SENTENZA N. 275
ANNO 2020
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Giancarlo CORAGGIO; Giudici : Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 605, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), promosso dal Consiglio di Stato nel procedimento vertente tra I.M. F. e il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca e altro, con ordinanza del 13 novembre 2019, iscritta al n. 248 del registro ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4, prima serie speciale, dell’anno 2020.
Visti l’atto di costituzione di I.M. F., nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 17 novembre 2020 il Giudice relatore Silvana Sciarra;
uditi l’avvocato Francesco Paoletti per I.M. F. e l’avvocato dello Stato Federico Basilica per il Presidente dei Consiglio dei ministri;
deliberato nella camera di consiglio del 17 novembre 2020.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza iscritta al registro ordinanze n. 248 del 2019, il Consiglio di Stato ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 605, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), in riferimento agli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione.
La norma oggetto della questione di legittimità costituzionale stabilisce che, entro il 2018, si debba bandire un concorso pubblico per l’assunzione, nel Comparto scuola, di direttori dei servizi generali e amministrativi. Essa prevede che a tale concorso possano partecipare anche gli assistenti amministrativi i quali, alla data di entrata in vigore della legge, abbiano maturato almeno tre interi anni di servizio, negli ultimi otto, nelle mansioni di direttore dei servizi generali e amministrativi. L’ammissione al concorso di tali candidati avviene «anche in mancanza del requisito culturale di cui alla tabella B allegata al contratto collettivo nazionale di lavoro relativo al personale del Comparto scuola sottoscritto in data 29 novembre 2007, e successive modificazioni».
Il Consiglio di Stato riferisce di essere chiamato a decidere sull’appello contro la sentenza con cui il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio aveva respinto il ricorso promosso in primo grado da una candidata, volto a ottenere l’annullamento degli atti amministrativi che le impedivano di partecipare al concorso, bandito nel 2018, per n. 2.400 posti di direttore dei servizi generali e amministrativi (DSGA) vacanti presso gli istituti scolastici. Il bando di concorso prevedeva la partecipazione degli assistenti amministrativi che, pur se privi del titolo culturale richiesto (laurea specialistica indicata dalla tabella B allegata al contratto collettivo nazionale di lavoro relativo al personale del Comparto scuola, sottoscritto in data 29 novembre 2007, e successive modificazioni), avessero maturato, alla data di entrata in vigore della legge n. 205 del 2017, almeno tre anni interi di servizio negli ultimi otto, anche non continuativi, sulla base di incarichi annuali, svolgendo le mansioni di DSGA. Tale previsione, ad avviso del rimettente, è sostanzialmente riproduttiva del citato art. 1, comma 605, della legge n. 205 del 2017, che prevede la partecipazione al concorso per i candidati che si trovino in possesso del requisito di esperienza triennale alla data di entrata in vigore della legge n. 205 del 2017 (1° gennaio 2018), ma non anche per coloro che abbiano maturato il medesimo requisito in epoca successiva, purché entro la scadenza del termine di presentazione della domanda di partecipazione al concorso (nella specie, il 27 gennaio 2019). L’interessata «avrebbe conseguito i tre anni alla data del 1 agosto 2018». Sarebbe la stessa formulazione della norma primaria, dunque, a costituire «elemento direttamente ostativo alla auspicata partecipazione al concorso da parte della odierna appellante».
Tale norma, che qualifica la procedura come «concorso pubblico», cui dovrebbe essere garantita la più ampia partecipazione, in coerenza con i principi costituzionali, ha esteso la platea dei soggetti ammessi a partecipare, valorizzando «un requisito rilevante in termini di esperienza maturata in capo a soggetti eventualmente privi del titolo di studio». Nel prescrivere che quest’ultimo requisito fosse presente al momento dell’entrata in vigore della legge n. 205 del 2017, ben prima della scadenza del termine di presentazione delle domande di partecipazione fissato nel bando, essa sarebbe entrata in contrasto con una «regola generale in tema di concorsi», codificata dall’art. 2 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato), nonché dall’art. 2, comma 7, del d.P.R. 9 maggio 1994, n. 487 (Regolamento recante norme sull’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi). Tale regola costituirebbe, anche nell’interpretazione data dalla giurisprudenza amministrativa, «espressione di un principio generale, strettamente connesso ai principi di imparzialità dell’Amministrazione e di parità di trattamento dei candidati», e risulterebbe coerente con il favor partecipationis nelle procedure di selezione.
Viceversa, la norma introdotta nel 2017 darebbe luogo «ad illogicità e disparità di trattamento potenzialmente contrastanti con i principi costituzionali». Vi sarebbe, infatti, «il concreto rischio che possano esservi vantaggi solo per alcuni degli appartenenti alla categoria, con esclusione degli altri», senza che la deroga alla regola generale appaia sorretta da alcuna ragione, né da una particolare esigenza di pubblico interesse. Quest’ultima, a detta del rimettente, non emergerebbe neppure dai lavori preparatori della legge. Ne conseguirebbe una disparità di trattamento, sia «in relazione agli altri possessori del requisito in esame», sia «rispetto ai possessori dell’alternativo requisito ordinario del titolo di studio, il quale, a fini di partecipazione e contrariamente al requisito in esame, può essere stato acquisito anche dopo la data dell’1 gennaio 2018».
Il rimettente, nell’affermare, anche alla luce della giurisprudenza costituzionale, che il pubblico concorso è la forma ordinaria di reclutamento del personale della pubblica amministrazione, ribadisce che possono intervenire deroghe «solo in presenza di peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico» e sempre che l’area delle eccezioni sia «delimitata in modo rigoroso». La natura «aperta» e «comparativa» della procedura concorsuale è prescritta in vista dell’obiettivo di selezionare i candidati che posseggano le professionalità necessarie a svolgere le mansioni richieste, in base al criterio del «merito». Il Consiglio di Stato ritiene che ciò non accada nel caso di specie. Il criterio temporale imposto dalla norma costituirebbe, infatti, un «limite irragionevole alla più ampia partecipazione», poiché non sarebbe sorretto – pur a fronte del «carattere ordinario del concorso» – da alcuna specifica esigenza di interesse pubblico. Ne deriverebbe la violazione dell’art. 3 Cost. «da solo e in combinato disposto con gli artt. 51 e 97 Cost.», e vi sarebbe «una grave lesione ai principi costituzionali di parità tra i cittadini (art. 3), di uguaglianza nell’accesso agli uffici pubblici (art. 51) e di accesso mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge, agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni (art. 97)».
2.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che sostiene la non fondatezza della questione.
Nel rimarcare che la norma del 2017 «rappresenta [...] una eccezione alla regola, prevista una tantum al precipuo scopo di stabilizzare una parte del personale ATA che abbia acquisito una apprezzabile professionalità a seguito di reiterati incarichi a tempo determinato», la difesa erariale ne evidenzia il carattere di legge-provvedimento, poiché la norma sarebbe operante solo con riguardo a «uno specifico concorso» e «nei confronti di una circoscritta categoria di soggetti». La fissazione del termine ultimo del 1° gennaio 2018, ai fini della valutazione del servizio prestato, risulterebbe quindi «perfettamente in linea con la finalità e la straordinarietà della previsione stessa».
Il legislatore, secondo la difesa erariale, avrebbe effettuato un «bilanciamento di interessi contrastanti», entrambi «meritevoli di apprezzamento»: da un lato, il favor partecipationis, da declinarsi nel senso della necessità di un «riconoscimento della professionalità maturata dagli assistenti amministrativi», ancorché non in possesso del necessario titolo di accesso alla selezione; dall’altro lato, il principio meritocratico, che protegge «il diritto dei soggetti in possesso del prescritto titolo di studio a concorrere [...] solo con coloro che siano dotati dei requisiti previsti dalle fonti legislative e contrattuali». La soluzione prescelta dal legislatore del 2017 corrisponderebbe a «un approdo di certezza del diritto e dei rapporti», visto che, «[q]uanto più il termine è ristretto, [...] tanto più si riespande il principio meritocratico».
In presenza di leggi-provvedimento, secondo il Presidente del consiglio dei ministri, «il parametro della ragionevolezza non può certo coincidere con quello dell’eguaglianza formale». Nel caso di specie, si avrebbe «una ragionevole deroga alla par condicio formale dei partecipanti ad un pubblico concorso», in una logica «di giustizia sostanziale». Del resto, la disposizione contestata, «lungi dallo stabilizzare il personale sulla sola base del servizio prestato, si limita ad ammetterlo alla procedura concorsuale», senza che con ciò la selezione possa dirsi trasformata in una procedura riservata.
Il possesso della laurea quale requisito di ammissione alla data di scadenza per la presentazione della domanda di partecipazione al concorso sarebbe assicurato, poiché si prevede che il titolo debba essere stato conseguito entro tale data. Al contempo, viene ammessa l’eccezione che salvaguarda l’avvenuta maturazione di un determinato periodo di servizio nelle funzioni di DSGA entro una «data certa, ravvicinata e nella disponibilità del legislatore»: in tal modo, «la data non è richiesta per il possesso di un requisito ma per circoscrivere l’assenza dello stesso».
Nel richiamare l’ampia discrezionalità del legislatore per la determinazione dei criteri di ammissione ai concorsi (è citata la sentenza di questa Corte n. 51 del 1994), la difesa statale rileva che «l’apparente disparità di trattamento», denunciata dal rimettente, risulterebbe «pienamente giustificata» dalla «necessità di valorizzare la laurea e, conseguentemente, di arginare in modo netto il regime transitorio in favore degli assistenti amministrativi». Peraltro, l’ancoraggio alla data fissa del 1° gennaio 2018 conferirebbe all’operazione un maggior grado di certezza, «in modo da non riservare all’Amministrazione alcun residuo margine di discrezionalità sulla portata della deroga al possesso del titolo di studio».
3.– Si è costituita in giudizio I.M. F., appellante nel giudizio a quo, che ha chiesto l’accoglimento della questione di legittimità costituzionale, limitandosi ad aderire alle argomentazioni esposte nell’ordinanza di rimessione.
Considerato in diritto
1.– Con l’ordinanza indicata in epigrafe il Consiglio di Stato ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 605, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), per violazione degli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione.
Per l’anno 2018 la norma censurata ha previsto l’indizione di un concorso per l’assunzione di direttori dei servizi generali e amministrativi (DSGA) nel Comparto scuola, aperto alla partecipazione, fra gli altri, anche degli assistenti amministrativi che, ancorché privi del requisito culturale ordinario indicato dal contratto collettivo (la laurea specialistica indicata dalla tabella B allegata al contratto collettivo nazionale di lavoro relativo al personale del Comparto scuola, sottoscritto in data 29 novembre 2007, e successive modificazioni), avessero maturato un triennio di esperienza nelle mansioni di DSGA negli ultimi otto anni. L’epoca di maturazione di quest’ultimo requisito è stata individuata dal legislatore nella «data di entrata in vigore della presente legge» (1° gennaio 2018), anziché nella data di scadenza dei termini per la presentazione delle domande di partecipazione al concorso.
Su questa opzione prescelta dal legislatore si concentrano le censure del rimettente. Sarebbe stata violata una «regola generale in tema di concorsi», stabilita dalle norme che disciplinano l’accesso ai pubblici impieghi (sono richiamati l’art. 2 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, recante «Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato», e l’art. 2, comma 7, del d.P.R. 9 maggio 1994, n. 487, «Regolamento recante norme sull’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi»). Si creerebbe, in tal modo, «illogicità e disparità di trattamento potenzialmente contrastanti con i principi costituzionali» e si determinerebbe un’irragionevole limitazione della «più ampia partecipazione in condizioni di parità», con conseguente violazione dell’art. 3 Cost. «da solo e in combinato disposto con gli artt. 51 e 97 Cost.».
2.– La questione non è fondata.
Questa Corte ha affermato che il principio del pubblico concorso, di cui all’art. 97, quarto comma, Cost., non è di per sé incompatibile, nella logica dell’agevolazione del buon andamento della pubblica amministrazione, con la previsione per legge di «condizioni di accesso intese a consolidare pregresse esperienze lavorative maturate nella stessa amministrazione», purché l’area delle eccezioni sia delimitata in modo rigoroso e sia subordinata all’accertamento di specifiche necessità funzionali dell’amministrazione e allo svolgimento di procedure di verifica dell’attività svolta (sentenza n. 113 del 2017, punto 2.3 del Considerato in diritto; in precedenza, sentenze n. 167 del 2013 e n. 310, n. 189 e n. 52 del 2011).
Questa Corte ha inoltre chiarito che «occorre trovare un ragionevole punto di equilibrio» tra il principio del pubblico concorso e l’interesse a consolidare le pregresse esperienze lavorative del personale (da ultimo, sentenza n. 164 del 2020, punto 20 del Considerato in diritto).
La valorizzazione di esperienze lavorative maturate nel tempo, se – come si è ricordato – può giustificare, al ricorrere di specifiche condizioni, il consolidamento delle stesse in deroga al principio del pubblico concorso, può, a maggior ragione, incidere sulla determinazione dei requisiti di ammissione al concorso, rimessa all’ampia discrezionalità del legislatore. Anche in tal caso il punto di equilibrio fra l’individuazione dei requisiti ordinari di ammissione al concorso, indicati nel contratto collettivo del Comparto scuola e inerenti al possesso dello specifico titolo di studio richiesto per l’adeguato svolgimento delle funzioni corrispondenti ai posti messi a concorso, e la deroga a tale individuazione, finalizzata alla valorizzazione delle pregresse esperienze lavorative, deve essere ricercato nel rispetto del «limite dei principi di ragionevolezza e di salvaguardia del buon andamento della p.a.» (così sentenza n. 51 del 1994, punto 2 del Considerato in diritto; analogamente, sentenze n. 99 del 1998 e n. 136 del 2004).
Già in epoca risalente questa Corte ha affermato, sia pure con riferimento al diverso requisito di accesso rappresentato dall’età, che rientra nella discrezionalità del legislatore stabilire criteri per l’accesso ai pubblici impieghi, purché i «requisiti non siano determinati in modo arbitrario o irragionevole» (sentenza n. 466 del 1997, punto 3 del Considerato in diritto) e costituiscano «opzione non obbligata sul piano costituzionale», ben potendo essere perseguite altre soluzioni, in vista di un trattamento uniforme tra i concorrenti (sentenza n. 466 del 1997, punto 4 del Considerato in diritto).
In generale, la scelta di fissare il possesso dei requisiti di ammissione alla data di scadenza della presentazione delle domande, pur assurgendo a principio generale della legislazione sui concorsi pubblici, come evidenziato dal rimettente, non costituisce una scelta costituzionalmente obbligata. Nella sua discrezionalità il legislatore può dunque indicare una data diversa e anteriore, con riferimento a requisiti posti in deroga a quelli ordinari, entro i limiti della non manifesta irragionevolezza e della uniformità di trattamento tra categorie omogenee di candidati.
Nel caso di specie, tali limiti non appaiono valicati.
A fronte della ragione di interesse pubblico – la valorizzazione una tantum, nell’interesse dell’amministrazione di appartenenza, delle pregresse esperienze lavorative di coloro che, pur sprovvisti del requisito culturale richiesto, avevano già svolto le funzioni di DSGA per un periodo sufficiente ad assicurare un’adeguata capacità professionale – il legislatore ha individuato, ai fini della maturazione del requisito di ammissione in esame, la data di entrata in vigore della legge, anziché la data di scadenza del termine di presentazione della domanda di partecipazione al concorso.
Tale scelta si giustifica per l’oggettiva diversità che intercorre tra il titolo di studio, inteso quale requisito culturale ordinario di ammissione al concorso, e il periodo di esperienza triennale, individuato in via eccezionale, quale requisito alternativo per delimitare, al momento dell’entrata in vigore della legge, la platea dei candidati.
La previsione censurata non determina alcuna irragionevole limitazione della più ampia partecipazione al concorso consentita ai candidati in possesso del requisito generale di ammissione e dunque non contrasta neppure con il principio del buon andamento dell’amministrazione.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 605, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione, dal Consiglio di Stato con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 novembre 2020.
F.to:
Giancarlo CORAGGIO, Presidente
Silvana SCIARRA, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 21 dicembre 2020.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA