripartiva tra le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano l’importo di euro 377.885.270, destinato a finanziare quattro delle linee di intervento previste dall’art. 1 del piano, assegnando alla Regione Campania risorse economiche per complessivi euro 41.168.899,68.
Con il citato decreto dirigenziale n. 376 del 28 luglio 2010 veniva quindi approvato, nella Regione Campania, l’avviso pubblico «per la definizione del Programma regionale di edilizia residenziale sociale», previsto dall’art. 8 del d.P.C.m. 16 luglio 2009: avviso che comprendeva tra i progetti ammessi a contributo anche quelli di nuova costruzione.
Alla relativa procedura di selezione partecipava anche la ricorrente Aquilone società cooperativa edilizia, presentando due distinte proposte per la realizzazione di nuovi fabbricati nei Comuni di Avellino e di Aiello del Sabato.
Nelle more del relativo iter istruttorio interveniva, tuttavia, la legge reg. Campania n. 5 del 2013, il cui art. 1, comma 153, stabiliva che, «[i]n attesa dell’adozione di una disciplina organica sul contenimento dell’uso del suolo in attuazione della legge 14 gennaio 2013, n. 10 (Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani), la concessione di nuovi contributi o agevolazioni in favore di soggetti attuatori legittimati dalle leggi in vigore per il recupero e la costruzione di alloggi nella Regione Campania è consentita solo per interventi di recupero edilizio e non per quelli di nuova edificazione».
A fronte di tale previsione, con decreti del Direttore generale per il governo del territorio numeri 356 e 395, privi di data, trasmessi, rispettivamente, il 13 e il 16 giugno 2014, veniva quindi disposta l’archiviazione dei due progetti di nuova edificazione della società cooperativa ricorrente.
In seguito, peraltro, l’art. 1, comma 82, della legge della Regione Campania 7 agosto 2014, n. 16, recante «Interventi di rilancio e sviluppo dell’economia regionale nonché di carattere ordinamentale e organizzativo (collegato alla legge di stabilità regionale 2014)», aggiungeva all’art. 1 della legge reg. Campania n. 5 del 2013 il comma 153-bis, stabilendo che la disciplina di cui al comma 153 non si applica ai procedimenti finalizzati a finanziare attività di nuova edificazione ai sensi del d.P.C.m. 16 luglio 2009, a condizione che essi siano stati avviati prima dell’entrata in vigore della legge reg. Campania n. 5 del 2013 e che vengano conclusi, con la sottoscrizione della convenzione, entro sei mesi dall’entrata in vigore della nuova disposizione.
La società cooperativa, ricorrente nel giudizio principale, invitava quindi la Regione a disporre l’annullamento in autotutela dei decreti di archiviazione dei suoi progetti.
Non avendo ottenuto riscontro, impugnava i provvedimenti stessi davanti al Tribunale rimettente per violazione di legge ed eccesso di potere, sulla base di tre motivi. Deduceva, in specie, l’inapplicabilità dell’art. 1, comma 153, della legge reg. Campania n. 5 del 2013 ai progetti inerenti al piano nazionale di edilizia abitativa, posto che l’art. 11, comma 3, del d.l. n. 112 del 2008, come convertito, non opera alcuna distinzione tra interventi di recupero edilizio e di costruzione di nuovi alloggi. Denunciava, in secondo luogo, l’illegittimità costituzionale della citata norma regionale per contrasto con i principi posti dalla legge statale in materia di competenza concorrente e perché produttiva di una disparità di trattamento su base territoriale. Sosteneva, infine, l’inapplicabilità della medesima norma regionale alla procedura regolata dall’avviso pubblico del 2010, che ne costituisce la lex specialis, non modificabile in termini peggiorativi dallo ius superveniens.
1.2.– Ciò premesso, il TAR campano reputa di dover sollevare questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 153, della legge reg. Campania n. 5 del 2013, ritenendole rilevanti e non manifestamente infondate.
Ad avviso del giudice a quo, la rilevanza risulterebbe evidente, posto che l’archiviazione dei progetti presentati dalla ricorrente è stata disposta in ragione di quanto previsto dalla norma censurata.
La ricorrente non potrebbe, d’altra parte, giovarsi della successiva «disposizione di salvaguardia» introdotta con l’art. 1, comma 82, della legge reg. Campania n. 16 del 2014. Per costante affermazione della giurisprudenza amministrativa, infatti, in forza del principio tempus regit actum, la legittimità di un atto amministrativo va accertata sulla base dei presupposti di fatto e di diritto esistenti al momento della sua emanazione. Di conseguenza, l’atto non può essere reso illegittimo ex post da una norma sopravvenuta, salvo che essa rechi una espressa clausola di retroattività: clausola non rinvenibile nella disposizione regionale da ultimo citata. Né, d’altro canto, sarebbe possibile attribuire a tale disposizione natura interpretativa: essa avrebbe piuttosto carattere innovativo e integrativo della norma precedente, limitandosi ad apportare una «deroga condizionata» al divieto, da questa previsto, di accordare benefici per interventi di nuova edificazione.
Allo stato, pertanto, il ricorso dovrebbe essere rigettato, avendo i provvedimenti impugnati un contenuto interamente vincolato.
1.3.– Quanto, poi, alla non manifesta infondatezza, la norma censurata si porrebbe – secondo il rimettente – in contrasto con l’art. 3 Cost., determinando una ingiustificata disparità di trattamento fra situazioni analoghe. Essa farebbe dipendere la possibilità di ottenere i benefici in questione dal mero dato cronologico dell’esame delle pratiche, escludendo le istanze esaminate per prime (oggetto di archiviazione, come nel caso di specie), mentre quelle scrutinate più tardi hanno potuto giovarsi di quanto disposto con il successivo intervento legislativo regionale (il comma 153-bis dell’art. 1 della legge reg. Campania n. 5 del 2013).
La norma denunciata violerebbe, altresì, l’art. 117, terzo comma, Cost.
In sede di scrutinio della norma statale di cui all’art. 11 del d.l. n. 112 del 2008, come convertito, questa Corte ha infatti chiarito, con la sentenza n. 121 del 2010, che «la materia dell’edilizia residenziale pubblica, non espressamente contemplata dall’art. 117 Cost., “si estende su tre livelli normativi”», il secondo dei quali – riguardante la programmazione degli insediamenti di edilizia residenziale e, in particolare, la previsione di un piano nazionale di edilizia abitativa – si colloca nella materia di competenza concorrente «governo del territorio», ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost. È stato, quindi, affermato che «lo Stato, con il suddetto piano, fissa i principi generali che devono presiedere alla programmazione nazionale ed a quelle regionali nel settore», esercitando, con ciò, le proprie attribuzioni in una materia di competenza concorrente, quale appunto il «governo del territorio».
Nell’ambito di tali principi generali rientrerebbe anche quello stabilito dall’art. 11, comma 3, del d.l. n. 112 del 2008, come convertito, secondo il quale l’incremento dell’offerta abitativa per le categorie sociali con minori mezzi economici doveva realizzarsi anche, se non soprattutto, mediante la costruzione di nuove abitazioni: principio con il quale la norma censurata si porrebbe in evidente contrasto.
Dovrebbe, infatti, escludersi che, nella materia considerata, la potestà legislativa regionale possa produrre esiti diversi rispetto alla programmazione nazionale. La legislazione regionale fruirebbe, bensì, di spazi per modulare la realizzazione di nuove abitazioni e il recupero del patrimonio edilizio esistente (in specie, fissando priorità e preferenze e stabilendo modalità di realizzazione degli interventi), ma non potrebbe escludere del tutto le nuove costruzioni nella determinazione del programma regionale attuativo del piano nazionale, stante l’ineludibile principio di concorrenza delle nuove abitazioni con il recupero dei fabbricati preesistenti fissato dalla legge statale.
2.– Si è costituita la Aquilone società cooperativa edilizia, ricorrente nel giudizio a quo, la quale ha chiesto l’accoglimento delle questioni, svolgendo argomenti a sostegno della loro rilevanza e fondatezza, sviluppati con successiva memoria.
La parte costituita ha sottolineato, in specie, come, alla luce delle indicazioni di questa Corte, la fissazione su scala nazionale degli interventi sia funzionale ad assicurare i livelli minimi di offerta abitativa per le categorie sociali svantaggiate, evitando squilibri e disparità di trattamento nel godimento del diritto alla casa: prospettiva nella quale la violazione del principio generale che consente di attuare il piano nazionale, non solo mediante misure di recupero edilizio, ma anche mediante nuove costruzioni comporterebbe una discriminazione su base territoriale atta a compromettere la funzione del piano, lesiva anche dell’art. 3 Cost.
3.– Si è costituita anche la Regione Campania, resistente nel giudizio principale, chiedendo il rigetto delle questioni.
Nella memoria successivamente depositata, la Regione rileva come la norma censurata persegua l’obiettivo – rientrante certamente nelle competenze regionali – di contenere il consumo del suolo a fini edificatori: esigenza posta in risalto anche a livello europeo e particolarmente avvertita nel territorio campano, in ragione dell’elevata percentuale di suolo artificiale in esso riscontrabile.
La disposizione non avrebbe, d’altro canto, determinato la disparità di trattamento denunciata dal rimettente. Dalla documentazione prodotta in allegato alla memoria, emerge, infatti, che nessun progetto di nuova edificazione ha beneficiato di contributi o agevolazioni, né dopo la norma regionale del 2013, né dopo quella del 2014.
La norma censurata non violerebbe neppure il principio posto dal legislatore statale riguardo all’oggetto del piano, in quanto non precluderebbe affatto la realizzazione di nuove abitazioni nel territorio campano che non contemplino forme di finanziamento pubblico.
Dalle disposizioni contenute nell’art. 11 del d.l. n. 112 del 2008, come convertito, si desumerebbe, d’altronde, che il principio in questione va adattato alle singole realtà territoriali e non impone, comunque sia, alle Regioni di prevedere interventi finanziari: e ciò particolarmente a favore delle cooperative edilizie costituite fra soggetti beneficiari degli interventi, le quali – alla luce di quanto previsto dal comma 3, lettera d), del citato art. 11 – dovrebbero fruire soltanto di forme di agevolazione, anche amministrative.
Considerato in diritto
1.– Il Tribunale amministrativo regionale della Campania dubita della legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 153, della legge della Regione Campania 6 maggio 2013, n. 5, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2013 e pluriennale 2013-2015 della Regione Campania (Legge finanziaria regionale 2013)», il quale vieta la concessione di contributi o agevolazioni per interventi di nuova edificazione nella Regione Campania, consentendola solo per gli interventi di recupero edilizio.
Ad avviso del rimettente, la norma regionale censurata violerebbe l’art. 3 della Costituzione, in quanto generatrice di una ingiustificata disparità di trattamento fra situazioni analoghe legata al «mero dato cronologico dell’esame delle pratiche». Essa escluderebbe, infatti, dai finanziamenti previsti in relazione al piano nazionale di edilizia abitativa approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 16 luglio 2009 (Piano nazionale di edilizia abitativa) le istanze esaminate per prime e già archiviate, quando invece quelle scrutinate successivamente possono giovarsi della «disposizione di salvaguardia» di cui al comma 153-bis dell’art. 1 della legge reg. Campania n. 5 del 2013, introdotta con l’art. 1, comma 82, della legge della Regione Campania 7 agosto 2014, n. 6, recante «Interventi di rilancio e sviluppo dell’economia regionale nonché di carattere ordinamentale e organizzativo (collegato alla legge di stabilità regionale 2014)», che rende inapplicabile la norma censurata ai procedimenti già avviati alla data di entrata in vigore della legge reg. Campania n. 5 del 2013 e che si concludano entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della nuova disposizione.
La norma denunciata violerebbe, altresì, l’art. 117, terzo comma, Cost., per lesione della competenza legislativa dello Stato nella materia di competenza concorrente «governo del territorio»: materia entro la quale ricade – secondo le indicazioni della sentenza n. 121 del 2010 di questa Corte – la previsione del piano nazionale di edilizia abitativa approvato con il citato d.P.C.m. 16 luglio 2009. La disposizione sottoposta a scrutinio si porrebbe, infatti, in contrasto con il principio generale fissato dal legislatore statale nell’art. 11, comma 3, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, in legge 6 agosto 2008, n. 133, in base al quale il piano doveva essere realizzato, non solo mediante interventi di recupero edilizio, ma anche, e prima di tutto, tramite la costruzione di nuovi alloggi.
2.– Le questioni sono inammissibili per difetto di adeguata motivazione sulla rilevanza.
3.– Al riguardo, è indispensabile riepilogare preliminarmente la complessa vicenda che è all’origine dei quesiti.
L’art. 11 del d.l. n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, in legge n. 133 del 2008 (cosiddetta manovra finanziaria estiva del 2008), ha previsto – sotto la rubrica «Piano Casa» – l’approvazione di un piano nazionale di edilizia abitativa, volto ad accrescere l’offerta di alloggi a favore di categorie sociali svantaggiate, con il coinvolgimento di capitali pubblici e privati.
In base al comma 3 del citato art. 11 – ed è questo il punto nodale – il piano doveva avere ad oggetto «la costruzione di nuove abitazioni e la realizzazione di misure di recupero del patrimonio abitativo esistente».
Il piano veniva approvato con d.P.C.m. 16 luglio 2009, al quale faceva seguito, con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti dell’8 marzo 2010, la ripartizione tra le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano di somme destinate al finanziamento di quattro delle sei linee d’intervento previste dal piano, con assegnazione, in particolare, alla Regione Campania della somma di euro 41.168.899,68.
Le Regioni erano chiamate, dal canto loro, a predisporre un programma degli interventi da finanziare nel loro territorio, promovendo e valutando, attraverso «procedure di evidenza pubblica», le proposte dei soggetti interessati (art. 8 del piano allegato al d.P.C.m. 16 luglio 2009): programma destinato a essere poi sottoscritto dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti nell’ambito di un accordo di programma con la singola Regione e gli enti locali coinvolti (art. 4 del piano).
La Regione Campania approvava l’avviso pubblico per la definizione del programma regionale con decreto della Direzione generale per il governo del territorio – settore edilizia pubblica abitativa n. 376 del 28 luglio 2010, il quale includeva tra gli interventi finanziabili anche le nuove costruzioni (art. 5, comma 1, lettere c e d).
Alla procedura di selezione delle proposte partecipava anche la Aquilone società cooperativa edilizia – ricorrente nel giudizio a quo – presentando due progetti di nuove costruzioni.
Nelle more del relativo iter istruttorio sopravveniva, tuttavia, la norma regionale censurata (art. 1, comma 153, della legge reg. Campania n. 5 del 2013), la quale stabiliva che, «[i]n attesa dell’adozione di una disciplina organica sul contenimento dell’uso del suolo in attuazione della legge 14 gennaio 2013, n. 10 (Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani), la concessione di nuovi contributi o agevolazioni in favore di soggetti attuatori legittimati dalle leggi in vigore per il recupero e la costruzione di alloggi nella Regione Campania è consentita solo per interventi di recupero edilizio e non per quelli di nuova edificazione».
A fronte di ciò, la Regione, con decreti del Direttore generale per il governo del territorio numeri 356 e 395, privi di data, trasmessi, rispettivamente, il 13 e il 16 giugno 2014, disponeva l’«archiviazione» dei progetti della Cooperativa (il che equivaleva a esclusione dall’ammissione al contributo).
Si registrava, tuttavia, di lì a poco, una ulteriore sopravvenienza normativa. L’art. 1, comma 82, della legge reg. Campania n. 16 del 2014, aggiungendo all’art. 1 della legge reg. Campania n. 5 del 2013 il comma 153-bis, stabiliva, infatti – nella parte che qui interessa – che il divieto di contributi o agevolazioni per nuove costruzioni non si applica ai procedimenti attuativi del piano nazionale di edilizia abitativa di cui al d.P.C.m. 16 luglio 2009, alla duplice condizione che i procedimenti stessi siano stati avviati prima dell’entrata in vigore della legge reg. Campania n. 5 del 2013 e che vengano conclusi entro sei mesi dall’entrata in vigore della novella del 2014.
La Aquilone società cooperativa edilizia chiedeva, quindi, alla Regione di annullare in autotutela i provvedimenti di archiviazione dei propri progetti. Non avendo avuto riscontro, impugnava i provvedimenti stessi davanti al TAR rimettente, deducendone l’illegittimità per violazione di legge ed eccesso di potere.
4.– Ad avviso del giudice a quo, il ricorso della società cooperativa dovrebbe essere, allo stato, respinto.
La ricorrente non potrebbe, infatti, giovarsi della «disposizione di salva-guardia» introdotta dall’art. 1, comma 82, della legge reg. n. 16 del 2014 (quella che esclude dal divieto di contributi o agevolazioni per nuove costruzioni i procedimenti già avviati in base al piano nazionale di edilizia abitativa), essendo tale disposizione posteriore ai provvedimenti impugnati.
Secondo un consolidato indirizzo della giurisprudenza amministrativa, la legittimità dei provvedimenti amministrativi si valuta sulla base della situazione di fatto e di diritto esistente al tempo della loro adozione (tempus regit actum). Il provvedimento non può essere reso, pertanto, illegittimo – “ora per allora” – da una norma sopravvenuta, salvo che questa contenga una espressa clausola di retroattività: clausola non rinvenibile nella norma regionale del 2014, alla quale, d’altro canto, non potrebbe neppure attribuirsi natura interpretativa della norma del 2013. Essa non mirerebbe, infatti, a chiarire il senso di quest’ultima, ma avrebbe piuttosto carattere innovativo e integrativo, limitandosi ad apportare una «deroga condizionata» al divieto ivi stabilito, che per il resto rimane fermo: opererebbe, dunque, solo per l’avvenire.
Di qui – secondo il rimettente – la rilevanza delle sollevate questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 153, della legge reg. Campania n. 5 del 2013, sulla cui base i provvedimenti impugnati sono stati adottati.
5.– Il ragionamento che fonda la valutazione di rilevanza delle questioni di costituzionalità, ora ripercorso, si presenta, tuttavia, manchevole.
Il giudice a quo non prende, infatti, in considerazione un aspetto, che pure forma oggetto di uno dei motivi di ricorso della cooperativa (come emerge dalla stessa ordinanza di rimessione).
La censurata norma regionale del 2013 è, infatti, a propria volta successiva all’avviso (risalente al luglio del 2010) con cui è stata indetta la «procedura di evidenza pubblica» per la selezione dei progetti da inserire nel programma regionale degli interventi ammessi a contributo: avviso che – come già segnalato – includeva tra gli interventi finanziabili anche le nuove costruzioni.
La giurisprudenza del Consiglio di Stato è, peraltro, assolutamente costante nell’affermare che, nelle gare pubbliche o, amplius, nelle procedure selettive, la pubblica amministrazione è tenuta ad applicare le regole stabilite nel bando di gara, le quali costituiscono la lex specialis, non disapplicabile nel corso del procedimento neppure quando talune di dette regole risultino non più conformi a uno ius superveniens (ex plurimis, Consiglio di Stato, sezione quinta, sentenza 7 giugno 2016, n. 2433; Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenza 18 gennaio 2016, n. 143; Consiglio di Stato, sezione quinta, 16 giugno 2015, n. 2988).
Secondo il giudice amministrativo, deve dunque escludersi che la normativa sopravvenuta possa avere alcun effetto diretto sul procedimento di gara, anche per una esigenza di salvaguardia dell’affidamento dei soggetti che vi partecipano (Consiglio di Stato, sezione quinta, sentenza 7 giugno 2016, n. 2433; Consiglio di Stato, sezione terza, 1° settembre 2014, n. 4449). Ciò, salvo l’esercizio del potere di autotutela (tra le altre, Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenza 18 gennaio 2016, n. 143; Consiglio di Stato, sezione quarta, 7 settembre 2010, n. 6485), inteso specificamente a rimuovere in via preventiva dal mondo giuridico le disposizioni del bando (Consiglio di Stato, sezione quarta, 16 giugno 2015, n. 2988): ipotesi che non risulta essersi, peraltro, verificata nel caso oggetto del giudizio a quo.
Applicando tale indirizzo nel caso di specie – prospettiva sulla cui praticabilità il rimettente non si sofferma – la Regione avrebbe dovuto, dunque, prendere in esame i progetti della società cooperativa ricorrente malgrado la sopravvenienza della norma censurata, alla quale la lex specialis della procedura sarebbe rimasta insensibile.
Questo rilievo pone, peraltro, nel dubbio anche la validità dell’assunto del giudice a quo, stando al quale la successiva norma regionale di cui all’art. 1, comma 82, della legge reg. Campania n. 16 del 2014 non avrebbe natura interpretativa della norma censurata (natura che ne implicherebbe la retroattività), apportando piuttosto ad essa una «deroga condizionata».
Dai lavori preparatori relativi alla disposizione del 2014 – e, in particolare, dalla relazione al disegno di legge d’iniziativa della Giunta regionale che ad essa ha dato origine – emerge come, in realtà, la disposizione mirasse proprio a dissipare le incertezze riguardo alla sorte dei procedimenti per l’ottenimento di contributi o agevolazioni già avviati, ma ancora in itinere alla data di entrata in vigore della norma del 2013, chiarendo che essi si concludono sulla base della disciplina precedente: circostanza atta ad imprimere alla disposizione stessa una finalità tipica delle norme interpretative.
Le incertezze apparivano ricollegabili essenzialmente al fatto che il comma 153 dell’art. 1 della legge reg. Campania n. 5 del 2013 recava, al secondo periodo, una ambigua previsione transitoria, la quale demandava alla Giunta regionale di procedere a una «ricognizione degli interventi di nuova edificazione ammessi a contributo in esecuzione di bandi già pubblicati per i quali i lavori non sono iniziati nei termini previsti, o non sono proseguiti per impossibilità sopravvenuta derivante da causa non imputabile al soggetto attuatore, oppure per i quali comunque sussistono motivi di annullamento o di revoca del provvedimento di ammissione al contributo»: ciò, al fine di pronunciarne «la definitiva […] decadenza». La circostanza che il legislatore regionale avesse previsto, a determinate condizioni, la caducazione di contributi per interventi di nuova edificazione già concessi, poteva prestarsi, in effetti, ad ingenerare il dubbio che – in deroga al principio generale affermato dalla ricordata giurisprudenza del Consiglio di Stato (la quale fa salva una diversa previsione espressa della legge sopravvenuta) – il divieto posto dalla norma del 2013 dovesse trovare, in ogni caso, applicazione rispetto ai procedimenti in corso nei quali non si fosse ancora pervenuti all’ammissione a contributo: ipotesi interpretativa che l’art. 1, comma 82, della legge reg. Campania n. 16 del 2014 ha inteso per converso smentire, quanto ai procedimenti avviati sulla base degli atti statali indicati, sia pur richiedendo che il procedimento si concluda entro sei mesi dall’entrata in vigore della stessa legge regionale.
Su tali aspetti il giudice a quo non prende, comunque sia, posizione.
6.– La motivazione sulla rilevanza si palesa, di conseguenza, non sufficiente e adeguata: il che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, implica l’inammissibilità delle questioni sollevate (ex plurimis, sentenze n. 41 del 2020 e n. 102 del 2018).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 153, della legge della Regione Campania 6 maggio 2013, n. 5, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2013 e pluriennale 2013-2015 della Regione Campania (Legge finanziaria regionale 2013)», sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 117, terzo comma, della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale della Campania con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 novembre 2020.
F.to:
Giancarlo CORAGGIO, Presidente
Franco MODUGNO, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 3 dicembre 2020.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA